- Details
- Hits: 1846
Perché Draghi?
di L'Antieuropeista
La tragica Seconda Repubblica, iniziata con la firma del Trattato di Maastricht, è una spirale, un cerchio che si chiude e si riapre senza soluzione di continuità. Ogni nuovo giro inizia con un governo tecnico, che dovrebbe mondare le colpe dei precedenti esecutivi politici troppo attenti al consenso popolare per implementare con rapidità ed efficacia le necessarie riforme strutturali indicate con solerzia dalle istituzioni europee.
Il governo Ciampi, insediatosi nel 1993, ha lavato i peccati della classe politica primo-repubblicana appena travolta dall’evento mediatico di Tangentopoli; ma si trattava di un governo misto, in cui il Presidente del Consiglio, esterno ai partiti, doveva tenerne in considerazione almeno in parte le necessità. Il governo Dini, in carica dal 1995, ha proseguito il lavoro, configurandosi come il primo governo compiutamente tecnico della Repubblica italiana e trascinando il Paese verso l’ambito appuntamento dell’euro.
È seguito oltre un decennio di alternanza sul modello americano tra le due coalizioni neoliberali di centro-destra e di centro-sinistra, fino a che i nodi dell’Unione Europea, che avevano nel frattempo depresso crescita, occupazione e produttività, sono venuti al pettine accentuando in Europa, e in particolare in Italia, la crisi finanziaria globale del 2008. Dopo due anni di rimbalzo, i “sacrifici necessari” dovuti all’innalzamento automatico del deficit e del debito pubblico hanno condotto a furor di popolo e di stampa al terzo governo tecnico, anche in questo caso puro, vale a dire composto esclusivamente da ministri a-partitici.
- Details
- Hits: 1700
Il governo del banchiere taumaturgo
di Michele Castaldo
Non solo i racconti delle religioni, ma anche la storia laica è ricca di personaggi raccontati in modo mitologico, in genere dopo la loro morte, anzi nella stragrande maggioranza dei casi dopo che da moltissimi anni avevano abbandonato la grigia terra. Nel caso di Mario Draghi, ancora in vita, è già un mito, ovvero l’uomo dei miracoli in economia. E chi se no poteva essere chiamato a governare un paese in crisi? Sicché le speranze superano la fantasia e nel personaggio si ripongono le certezze di uscire dalla crisi e di riprendere il cammino fulgido del capitalismo italiano. Dunque da destra, da centro e da sinistra, tutti concordi nell’applaudire finalmente l’uomo giusto, quello che ci salverà dalla pandemia del Covid-19 con la vaccinazione di massa e ci rilancerà come paese nella nuova fase economica, politica, sociale, culturale e ambientale. Insomma un nuovo mondo di un nuovo benessere. L’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto.
Il tentativo di queste note è quello di cercare di ragionare con freddezza evitando stupidi proclami. Ce n’è già troppi in giro che vi si dedicano.
Partiamo da un primo dato di fatto: il banchiere Mario Draghi è stato chiamato (da Mattarella o dai grandi gruppi dell’economia?) perché, come dice il filosofo Cacciari, la politica ha fallito. Il che è vero, ma siamo alla constatazione del fatto, non alla sua spiegazione. Allora dovremmo cercare di spiegare perché la politica ha fallito. Se in meno di tre anni cadono due strani governi di segno “opposto” vuol dire che c’è qualcosa di grosso che si muove nelle viscere della terra che sobbalza poi in superficie.
- Details
- Hits: 1804
Toyotismo. Qualità totale per chi?
di Fabio Scolari*
Prima di entrare nel vivo delle questioni è utile partire da una breve premessa di ordine storico sullo sviluppo, a seguito del secondo conflitto mondiale, del capitalismo giapponese. Richiamare questo elemento è assolutamente necessario se si vogliono comprendere le caratteristiche essenziali del metodo di organizzazione del lavoro ohnista[1]. Non farlo rischierebbe, infatti, di determinare una rappresentazione mistificata ed edulcorata dei suoi tratti più oppressivi e manipolatori. Quindi, capire i motivi della sconfitta del sindacalismo di classe nipponico è il primo passo per scoprire i segreti che hanno prodotto prima l’ascesa economica internazionale della Toyota e poi dell’intero Giappone.
La sconfitta del sindacalismo di classe
Il Giappone, uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale, dovette affrontare nei decenni successivi una serie di forti ristrutturazioni, sotto l’amministrazione del generale statunitense Mac Arthur, che ebbero come conseguenza la «modernizzazione» forzata ed accelerata delle strutture socio-economiche nazionali.
A questo proposito, Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto indicano l’imposizione di una costituzione redatta nel 1946 da funzionari americani, che trasformò l’autocrazia imperiale in una monarchia costituzionale (solo grazie a questo patto l’imperatore Hirohito poté conservare il trono) ed introdusse un sistema parlamentare, ed una radicale riforma agraria.
- Details
- Hits: 909
Note e commenti ad “Appunti per una discussione sui nostri compiti” di Carlo Formenti
di Alessandro Visalli
Questo breve testo è il commento dell'intervento di Carlo Formenti "Appunti per una discussione sui nostri compiti", pubblicato sul sito di Nuova Direzione.
Il punto cruciale del lungo testo mi pare la definizione del progetto originario che ha dato vita a Nuova Direzione, consigliando peraltro la accelerazione finale, non da tutti condivisa[1], verso la costituzione in soggetto politico a gennaio 2020.
