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Il problema tedesco
di Heiner Flassbeck*
Bisogna ammettere che i media mainstream hanno creato un senso comune fasullo, ma decisamente “forte”, tale per cui la Germania attuale non è criticabile. Qualsiasi porcata faccia (e ne ha fatte molte, alcune delle quali oltre limite della rapine, come nel caso della Grecia, affosatta per salvare le proprie banche troppo “esposte” verso quel paese).
Siamo perciò al punto che soltanto un tedesco può oggi prendersi la libertà di dire qualcosa di sgradevole nei confronti del pensiero economico dominante nel proprio paese, e che notoriamente passa sotto il nome di ordoliberismo. Ovvero liberismo totale (le imprese e i loro interessi sono al posto di comando), ma lo Stato crea le condizioni (l'”ordine”) per cui questa dominanza possa esprimersi senza ostacoli, anzi, con tante facilitazioni.
Nell’imporre questa visione teorico-ideologica-concretissima anche alle istituzioni europee, ispirandone i trattati e i criteri di funzionamento, la Germania è riuscita nel capolavoro di concentrare sul proprio sistema produttivo e finanziario tutti i vantaggi di una Unione di mercato di quasi mezzo miliardo di abitanti senza mai rischiare di condividere gli oneri di una vera unione politico-statuale.
La sintesi di questi vantaggi unilaterali sta nella libertà di sforare ogni parametro di Maastricht senza mai incappare in nessuna “censura” comunitaria. Prima sforava il deficit ma veniva perdonata perché stava pagando i costi dell’unificazione con la Ddr, poi ha cominciato a sforare – e alla grande – sistematicamente il surplus, ma viene sempre perdonata perché “non si possono punire i virtuosi”. E dire che anche uno studente del primo anno capisce che, in una economia “chiusa” dalle stesse regole se qualcuno va in surplus qualcun altro dovrà andare per forza in deficit…
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Cinquant’anni di impunità per strage di Stato
di Carla Filosa
Prima di Piazza Fontana gli eccidi dei lavoratori erano stati normalizzati nella dinamica delle lotte di classe tollerate dal sistema, dopo lo Stato si assunse in prima persona il ruolo di garante dei profitti, scoraggiando attraverso le stragi ogni possibile rivendicazione
In seguito all’attentato del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura a Milano, dal giorno successivo al 13 maggio 1970, fu elaborata da militanti della sinistra extraparlamentare una controinchiesta che uscì in un libro intitolato La strage di stato, Samonà e Savelli (La Nuova sinistra), Perugia 1970, dedicato a Giuseppe Pinelli, ferroviere e a Ottorino Pesce, magistrato. Alla quarta edizione nel ’70 ne erano state vendute già 60.000 copie. Per chi non c’era e/o non sa, Pinelli, in quanto anarchico, fu “suicidato” dal quarto piano d’una questura milanese intorno alla mezzanotte del 15 dicembre 1969, e Pesce morì d’infarto poco dopo, il 6 gennaio 1970, in seguito al linciaggio della stampa “indipendente” unita all’invito alla prudenza e al tatticismo dei suoi colleghi “progressisti”. Aveva infatti dichiarato pubblicamente che la giustizia italiana è una giustizia di classe, di fronte allo spettacolo della caccia all’anarchico e al maoista, operata dalla sinistra istituzionalizzata di allora.
Intanto, sin dal 3 gennaio 1969 l’Italia era già stata dilaniata da “145 attentati – come si riferisce nel libro citato – dodici al mese, uno ogni tre giorni, e la stima forse è per difetto”. La “strategia della tensione” venne così elaborata per mettere a punto un colpo di Stato reazionario da realizzarsi, se necessario, con l’intervento dell’esercito. Dato che non si era in America Latina, non fu necessario. Nonostante la maggior parte di queste bombe fosse stata riconosciuta di marca fascista, fu inventato un capro espiatorio anarchico, Pietro Valpreda, e vennero accusati “i rossi”, chiamati poi “massimalisti impotenti” dagli spalti di un Pci subito pronto a smarcarsi da eventuali sospetti di connivenza.
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Lukács: filosofia e ordine del discorso
di Salvatore Bravo
La «passione durevole» di György Lukács per la filosofia è finalizzata a trascendere i condizionamenti del capitalismo che vuole anestetizzare la corrente calda del pensiero critico perché nella prefigurazione del fine la coscienza struttura la prassi dell’emancipazione
La libertà di pensare ed agire secondo coscienza non è solitudine
László Rudas (1885-1950) direttore della Scuola centrale del Partito comunista ungherese, membro dell’Accademia ungherese delle scienze e difensore dell’ortodossia marxista, rappresenta la “disposizione” dei burocrati a rinchiudersi in rassicuranti caverne concettuali dalle quali giudicare e condannare coloro che deviano dal cammino stabilito dalle confraternite del pensiero unico ed unidirezionale. La filosofia per sua “natura” è uscita dalle caverne, è attività creativa e logica, è legein attività significante capace di generare concetti nuovi su tradizioni pregresse per trascenderle in nuove configurazioni speculative.
La distanza tra László Rudas e G. Lukács ben simboleggia l’incomprensione intellettuale che vi può essere tra il burocrate di partito ed il libero pensatore, il quale è parte di una storia politica, ideologica, filosofica, ma nello stesso tempo è sempre volto verso l’esodo, poiché “la vita come ricerca” lo porta a divergere dagli schemi, dai paradigmi del potere. L’ortodossia marxista non poteva perdonare a Lukács la sua inesausta aspirazione teoretica, la fedeltà a se stesso, quale condizione imprescindibile per poter aderire ad un progetto politico.
La libertà di pensare ed agire secondo coscienza non è solitudine, non è iattanza intellettuale, ma autonomia senza solitudine. Il potere è corrente fredda che congela l’ideologia, stabilisce il grado di purezza degli intellettuali, ed il livello di dissenso che si può tollerare.
