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Guerra, crisi capitalista ed esigenza dell’unità delle forze comuniste, antimperialiste e anticapitaliste
Adriana Bernardeschi intervista Alberto Fazolo
Intervista ad Alberto Fazolo, giornalista, saggista, economista, militante politico antifascista e comunista. Esperto di questioni internazionali, ha vissuto due anni nel Donbass ed è autore, tra l'altro, del libro "In Donbass non si passa. La Resistenza antifascista alle porte dell'Europa", un reportage dai fronti di battaglia del Donbass, in vendita su diversi portali e-commerce
Ci troviamo all’apice della crisi del modello di sviluppo capitalista, una crisi strutturale a quel sistema economico che come già successo in passato trova la sua remissione (sempre temporanea) attraverso politiche di guerra (palliativo della sovrapproduzione) e attraverso la messa in scena della faccia “cattiva” del capitalismo, quella delle destra eversiva in grado di minare il sistema democratico per raggiungere i suoi scopi di massacro sociale. Di fronte a questo scenario, le recenti elezioni politiche hanno dato conferma della complessiva debolezza delle forze che si propongono di superare questo sistema in senso progressista, e del prendere vigore invece di quelle reazionarie e postfasciste, che raccolgono il malcontento popolare sempre più disorientato perché troppe volte tradito da chi avrebbe dovuto rappresentarlo.
* * * *
Quali sono stati, a tuo parere, gli errori più cruciali della sinistra di classe che hanno condotto a questo risultato di estrema debolezza?
R: Secondo me sono stati fatti degli errori sia di metodo che di merito, e alcuni errori sono un po’ a metà strada fra merito e metodo. Analizzare gli errori è un passo necessario per potersi migliorare risolvendoli e non ripetendoli in futuro. Secondo me il primo gravissimo errore di metodo è stato quello di accettare le regole del gioco imposte dall’avversario, e l’avversario in questo caso è lo Stato nelle sue massime espressioni, quindi Mattarella e Draghi, che hanno imposto delle elezioni in un momento in cui non ce n’era assolutamente bisogno perché Draghi aveva comunque un’ampissima maggioranza parlamentare che gli consentiva di guidare un governo senza nessuna apprensione.
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Sulla nullità dell’uomo moderno
di CdC
Nella sua opera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, pubblicata nel 1984, Milan Kundera sostiene che i tempi moderni sono quel periodo in cui l’importanza ed il peso della vita umana hanno perso di significato, diventando più leggeri. Witold Gombrowicz, scrittore polacco venticinque anni più vecchio di Kundera, ha un’idea allo stesso tempo comica e geniale per definire questa situazione. Secondo Gombrowicz, il peso del nostro Io dipende dalla quantità di popolazione presente sul pianeta: il peso dell’esistenza umana si è diviso e diluito in una tale quantità di parti, di porzioni differenti, da far sì che il peso ed il valore dell’esistenza stessa si sia ridotto, si sia alleggerito fino al punto da diventare insostenibile. Quindi il peso dell’Io diventa sempre più leggero man mano che la popolazione del pianeta aumenta, come se l’energia che dà peso all’Io fosse di quantità limitata e, poiché viene distribuita in un numero elevato di persone, finisce per essere di modesta quantità in ognuno. Volendo esprimere questo concetto con linguaggio matematico, si potrebbe dire che il numero è inversamente proporzionale alla sostanza.
Ciò che Kundera vuole porre sotto i nostri occhi è, probabilmente, la condizione in cui si trova l’uomo nei tempi moderni. L’uomo moderno è entrato in una fase della storia dove le forze individuali sono totalmente sottomesse alla gabbia di acciaio dell’amministrazione planetaria, sottomesse anch’esse dalle forze della storia, forze probabilmente scatenate dall’uomo stesso che, nell’intento di migliorare la propria vita, si “concede” alla tecnica, quella stessa tecnica di cui, però, ha perso il controllo e di cui adesso è inevitabilmente schiavo. L’uomo, per via del suo smanioso desiderio di onnipotenza, è causa del suo delirio e si ritrova anche ad essere effetto di quella causa.
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La caduta. Lineamenti e prospettive del prossimo futuro
di Piero Pagliani
Introduzione: i lineamenti della crisi in breve
La formidabile espansione economica occidentale del dopoguerra, guidata dagli Stati Uniti, ultimi eredi dell'egemonia occidentale sulla maggior parte del mondo, che era culminata con l'Impero Britannico, è entrata in crisi verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Si tratta di una crisi sistemica. Una crisi è sistemica quando non coinvolge un gruppo limitato di comparti economici né un gruppo limitato di Paesi ma investe tutta una economia-mondo e la sua organizzazione intorno al potere economico, finanziario, politico e militare di un centro egemone. Da quanto detto si capisce che ogni crisi sistemica ha un carattere “ibrido”, per l'appunto politico, militare, economico e finanziario. Ne ha ovviamente anche uno sociale, perché le economie-mondo reggono sistemi sociali e sono rette da rapporti sociali. E ne ha uno ideologico che riguarda il complesso delle idee dominanti.
Oggi l'economia-mondo in crisi ha un'estensione planetaria e il centro egemone in crisi sono gli Stati Uniti d'America. Ma la natura più spettacolare della crisi sistemica corrente è data dal fatto che con essa potrebbe chiudersi la lunghissima sequenza di economie-mondo che a partire da Venezia sono state centrate sull'Occidente e, al suo interno, la sequenza dei cicli sistemici dominati dal mondo anglosassone. Da qui il carattere fortemente ideologizzato dello scontro che va oltre le ovvie manovre di propaganda e disinformazione. Oltre ad avere arruolato militarmente gli eredi più puri del nazismo hitleriano, l'Occidente collettivo ha infatti dovuto riesumare anche l'armamentario lessicale del fascismo. Gli alti funzionari della UE ormai parlano della Russia in termini di “Paese non civilizzato” e dei Russi come “solo apparentemente europei”, così come al momento del lancio dell'Operazione Barbarossa si parlava di “barbarie dei territori orientali” e di popolazione “semiasiatica”. In definitiva, una professione di fede razzista da parte di chi per il resto della giornata parla di “inclusione” e “democrazia”.