Questo è stato descritto da Carlo in una duplice prospettiva:
1- Nel breve termine, cercare di intercettare una significativa diaspora in uscita dal M5S[2] perché scontenta della formazione del governo “bianco-giallo” Conte II. La possibilità che ciò si verificasse scaturiva direttamente dalla manifesta incapacità di tradurre il “contenitore dell’ira” di grande successo del movimento degli anni 2008-18 in un “contenitore di potere”[3] che fosse in grado di fare la differenza, traducendo il paese fuori delle secche neoliberali nelle quali è da decenni[4],
2- Nel medio termine, fornire un centro di aggregazione politico-culturale e, insieme, il nucleo organizzativo per addensare forze antisistemiche giocabili in senso neo-socialista.
Come sintetizzavo nella mia relazione in assemblea, “Passare tra Scilla e Cariddi”[5], la ristrutturazione del decennio 2008-18 è l’estenuazione delle dinamiche di spoliticizzazione e divaricazione gerarchizzante dell’intero trentennio neoliberale.
- Details
- Hits: 1350
Rosso giornale dentro il movimento
Memorie di un redattore
di Paolo Pozzi
Pubblichiamo la seconda delle quattro tranche di «Rosso» (1974-1975). La prima è disponibile qui. Seguiranno «Rosso dentro il movimento (nuova serie)» e «Rosso per il potere oparaio»
«Rosso» si stampava nell’hinterland milanese, quando ancora c’era la bruma che oggi non c’è più. La galaverna rivestiva di bianco i campi dove sfrecciava la metropolitana. La verde.
Neograf, Cartotecnica, Il Registro: alcuni dei nomi. Magari ci sono ancora. Gli stampatori: tutta gente che pensava alla lira. Cataloghi di bagni e docce, dépliant di fiere e mercati, giornalini dei commercianti locali, qualche rivista pornografica e «Rosso». L’importante erano i danè. Le cambiali non le volevano.
Capitava anche di finire adottati. Uno di questi, con un nome indimenticabile, si chiamava Tresoldi, mi veniva a prendere alla stazione del metrò di Cologno, mi portava a pranzo con lui e alla sera mi riaccompagnava a Milano. Aveva una casa molto grande e nella sala un angolo bar tutto di marmo. A lui devo la conoscenza, ahimè tardiva visto che non ero più un ragazzino, di quel dono degli dei che va sotto il nome di Campari shakerato col gin. Con lui sono entrato per la prima volta in vita mia a San Siro. Mi portava nel pomeriggio a vedere le partire di Coppa Italia del Milan.
«Rosso dentro il movimento» era curato sostanzialmente dal sottoscritto che raccoglieva i contributi degli organismi operai e studenteschi e quelli provenienti dai movimenti femminista e omosessuale. Non esisteva un menabò fisso. Ma non potevano mancare i contributi delle principali realtà dell’autonomia di fabbrica, dei servizi (Alfa, Sit Siemens, Face Standard, Fiat di Cassino, Petrolchimico di Marghera, Policlinico di Roma, ecc.) e dei collettivi studenteschi. Come non potevano mancare le cronache del movimento di autoriduzione che stava dilagando e le pagine sulla repressione che colpiva il movimento. Lo spazio di «Rosso tutto il resto» a ogni numero diventava più grande.
- Details
- Hits: 881
Tra soggetto e oggetto, la classe operaia di Panzieri
di Fabio Ciabatti
Marco Cerotto, Raniero Panzieri e i “Quaderni rossi”. Alle radici del neomarxismo italiano, DeriveApprodi, Roma 2021, pp. 138, € 10,00
L’opera intellettuale e l’attività di organizzatore culturale di Raniero Panzieri (Roma 1921 – Torino 1964) sono il punto di avvio del marxismo italiano che si sviluppa al di fuori delle organizzazioni storiche della classe operaia negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso e in particolare dell’operaismo, grazie soprattutto alla fondazione della rivista “Quaderni Rossi”, pubblicata dal 1961 al 1966. L’operaismo sarà successivamente associato principalmente ad altre figure intellettuali come Mario Tronti e Toni Negri, anche a causa della prematura scomparsa di Panzieri, avvenuta all’età di 43 anni. A cento anni dalla sua nascita vale la pena recuperare il contributo originale del pensatore romano, troppo spesso relegato al ruolo di semplice precursore. A tal fine torna utile il libro scritto da Marco Cerotto, Raniero Panzieri e i “Quaderni Rossi”. Alle origini del neomarxismo italiano, pubblicato da DeriveApprodi.
Dirigente del Partito Socialista, direttore della rivista Mondo operaio, traduttore del secondo libro de Il capitale di Marx, Panzieri si caratterizza da subito per un marxismo non ortodosso, sostenendo l’idea della democrazia diretta e la concezione del partito-strumento. La pubblicazione delle Sette tesi sul controllo operaio, scritte nel 1958 con Lucio Libertini, segna il punto di svolta nella biografia intellettuale di Panzieri e avvia il suo allontanamento dal Partito Socialista. Si trasferisce l’anno successivo a Torino dove lavora fino al 1963 per la casa Editrice Einaudi e dà vita alla rivista cui il suo nome è indissolubilmente associato. La vecchia capitale sabauda rappresenta un osservatorio privilegiato per studiare il cuore del “neocapitalismo” italiano: la grande fabbrica fordista-taylorista e la nuova composizione di classe formata da quello che sarà successivamente definito operaio massa.
- Details
- Hits: 1901
BlackRock, come il capitale finanziario controlla la politica in USA e UE
di Giacomo Marchetti
In calce un articolo di Werner Rügemer da Workers World
Quando guardiamo alla realtà materiale che sta alla base del sistema economico finanziario in Occidente, e la sua sempre maggiore pervasività nella capacità di orientare complessivamente la politica, ci accorgiamo di come la parola democrazia sia un vecchio arnese inservibile per le élites che governano il mondo occidentale.