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Capire l’economia per un rilancio delle idee di sinistra
di Saverio M. Fratini*
“Sei Lezioni di Economia - Conoscenze Necessarie per Capire la Crisi più lunga (e come uscirne)” di Sergio Cesaratto, scritto in un linguaggio accessibile anche a coloro che non hanno svolto studi di economia, è un manuale economico divulgativo che, richiamandosi alle idee di Keynes e Sraffa, dice qualcosa di sinistra contro il pensiero economico dominante
La divulgazione scientifica è una attività sicuramente meritoria e lo è ancora di più quando ad essere divulgate sono idee alternative rispetto all’impostazione mainstream. In tutte le scienze il pluralismo è una ricchezza: guardare i fenomeni da diversi punti di vista, o anche semplicemente sapere che diversi punti di vista esistono, aiuta sicuramente ad ampliare la nostra capacità di comprensione del mondo che ci circonda. Ciò è particolarmente vero con riferimento all’economia e alle scienze sociali in generale, in cui lo studioso è parte del sistema che studia: ne è influenzato e lo influenza. Come ha scritto Robert Solow[1] (premio Nobel nel 1987), mentre il movimento dei pianeti è completamente indipendente da ciò che pensano gli astronomi, le idee degli economisti hanno effetto sul funzionamento del sistema economico. Così, in economia, il prevalere di una impostazione sulle altre scaturisce da un intreccio di ragioni scientifiche e politiche, a sostegno dell’una o dell’altra parte sociale. Di conseguenza, a differenza di quanto avviene normalmente nelle scienze naturali, nelle scienze sociali non è affatto detto che le teorie più recenti o mainstream siano più solide e avanzate di quelle precedenti o alternative. Si vede, quindi, la grande importanza di coltivare il pluralismo e la storia del pensiero economico.
Proprio in questa direzione va il libro di Sergio Cesaratto Sei Lezioni di Economia - Conoscenze Necessarie per Capire la Crisi (Diarkos, 2019), giunto alla seconda edizione e già in ristampa. Con la prima lezione, infatti, Cesaratto ci riporta indietro al punto di vista degli Economisti Classici, che è stato riscoperto a partire dagli anni ’60 del XX secolo grazie ai contributi di Piero Sraffa e dei suoi allievi[2].
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Di strage in strage... E' il capitalismo, bellezza
Perché non volevano far parlare Bashar el Assad
di Fulvio Grimaldi
La sciagura a cinque stelle si chiama Di Maio-Grillo
Visto che dell’angustiante tema ci siamo tutti occupati intensamente, ma che non è l’oggetto del pezzo di oggi, premetto subito al resto, che il voto pro MES (il nuovo e peggiore cappio salva-Germania e ammazza-Stati del Sud) con l’impudico rinvio a ulteriori “pacchetti” bancari, è l’ennesima dimostrazione della sciagura Di Maio-Grillo e poltronari scombinati vari. Ma non è sciagura Cinquestelle. Per cui ringrazio i quattro parlamentari che hanno votato NO e insisto a trarne auspicio per un ritorno in orbita delle cinque stelle, una volta presa larga, larghissima coscienza, in alto e soprattutto in basso, della sciagura di cui sopra. Per aspera ad astra, mai vero come oggi.
A Byoblu su Rai e Assad
Nella tavola rotonda di giorni fa messa in onda da Byoblu, il canale web di Claudio Messora, che costituisce una delle migliori presenze audiovisive dell’intero panorama mediatico nazionale, si discuteva dell’incredibile traccheggiamento della Rai sull’intervista di Monica Maggioni al presidente siriano Bashar el Assad. Per comprensibili ragioni di pluralistico giro d’orizzonte, erano stati invitati, oltre a me, anche altri tre colleghi, di cui due dichiaratamente “ortodossi” (e ci capiamo).
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La sinistra e il movimento
di Figure
Autunno 2018, il primo numero di Jacobin Italia esce con il titolo: Vivere in un paese senza sinistra. Autunno 2017, il centro sociale Je So Pazzo propone l’idea che darà vita al movimento-partito Potere al popolo!. Lo slogan di lancio era: Nessuno ci rappresenta: facciamolo noi!
Due immagini, fra le tante, indicative della situazione italiana. Un paese in cui il centro sinistra – con i suoi partiti più o meno grandi – si è appiattito su posizioni liberiste. Il centro sinistra è spesso nominato come sinistra liberal; tale nomignolo gli viene attribuito perché è formalmente attento alle diversità e ai diritti civili, ma arreso davanti al problema delle disuguaglianze socio-economiche. Si tratta della sinistra accusata di essere buonista e allo stesso tempo incapace di opporsi alla macelleria sociale del capitale, nostrano e forestiero. Il PD, i suoi tardi secessionisti di LeU, gli amici della liberista Emma Bonino e così via; tutti talmente impauriti che il sistema produttivo italiano possa scivolare nel baratro del terzo mondo da aprire le porte ai peggiori espropriatori di ricchezza, purché anche sopra l’Italia continui a passare qualche flusso internazionale. È la sinistra che ha archiviato i miraggi del comunismo per farsi anti-berlusconiana e poi più nulla: balbettante davanti all’ascesa del Movimento 5 Stelle e impotente di fronte all’irruenza della destra nazionalista di Salvini. È la sinistra che negli ultimi anni ha sostituito le sue parole chiave con quelle proprie del neoliberismo: libertà (d’impresa), tolleranza, differenza, merito, competizione. Ha abbracciato così i processi di invidualizzazione di massa cedendo al mercato il ruolo di pianificare la società. Il progetto ha mostrato le sue debolezze e si può dire fallito, non a caso le destre reazionarie battono i loro colpi su concetti diametralmente opposti, si torna a parlare di identità, nazione, razzismo, famiglia tradizionale (con il rischio di derive patriarcali).