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Rigassificatore, a Piombino si gioca il futuro energetico dell’Italia
di Verdiana Siddi e Massimo Cascone
C’era una volta una terra baciata da tramonti struggenti e accarezzata dalla schiuma che diede luce alla dea Venere, e sette son le perle che dal suo collo andarono in dono al mare davanti a Piombino.
In cerca del brivido degli affari se ne andava in giro un certo Roberto Cingolani, da docente a direttore scientifico per importanti istituti, poi per grandi multinazionali, fino a diventare direttore non esecutivo nel consiglio di amministrazione della Ferrari, ma fu da ministro che egli si occupò di enormi rigassificatori di gas liquido statunitense, il più osceno di tutti lo volle in dono al mare davanti a Piombino.
***
Sono passati solo pochi mesi da quel fatidico 7 aprile, quando Mr. Draghi pronunciò in conferenza stampa l’altrettanto fatidica frase:
Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Di fronte a queste due cose, cosa preferiamo: la pace oppure star tranquilli con l’aria condizionata accesa tutta l’estate?
Da allora molte cose sono cambiate – per non dire peggiorate: la guerra non è stata affatto fermata dalle famose sanzioni che “avrebbero dovuto mettere in ginocchio l’economia russa” (semi-cit.), ma anzi continua a essere alimentata dall’invio di armi; l’inflazione, o meglio la speculazione, ha portato i costi delle materie prime alle stelle; i più recenti avvenimenti (1) hanno messo in serio pericolo la nostra fonte sicura di metano, quella russa, il cui impianto è ancora funzionante ma con un flusso drasticamente ridotto a causa delle sanzioni e, Austria a parte, adesso non si tratta più di accendere l’aria condizionata d’estate ma piuttosto di non morire di freddo d’inverno.
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La guerra come automatismo di de-globalizzazione
di Franco Berardi Bifo
Il nazionalismo come forma generale della de-globalizzazione
In un libro del 1946 Die Schuldfrage, Karl Jaspers, uno degli ispiratori del movimento esistenzialista, disse che dovremmo distinguere tra il nazismo come evento storico e il nazismo come corrente profonda della cultura europea, che può riemergere.
Le dinamiche sociali e culturali che hanno dato origine al nazismo nel secolo passato hanno qualcosa di simile alle dinamiche sociali contemporanee, ma il contesto storico, psichico, e soprattutto tecnico è molto differente.
Jaspers scrive in quel testo che la caratteristica per eccellenza del nazismo è il tecno-totalitarismo e sostiene che una piena manifestazione della natura del nazismo potrebbe riapparire in futuro.
Ci si può chiedere se quel futuro sia adesso, e la mia risposta è che le condizioni di una riproposizione su scala enormemente allargata del nazismo stanno emergendo dalla proliferazione di movimenti identitari, neo-reazionari, e nazionalisti che prendono forme diverse e anche tra loro conflittuali come nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, in cui due modelli ugualmente nazionalisti si scontrano militarmente.
Anche Timothy Snyder il quale, in Black Earth: The Holocaust as History and Warning, osserva che la l’impotenza e il terrore provocato da situazioni di emergenza di massa, come le catastrofi ecologiche o le prolungate crisi economiche sono le condizioni più inclini alla formazione di regimi totalitari.
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La terapia d’urto sull’economia mondiale
di Michael Roberts
“Chiaramente, le banche centrali non conoscono le cause dell’aumento dell’inflazione. Come ha affermato il presidente della Fed Jay Powell: “Capiamo meglio ora quanto poco sappiamo dell’inflazione”. Ma è anche un approccio ideologico dei banchieri centrali. Tutti i discorsi da parte loro sono la paura di una spirale salari-prezzi. Quindi la loro argomentazione sostiene che, poiché i lavoratori cercano di compensare l’aumento dei prezzi negoziando salari più elevati, ciò alimenterà ulteriori aumenti dei prezzi e di conseguenza le aspettative di inflazione.”
La terapia d’urto era il termine usato per descrivere il drastico passaggio da un’economia pianificata di proprietà pubblica nell’Unione Sovietica nel 1990 a un modo di produzione capitalista in piena regola. È stato un disastro per il tenore di vita per un decennio. La dottrina dello shock era il termine usato da Naomi Klein per descrivere la distruzione dei servizi pubblici e dello stato sociale da parte dei governi a partire dagli anni ’80. Ora le principali banche centrali stanno applicando la propria “terapia d’urto” all’economia mondiale, intente a far salire i tassi di interesse per controllare l’inflazione, nonostante la crescente evidenza che ciò porterà a una recessione globale il prossimo anno.
Questo è quello che dicono. Il membro del consiglio della Federal Reserve Chris Waller chiarisce che “non sto considerando di rallentare o fermare gli aumenti dei tassi a causa di problemi di stabilità finanziaria”. Quindi, anche se l’aumento dei tassi di interesse cominciasse a fare buchi nelle istituzioni finanziarie e nelle loro attività speculative, non importa. Allo stesso modo, il capo della Bundesbank Nagel è risoluto, nonostante l’Eurozona e la Germania in particolare stiano già scivolando in recessione: “I tassi di interesse devono continuare a salire – e in modo significativo”. Nagel non vuole solo tassi di interesse più alti; vuole che la BCE riduca il suo bilancio, cioè non solo smetta di acquistare titoli di stato per mantenere bassi i rendimenti obbligazionari, ma in realtà venda obbligazioni, portando a rendimenti in aumento.
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«Un po’ di ansietta, ragazzi?»
Per una lettura politica della condizione giovanile
di Antonio Alia
Stare in pace con sé, oggi, vuol dire entrare in guerra con il mondo».
Mario Tronti, Dello spirito libero.
Un bel mondo di merda, non c’è dubbio. Che la guerra sta portando sull’orlo della crisi di nervi. O viceversa.