Inutile, quindi, fare un “test di democraticità” come criterio di interpretazione delle dinamiche politiche del mondo in cui viviamo.
Certo il suo valore evocativo è utile nella costruzione di “narrazioni” da vendere al popolino, soprattutto quando la comunicazione politica costringe a spacciare un ipotetico “nuovo prodotto” da piazzare sul mercato, rappresentandolo nella veste di “migliore soluzione” per una crisi di governance che porta le forme della democrazia ad un impasse.
Questo blocco è in realtà solo l’espressione fenomenica delle convulsioni di una più profonda crisi sistemica. cui le classi davvero “dirigenti” vorrebbero dare un output preciso, diverso dalla loro radicale rimozione da parte dei subalterni ed alla costruzione di un sistema sociale alternativo.
“Hanno fallito, che se ne vadano!”. Od in termini più caustici: “Andiamo a bruciargli la casa!”, come ci ha suggerito la rivolta dei Ciompi a Firenze diversi secoli fa.
Il marketing politico pro-Draghi, come quello pro-Biden per gli Stati Uniti – al netto del disgustoso servilismo del giornalismo nostrano e dell’altrettanto deprecabile opportunismo della classe politica tutta, da Fratelli d’Italia a Leu – nel nostro ridotto nazionale è l’esempio più lampante di questa tendenza ad incensare “la democrazia” proprio quando smette di esistere.
- Details
- Hits: 1811
Mario Draghi, una vita per le élites
di Luigi Pandolfi
E fu così che Mario Draghi arrivò davvero. Una scelta disperata del Capo dello Stato per scongiurare l’abisso ad un paese già pesantemente segnato da crisi economica ed emergenza sanitaria? Solo gli ingenui possono credere ad una narrazione di questo tipo. Più passano le ore, più diventa chiaro che l’operazione Draghi era partita molto tempo prima che Matteo Renzi si incaricasse di accelerarne il compimento. Non è complottismo. L’Italia è entrata nella pandemia con un’economia barcollante sul crinale tra stagnazione e recessione, ma soprattutto con un quadro di finanza pubblica incompatibile con le regole europee. Un quadro che la stessa crisi pandemica ha finito per aggravare ulteriormente, per il concorso di due fattori: il crollo del Pil e l’espansione a debito del bilancio statale. Cosa accadrà quando ritorneranno le regole del fiscal compact? Siamo di fronte a una sospensione momentanea delle stesse o la crisi costituirà un’occasione per superarle? Sono domande che in molti si sono fatti in questi mesi. Di certo, un impegno sul rientro dal debito il Governo Conte l’ha già preso nell’ultimo Documento di Economia e Finanza (Def), ma è nel Recovery fund che si trova una risposta più esaustiva a questi interrogativi. È vero che i soldi, per una buona parte da restituire, sono tanti, ma la loro erogazione avverrà a una precisa condizione: che si facciano le cosiddette “riforme di contesto”, alle quali è legata anche la sostenibilità del debito. E chi pensa che queste riforme servano a ripristinare una serie di diritti sociali cancellati in questi anni è totalmente fuori strada.
- Details
- Hits: 2013
“Cosa farà Draghi?” L’ha già spiegato, basta leggere
di Dante Barontini
In calce l'intervista di Mario Draghi al Financial Times del 25 marzo 2020
Ogni giorno ha la sua pena, anche nel lavoro giornalistico. Quella di oggi è districarsi nel reticolo delle infinite supposizioni su “cosa farà Draghi”. Come avvertiva ieri il nostro giornale, il modo migliore di non capirci nulla è cercare di indovinare seguendo il chiacchiericcio dei talk show, da 30 anni esperti di gossip politico ma a digiuno dei fondamentali. Sia della politica che dell’economia.
I titoli di oggi, sui quotidiani mainstream, rendono bene l’idea. Il Corriere della Sera prova a fare la sua anticipazione, garantendo di avere “fonti” ben addentro al giro di consultazioni (banalmente: le delegazioni entrate ieri e qualche portavoce in vena di “narrazioni”): “Draghi, i cinque punti per il rilancio”.
Quelli di Fiat-Repubblica, che lavorano esattamente nello stesso modo, fa una sintesi numerica diversa: “Draghi, subito tre riforme per rispondere all’Europa”. Si vede che a Molinari sta a cuore ricordare la dipendenza assoluta di questo esecutivo da Bruxelles. Non a torto, del resto…
L’altrettanto Fiat-La Stampa riduce a soltanto due i nodi centrali, “Istruzione e fisco, l’agenda Draghi”.
Il Giornale è sulla stessa linea, con un più sobrio “Il piano di Draghi”. Mentre l’altrettanto destrorso Libero prova a interpretare l’oggi con gli occhiali di ieri, o di “ricondurre l’ignoto al noto”, buttandola sull’orgia politica cui sono abituati gli italici: “Draghi assediato dai postulanti. Vince chi leccherà di più”.
