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Uscire dalla trappola dell'euro

Marino Badiale

Uscire dall'euro? Con questo articolo apriamo la discussione

La questione dell'euro appare sempre più fondamentale per il dibattito politico, in Italia e negli altri paesi europei. Si tratta di una discussione necessaria che è stata finora soffocata dall'unanimismo pro-euro della politica e dell'informazione.

Se si vuole un dibattito vero, occorre che le diverse posizioni siano rappresentate in maniera chiara e netta. Sintetizzo allora alcuni punti fondamentali delle tesi anti-euro: l'euro è una trappola distruttiva per la nostra economia e per il nostro paese. Rimanendo nell'euro, il destino del nostro paese è quello di vedere distrutta la propria economia, drasticamente impoverito il proprio popolo, imbarbariti i rapporti sociali.

Condizione necessaria (anche se non sufficiente) per evitare questo destino è l'uscita dall'Unione monetaria e il ritorno a una moneta nazionale rispetto alla quale lo Stato abbia piena sovranità.


Flessibilità del cambio

Le argomentazioni a sostegno di queste tesi sono facili da reperire in varie pubblicazioni (fra queste, mi permetto di rimandare a M. Badiale-F. Tringali, La trappola dell'euro, Asterios 2012 e A.Bagnai, Il tramonto dell'euro, Imprimatur 2012) e in rete.

Il punto fondamentale è che l'adozione di una moneta unica implica la rinuncia alla flessibilità del cambio e questa rinuncia può creare problemi se si accumulano fattori di crisi. In particolare, se dopo l'adozione di una moneta unica i vari paesi presentano una persistente diversità di tassi di inflazione, le merci del paese con minore inflazione diventano più competitive rispetto a quelle degli altri paesi, in modo che questi ultimi vedono peggiorare la loro bilancia commerciale e quindi anche il loro debito estero.

Di fronte a una crisi internazionale come quella scoppiata nel 2007-08, il persistere di questi problemi genera la sfiducia dei mercati rispetto alle economie “deboli”. Questo porta alla crisi dei debiti sovrani dei paesi Piig, l'acronimo che raggruppo Portogallo Italia, Irlanda, Grecia e Spagna.

Nel caso dell'eurozona è successo che i paesi del nord, e in particolare la Germania, hanno avuto persistenti tassi di inflazione inferiori rispetto ai paesi del sud, innescando il meccanismo appena descritto. È anche ormai ben noto che la Germania ha ottenuto questo grazie a delle riforme del mercato del lavoro che hanno bloccato la crescita dei salari, creando un'ampia zona di lavoro precario e sottopagato.

Si tratta di scelte politiche le cui conseguenze erano chiare, a chi avesse un minimo di conoscenze macroeconomiche. Non si può quindi affermare che la crisi successiva fosse imprevista. Si può dire invece che i ceti dirigenti della Germania hanno fatto una serie di scelte competitive e non collaborative che hanno messo in crisi la tenuta dell'euro e la stessa Unione europea.

Svalutazione interna

In presenza delle diverse monete nazionali la situazione sopra descritta avrebbe portato alla svalutazione delle monete dei paesi deboli e alla rivalutazione delle monete dei paesi forti, il che avrebbe ristabilito un equilibrio.

Avendo rinunciato alla flessibilità del cambio, l'unica possibilità rimasta è la “svalutazione interna”, cioè l'attacco ai salari e all'occupazione, con la conseguenza di deprimere l'economia, impoverire i paesi e preparare a essi un futuro di de-industrializzazione.

Si tratta di analisi che ormai si stanno diffondendo, arrivando a lambire persino gli stessi documenti ufficiali europei. Un comunicato stampa della Commissione europea di qualche tempo fa ricordava infatti che:
“le basi dei divari attuali siano state poste nel corso dei primi anni di introduzione dell'euro (…). Venuta meno la possibilità di svalutare la moneta, i paesi della zona euro che tentano di recuperare competitività sul versante dei costi devono ricorrere alla "svalutazione interna" (contenimento di prezzi e salari). Questa politica presenta però limiti e risvolti negativi, non da ultimo in termini di un aumento della disoccupazione e del disagio sociale”.

Solidarietà europea

Naturalmente esistono modi per ovviare a questi problemi, anche in un regime di moneta unica. Ma sono tutti modi che esigono una forte solidarietà fra forti e deboli. In sostanza, i paesi forti devono in qualche modo riversare su quelli deboli una parte degli attivi economici accumulati grazie all'euro.

A mio avviso si tratta di una cosa ragionevole sul piano economico, ma impensabile su quello politico. I paesi del nord hanno realizzato una politica non collaborativa per conquistare spazi di mercato, perché mai dovrebbero rinunciare ai loro vantaggi a favore di greci, spagnoli e italiani?

È su questa domanda che si infrangono tutti i sogni di chi vagheggia un “più Europa”, una maggiore integrazione, uno Stato federale: si tratta di chiacchiere slegate dalla dura realtà, quella di una competizione sfrenata nella quale gli attuali vincitori (Germania e satelliti) non hanno nessun motivo per rinunciare ai vantaggi acquisiti.

L'unica possibilità praticabile per salvare il nostro paese dal destino di emarginazione che, rimanendo nella moneta unica, è inevitabile, è l'uscita unilaterale dall'euro.

Marino Badiale è Professore Ordinario di Analisi Matematica, Università di Torino.

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