Guerra. Crisi. Nervi. Dei primi due abbiamo già parlato. Il mondo di domani e il destino della globalizzazione; i figli della crisi e la scuola di oggi. Era giunta l’ora di parlare di nervi. Ansia, angoscia, sofferenza mentale. Un vissuto sempre più diffuso, quasi pandemico. Che sembra attanagliare soprattutto i giovani. O che essi – grazie alla loro età, unita a una maggiore consapevolezza e a una meno pressante assuefazione – riescono a far emergere in modo più radicale. Perché loro necessità, bisogno. Chi ci ha raggiunti, nonostante la stanchezza, le pressioni e l’ansia di un quotidiano senza tregua già a sedici anni, lo ha fatto non a caso, evidentemente.
Abbiamo voluto provare a costruire un punto di vista di parte. Il metodo che sempre ci muove: mettere in prospettiva, produrre discorso politico, stimolare formule organizzative. Ma prima di tutto, inchiestare. Individuare le domande, saper ascoltare. Tentare di trovare le risposte nel processo. Ci interessava una lettura politica dell’ansia, legata alle trasformazioni produttive, all’individualizzazione del disagio, alle nuove logiche del comando. Andare dallo psicologo va benissimo, ma non può essere una soluzione per problemi politici. Denunciare la catastrofe siamo capaci tutti, il difficile è capire con chi dobbiamo prendercela. Invece di diventare specialisti del malessere, rendere un’arma il punto di vista – lo sguardo parziale di chi, come militante politico, può rovesciare il proprio destino.
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Big clash
di Enrico Tomaselli
Anche se siamo ormai assuefatti ad un ritmo informativo incalzante, che ci porta ad una percezione accelerata degli avvenimenti, e che al tempo stesso induce un parallelo bisogno di velocità – per cui abbiamo fretta di consumare le notizie, così da poter passare ad altre – la guerra non è una faccenda rapida. Anche se il nostro immaginario ci fa pensare che lo sia, nella gran parte dei casi è invece una questione di lunga durata. Quando poi parliamo di conflitti geopolitici, possiamo star certi che la guerra guerreggiata è sempre preceduta da un lungo periodo di accumulo ed è seguita da un non meno breve periodo di assestamento.
Wolfowitz e Brzeziński
La caduta del muro di Berlino, la dissoluzione del Patto di Varsavia e poi il collasso dell’URSS sicuramente indussero gli Stati Uniti a credere che si stesse aprendo un secolo di assoluto dominio globale per il capitalismo liberista incarnato negli states. L’apertura della successiva stagione della globalizzazione nasce da questa certezza di presupposta supremazia. Ma, al tempo stesso, nelle segrete stanze del deep state non si abbassava la guardia: già nel 1992, l’allora sottosegretario alla Difesa di George W. Bush, Paul Wolfowitz ebbe cura di pubblicare la Defence Policy Guidance (1), che divenne poi la base su cui si costruiranno le strategie imperiali di lungo periodo. Nella sua analisi sullo stato delle cose, Wolfowitz mette subito in chiaro che “la nostra politica deve ora concentrarsi nuovamente sull’impedire l’emergere di qualsiasi potenziale futuro concorrente globale”. Non appena archiviato il loro unico competitor, l’Unione Sovietica, già si preoccupavano di impedire l’emergerne di nuovi. E, nello stesso documento, Wolfowitz non mancava di sottolineare che “la Russia rimarrà la potenza militare più forte in Eurasia”.
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Come finirà la guerra in Ucraina?
di Visconte Grisi
Quando si cerca di riflettere sull’evoluzione che potrà avere la guerra in Ucraina una domanda sorge spontanea: la guerra e le distruzioni in Ucraina possono costituire i prodromi di una terza guerra mondiale? Certamente, anche se da diversi anni ormai si sente parlare di “terza guerra mondiale a pezzi”, di “guerra per procura” ecc., questa volta il ricorso a una terza guerra mondiale per risolvere la crisi è reso molto problematico dall’entità delle distruzioni che un tale evento comporterebbe.
Inoltre attualmente nessuna delle potenze in gioco sembra in grado di produrre questo immane sforzo: non gli Stati Uniti che rimangono comunque i più forti sul piano militare ma deboli sul piano industriale dopo decenni di delocalizzazioni, la cui egemonia mondiale si fonda ormai solo sul capitale finanziario; non l’Unione Europea, debole sul piano militare e in preda alle solite divisioni, con una industria tecnologicamente avanzata che ha bisogno dei mercati mondiali di gamma medio/alta; non la Russia che accoppia alla potenza militare ereditata dall’URSS una economia basata quasi esclusivamente sull’esportazione delle materie prime; non la Cina ancora indietro sul piano militare e tesa ad espandersi sul piano commerciale lungo le varie “vie della seta” e con problemi di sviluppo interno ancora non risolti.
L’andamento della guerra, dopo il primo azzardo di Putin in Ucraina, sembra confermare questa ipotesi con gli Stati Uniti aggressivi a parole ma cauti nei fatti, la Cina che attende sorniona l’evolversi degli avvenimenti e l’Unione Europea con smanie interventiste che servono per giustificare una politica di riarmo.
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Introduzione a "Karl Marx's Ecosocialism"
di Kohei Saito
Kohei Saito: Karl Marx’s Ecosocialism. Capital, Nature, and the Unfinished Critique of Political Economy, Monthly Review Press, 2017
Per molto tempo, l'espressione “ecologia di Marx” è stata considerata un ossimoro. Non solo i critici di Marx, ma anche molti autoproclamatisi marxisti ritenevano che Marx presupponesse come legge naturale della storia uno sviluppo economico e tecnologico illimitato e propagandasse l’assoluto dominio della natura, aspetti che contrastano entrambi con qualsiasi seria considerazione teorica e pratica di questioni ecologiche come la scarsità delle risorse naturali e il sovraccarico ai danni delle ecosfere. A partire dagli anni '70, quando le gravi minacce ambientali alla civiltà umana sono diventate gradualmente, ma indiscutibilmente, più evidenti nelle società occidentali, Marx è stato ripetutamente criticato in recenti studi sull’ambiente come anche da parte dell'emergente movimento ambientalista per la sua ingenua accettazione della comune concezione ottocentesca che sosteneva il completo dominio umano sulla natura. Secondo i critici, tale convinzione inevitabilmente lo ha portato a trascurare il carattere distruttivo immanente all'industria moderna e alla tecnologia che caratterizza la produzione e il consumo di massa. In questo senso, John Passmore si è spinto fino ad affermare che «niente potrebbe essere più dannoso dal punto di vista ecologico della dottrina hegeliano-marxiana». [1]
Negli anni successivi, la critica contro il “prometeismo” o iperindustrialismo di Marx, in base al quale lo sviluppo tecnologico illimitato del capitalismo avrebbe permesso all'uomo di manipolare arbitrariamente la natura esterna, è diventato uno stereotipo popolare. [2] Di conseguenza, non era raro sentire riproporre lo stesso tipo di critica, secondo cui la teoria di Marx, specialmente nei suoi aspetti ecologici, era fatalmente errata dalla prospettiva odierna.