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“È giunto il momento di chiudere la triste parentesi politica della sinistra liberale”
Dissent intervista Jean Claude Michéa
Mentre la Francia è paralizzata dalle proteste contro l’ennesima riforma di stampo neoliberale, proponiamo un’intervista al filosofo Jean Claude Michéa. Egli smaschera la sottomissione alle logiche del capitale della cosiddetta sinistra “liberale”, sensibile solo alle battaglie contro le minoranze sostenute dalla “società civile” – ma in realtà strumentalizzate dai ceti dominanti per sviare l’opinione pubblica con obiettivi sostitutivi e impedire il ritorno di una critica socialista al nuovo ordine liberale. Una sedicente sinistra cieca e sorda, quando non connivente, all’ingiustizia di classe. Questa sinistra, gonfia di pregiudizi contro le classi popolari, manifesta idee (se così si possono chiamare) che portano alla società prodotta dall’ideologia neoliberale: una società di monadi disgregate, inevitabilmente disumana. Bisogna chiudere la parentesi rappresentata da questa cosiddetta sinistra, conclude il filosofo francese, come si è chiuso con lo stalinismo
Dopo un articolo scritto da Michael C. Behrent sul suo pensiero, la rivista americana Dissent pubblica una lunga intervista al filosofo Jean-Claude Michéa. Questa è stata rilasciata a gennaio 2019, quando i gilet gialli celebravano i loro primi due mesi. Il governo ha iniziato a screditare il movimento e scollegarlo dalle sue basi popolari, puntando l’indice in particolare sulla presenza di “Black block” e gruppi di estrema destra ai raduni di Parigi. Mentre Michael Behrent ha deciso, con l’accordo di Michéa, di tagliare alcuni passaggi che potrebbero essere incomprensibili per i lettori americani, il nostro sito offre la traduzione completa dell’intervista. Nella prima parte, il filosofo è tornato alle sue critiche al liberalismo e alla sua difesa dei gilet gialli. In questa seconda parte, sviluppa le sue critiche alla sinistra liberale.
* * * *
Dissent – La xenofobia e l’intolleranza sono in aumento. Combattere il razzismo in questo contesto sembra più necessario che mai. Penso, ad esempio, alla critica al “privilegio bianco” molto diffusa tra i progressisti americani. Per lei, al contrario, l’antirazzismo e le lotte sociali simboleggiano tutto ciò che c’è di falso nel liberalismo culturale. Questa visione non rischia di delegittimare queste lotte in un momento in cui sembrano particolarmente necessarie?
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È solo tutto per il petrolio?
di Greg Godels
"Tutto a causa del petrolio" è stato, dac quando si ha memoria, un ritornello persistente in risposta alla politica in Medio Oriente degli Stati Uniti. Certamente c'è molta verità in questa affermazione. Dalla transizione energetica dal carbone al petrolio e ai suoi derivati, le principali potenze imperialiste hanno cercato di dominare o controllare le risorse petrolifere globali. E il centro dell'estrazione petrolifera globale, specialmente per gli Stati Uniti e altri potenti paesi capitalisti, è rimasto in Medio Oriente e nelle sue periferie.
Quando la Marina dell'allora dominante impero britannico passò dalle navi da guerra a carbone e alimentate a vapore alla dipendenza dal petrolio, il Medio Oriente divenne la sua stazione di servizio strategica. Di conseguenza, lo stato e il destino di persone, nazioni e stati in Medio Oriente si legarono indissolubilmente agli interessi e alla volontà delle più grandi potenze imperiali.
Dopo la prima guerra mondiale, gli inglesi e i francesi hanno aggredito e trasformato il Medio Oriente in un "protettorato" utile ai propri interessi economici. Gli Stati Uniti, autosufficienti nelle risorse petrolifere, furono spinti ai margini, liberi di esplorare i vasti deserti sottopopolati della penisola arabica.
Il caso volle che le vaste distese della penisola arabica si dimostrarono essere una fonte di petrolio e gas naturale vasta ed economica. L'Arabian-American Oil Company (ARAMCO) si rivelò provvidenziale quando le riserve energetiche interne statunitensi iniziarono a diminuire.
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Il mondo fantastico va avanti
di Michael Roberts
Il mondo fantastico continua. Negli Stati Uniti e in Europa, gli indici dei mercati azionari hanno raggiunto nuovo massimi storici. Anche i prezzi delle obbligazioni si avvicinano ai massimi storici. Gli investimenti, sia in azioni che in obbligazioni, stanno generando enormi profitti per le istituzioni finanziarie e per le compagnie. Per contro, nell'economia «reale», in particolare quella dei settori produttivi e dell'industria dei trasporti le cose vanno in maniera deprimente. L'industria automobilistica mondiale si trova in grave declino. Nella maggior parte delle compagnie automobilistiche, i licenziamenti dei lavoratori sono già stati messi in agenda. Nelle compagnie delle maggiori economie, i settori manifatturieri si stanno contraendo. E come misurato dai cosiddetti "Purchasing Manager Indexes" (PMI) [indici dei direttori degli acquisti], che sono indici che misurano la situazione e le prospettive della compagnie, stanno rallentando e ristagnando anche i grandi settori dei servizi.
Ieri, è stata resa pubblica l'ultima stima della crescita del PIL reale degli Stati Uniti. Nel terzo trimestre di quest'anno (giugno-settembre), l'economia degli USA si è espansa in termini reali (vale a dire, dopo che è stata dedotta l'inflazione dei prezzi) secondo un tasso annuo del 2.1%, in calo rispetto al 2,3% del precedente trimestre. Sebbene questa sia, storicamente una crescita modesta, l'economia degli Stati Uniti sta facendo meglio di qualsiasi altra grande economia.
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Riforma Mes: tutti i problemi sul tavolo, spiegati da 4 economisti
A.Battaglia intervista Carlo Cottarelli, Nicola Borri, Sergio Cesaratto, Emiliano Brancaccio
Non si ricorda facilmente una polemica politica innestata su un tema più tecnico e complesso del Meccanismo europeo di stabilità (Mes, o Fondo Salva Stati). Dopo aver trattato i caratteri generali di questo fondo (si veda la nostra guida per punti), Wall Street Italia ha deciso di entrare nel merito degli aspetti più discussi e spinosi della riforma del Mes. Abbiamo posto le stesse domande a quattro esperti*, estranei all’arena politica.
