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ilsimplicissimus

Syriza e Podemos: l’insostenibile limite della nuova sinistra

di ilsimplicissimus

“La lotta ci espone alla forma semplice del fallimento (l’assalto che non ha successo), mentre la vittoria ci espone alla sua più terribile forma: ci rendiamo conto che abbiamo vinto invano, che la nostra vittoria apre la strada alla ripetizione e alla restaurazione… Per una politica di emancipazione, il nemico che deve essere temuto maggiormente non è la repressione per mano dell’ordine stabilito. Esso è l’interiorizzazione del nichilismo e la crudeltà illimitata che può venire con la sua vuotezza” Così scriveva Alain Badiou in L’hypothèse communiste, del 2009, e a quanto sembra è stato miglior profeta di quanto non ci si potesse aspettare e augurare, visto ciò che è successo in Grecia e la progressiva perdita di terreno di Podemos dovuto sia a problemi interni che proprio ai fatti di Atene alle cui impossibili soluzioni Iglesias si è accodato: dopo l’exploit alle amministrative oggi i sondaggi lo danno terzo dopo la destra e i sedicenti socialisti alle politiche di novembre.

Il fatto è che il rinnovamento della sinistra è solo cominciato con Tsipras e con Iglesias, con Syriza e con Podemos, ma è rimasto in mezzo al guado: questi due movimenti hanno rinnovato il linguaggio, i riferimenti, l’organizzazione, la forma partito, i mezzi, le tattiche e la visione della sinistra spostandola dal concetto di classe a quello di popolo e di gruppo sociale, rinnovando la bussola secondo l’asse alto – basso, piuttosto che su quello destra -sinistra, ritornando al pragmatismo della vittoria ( qualche eco grottesca di quest’ultima pulsione si vede anche da noi). Soprattutto in varie forme essi si sono ricollegate con la gente, visto che non si potrebbe definire altrimenti il magma di singole individualità creato dall’egemonia liberista.

Ma il processo di rinnovamento, qualunque cosa se ne possa pensare, si è fermato lì: in  un certo senso i due leader e le due formazioni – pur con tutte le differenze che si possono notare e che sarebbe superfluo analizzare qui, sono diventare autoreferenziali, nel senso che sono diventati il nesso esterno con cui collegare gruppi e sistemi di attese estranei fra loro, per creare un “noi” contrapposto al “loro” ovvero la casta, diversamente intesa a seconda dei casi, ma comunque sempre vista come espressione del capitalismo (diversa è la concezione meramente politica di casta dei cinque stelle italiani). Tutto sta a vedere quanto questo concetto di casta-capitalismo sia efficace in maniera profonda, cioè al di là dal mondo della comunicazione. La vicenda greca ci insegna che esso è potente, ma non persuasivo: una volta affermatosi non riesce a proseguire verso le sue naturali conclusioni, crea consenso, ma non opinione e facilmente si sgretola sotto i colpi degli avversari.

Non c’è sta stupirsene: il realtà i correlativi oggettivi e pragmatici del concetto di casta – capitalismo  sono l’antagonismo mediatico e la disobbedienza; vale a dire sono l’esatto contrario della rivoluzione, se vogliamo usare un termine tradizionale, ma comunque il contrario di un’idea di un’idea di organizzazione alternativa della società. E’ un terreno povero, che può giocare solo di sponda con l’egemonia del liberismo, non crea radicali alternative politiche e culturali, rimane subalterno come lo è sempre essere solo contro e non per qualcosa. Può produrre ribellioni, tumulti, ma non veri cambiamenti: se mi permettete una notazione linguistica curiosa, ma significativa in greco antico la ribellione era chiamata “Stasis” ovvero lo stesso termine da cui deriva la nostra stasi. Manca completamente ogni elemento utopico e di conseguenza ogni progettazione concreta di strumenti e un uscita da un modello chiaramente incompatibile con l’idea di eguaglianza, di diritto, di solidarietà. Cosa che peraltro le oligarchie globali hanno capito benissimo tentando di imporre la loro visione. Di fatto questi movimenti chiedono e inducono a chiedere qualcosa non di utopico, ma di semplicemente e banalmente impossibile: che le regole dell’economia liberista, poste a base dell’Europa, contraddicano se stesse.

Volendo sintetizzare la nuova sinistra si presenta innovativa nella misura in cui questa innovazione rende omaggio alla realtà del mondo in cui ci troviamo, ma si ferma qui  e non detta  in alcun modo coordinate per cambiarla, lasciando sostanzialmente intatta l’impressione che l’inversione di rotta consista nel tornare ai tempi pre crisi. Del resto andando a scorrere tutti i discorsi di Iglesias, il più intelligente e colto rappresentante di questa prima nuova sinistra, non troviamo traccia di un progetto sociale alternativo se non come grenz begriff, concetto limite, quanto piuttosto una sorta di tentativo di integrazione fra modelli politici dominanti, marketing, comunicazione, leaderismo, mediaticità, rete e le più tradizionali mobilitazioni, centralità del sociale, coinvolgimento della base. Un mix certamente funzionante, ma talvolta così ambiguo che a volte fa banlzare fuori affermazioni inquietanti come questa: “Non capite che il problema siete voi? Che in politica non conta avere ragione, ma avere successo?” E infatti al finAlla fine il leader di Podemos appoggia il tradimento referenderaio di Tsipras e affida le speranze di ricatti meno drammatici nei confronti di un’eventuale Spagna a governo Podemos con la maggiore importanza dell’economia iberica rispetto a quella ellenica. La montagna costruita con Gramsci, Laclau e Deleuze partorisce un patetico topolino.

Ed è evidente che si tratta di un sentiero interrotto: senza la speranza in un avvenire diverso, senza la consapevolezza che la democrazia reale è ormai pasto dell’economia liberista, che la disuguaglianza totale è il vero obiettivo finale e che occorre cambiare strada nessuno è davvero è disposto ad affrontare le conseguenze ei pericoli di un cambiamento di rotta. Detto brutalmente e senza chicchere intellettuali non puoi pretendere di mettere a rischio il miserabile uovo oggi, senza mostrare che quell’uovo è destinato fatalmente a trasformarsi in pane secco e soprattutto senza delineare nessuna gallina domani. E’ questo che ha fottuto la Grecia che oggi appunto di trova si trova con mezzo uovo.

Quindi è proprio la gallina che manca alla sinistra: una nuova elaborazione politica e sociale capace di utilizzare il passato senza rimanerne ipnotizzata, ma per far funzionare il futuro. Essere solo contro, non avendo però altro orizzonte che ciò contro cui si vorrebbe combattere, espone alla sconfitta o ancor peggio alle vittorie alla Tsipras, nuova incarnazione di Pirro.

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