- Details
- Hits: 1900
Draghi e governo della finanza: Non prevarranno!
di Geminello Preterossi
1. E ti amo Mario
Sgombriamo il campo da un equivoco. Il problema non è la “persona” Draghi. Che ha fatto buone scuole, è stato allievo di Caffè, ama l’Opera ed è pure romanista. Qualità che apprezzo. In politica, però, conta ciò che si rappresenta, le visioni di fondo e gli interessi che ci muovono, e i fatti, le scelte che si sono compiute. I “fatti” di Draghi sappiamo quali sono. Mi limito a un breve ripasso, ma non per amor di polemica, bensì perché si tratta di questioni fondamentali, rivelative di un approccio, di una visione appunto, oltre che dei precisi interessi che Mito-Mario ha sempre scelto di garantire, da quando è entrato nel grande gioco del potere. Ci ricordiamo tutti il ricatto antidemocratico alla Grecia di Tsipras, attraverso la chiusura della liquidità da parte della BCE, per indurla ad accettare il Memorandum imposto dalla Troika e punire la pretesa greca di resistervi, in nome peraltro della volontà popolare esplicitamente espressa. Così come la lettera Trichet-Draghi, che intimava al governo Berlusconi di seguire un preciso programma di “riforme” neoliberiste (ben poco compatibile, peraltro, con il nucleo fondativo, sociale e lavorista, della Costituzione del 1948, formalmente ancora vigente). Anche in quel caso, seguì una pressione dall’alto sui titoli di Stato italiani, per far schizzare lo spread e indurre Berlusconi alle dimissioni: fu co-decisa da Draghi. La maggioranza di Berlusconi era in difficoltà, probabilmente sarebbe entrata in crisi lo stesso da lì a breve, ma l’esito naturale di una crisi politica sarebbero state le elezioni.
- Details
- Hits: 1167
Fine del lavoro, Universal Basic Income e teoria del valore-lavoro
di Bollettino Culturale
Tra correnti di pensiero diverse ed eterogenee, l'argomento basato sulla tesi della fine del lavoro è sempre più diffuso e accettato. Una delle tesi più note e generalizzate nel tessuto di questo pensiero è l'idea che l'economia mondiale stia attraversando una fase di automazione generalizzata che a un ritmo accelerato sostituisce il lavoro vivo con le macchine. Da questo punto di vista, il progresso tecnico ha preso una velocità che fa a meno del lavoro come generatore di valore, tanto che i robot avranno una possibilità sempre maggiore di produrre i beni necessari per soddisfare i bisogni umani.
Questo approccio, basato sull'idea della fine del lavoro, prese il largo dagli anni '80 con l'offensiva che il capitale ha portato avanti contro il lavoro durante le fasi iniziali del neoliberismo. Da allora, l'ideologia dominante ha difeso l'eternità del capitalismo attraverso il suo slogan della "fine del lavoro-fine della storia" che non significa altro che denigrare la teoria del valore-lavoro negando lo sfruttamento e negando il lavoro come fonte di valore e plusvalore. Non solo, ma fondamentalmente la negazione della centralità del lavoro da parte degli apologeti del capitale implica negare, come dice Mészáros nella prefazione al libro di Antunes “Il lavoro e i suoi sensi”, “l’effettiva esistenza d’una forza sociale in grado di istituire un’alternativa egemonica all’ordine costituito”.
André Gorz è uno dei massimi esponenti di questa corrente di pensiero e il suo approccio centrale ruota intorno all'idea che il lavoro sia la creazione del capitalismo nella sua fase industriale.
- Details
- Hits: 1264
Appunti per una discussione sui nostri compiti
di Carlo Formenti
Il progetto di Nuova Direzione è nato in un clima economico, politico e sociale caratterizzato dai seguenti fattori fondamentali:
1) il prolungarsi della crisi economica globale iniziata nel 2008, che ha visto un’Italia penalizzata da processi di deindustrializzazione, ataviche debolezze strutturali, tagli alla spesa pubblica e instabilità politica, incapace di recuperare i livelli pre crisi. Fra i maggiori sintomi di sofferenza del sistema Paese: elevati livelli di disoccupazione, con punte da record della disoccupazione giovanile; aumento vertiginoso dei livelli di disuguaglianza; aggravamento dello squilibrio fra regioni del Nord e del Sud; progressivo deterioramento dei servizi pubblici, penalizzati da tagli e privatizzazioni; processi di gentrificazione dei maggiori centri urbani e acuirsi delle contraddizioni con periferie e semiperiferie; difficoltà di gestione dei flussi migratori.
2) Le crescenti contraddizioni con l’Unione Europea, prodotto delle scelte politiche di quelle élite nazionali (di sinistra come di destra) che, a partire dagli anni Novanta, hanno costantemente utilizzato l’integrazione del Paese nel quadro delle regole economiche e istituzionali imposte dal processo di integrazione europea come vincolo esterno per giustificare politiche antipopolari (austerità, riforme delle pensioni e del lavoro, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, ecc.).
- Details
- Hits: 735
Ritorno al presente. Spazi globali, natura selvaggia, crisi pandemiche
di Davide Gallo Lassere
[Nel contributo precedente pubblicato da LPLC, Davide Gallo Lassere ha ripreso le analisi di Andreas Malm a proposito del Capitalocene e dei legami tra capitalismo ed energia fossile a partire da una prospettiva operaista. In questo contributo prosegue il confronto con le tesi di Malm, e in particolare con il suo ultimo testo, pubblicato recentemente, La chauve-souris et le capital [Il pipistrello e il capitale]. Vengono discusse in particolare le ipotesi strategiche che l’autore svedese presenta nella seconda parte del testo e che sintetizza nella formula del «leninismo ecologico». La traduzione è di Andrea Moresco]
Chiariamolo sin da ora: la diagnosi tracciata da Malm della pandemia in corso è illuminante ma, seppur stimolante, la proposta/provocazione di un leninismo ecologico che avanza nel suo entusiasmante pamphlet sul Covid-19 ci sembra alquanto discutibile. Lo sembra, per giunta, alla luce dei presupposti epistemologici e delle analisi storiche elaborate dallo stesso Malm nei suoi precedenti lavori, ruotanti attorno alla centralità politica delle lotte sociali. Essa pare anche in contrasto con l’esame dello spazio globale che Malm conduce nel suo saggio. A tal proposito, le letture operaiste dei classici del pensiero rivoluzionario e delle geografie contemporanee del capitale offrono, a nostro avviso, un buon vaccino contro quel febbrile «desiderio di Stato» che emerge da alcune pagine de Il pipistrello e il capitale.[1]
Procediamo con ordine. I percorsi della genealogia e della critica del Capitalocene ci hanno portato in Cina – luogo di intensa concentrazione di molteplici tendenze globali. Ed è proprio da questa regione che occorre ripartire se vogliamo comprendere i processi che sconvolgono da cima a fondo il nostro presente. Le logiche temporali all’opera dietro il cambiamento climatico ci mostrano che più il pianeta si surriscalda, più altre dinamiche complesse e multiscalari retroagiscono sugli ecosistemi, surriscaldandolo ancor più a loro volta.