* * * *
Perché l’Eurozona ha bisogno di un fondo dedicato alle crisi finanziarie dei suoi membri? Perché si è ritenuta l’ipotesi di un’assistenza del Fmi non sufficiente a far fronte a questo tipo di crisi?
Cottarelli:
L’Eurozona, a differenza degli Stati Uniti, ha bisogno di un Meccanismo di stabilità perché le probabilità che uno Stato come la Virginia esca dagli Usa è molto bassa. Il problema è che uno squilibrio economico in Europa può, al contrario, sollevare nei mercati il sospetto che uno Stato possa decidere di uscire dall’euro, creando uno sconquasso per l’intera area. Teniamo conto che l’Unione monetaria europea esiste da poco e che negli Usa c’è voluta una guerra di secessione per rendere chiaro che quell’unione non si sarebbe più spaccata.
Il fatto che l’Eurozona si doti di un Fondo monetario europeo nasce dall’idea che i suoi interessi siano meglio tutelati da finanziamenti di origine europea, contrariamente a quelli di tipo globale del Fondo monetario internazionale. C’è poi un altro aspetto, il Fmi non ha risorse illimitate e nel caso di una crisi di un grosso Paese potrebbe non bastare il suo intervento. Il Mes, pur avendo anch’esso risorse limitate, può far scattare l’intervento quasi illimitato da parte della Banca centrale europea.
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Il “Manifesto contro il lavoro” venti anni dopo
Postfazione alla quarta edizione
di Norbert Trenkle
Pubblichiamo qui la post-fazione alla IV edizione tedesca del Manifesto contro il lavoro, apparsa in Germania quest’anno a distanza di venti anni dalla prima, uscita nel 1999 (in Italia nel 2003 per i tipi di DeriveApprodi).
Norbert Trenkle prova, con questo scritto, ad “aggiornare” le tesi del Manifesto, molte delle quali comunque non invecchiate ed anzi forse più attuali oggi di allora. Le condizioni che resero quasi “necessario” quel famoso libro non sono certo venute meno, al contrario si sono inasprite e approfondite. Il lavoro (che è qui inteso come una forma storicamente specifica di attività della società capitalistica, come attività che produce merci) è sempre più raro ed opprimente. Al tempo stesso , la crisi si è fatta più acuta e la forma-capitale più folle e devastante. Proprio per questi motivi, più forte si è fatta anche l’esigenza di emanciparsi una volta per tutte da questo sistema omicida, esigenza che però fatica a prendere forma e viene piuttosto incanalata verso vicoli ciechi sovranisti, antisemiti, razzisti, classisti e sessisti.
Il Manifesto contro il lavoro è stato e continua ad essere un tentativo che va nella direzione opposta, nella direzione cioè di dare forma ad un progetto di liberazione di cui si sente veramente la necessità e la mancanza. Per questa ragione resta un testo ancora attuale, e in modo stringente.
* * * *
Da quando abbiamo pubblicato il Manifesto contro il lavoro, quasi 20 anni fa, non solo la crisi fondamentale del capitalismo si è rapidamente intensificata dal punto di vista economico, ma sta mettendo sempre più in discussione l’esistenza stessa della società della merce nel suo insieme.
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Democrazia inquinata
di Antonio Martone
Doppio inquinamento
Esiste un inquinamento ambientale, e per fortuna se ne parla: purtroppo, se ne parla soltanto poiché il capitalismo post-industriale ha pur bisogno di “gestire” le proprie contraddizioni più palesi (al fine di addomesticarle) ma qualche volta – almeno – se ne discute. Tuttavia, la questione dell’inquinamento è molto più ampia. Occorre sottolineare, infatti, che gli elementi tossici che possono investire l’uomo non si limitano agli agenti inquinanti esterni. A fronte della spazzatura e di rifiuti di ogni tipo che ormai impregnano l’ecosistema, esiste infatti una psico-sfera umana “impasticcata”, al punto da richiedere cure urgenti. Il vuoto che molti cercano di colmare con droghe, psicofarmaci, con un atteggiamento aggressivo e prevaricante nei confronti degli altri o, più in generale, con la propria falsa coscienza andrebbe affrontato politicamente come il problema centrale del nostro tempo. E, invece, non si fa. È palese a tutti, anzi, che si vada nella direzione contraria.
È chiaro, peraltro, che fra le due forme di inquinamento esista un nesso strettissimo. È del tutto ovvio, per fare un esempio immediatamente comprensibile, che gli abitanti delle periferie del mondo, assediati da ecomostri di ogni tipo, privi di spazi pubblici e di aree ove sia possibile prender parte ad un’intesa sia pur minima con il dato naturale, e dove ammalarsi di cancro è più facile che mandare i figli a scuola la mattina, difficilmente potranno contare su una salute “psichica” degna di questo nome.
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Chantal Mouffe, “Per un populismo di sinistra”
di Alessandro Visalli
Questo libro della filosofa Chantal Mouffe esce nel 2018, al termine di un breve ciclo di instabilità politica aperto dallo straordinario 2016[1] seguito da un 2017 nel quale l’ondata è sembrata rifluire, o essere contenuta dai bastioni dei meccanismi elettorali maggioritari (in Francia) o dalla resilienza dei partiti sistemici (in Germania), ed infine dal 2018, nel quale crolla la roccaforte italiana del bipolarismo. La Mouffe, in linea con il suo ex compagno Ernesto Laclau, chiama tutto questo “momento populista”: una fase di crisi della ‘formazione egemonica neoliberale’ che, a suo parere, “apre la possibilità di costruire un ordine maggiormente democratico”.
L’avvio, in pratica, dice tutto.