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Neoliberismo e anarcocapitalismo
di Antonio Minaldi
Il valore e i prezzi, una disputa tra classici e neo classici. Dall'homo oeconomicus all'homo naturalis. Le aporie del sistema e le soluzioni immaginate (ed immaginarie)
Il tema della libertà è l’orgoglio e la croce dell’Occidente. Ideale motore propulsivo di rivoluzioni e grandi conquiste popolari lungo una storia ormai ultrasecolare, ma anche madre di tutti gli inganni imperiali e imperialisti del capitalismo ultraliberista che in nome suo, e di sua sorella la democrazia, non si fa problema di portare rapina, guerra e distruzione in giro per il mondo. Questo ingannevole e improprio sposalizio tra libertà e capitalismo trova oggi una sua, poco nota ma fortemente significativa manifestazione nelle ideologie libertarian statunitensi e specificatamente nell’anarco capitalismo. Un movimento composito e complesso, che al di là di differenze e diatribe interne, si costituisce, nella generalità delle sue manifestazioni, intorno alla centralità che assume, per i suoi teorici, l’idea della assoluta libertà che gli individui godono (o dovrebbero godere) nel mercato, e che, come sappiamo, viene presupposta come portatrice di benessere e progresso, grazie alle capacità auto regolative dello stesso mercato, secondo la famosa ipotesi della “mano invisibile” di Smith.
Ebbene secondo libertariani e anarco capitalisti, questo miracoloso percorso capace di produrre il bene comune partendo dall’individualismo egoistico, non deve essere relegato al solo scambio mercantile, ma deve essere posto alla base di qualunque tipo di relazione umana e sociale. La conseguenza sarà l’estinguersi dello Stato e di qualunque forma di potere pubblico, in una società che si autoregola attraverso la proprietà privata di ogni tipo di bene immaginabile, e dunque sul libero gioco competitivo di cittadini portatori di interessi proprietari, personali e particolari.
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Ucraina: la guerra di Putin, la guerra di Biden
di Ernesto Screpanti*
La guerra d’Ucraina può essere spiegata a tre livelli di profondità. È una guerra d’aggressione all’Ucraina da parte della Russia, una guerra inter-imperiale per interposta nazione tra NATO e Russia, una guerra degli USA contro la Germaneu, l’Europa a trazione tedesca. Tutte e tre le spiegazioni sono valide. Qui mi concentro sulla terza. Preliminarmente però devo fornire due chiarimenti teorici.
Il primo riguarda la definizione di “sistema imperiale”. Un mondo dominato dagli imperi non è un caotico complesso di contrasti inter-imperiali. Normalmente funziona come un sistema abbastanza ordinato di relazioni internazionali, cosa che è resa possibile dal fatto che è regolato da una struttura di potere al vertice della quale c’è una potenza egemone.
Questa potenza assolve quattro funzioni fondamentali di governance globale, ponendosi come motore dell’accumulazione, banchiere, sceriffo e avanguardia culturale (Screpanti, 2014). Funziona come motore dell’accumulazione in quanto ha un grosso apparato industriale, un grosso Pil e un’elevata propensione alle importazioni, cosicché la sua crescita produttiva traina la crescita degli altri paesi. Se mantiene un consistente deficit commerciale e/o un consistente deficit del conto finanziario esporta moneta.
In tal modo fornisce al resto del mondo uno strumento di riserva e di pagamento internazionale, e questa è la funzione di banchiere globale. Inoltre, l’impero egemone può essere uno sceriffo globale in quanto possiede le più potenti forze armate del mondo, così da poter disciplinare i paesi canaglia, cioè quelli che non rispettano le regole del gioco.
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Un Nobel oltrecanone
di Jessy Simonini
Nella scrittura sovversiva di Annie Ernaux soggetto politico è prima di tutto il corpo nella sua vita materiale, nella densità e intensità dei suoi momenti d'essere
Oltre un anno fa, nello scrivere un lungo testo in occasione dell’uscita in Italia de La donna gelata, mi interrogavo su come la scrittura di Annie Ernaux ci imponesse di ripensare in profondità il rapporto fra politica e letteratura, generando uno spazio altro in cui il libro diventa «strumento di lotta» (Gli anni) e, allo stesso tempo, «ultima risorsa» di fronte al tradimento, in particolare quello del «transfuga di classe» che deve fare i conti con il proprio irreparabile mutamento (ne Il posto, citando una frase di Genet: «Azzardo una spiegazione: scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito»). E giungevo a una strana conclusione, riprendendo un’idea di Anna Maria Ortese, quella della letteratura come reato, «reato di nitida e feroce opposizione al potere e ai suoi rappresentanti, alla società nella sua attuale configurazione, alla dominazione maschile e del capitale, al classismo costitutivo del pacifico mondo occidentale». Mi sembrava che quel «reato» simbolico racchiudesse il cuore di un progetto in cui vita e scrittura diventano la stessa cosa, fino a non essere più distinguibili.