- Details
- Hits: 1148
Ancora su Covid-19 e oltre
Un aggiornamento
di Il Lato Cattivo
«L’inizio della Grande Depressione nel 1929 – o più esattamente il tracollo dell'economia mondiale e la rovina del capitalismo liberale – segnalò uno stato di emergenza per l'intero mondo capitalista. […] Il disastro economico e l'angoscia esistenziale divisero la società in due fronti politico-ideologici, inasprendo il conflitto. Quello che un individuo pensava o faceva non era più una faccenda personale, ma era diventato di colpo, che piacesse o no, espressione dello scontro politico in atto sulle cause e sulle possibili soluzioni della crisi globale.» (Wolfgang Schivelbusch, Tre New Deal)
Introduzione
A distanza di dieci mesi dalla pubblicazione di Covid-19 e oltre1, è venuta l’ora di riesaminare sommariamente l'insieme di quelle analisi e ipotesi formulate più o meno «in presa diretta», per vedere dove avevamo colto nel segno e dove invece è necessario, alla luce degli ulteriori accadimenti, aggiustare il tiro. In seconda istanza, procederemo ad isolare alcuni momenti forti di questa prima fase della crisi mondiale, e ne proporremo un'analisi.
Cominciamo col ricapitolare gli elementi della nostra diagnosi che ci sembrano confermati dal corso degli eventi. In essa, la pandemia da Covid-19 assumeva una pluralità di significati e di funzioni oggettive, che proveremo qui a riassumere. Essa appariva ad un tempo (e in ordine sparso):
-
come fatto di accertata gravità dal punto di vista puramente medico-sanitario (sembra un'ovvietà, ma a scanso di equivoci…), destinato dunque a perdurare per un certo tempo;
- Details
- Hits: 930
Per un’economia della complessità
di Francesco Saraceno
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la Prefazione di Francesco Saraceno al libro di Mauro Gallegati, “Il mercato rende liberi”, LUISS, 2021.
Dove ha sbagliato l’economia “mainstream” nel creare le condizioni per la crisi finanziaria globale del 2007-2008? Per quale motivo le ricette di politica economica che essa ha ispirato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso hanno progressivamente, in nome dell’efficienza dei mercati, dato un peso preponderante alla finanza a scapito dell’economia reale, trascurato l’analisi della distribuzione delle risorse e dei suoi effetti sull’economia, eliminato la politica macroeconomica dalla cassetta degli attrezzi dei decisori, spinto per una deregolamentazione sempre più estrema e, alla fine, reso l’economia mondiale un gigante dai piedi d’argilla, un castello di carte fatto crollare nell’estate del 2007 dal fallimento di due oscuri fondi d’investimento? Soprattutto, è in grado quella stessa teoria di evolvere in modo da poter evitare gli errori del passato? Il dibattito è aperto e, c’è da sperarlo, non si chiuderà molto presto. C’è da sperarlo perché le ragioni del “fallimento degli economisti” sono molto profonde e una revisione radicale del nostro modo di fare economia, di insegnarla, di utilizzarla per consigliare i policy makers, si impone.
Bisogna dire che, contrariamente a quanto è avvenuto in passato, la crisi del 2007 ha avviato un salutare processo di ripensamento. Vista la dimensione della crisi e la manifesta incapacità della teoria dominante di coglierne i meccanismi (la stragrande maggioranza dei modelli utilizzati da banche centrali e ministeri dell’Economia non prevedeva la possibilità di crisi finanziarie!) era difficile fare altrimenti.
- Details
- Hits: 1134
H.G. Backhaus e la dialettica della forma di valore
Una valutazione critica
di Riccardo Bellofiore, Tommaso Redolfi Riva
1. L’opera di Backhaus rappresenta un indispensabile grimaldello per l’accesso ai temi fondamentali della critica dell’economia politica di Marx.Questo grimaldello può essere utilizzato efficacemente sia per comprendere il dibattito che ha caratterizzato la ricezione dell’opera di Marx a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, che per accedere direttamente ai problemi che caratterizzano l’esposizione marxiana e che rappresentano ancora oggi un terreno di vivace discussione tra gli studiosi.