Il ‘disorientamento’ dei partiti socialdemocratici (evidente in Spagna, dove Sanchez è sulla difensiva, in Francia, dove è emersa la soluzione ‘populista’ di centro di Macron dalle spoglie della sinistra e della destra gollista[2], in Germania, dove la Spd non riesce a liberarsi dell’abbraccio distruttivo della grande coalizione) deriverebbe quindi da una visione inadeguata della politica. In particolare, dalla incapacità di assorbire i movimenti libertari del 1968, che “coincidevano con la resistenza a una varietà di forme di dominio non definibili in termini di classe”. Si trattava, per come li nomina, della “seconda ondata femminista”, dei movimenti per i diritti dei gay e quelli antirazzisti, inoltre della questione ambientale.
Seguendo lo spirito di questi movimenti, racconta l’autrice, lei e il marito Laclau, indagarono le ragioni della resistenza culturale della sinistra di classe (marxista e socialdemocratica, come la distingue).
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Il nuovo Leviatano, di Geoff Mann e Joel Wainwright, Treccani 2018
Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
di Militant
La questione ambientale ha a che fare direttamente con il politico. Non è una questione scientifica (meno che mai “tecnica”), non ha connotazioni trasversali (“né di destra né di sinistra”), e soprattutto una cosa: prevede soluzioni originali, che non possiamo recuperare dal passato, neanche fosse un “nostro” passato al quale aggrapparci in nome della lotta al capitalismo. Come giustamente indicano i due autori di questi saggio, «il principale mutamento portato dal cambiamento climatico è l’adattamento del politico». La questione ambientale sta trasformando la politica, ma questa cosa, lungi dall’essere (per forza) un bene, si sta presentando come gigantesca TINA (there is no alternative) che piega le ragioni di chi si oppone e, viceversa, rafforza paradossalmente quel modello produttivo che è alla radice degli attuali problemi climatici globali. Serve dunque ragionare di ambiente, ma soprattutto serve «una filosofia politica del cambiamento climatico», uno sforzo interpretativo che, nel momento stesso in cui lega i fili che portano al “colpevole”, ragioni di come la questione ambientale stia mutando tutta la politica: di destra e di sinistra, capitalista e anticapitalista.
Svelare la direzione di questa grande trasformazione è il cuore del saggio. Da una parte, ci indicano i due autori nordamericani, il progressivo deterioramento dell’ecosistema sta portando – porterà sempre di più – alla costituzione di entità tecniche sovranazionali che si intesteranno l’obiettivo di governare il cambiamento climatico, attraverso accordi internazionali che espandano progressivamente la sovranità politica di queste istituzioni. Il cambiamento climatico è l’arma ideologica “fine di mondo”, perfetta e politicamente corretta, attraverso cui presentare come “inevitabile” una spoliazione di sovranità dei paesi della periferia globale concentrandola nelle mani di pochi, pochissimi, forse una sola entità governamentale investita dell’autorità di decidere sullo stato di emergenza: è il nuovo Leviatano climatico, secondo definizione degli autori.
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Argentina: un viaggio nella crisi sociale
di Angelo Zaccaria
Con grande gratitudine e interesse, vi propongo questo prezioso articolo di Angelo Zaccaria, di rientro da un lungo viaggio in Argenina. Buona lettura! A.G.
Argentina nel cuore 2019, parte seconda. La sorgente ed il motore della forza dei movimenti argentini sta nel grande lavoro di base fatto nei territori, con le donne in prima fila.
Come quello da me scritto oltre un anno fa, anche questo contributo nasce da una nuova lunga permanenza in Argentina, fra inizio di Marzo e poco dopo metà Settembre, per la maggior parte del tempo a Buenos Aires.
La crisi sociale si consolida
Il giro di boa della nuova crisi argentina si verifica nell’Aprile 2018, con la crisi cambiaria, la svalutazione del peso rispetto al dollaro, e le conseguenze negative su inflazione, salari reali e livelli di povertà. Da allora in poi la crisi si è consolidata ed approfondita, influenzando sia la dinamica sociale che quella politica ed elettorale.
I numeri della crisi sono facilmente consultabili: inflazione verso il 58%, povertà verso il 40% ma che sale al 50 considerando la sola popolazione infantile (a causa delle maggiori difficoltà nelle famiglie con più figli), cambio col dollaro USA ormai intorno ai 60 pesos, crisi industriali e nel piccolo commercio, recessione a meno 3%. Torno sul dato della povertà infantile, perché oltre che evidenziare il dato della povertà in sé, fa risaltare anche gli enormi squilibri esistenti non solo nel paese, ma nella stessa Grande Buenos Aires: nel conurbano i bambini poveri salgono al 63% del totale, mentre nella città capitale sono al 22%. La media nelle provincie interne invece è del 40% o poco più. Si conferma anche quanto già evidenziato in altre sedi: il conurbano di Buenos Aires è la polveriera sociale dell’Argentina.
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Surplus economico, il rapporto di Baran e l'accumulazione di capitale
del nostro amico Zhun Xu
La crescita economica è stata senza dubbio la prima e principale questione dello sviluppo capitalista dall'economia politica classica agli studi economici più recenti. Molte discussioni sullo sviluppo si riducono alla natura e alle caratteristiche della classe dirigente. Dato che la classe dominante controlla il surplus della società, il modo in cui viene utilizzato il surplus, sia esso investito, consumato o semplicemente sprecato, è a sua discrezione. L'effettivo utilizzo dell'eccedenza implica un ragionevole tasso di accumulazione di capitale e sviluppo economico.
Nel 1957, nell'economia politica della crescita, Paul Baran ha dato un contributo fondamentale alla nostra comprensione del surplus economico, un concetto che ha introdotto nella discussione sullo sviluppo e sulla crescita. Sosteneva che anche i paesi poveri conservano ancora un notevole surplus economico oltre al consumo essenziale nazionale e che il modo in cui le classi dirigenti usano quel surplus modella le traiettorie di sviluppo delle nazioni. Eliminando i consumi della classe superiore non necessari e le inefficienze dell'economia di mercato, tra gli altri fattori, una società meglio organizzata come il socialismo consentirebbe a tutte le nazioni di crescere e svilupparsi.