Il 6 ottobre, Annie Ernaux ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Sui giornali e sulle riviste si sono susseguite moltissime riflessioni (talora acute, talora molto meno) che hanno messo in luce il rapporto di Ernaux col femminismo (anche in seguito all’uscita del film tratto da L’evento) e i grandi temi che attraversano la sua scrittura: la memoria (nella sua dimensione concreta, materiale), i legami familiari da intendersi in una prospettiva transclasse, la sessualità, la maternità, il rapporto fra letteratura e analisi sociologica. Si sono citati i libri considerati come suoi «capolavori», fra cui Il posto e Gli anni.
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La natura come categoria sociale e la società come categoria naturale
Note su Marx e Darwin
di Francesco Bugli
Questo testo tiene al centro il problema del rapporto tra Charles Darwin e Karl Marx in relazione alla tecnologia e al rapporto tra l’elaborazione delle categorie di natura, storia e società. Prenderemo in considerazione la valutazione Marxiana della tecnologia e il ponte da lui tracciato con il darwinismo, analizzando alcune lettere del carteggio con Friedrich Engels. Considereremo le differenze tra Darwin e Marx nella valutazione della continuità e discontinuità tra natura e società, per meglio comprendere la dialettica tra queste due sfere, di fronte alle sfide che il presente ci pone con la crisi ecologica. Elemento centrale sarà la valutazione, nei due pensatori, della tecnologia sociale e “naturale”.
1. Marx e Darwin: tecnologia naturale e organi sociali
Per Marx il mezzo di lavoro è ciò che il lavoratore inserisce tra sé e l’oggetto di lavoro, nel suo processo lavorativo. Questo mezzo di lavoro, che è un elemento naturale mediato dal lavoro umano, diviene «organo della sua attività, un organo che egli aggiunge ai propri organi fisiologici allungando, a dispetto della Bibbia, la sua statura naturale»[1]. Dai primi strumenti tecnologici, cioè i primi mezzi di lavoro, l’uomo scopre i differenti valori d’uso delle cose nel corso della storia. L’elaborazione sempre più complessa del dato naturale porta a sempre nuove scoperte e al perfezionamento di questo organo artificiale che per Marx è lo strumento tecnologico[2]. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx aveva già parlato della natura come «corpo inorganico dell’uomo cioè la natura in quanto non è essa stessa corpo umano […]; la natura è il suo corpo, con cui deve stare in un rapporto costante per non morire»[3].
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Da Hegel a Nietzsche: la complessa relazione di Domenico Losurdo con il liberalismo
di Igor Shoikhedbrod (Dalhousie University, Canada)
1. I criteri di riferimento per lo studio del rapporto di Losurdo con il liberalismo
Prima di iniziare la mia indagine del rapporto di Losurdo con il liberalismo è il caso di fissare i criteri di base che la guideranno. Ogni tentativo di esaminare questa complessa relazione deve infatti confrontarsi fin da subito con una sfida: dove vanno tracciati i confini interpretativi? Questa sfida è resa più difficile dal fatto che Losurdo è stato uno storico delle idee assai prolifico, che nell’esteso ambito di riferimento dei suoi studi si è occupato di un ampio numero di autori e temi del pensiero politico, dall’illuminismo ai nostri giorni. In questo breve saggio mi concenterò su tre (o meglio, quattro) figure fondamentali della storia della filosofia che sono state oggetto delle sue ricerche: G.W.F. Hegel, Karl Marx (e, ove si dia il caso, Friedrich Engels), e Friedrich Nietzsche. Tutti pensatori che hanno contribuito sotto molti rilevanti aspetti a formare l’eredità della filosofia classica tedesca.
Non sono certo il primo a ripercorrere il movimento che da Hegel conduce a Nietzsche; Karl Löwith ha scritto su questo argomento un libro che è ancora un punto di riferimento1. Tuttavia, credo di essere il primo ad analizzare il movimento che da Hegel porta fino a Nietzsche in relazione all’opera di Losurdo e al suo rapporto con il liberalismo. Sicuramente, inoltre, il fatto che io includa Nietzsche tra i filosofi che hanno contribuito alla tradizione della filosofia classica tedesca susciterà la perplessità di alcuni lettori. Dopotutto, il pensiero di Nietzsche, con la sua guerra contro i grandi costruttori di sistemi filosofici, è spesso considerato come l’archetipo della decostruzione. Ciononostante, non è il caso di misurare il contributo di un autore a una particolare tradizione di pensiero sulla base di quanto quello stesso autore ritenga di essersi occupato di essa. Se così fosse, né Hegel, né Marx (né Engels) potrebbero essere descritti come rappresentanti, e al contempo eredi, di questa medesima tradizione.
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De-dollarizzazione e petroyuan: il post Bretton Woods ha avuto inizio?
di Fabrizio Verde
Il mondo si appresta ad entrare nella fase eurasiatica. L’egemonia unipolare statunitense è ormai prossima a diventare uno sbiadito ricordo, erosa dal progressivo crollo del regno del dollaro. Un nuovo mondo multipolare è in costruzione. La situazione mondiale è radicalmente differente rispetto al post 1945 o 1990: secondo una proiezione della Standard Chartered Bank di Londra, i paesi eurasiatici, paesi latinoamericani e africani come il Brasile e l’Egitto, situati alle ali dell’Eurasia, saranno ai vertici dell’economia mondiale.
Il cosiddetto mondo occidentale è entrato in una fase di declino irreversibile. Per questo in Ucraina ha provocato una guerra per procura contro la Russia utilizzando la manovalanza neonazista fornita dal regime di Kiev coadiuvata dalla NATO. Però la vera battaglia è un’altra: gli Stati Uniti proveranno in ogni modo ad arrestare il processo di de-dollarizazione dell’economia mondiale che rappresenterebbe la fine definitiva del dominio di Washington.
La tendenza alla de-dollarizzazione
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti promossero l'istituzione del sistema di Bretton Woods, il cui fulcro era il dollaro come mezzo di valutazione, scambio e conservazione del valore. Nei decenni tra gli anni '70 e la crisi finanziaria del 2008, il sistema di Bretton Woods ha subito cambiamenti, il legame fisso tra il dollaro USA e l'oro è stato annullato e i tassi di cambio delle valute nazionali sono entrati nel sistema nominalmente libero, tuttavia il Il dollaro USA, come fondamento del sistema monetario internazionale, non ha vacillato.