La corrente interpretativa di cui Backhaus è l’iniziatore, ormai riconosciuta nella letteratura critica con il nome di «Neue Marx-Lektüre»1, ha trovato in Italia una diffusione quasi coeva alla pubblicazione delle opere in lingua originale, grazie alle tempestive traduzioni delle opere di Schmidt, Reichelt e Krahl. Questi autori avevano svolto il loro apprendistato teorico presso la Scuola di Francoforte e l’originalità dei loro lavori non risiedeva tanto nei temi trattati, in qualche modo già al centro della discussione nel dibattito marxista sia occidentale che orientale, quanto nella spregiudicatezza con cui questi temi erano trattati. Si cominciava a mettere in discussione, come sulla sponda francese aveva iniziato a fare la scuola di Althusser, la ricezione che il marxismo aveva sviluppato dell’opera di Marx nonché l’autocomprensione di Marx nei confronti della propria metodologia e delle proprie ascendenze rispetto alla filosofia hegeliana. Si cercava di ripensare la teoria del capitale al di fuori delle strette maglie che le interpretazioni economicistiche – soprattutto di matrice anglofona – l’avevano racchiusa, concentrate quasi esclusivamente sulla disputa relativa alla trasformazione.
- Details
- Hits: 913
Contro l’organizzazione scientifica del mondo
Intervista a Pièces et main d’œuvre
Ecco un’intervista apparsa nel numero estivo di La Décroissance, molto opportunamente dedicata a “natura e libertà”.
Possiamo produrre beni e servizi – artificiali – solo distruggendo le materie prime – naturali. Questo è ciò a cui i produttori stanno lavorando dall’addomesticamento del fuoco all’uso di “macchine da fuoco”, durante la “rivoluzione industriale” all’inizio del XIX secolo e una fantastica espansione delle forze produttive sempre più eccitate. La scienza (R & D, innovazione) è stata la forza trainante di questo boom.
Possiamo produrre di più, di più e più velocemente solo razionalizzando la produzione; dall’estrazione delle materie prime alla distribuzione di beni e servizi finiti.
Possiamo razionalizzare la produzione solo eliminando i tempi morti, gli errori e gli sprechi, in altre parole reprimendo e sopprimendo sempre di più il fattore umano.
Questo è il metodo a cui gli ingegneri hanno lavorato dall’inizio del XX secolo, trasformando gli uomini in macchine prima di sostituirli con macchine secondo quella che hanno chiamato “l’organizzazione scientifica del lavoro”.
Con il fantastico aumento delle forze distruttive che lasciano sempre meno materie prime naturali da trasformare in beni e servizi artificiali per una popolazione sempre più grande e avida, la tecnocrazia sta stabilendo all’inizio del XXI secolo l’organizzazione scientifica del mondo. Razionamento / razionalizzazione.
In breve, l’incarcerazione dell’uomo-macchina in un mondo di macchine, un pianeta intelligente (IBM), una “Macchina Generale” (Marx), in cui tutti i circuiti e componenti, vivi o inerti, umani o oggetti, saranno interconnessi e controllati dai macchinisti, grazie alla miriade di megadati trasmessi dalle reti 5G ed elaborati da algoritmi di supercomputer (AI).
- Details
- Hits: 1001
Democrazia procedurale
di Giancarlo Scarpari
Alcuni deputati all’Assemblea costituente avevano coltivato ed elaborato un progetto ambizioso, quello di dar vita non a un semplice Stato di diritto (tripartizione di poteri, pesi e contrappesi istituzionali, rappresentanza tramite elezioni, diritti di libertà, ecc.), bensì a uno Stato sociale di diritto, una repubblica, cioè, che non si limitava ad assicurare a tutti l’eguaglianza formale davanti alla legge, ma che assumeva su di sé il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitavano, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini.
Questa proposta, elaborata da Lelio Basso e formalizzata nel capoverso dell’art. 3, costituiva dunque un impegno rivolto al presente e soprattutto al futuro; introduceva, nell’architettura liberale delle istituzioni del nuovo Stato, un vincolo per governo e parlamento diretto a rimuovere, progressivamente, storiche ineguaglianze e rendere così finalmente concreti quei principi di una democrazia formale destinati altrimenti a rimanere sulla carta. Ma questo impegno, come fu approvato, fu subito disatteso.
Nettamente contrari a questa norma si dichiararono i giuristi del “partito romano”, allora egemone in Vaticano, che, chiedendosi allarmati con padre Messineo «quali fossero gli ostacoli di ordine economico e sociale che la Repubblica ha il compito di rimuovere», paventavano che alcune forze politiche potessero individuare tra questi ostacoli la proprietà e la religione, sì da spalancare, con questa norma così interpretata, le porte a un vero e proprio «totalitarismo di Stato».
- Details
- Hits: 920
Alcuni punti essenziali della critica del valore
di Anselm Jappe
Il sistema capitalista è entrato in una grave crisi. Questa crisi non è solamente ciclica, bensì finale: non stiamo parlando di un collasso imminente, ma della disintegrazione di un sistema plurisecolare. Non si tratta della profezia di un evento futuro, ma della constatazione di un processo divenuto visibile alla fine degli anni '70 e le cui radici affondano nell'origine stessa del capitalismo. Ciò a cui stiamo assistendo, non è il passaggio ad un altro regime di accumulazione (come è avvenuto con il fordismo), e non si stratta neppure dell'avvento di nuove tecnologie (come nel caso dell'automobile), né ci troviamo di fronte al dislocamento del centro di gravità verso altre regioni del mondo; ma siamo a fare i conti con l'esaurimento di quella che è la sorgente stessa del capitalismo: la trasformazione del lavoro vivente in valore.
Le categorie fondamentali del capitalismo – così come sono state analizzate da Marx nella sua critica dell'economia politica - sono il lavoro astratto e il valore, la merce e il denaro, le quali si riassumono nel concetto di «feticismo della merce». Una critica morale, che si dovesse basare sulla denuncia dell'«avidità», non coglierebbe qual è l'essenziale della questione.
Non si tratta di essere marxisti o post-marxisti, o di interpretare l'opera di Marx, oppure di completarla con nuovi contributi teorici. È necessario ammettere che esiste una differenza tra il Marx «esoterico» e il Marx «essoterico», tra il nucleo concettuale e lo sviluppo storico, tra l'essenza e il fenomeno.