Per fare un esempio della storia economica cinese, secondo l'economista Victor Lippit, il reddito pro capite in Cina era all'incirca lo stesso nel 1933 come era nel 1953. Il tasso di risparmio, tuttavia, è aumentato dall'1,7 per cento nel 1933 al 20 per cento in 1953. Questo forte aumento fu raggiunto con standard di vita sostanzialmente migliori per la gente comune. La nuova società rivoluzionaria, sosteneva Lippit, era in grado di eliminare contemporaneamente inutili consumi e sprechi d'élite e aumentare consumi e investimenti popolari.
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No al MES! Le menzogne degli europeisti e le ambiguità dei "sovranisti"
a cura di Moreno Pasquinelli
Si è svolta il giorno 6 novembre sotto il Parlamento, promossa da LIBERIAMO l'ITALIA, la manifestazione contro il MES e contro l'eventuale ratifica da parte di governo e Parlamento. Sul MES se ne dicono tante, spesso si tratta di colossali bugie. Come stanno davvero le cose ce lo spiega il DOSSIER pubblicato di seguito,curato da Moreno Pasquinelli e approvato del Coordinamento nazionale di LIBERIAMO l'ITALIA
Il contesto da cui nacque la bestia del Mes
Dopo decenni di finanziarizzazione dissennata, nel 2007-2008, scoppiò negli Stati Uniti la bolla dei mutui subprime, in sostanza la più grave crisi finanziaria dopo quella del 1929. La conseguenza fu il cosiddetto “credit crunch”, il sostanziale blocco dell’offerta di credito da parte delle banche. L’onda d’urto globale travolse anzitutto l’Occidente, ma colpì in modo letale l’eurozona. I governi di Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna, dopo qualche esitazione, decisero di obbligare le loro banche centrali ad esercitare la funzione di prestatore di ultima istanza (lender of last resort), ovvero stampare la moneta necessaria per prestarla a banche e istituti simili, in grave crisi di liquidità. Il paracadute fornito dalla banche centrali evitò in effetti la catastrofe e l’economia poté riprendersi presto.
Per farci un’idea di quanto massiccia fu la manovra della Federal Reserve, basti ricordare che questa acquistò titoli sul mercato per circa 4500 miliardi. Risultato: vero che il deficit salì al 4,2% e il debito pubblico passò al 102% del Pil, ma la disoccupazione scese sotto il 5%, il Pil tornò a crescere del 2% e Wall street tornò presto ai livelli pre-crisi. Una linea “interventista” che la FED non ha mai abbandonato, se è vero, com’è vero, che nel settembre scorso è intervenuta con una gigantesca operazione di 260 miliardi in soccorso di diverse banche a rischio di collasso.
Non fu così nell’eurozona. Alla BCE, del tutto indipendente dai governi e dal Parlamento europeo, tenuta per statuto a rispettare le sue ferree regole monetariste (stabilità dei prezzi e tasso d’inflazione non superiore al 2%) è proibito di agire come prestatore di ultima istanza o di correre in soccorso degli Stati.
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Che cos’è il nuovo lavoro culturale, dal boom dei creativi al crollo del valore
di Bertram Niessen
Il saggio di Bertram Niessen è estratto dal volume Platform Capitalism (Mimesis) a cura di Emiliana Armano, Annalisa Murgia, Maurizio Teli. Questo testo racconta la storia di un circolo vizioso. Il numero di lavoratori delle industrie culturali e creative è aumentato costantemente per decenni, mentre il valore del loro lavoro è tendenzialmente declinato. Ma quali sono, nel dettaglio, i meccanismi di questo crollo? E quali sono le risposte possibili che si profilano all’orizzonte?
Nella prima parte di questo capitolo analizzerò brevemente alcune delle principali dinamiche sociali, tecnologiche e politiche che hanno causato questa situazione. Nella seconda, prenderò in considerazione alcune delle principali pratiche utilizzate per cercare delle soluzioni.
ICC: la promessa del nuovo boom, la classe creativa e il nuovo spirito del capitalismo
Negli ultimi decenni è aumentato esponenzialmente il numero di figure con curricula professionali legati alla creatività, alla cultura e all’arte, di pari passo con l’ampliamento di quel vasto settore del terziario avanzato che va sotto la definizione di Industrie Culturali e Creative (ICC).
Sotto la definizione di ICC ricadono settori molto diversi tra loro. Una tassonomia utile per quanto trattato in questo capitolo è quella adottata dalla Fondazione Symbola, che include: arti performative e arti visive; gestione del patrimonio storico artistico (che comprende tutte le attività che hanno a che fare con la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio, come musei, archivi, biblioteche, monumenti, ecc.); industrie culturali (attività orientate alla produzione di beni che operano con modalità industriali basandosi su contenuti ad alto tasso creativo o culturale: cinema, televisione, editoria, industria musicale, videogiochi, ecc.); industrie creative (attività legate al mondo dei servizi che hanno negli elementi immateriali il loro carburante principale: design, architettura e comunicazione); produzione di beni e servizi creative-driven (quelle attività che trovano il proprio valore aggiunto nella cultura e nella creatività pur senza esservi direttamente collegate).
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Mes: se poco cambia perché niente deve cambiare
Quel Gattopardo del MES
di Sergio Cesaratto e Massimo D'Antoni
Niente di nuovo sotto il sole. Così ha argomentato nella sua audizione il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a proposito del nuovo MES (il Meccanismo Europeo di Stabilità): la possibilità di ristrutturazione del debito pubblico è già presente nell’attuale versione del trattato e quindi gli allarmi sollevati per le modifiche sono ingiustificati. Eppure tra i primi a sollevare dei dubbi erano stati economisti che, quanto a fedeltà all’ortodossia europea, sono al di sopra di ogni sospetto.