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La società piatta
di Vincenzo Scalia
L'ultimo stadio dell'ideologia della sicurezza è la delazione di massa: gli individui competono tra di loro in un conflitto orizzontale per guadagnarsi lo status di vittime e chiedere protezione
Negli ultimi trent’anni, la questione della sicurezza, ha colonizzato l’agenda pubblica italiana, fino a culminare nella vittoria, nelle due ultime tornate elettorali, di forze politiche e schieramenti che fanno di legge e ordine la loro bandiera. In realtà, dietro il securitarismo, allignano questioni molto più complesse delle manette facili, che portano a interrogarsi sui fondamenti e sulla solidità degli assetti sociali e politici attuali. L’ultimo lavoro di Tamar Pitch, Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva (Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2022), costituisce un valido strumento attorno al quale articolare una riflessione demistificatoria delle tematiche della sicurezza.
Sin dalla metà degli anni Ottanta, assistiamo allo slittamento di significato del termine sicurezza che, dall’indicare una condizione sociale, passa a essere focalizzato sull’incolumità individuale, compiendo la traslazione che Alessandro Baratta definiva «dalla sicurezza dei diritti al diritto alla sicurezza» (Alessandro Baratta in Anastasia, S., Palma, M., La bilancia e la misura, Franco Angeli, Milano, 2001): l’Italia assimila con un decennio di ritardo questo cambiamento, che in Gran Bretagna, sin dai primi anni del governo di Margaret Thatcher, ha avviato progetti di prevenzione situazionale, ovvero mirati a rendere asettico l’ambiente esterno attraverso illuminazione pubblica e arredi urbani contro le «classi pericolose». In Francia, il governo socialista, ha promosso progetti ad ampio raggio di ristrutturazione urbana delle banlieues, senza tenere conto della questione sociale. Oltreoceano, il processo di securitarizzazione, è stato molto più marcato: da un lato, attorno alla privatizzazione della sicurezza, si è gradualmente sviluppato un mercato di polizie private e gated cities, ovvero le città fortezza dove i condomini votano addirittura se consentire alla madre di uno dei residenti di entrare nel complesso residenziale .
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Da Lenin a Putin…
di Michele Castaldo
Premetto che ho riflettuto a lungo se pubblicare una nuova nota dopo aver scritto più di un articolo sulla guerra in corso in Ucraina. Ho sperato che in certi ambiti della cosiddetta ultrasinistra ci potesse essere un certo rinsavimento che lo scorrere dei fatti avrebbe consentito. Devo purtroppo prendere atto che certe chine iniziali si sono ulteriormente incancrenite.
Ci si potrebbe domandare: a che pro questo insistere su posizioni di gruppi politici ultra minoritari che rappresentano poco più che se stessi? La mia risposta è netta: viviamo una fase molto complicata della storia dove tra l’altro è apertamente tangibile la crisi di una teoria rivoluzionaria, proprio mentre sta arrivando al capolinea quella potenza dominatrice costituita dall’Occidente liberista. Insomma i nodi vengono al pettine e non è più possibile nascondersi e fare il pesce in barile. A maggior ragione se tutti i difensori del liberismo occidentalista scendono in campo in difesa dei valori a cui è giunta la loro storia fatta di rapina.
Propongo un modello diverso di organizzazione sociale? No, perché come ho più volte scritto la storia del modo di produzione capitalistico non è un modello definito a tavolino una volta per tutte, ma è un movimento fondato sullo scambio e sull’individualismo che ha sviluppato oltre misura tutti i rapporti di concorrenza fra i mezzi di produzione e le merci e per questa ragione è arrivato al capolinea, cioè in una crisi irreversibile. Chi pertanto oppone un nuovo modello di rapporti sociali non ha inteso bene che essi potranno scaturire solo dall’implosione per fine vita del capitalismo.
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Marx capovolto
Il metodo scientifico nel capitale di Marx
di Lorenzo Procopio
Recensione al libro di Massimo Mugnai “Il mondo capovolto"
Lo scorso anno è stato pubblicato per le Edizioni della Normale un agile e interessante libro del filosofo Massimo Mugnai dall’accattivante titolo “Il mondo capovolto. Il metodo scientifico nel capitale di Marx”. A fronte delle sue ridotte dimensioni è un libro molto denso e ricco di spunti di riflessioni che riprende e sviluppa temi già affrontati dall’autore in una vecchia pubblicazione edita dalla casa editrice Il Mulino nel lontano1984 dal titolo “Il mondo rovesciato. Contraddizione e valore in Marx”.
In questo nostro mondo “capovolto”, immerso nella più grave crisi epocale del sistema capitalistico, aggravata dal persistere della pandemia da Covid 19, che generalizza su miliardi di individui condizioni di vita miserevoli, guerre e disastri ambientali, il libro di Mugnai non ha suscitato particolare interesse neanche tra gli addetti ai lavori. A rompere la quasi indifferenza solo una brevissima e neanche molto generosa recensione di Sebastiano Maffettone pubblicata da Il Sole 24 ore lo scorso mese di ottobre 2021. Chiariamo subito che il nostro interesse per il libro di Mugnai non è determinato da una condivisione di quanto sostenuto dal filosofo fiorentino, lontano anni luce dal pensiero di Marx e che in alcuni passaggi del libro, come avremo modo di vedere, vengono attribuite a Marx tesi che non trovano riscontro nelle sue stesse opere distorcendo di conseguenza il suo pensiero. Ci spingono ad occuparci dell’opera di Mugnai l’importanza degli argomenti trattati, convinti che attraverso una loro disamina si possa contribuire a cogliere, anche in quest’epoca in cui predominano le forme di appropriazione parassitarie più raffinate ed in cui la produzione di capitale fittizio si accompagna al parallelo processo d’impoverimento di miliardi di esseri umani, la validità della critica dell’economia politica di Marx.