- Details
- Hits: 1340
Il complottismo nasconde i conflitti
di Tobia Savoca
Il diffuso cospirazionismo dei nostri tempi, frutto della crescente crisi della politica, si rivela utile alle destre per offrire una spiegazione al malessere sociale e a chi detiene il potere per patologizzare qualsiasi pensiero critico
Che determinate persone o gruppi, per il loro potere politico, economico o sociale, possano influenzare gli eventi, sembrerebbe un’evidenza. In fondo qualsiasi forma di potere si fonda sulla capacità di influire e prendere decisioni capaci di modificare il corso della storia. Eppure tale evidenza sembra essere svanita vista la facilità con cui qualsiasi ipotesi di complotto viene oggi ridicolizzata («gombloddo»).
I complotti esistono, i complottisti pure
Anzitutto partiamo da un’affermazione semplice, quasi banale: i complotti esistono. Non tutte le teorie del complotto sono rimaste teorie. Alcune sono state verificate. Ma se sono le prove a permettere di discernere tra scoperta di una cospirazione e mero delirio paranoico, quello che permette di svolgere questo processo critico sono le intuizioni e il sospetto.
Certo, i «maestri del sospetto» che Paul Ricoeur ha individuato in Nietzsche, Freud e Marx, grazie al sospetto e al dubbio avevano svelato i meccanismi dell’essere umano riguardo alla religione, al suo inconscio e alla società del capitale. Ma si trattava di un sospetto critico, insito nella contraddizione e nella complessità del pensiero, non nella semplificazione mitologica degli eventi. Oggi il sistema mediatico alternativo trasmesso nei social network ha invece scatenato un delirio opposto.
- Details
- Hits: 1330
Dal Gruppo Gramsci all'Autonomia Operaia: un percorso tutt'altro che lineare (II)
di Carlo Formenti
Nella prima puntata Piero Pagliani ha già colto alcuni degli snodi essenziali che consentono di decodificare quel mix di elementi di continuità e di discontinuità che caratterizzò la transizione dal primo al secondo Rosso e la (parziale) confluenza dei militanti del Gruppo Gramsci nell’Autonomia. Credo valga tuttavia la pena di compiere un ulteriore sforzo di approfondimento, non tanto per soddisfare le curiosità storiografiche degli appassionati di quella convulsa stagione della lotta di classe (né tantomeno per appagare le smanie memorialistiche del sottoscritto, che di quella stagione fu uno dei tanti protagonisti), ma perché penso che molti dei problemi teorici e delle sfide politiche che ci troviamo oggi di fronte fossero già contenuti – almeno in nuce – in quegli eventi.
Gli autori che hanno introdotto la pubblicazione della prima tranche dei materiali di “Rosso” su “Machina” richiamano giustamente l’attenzione sulle differenti scelte organizzative effettuate da Gruppo Gramsci e proto Autonomia per strutturare l’intervento politico in fabbrica. In effetti, i CPO (collettivi politici operai) e le Assemblee Autonome non rispecchiavano solo diverse opzioni “tecniche”. I primi erano concepiti come un’articolazione politica destinata a operare all’interno dei consigli dei delegati, la struttura sindacale di base subentrata alle vecchie Commissioni Interne per estendere la base di rappresentanza democratica al di là degli iscritti alle organizzazioni sindacali. Attribuendo a quelle inedite strutture sindacali un potenziale di auto organizzazione paragonabile (nei limiti dettati dai differenti contesti storici) ai consigli operai di inizio Novecento, il Gruppo Gramsci concepiva l’intervento al loro interno come un obiettivo prioritario di cui i CPO erano gli strumenti organizzativi (il modello era quello dell’intervento di fabbrica dell’Ordine Nuovo nel Biennio Rosso).
- Details
- Hits: 3808
Mario Draghi: breve biografia di un incappucciato della finanza
di Thomas Fazi
E alla fine, come da copione, l’“operazione Draghi”, a cui il sistema, nonché Draghi stesso, lavorano alacremente da anni – i servizi fotografici su Draghi che fa la spesa al supermercato, accarezza i cagnolini e vola in economica, ma anche lo stesso, ormai celebre, articolo sul Financial Times in cui Draghi, novello keynesiano, ha riabilitato il debito pubblico (quello “buono”, ça va sans dire) – è stata portata in porto. Ed è subito gara tra i politici e commentatori nostrani ad annunciare la seconda venuta di Cristo.
In questa sede non mi soffermerò sulle manovre di palazzo che ci hanno portato a questo punto. Mi limiterò a evidenziare come le principali responsabilità, a mio avviso, siano da imputarsi non a Renzi, come vuole la vulgata, ma allo stesso Conte, agli occhi di tutti la principale vittima di questa operazione. Se oggi, infatti, Draghi – letteralmente l’incarnazione vivente del vincolo esterno – può presentarsi come il salvatore della patria che può garantire l’arrivo e il “buon uso” dei fantastiliardi dell’Europa, è precisamente perché Conte in primis ha avallato fin dall’inizio la logica del vincolo esterno, presentando il Recovery Fund come un generoso regalo di mamma Europa che lo scolaretto Italia avrebbe dovuto fare di tutto per meritarsi e “spendere bene”, e anzi senza i quali saremmo stati perduti. Insomma, Conte – sospinto da MoVimento Cinque Stelle e PD – non ha fatto che alimentare l’idea dell’Italia come nazione minus habens incapace di gestire se stessa e perennemente bisognosa dell’aiuto (e a volte della “rieducazione”) di qualche “provvidenziale” attore esterno, per definizione più civilizzato e capace di noi.