Giampaolo Galli, già deputato del Pd, aveva scritto un articolo nel quale, pur con cautela, metteva in fila gli elementi problematici della riforma. Egli ricordava l’episodio della famosa “passeggiata di Deauville” di Merkel e Sarkozy dell’ottobre 2010: il fatto che per in quella occasione la prima volta si sia menzionata la possibilità di un “coinvolgimento del settore privato” (una perifrasi per dire la ristrutturazione del debito) viene considerato come uno degli elementi scatenanti della speculazione che ha portato alla crisi dei debiti sovrani del 2011. Rilevava come nella nuova versione del trattato si attribuiscano al MES poteri molto ampi, in parte sovrapposti a quelli della Commissione, nella valutazione della sostenibilità dei debiti dei paesi membri, e con maggiore nettezza che in passato si stabilisce che l’assistenza verrà data solo ai paesi con debito sostenibile; una valutazione negativa sul debito rischia dunque di costringere il paese a ristrutturare il proprio debito per poter accedere ai fondi del MES. Se dunque è vero che il testo del trattato non prevede automatismi, in una situazione di reale necessità un paese bisognoso di aiuto con debito dichiarato non sostenibile avrebbe ben poca scelta.
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“Buscar el Levante por el Ponente”
Lenin da “Materialismo ed empiriocriticismo” ai “Quaderni filosofici”
di Eros Barone
«Il mondo, l’unità di tutte le cose, non è stato creato da nessuno degli dèi o degli uomini, ma è stato, è e sarà un fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne»... Un’ottima esposizione dei princìpi del materialismo dialettico.
Lenin, Quaderni filosofici. 1
1. Tra la guerra imperialista e la repressione del partito bolscevico: genesi dei Quaderni filosofici
All’inizio della prima grande guerra imperialista Lenin viveva a Cracovia, allora regione polacca dell’Impero austro-ungarico, dove aveva scelto di espatriare per mantenere un collegamento diretto con la Russia in séguito all’ondata di persecuzioni politiche abbattutasi sul partito bolscevico. Sarà poi costretto a spostarsi in Svizzera a Berna, dove potrà lavorare con profitto avendo a disposizione il ricco materiale presente nelle biblioteche di questo importante centro culturale. In questa situazione di isolamento politico, che lo priva di ogni possibilità di influire direttamente sul movimento rivoluzionario, Lenin utilizzerà al massimo grado l’opportunità di svolgere uno studio teorico tendenzialmente sistematico della dialettica, di Hegel e dell’imperialismo. Si tratta di un momento estremamente importante nella maturazione complessiva del pensiero di Lenin, il cui frutto saranno le centinaia e centinaia di pagine dei Quaderni filosofici e dei Quaderni sull’imperialismo. Per usare un’immagine icastica, se è vero che Marx aveva caricato la bomba della rivoluzione, è altrettanto vero che Lenin la fece esplodere e che l’innesco di questa bomba fu fornito, alla fine del primo decennio del Novecento, dal saggio su Materialismo ed empiriocriticismo e, sei anni dopo, dalla lettura della Scienza della logica di Hegel.
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Scienza e Guerra
di Angelo Baracca*
Il coinvolgimento di un numero enorme di scienziati nella ricerca militare, o/e nella realizzazione di nuove armi, è un aspetto della Scienza attuale che di solito viene ignorato o sottaciuto (et pur cause!). Ma al di là delle dimensioni di questo coinvolgimento, che forse pochi immaginano, vi sono alcuni aspetti intrinseci nella Scienza moderna che costituiscono una predisposizione alle applicazioni militari.
Intervento a incontri con studenti del Corso di laurea in Scienze della Pace, e con studenti di scuole secondarie PISA, 25 Novembre 2019 – LIVORNO, 26 Novembre 2019
I legami fra la Scienza, la ricerca prettamente scientifica, e le attività a le produzioni militari, in una parola la Guerra, sono molteplici e assai più complessi di quanti si pensi a prima vista. L’idea più immediata è che la ricerca scientifica contribuisca alla realizzazione di armi di concezione nuova e più efficaci (nel distruggere e uccidere). Il che è senz’altro vero, ma a mio parere anche semplicistico.
Ritengo opportuno, per chiarezza e per chi non mi conosce, premettere che le mie idee sulla Scienza sono piuttosto radicali: non intendo imporle a nessuna/o, ma esporle senza infingimenti (come ho fatto in decenni di insegnamento) spero contribuisca a rimuovere le concezioni comuni e semplicistiche (a mio parere) che dominano perché ciascuno si faccia la propria opinione, ance fosse diversa dalla mia.
Affronterò distintamente due aspetti della questione. Il primo che potrei chiamare quantitativo, sull’entità dell’impegno degli scienziati per la guerra, perché penso la dimensione di questo impegno sia comunemente poco nota e sottovalutata (o occultata nelle informazioni comuni); ma vi un secondo aspetto, che chiamerei qualitativo, ancora più occultato o mistificato, che riguarda quella che ritengo una predisposizione della Scienza (quella nostra, Occidentale, o del capitalismo1), nel suo stesso impianto metodologico, verso l’aggressione all’Uomo e alla Natura.
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Intervista al professore ed economista Ernesto Screpanti
di Bollettino Culturale
Ernesto Screpanti, nato a Roma nel 1948, è docente ordinario di Economia Politica all’Università degli Studi di Siena. Si occupa di istituzioni del capitalismo, storia e metodologia del capitalismo, teoria del valore e teoria della libertà. Adeguando il pensiero marxista al capitalismo contemporaneo, libera Marx dalla metafisica hegeliana, l’etica kantiana e il determinismo economico. Per Screpanti l’istituzione fondamentale del modo di produzione capitalista non è il possesso dei mezzi di produzione bensì il contratto di lavoro, con il suo rapporto di autorità con cui il padrone sottomette e sfrutta il lavoratore. Elabora nei suoi lavori la teoria dell’“imperialismo globale”, definendo come contraddizioni imperialistiche fondamentali nel sistema di governo mondiale dell’accumulazione quelle tra metropoli e periferie dell’economia mondiale.
Infine rilegge il pensiero di Marx ed Engels come teorici libertari, intendendo la libertà come reale capacità di scelta dei soggetti individuali.
Tra i suoi principali lavori segnaliamo: Global Imperialism and the Great Crisis: The Uncertain Future of Capitalism, Monthly Review Press, 2014; Comunismo libertario: Marx Engels e l’economia politica della liberazione, Roma, Manifestolibri, 2007; Labour and Value: Rethinking Marx’s Theory of Exploitation, Open Book Publishers, 2019.