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Breve introduzione alla lettura di Bruno Latour
di Nicola Manghi
Bruno Latour (1947) è autore impossibile da assegnare stabilmente a un’appartenenza disciplinare. Sociologo, antropologo, filosofo, egli è oggi in prima linea nei dibattiti di ecologia politica: la portata teoretica ed euristica della sua opera va ricercata – questa l’ipotesi che ci ha guidati nel condurre l’intervista che segue – proprio nella sua indisciplinatezza. Tale indisciplinatezza non è, si badi, da confondersi con una mancanza di pertinenza dei suoi contributi; piuttosto, essa segnala la loro pertinenza simultanea per una serie di campi di studio abitualmente distinti.
La feconda intuizione che soggiace a tutta l’opera di Latour, saldamente ancorata a una serie di studi empirici (Latour, Woolgar, 1979; Latour, 1984; Latour, 1992), può essere riassunta così: l’immagine che si ha della scienza differisce radicalmente a seconda che la si osservi «in azione», nel suo farsi, oppure nel momento in cui essa si presenta «pronta per l’uso», ovvero come una «scatola nera» che può essere utilizzata senza che se ne conoscano storia o contenuto (Latour, 1987). Gli scienziati tendono a presentare ex post il proprio lavoro come un percorso lineare di scoperta della natura; a osservarli in laboratorio, tuttavia, li si trova alle prese con i numerosissimi passaggi di traduzione necessari per trasformare un evento sperimentale nel tassello di una conoscenza cumulabile.
Da qui la necessità di studiare le scienze etnograficamente, secondo modalità in tutto e per tutto analoghe a quelle impiegate dagli antropologi che si recano presso popolazioni lontane, interessandosi a particolari cui la sociologia classica non aveva ritenuto di attribuire importanza alcuna: «le fonti di finanziamento, il background dei partecipanti, i pattern di citazioni nella letteratura rilevante, la natura e l’origine della strumentazione, e così via» (Latour, Woolgar, 1986, 278).
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Unione europea: l’ottobre imperialista
di Fosco Giannini
Dalla rimozione del piano Musk per la pace al decreto Zelensky per la continuazione della guerra; dalla Risoluzione Ue per le armi all'Ucraina al "portafolio digitale": un itinerario per il rafforzamento del polo imperialista europeo
L’informazione generale verso i popoli dell’Unione europea, verso i 450 milioni circa di cittadini e lavoratori dei 27 Paesi dell’Ue appare, oggi più che mai, oscura e incodificabile. Ma, appunto, appare, poiché in verità l’oscurità e l’incodificabilità, già ai primi tentativi di lettura razionale degli eventi, ai primi tentativi di metterli in relazione tra loro, si mostrano per ciò che sono: strumenti prescelti dalla “voce” dell’asse angloamericano ed europeo per la costruzione e l’imposizione del verbo imperialista, per la “verità” costruita in laboratorio, per un pensiero di massa che sempre più vuol essere ridotto a “batterio sintetico”.
La “vox” unica imperialista – ben più temibile, per i suoi sterminati “eserciti”, della pur orrenda Vox spagnola di Santiago Abascal, per la quale Giorgia Meloni lavora – manipola i fatti come un giocatore delle “tre campanelle”: li racconta e ce li porge o enfatizzandone i dettagli a sé favorevoli o rimuovendone quelli a sé sfavorevoli, confondendo, inoltre, la loro stessa sequenza, la loro conseguenzialità, in modo che il “batterio sintetico” del pensiero omologato non possa mai stabilire i nessi tra un fatto e l’altro. Il gioco delle “tre campanelle” è considerato dal diritto italiano una truffa e chi lo pratica un’associazione a delinquere. Nella differenza di verdetto giuridico tra una truffa perpetrata sui tavolini di una sagra del tartufo e l’orrore della costruzione scientifica di un senso comune di massa accecato sin dalla nascita, vi è tutta la verità sulla potenza del capitale.
Alla luce di questa premessa proviamo a “rileggere” i fatti accaduti in questa prima porzione di ottobre, fatti sui quali la “vox” imperialista, il fronte unico angloamericano ed europeo hanno lavorato al fine di epurare da essi elementi di pericolo per l’Impero e al fine di svuotarli di nessi e conseguenzialità. Dunque, di senso.
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L’onnipotenza, la crescita e i processi di liberazione
di Paolo Cacciari
Le devastazioni ambientali, il surriscaldamento dell’atmosfera e le guerre mostrano in modo sempre più evidente quanto l’agente distruttivo della vita sul pianeta siamo noi, a cominciare da chi alimenta la competizione economica. La soluzione, dicono alcuni, è la tecnologia. Non c’è alcun dominio della crescita infinita a orientare lo sviluppo tecnologico. Che fare? Il primo passo è aumentare la consapevolezza del baratro dentro cui siamo precipitati. Le giovani generazioni ci stanno insegnando molto. Le donne ancora di più. Ma non basta sapere. Per avere la forza di reagire bisogna anche sentire dentro di sé le sofferenze del mondo. «Per attivarci dovremmo coinvolgere la dimensione spirituale dell’essere – scrive Paolo Cacciari nell’introduzione del libro Re Mida (La Vela, 2022), di cui pubblichiamo ampi stralci – Non sto proponendo nessuna “pappetta new age”, come ci rimprovera Mario Tronti, ma al contrario l’avvio di un processo di liberazione dai condizionamenti eteronomi, dalla sottomissione alle logiche tecnocratiche falsamente neutrali, dalla delega ai poteri costituiti. Un vero conflitto, insomma, con i poteri costituti e una lotta con noi stessi per decolonizzare le nostre menti dall’immaginario produttivista e consumista. L’idea è quella della costruzione di una società della post-crescita come progetto di autogoverno comunitario…»
* * * *
I salti di specie di virus e batteri (spillover), le zoonosi unite alle malattie determinate dagli inquinamenti, dalla cattiva alimentazione e da pratiche mediche errate (iatrogenesi) provocano una “sindemia”, una interrelazione sinergica tra più malattie e cattive condizioni di vita.