- Details
- Hits: 1285
La «seconda vita politica» di Amadeo Bordiga
Capitalismo e crisi ambientali
di Yurii Colombo
Per la storiografia il Bordiga «che conta» è quello «politico», è la traiettoria che lo porta dalla milizia nella gioventù socialista napoletana a diventare il pivot della scissione comunista nel 1921 a Livorno, a dirigere il Partito comunista d’Italia negli anni dell’ascesa del fascismo e infine a entrare in contrasto con la nuova direzione gramsciano-togliattiana della «bolscevizzazione» fino all’epico scontro con Stalin al VI Esecutivo allargato dell’Internazionale comunista a Mosca nel 1926. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso questo percorso – che non può essere ovviamente slegato dalla storia della sinistra socialista intransigente prima e della sinistra comunista poi – destò un certo interesse della storiografia italiana «ufficiale» (Cortesi, De Clementi, Livorsi, De Felice[1]) prima di tornare ad appannaggio sostanzialmente degli storici simpatetici al comunista napoletano (Peregalli, Saggioro, Gerosa[2]), al defluire dei movimenti che avevano accesso per qualche tempo l’interesse per ogni tipo di eresia del movimento operaio. Tuttavia se si esclude il pioneristico In attesa della grande crisi. Storia del Partito Comunista Internazionale (1952-1982) del già citato Sandro Saggioro, pubblicato qualche anno fa per i tipi di Colibrì e la meritoria opera di ripubblicazione sistematica dei suoi scritti da parte delle organizzazioni bordighiste, l’elaborazione del Bordiga sconfitto e isolato dall’Italia della ricostruzione e del boom rimane ancora ampiamente un territorio inesplorato. Recuperarla sarebbe invece importante perché probabilmente rappresenta il periodo più fecondo dal punto di vista teorico del comunista napoletano.
- Details
- Hits: 1893
La battaglia attorno al PCI
di Lamberto Lombardi*
Riceviamo da Lamberto Lombardi
Trent'anni fa, poco prima del suo settantesimo compleanno, finiva il PCI, per scelta quasi unanime dei suoi dirigenti e con plauso unanime e spesso ironico dei suoi avversari. Fu seguito, in pochi anni, dalla scomparsa di tutti gli altri Partiti della Prima Repubblica.
Trent'anni è un lasso di tempo ampio che ha consentito di sistemare, magari immeritatamente, i La Malfa, gli Zanone, i De Martino, Nenni, e perfino Andreotti, nell'indisturbato album dei ricordi, quello da riaprire solo nelle ricorrenze comandate. Non così è per il PCI.
Sorprendentemente gli sforzi imponenti di collocarlo su di un binario morto della Storia sembrano fallire ripetutamente e lo riscontriamo nell'opinionistica borghese, e non solo in quella espressasi intorno al centenario della sua nascita, lo ritroviamo in quel suo atteggiamento di attenzione non placata, tra il livoroso e lo sprezzante, ma anche in una sua curiosità mai attenuata, volta ad indagare una storia che in nessun modo si è riusciti a ridurre a inerte stereotipo.
Sarà per l'insostenibile leggerezza della politica italiana di oggi, sarà per la dimenticabile teoria dei suoi personaggi e delle sue vicende dimenticate in poche settimane, sarà per l'inveterata abitudine e necessità degli opinionisti nostrani a fare settimanalmente professione di anticomunismo, sarà per un oscuro e non confessabile rimorso, sarà che di quella storia siano in pochi ad averci davvero capito qualcosa, sarà, infine, che quel vuoto non è mai più stato davvero politicamente riempito, ma ci pare che attorno al PCI sia ancora in atto un'aspra battaglia nonostante nulla sembra esistere che la imponga all'ordine del giorno.
- Details
- Hits: 993
Pandemia, economia e crimini della guerra sociale
Stagione 2, episodio 2: il falò delle vanità
di Sandro Moiso
Il falò della vanità della scienza medica (al servizio del capitale)
“Possiamo essere pessimisti, darci per vinti e quindi lasciare che accada il peggio. Oppure possiamo essere ottimisti, cogliere le opportunità che certamente esistono e in questo modo cercare di fare del mondo un posto migliore. Non c’è altra scelta.” [Ottimismo (malgrado tutto) – Noam Chomsky]
Ormai più di un mese fa, domenica 27 dicembre, avrebbe dovuto avere inizio la terapia miracolosa, sospesa tra interessi economici, miracoli degni del cinema di Vittorio De Sica, creduloneria mediatica e (pseudo) scienza. Successivamente i ritardi nelle consegne, gli ingarbugliati (a dir poco) contratti firmati dall’Unione Europea con le ditte produttrici, il malfunzionamento degli apparati sanitari preposti e l’incompetenza delle amministrazioni locali, basata su anni di tagli della spesa per la salute dei cittadini e di prevaricazioni politiche in nome dell’interesse privato sbandierati come “eccellenza sanitaria”, hanno finito col fare più danni di qualsiasi protesta No Vax1.
Come se ciò non bastasse anche il nazionalismo economico si è ritagliato il suo spazio vitale nella corsa ai vaccini così che, nonostante la contrarietà manifestata da numerosi virologi ed esperti (o almeno presunti tali)2, anche il governo italiano, insieme al suo commissario straordinario Arcuri, ha deciso di investire in patria per sostenere quello della Reithera, di cui non si conosce assolutamente il grado di efficacia e la cui prima consegna è stimata per l’autunno di quest’anno. Ma si sa…piatto ricco mi ci ficco!
Page 143 of 553