* * * *
1. Nel suo libro sulla globalizzazione [L’imperialismo globale e la grande crisi: L’incerto futuro del capitalismo, Roma 2014; Global Imperialism and the Great Crisis: The Uncertain Future of Capitalism, Monthly Review Press, New York 2014] lei riprende il concetto leninista di “imperialismo” affermando che la natura del capitalismo contemporaneo si basa sul suo carattere multinazionale e liberoscambista, e che in esso le nazioni ricoprono un ruolo di “gendarmi sociali”.
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MES: il golpe è servito
di Nicoletta Forcheri
A parte che il MES è una Société Anonyme di diritto lussemburghese ai sensi della legge sulle società commerciali del 1915. E che per il suo statuto, pur essendo redatto in francese e inglese, è l’inglese a fare fede, sebbene questa non sia una lingua ufficiale del Lussemburgo. Immaginate di creare una società di diritto italiano ma di scriverne lo statuto in giapponese o in inglese pur riferendovi, per i termini e i concetti di legge, a quelli del codice civile italiano dovenon sono né sovrapponibili né semplicemente esistenti nell’altra lingua… Una nebulosa giuridico linguistica.
Ma poi abbiamo una società commerciale privata i cui azionisti noti sono 19 Stati membri dell’eurozona, e che per il resto il MES è coperto dal segreto professionale. Tutti i suoi atti sono segreti e inviolabili. Non solo, ma le sue importazioni sono esenti di dazi. Il suo personale esentasse.
Non basta, perché il suo personale non può mai essere né indagato né citato in giustizia, praticamente immune e impunito per tutte le sue azioni nell’ambito delle sue funzioni, che riguardano essenzialmente operazioni finanziarie speculative e creazione monetaria. Sogno? Mi pizzico, non posso crederci! E noi che per un minibot dovuto ai legittimi creditori dello Stato di massimo 25000 euro per azienda abbiamo dovuto cambiare ministro delle Finanze, e abbiamo inorridito le cancellerie del mondo intero che ci hanno accusato di volere stampare moneta!!
Senonché, avendo il MES personalità giuridica essa non può mai essere citata né indagata ma vice versa può citare in giudizio chi vuole, quando vuole, come vuole, persone fisiche e morali e per le ragioni che vuole.
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Per quest’anno non cambiare, stesso fisco padronale
di coniarerivolta
Al tempo dell’esecutivo giallo-verde vari esponenti della galassia del centro-sinistra, da Leu al PD, criticarono aspramente il governo per aver portato avanti una riforma fiscale che andava a ridurre la progressività del sistema tributario italiano facendo pagare meno imposte ai più ricchi. Verità indiscutibile, ma a ben vedere del tutto superficiale e strumentale, sia per il pulpito da cui veniva la predica sia per la ristrettezza di giudizio in merito alle caratteristiche complessive del sistema fiscale italiano.
La pessima riforma fiscale Lega-5stelle che allargava il regime forfettario alle partite IVA fino a 65.000 euro e poi, in previsione, con un secondo scaglione al 20% fino a 100.000, era infatti la punta di un iceberg enorme costruito in decenni di stravolgimento delle imposte italiane e annichilimento del loro grado di progressività. Un processo portato a compimento con dovizia da tutte le parti politiche che oggi siedono in parlamento, molto prima e molto oltre gli effetti del pur inaccettabile sistema forfettario per le piccole partite IVA, che ha visto sottrarre alla progressività dell’imposta enormi quote di redditi da capitale tramite numerosi espedienti.
Prova ultima della totale inconsistenza e strumentalità di quelle critiche di PD, Leu e anime varie del centro-sinistra, è proprio la piena continuità con le linee precedenti di politica tributaria seguita dall’attuale governo. Al margine della non approvazione del secondo scaglione della flat tax al 20% per i redditi oltre i 65.000 euro annui e fino a 100.000, motivata peraltro più che da motivi equitativi dal consueto richiamo ai vincoli di bilancio, la linea di politica fiscale del Governo non rappresenta in alcun modo un cambiamento di passo rispetto alla consolidata tendenza pluridecennale.
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La rivoluzione passiva e il programma minimo
di Pasquale Vecchiarelli
Attraverso la rivoluzione passiva la borghesia punta a dominare col completo consenso dei dominati. La rivoluzione attiva non può rinunciare a conquistare le casematte borghesi e rompere questo meccanismo
L’umanità, sempre più avvolta nella tenebra del quotidiano in cui l’unica ragione di vita sembra essere quella di guadagnarsi una sopravvivenza dignitosa, produce a tutti gli effetti tutta la ricchezza di questo mondo. Tuttavia non è proprietaria di ciò che essa stessa produce e intuisce, sulla base della propria diretta esperienza, che altri metodi di organizzazione del lavoro, e quindi della società, sarebbero possibili. Irrazionalmente, però, tali alternative non vengono sperimentate in quanto è sempre più forte il freno che la borghesia – interessata solamente al mantenimento dello status quo - oppone allo sviluppo e al progresso dell’umanità.
È sempre più evidente, inoltre, che maggiore è lo sviluppo della scienza e della tecnica e relativamente minore è il suo impatto diretto nel migliorare le condizioni di lavoro della popolazione. Quante volte ci siamo detti che le nuove macchine consentono di risparmiare ore di lavoro: fatto sta che l’orario e i ritmi di lavoro di chi è già occupato aumenta anziché diminuire.
Lo sviluppo delle forze produttive imporrebbe la pianificazione internazionale della produzione basata sulla cooperazione tra i popoli e invece questo non avviene, anzi, in maniera del tutto irrazionale, i lavoratori di una stessa catena produttiva vengono posti in competizione tra loro. Feroci conflitti tra gruppi industriali per la conquista del plusvalore si trasformano in guerre che finiscono per bruciare le ricchezze prodotte con enorme sacrificio, provocando miseria e migrazioni di massa.
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