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Draghistan: dalla coscienza di classe al letargo della consapevolezza
di Luca Busca
Per avere un’informazione completa bisogna anche leggere e ascoltare i media mainstream. Per questa ragione mi sottopongo quotidianamente allo stillicidio di leggere Repubblica e altri improbabili quotidiani, oltre a un paio di settimanali. La sera poi mi tocca il supplizio alternato del TG1, con i suoi servizi melensi da libro Cuore, o del veleno inoculato dal Mamba Mentana sulla 7. Negli ultimi giorni, su tutti questi media, imperversa il pianto del coccodrillo piddino. Mi ha particolarmente colpito la relazione del segretario Letta che “non ha risparmiato dure critiche al partito e a se stesso”.
Secondo il “nipote di suo zio” l’errore più grave del PD è stato quello di sacrificarsi per il bene del paese assumendosi le responsabilità dei governi “tecnici” di larghe intese che ormai caratterizzano la politica italiana. Quindi il “chierichetto di De Mita” ha sentenziato, con il plauso di tutta la dirigenza del partito, che “mai più al governo senza aver vinto le elezioni” e “quando il prossimo governo cadrà, chiederemo di andare alle elezioni, basta governi di larghe intese ...”. In poche parole la strategia vincente adottata dalla Meloni. In sostanza, l’ennesimo segretario democristiano che il PD si è regalato, come programma politico propone di copiare il compito in classe dalla compagna di banco!
La pesante autocritica non fa parola degli errori commessi e delle responsabilità che il partito ha avuto e ha ancora nella disastrosa gestione della pandemia; nell’aver condotto il paese in una guerra insulsa che sta massacrando economicamente la popolazione italiana; nella soppressione del diritto al lavoro, per non parlare di quelli civili; nell’appropriazione indebita dei beni comuni; nel massacro della scuola e della sanità pubblica; nella altre varie ed eventuali.
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Eric Hobsbawm. Marxismo, scienza e politica negli studi di uno storico militante
di Alberto Pantaloni
Pubblichiamo un ritratto di Eric Hobsbawm, storico e militante marxista, autore della grande tetralogia di storia generale – L'età della rivoluzione 1789-1848, Il trionfo della borghesia 1848-1875, L'età degli imperi 1875-1914 e Il secolo breve 1914-1991
Il 2 ottobre del 2012 si spegneva a Londra Eric Hobsbawm. A distanza di un decennio, sono ancora diverse le iniziative, editoriali e non solo, che ne ricordano, anche criticamente, la biografia tanto personale quanto intellettuale. Ricordandone solo le più recenti: un altro grande storico inglese, Richard J. Evans ha dato alle stampe nel 2019 una monumentale biografia dal titolo Eric Hobsbawm: A Life in History [1]; nel 2020, la storica Anna Di Qual ha pubblicato in modalità open access il volume Eric J. Hobsbawm tra marxismo britannico e comunismo italiano [2], nel 2021 la London Review of Books ha prodotto un documentario dal titolo Eric Hobsbawm: The Consolations of History, regia di Anthony Wilks, disponibile gratuitamente in rete [3].
L’autore nato ad Alessandria d’Egitto si chiese nella sua biografia del 2002:
«perché una persona come me dovrebbe scrivere un’autobiografia o, più precisamente, perché altri, senza particolari collegamenti con me, o con che potrebbero non aver saputo della mia esistenza prima di aver visto la copertina in libreria, dovrebbero pensare che valga la pena di leggerla» [4].
Parafrasando questa frase, potremmo chiederci se ha senso, dopo 10 anni, ricordare una figura come quella di Hobsbawm e cercare di farla conoscere a una platea più vasta della comunità degli addetti e delle addette ai lavori. Di primo acchito, la risposta sembrerebbe facile: ma come, l’autore de Il secolo breve, uno dei più grandi storici del Novecento! Tuttavia, se si trattasse solo di questo, sarebbe tutto relativamente facile, come si fa in occasione di anniversari che riguardano eventi storici o personalità «importanti», per i quali si preparano bei discorsi agiografici che «santificano» il personaggio.
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Una tabella di marcia per sfuggire alla morsa dell’Occidente
di Pepe Escobar
Il percorso geoeconomico di allontanamento dall'ordine neoliberale è irto di pericoli, ma le ricompense per l'instaurazione di un sistema alternativo sono tanto promettenti quanto urgenti
È impossibile seguire le turbolenze geoeconomiche inerenti alle “doglie del parto” del mondo multipolare senza le intuizioni del professor Michael Hudson dell’Università del Missouri, autore del già seminale Il destino della civiltà.
Nel suo ultimo saggio, [qui tradotto su CDC] il professor Hudson approfondisce le politiche economiche e finanziarie suicide della Germania, il loro effetto sull’euro, già in caduta, e accenna ad alcune possibilità per una rapida integrazione dell’Eurasia e di tutto Sud globale per cercare di spezzare la morsa dell’Egemone.
Ne è nata una serie di scambi di e-mail, in particolare sul ruolo futuro dello yuan, riguardo al quale Hudson ha osservato:
“I Cinesi con cui ho parlato per anni e anni non si aspettavano un indebolimento del dollaro. Non stanno piangendo per il suo aumento, ma sono preoccupati per la fuga di capitali dalla Cina, poiché penso che, dopo il Congresso del Partito [che inizierà il 16 ottobre], ci sarà un giro di vite nei confronti dei fautori del libero mercato di Shanghai.” La pressione per i prossimi cambiamenti si sta accumulando da tempo. Lo spirito di riforma per il controllo del ‘libero mercato’ aveva iniziato a diffondersi già più di dieci anni fa tra gli studenti [cinesi], e molti loro sono saliti in alto nella gerarchia del Partito.”
Sulla questione chiave dell’accettazione da parte della Russia del pagamento dell’energia in rubli, Hudson ha toccato un punto raramente esaminato al di fuori della Russia: “Non vogliono essere pagati solo in rubli. È l’unica cosa di cui la Russia non ha bisogno, perché può semplicemente stamparli. Ha bisogno di rubli solo per bilanciare i pagamenti internazionali e stabilizzare il tasso di cambio, non per farlo salire.”
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Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
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Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
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