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Hillary e Donald, la padella e la brace

di Mauro Poggi

 

snowden 2016Edward Snowden sintetizza nel suo tweet le opzioni disponibili nella corsa alla presidenza della nazione più potente al mondo. Da un lato, un miliardario populista  accusato di simpatie per il fascismo e pulsioni razziste. Dall’altro una sociopatica militarista, che al pari del marito ha costruito la propria carriera politica sulla commistione con gli apparati finanziari e l’industria militare.

In un’epoca dove l’offerta di dirigenti politici in occidente ha raggiunto livelli di mediocrità generalizzata quali non si erano mai visti, e dove leader come Putin o Xi Jimping hanno buon gioco a giganteggiare rispetto ai colleghi occidentali,  la logica che necessariamente viene a prevalere in una scelta elettorale è quella del male minore, (cfr Andrew Levine “lesser-evilism logic“).

Ma anche così le cose non sono tanto più facili, perché non è poi così scontato capire qual è il male minore.

Paul Craig Roberts  racconta con qualche cifra gli stretti rapporti che legano la Clinton al mondo della finanza.
Nel periodo 2013-2015 Hillary ha tenuto dodici conferenze nel corso di convegni organizzati dai banchieri di Wall Street. I compensi ricevuti a questo titolo sono stati pari a $ 2.935.000, in media $ 245.000 a botta. Deutsche Bank ha pagato $ 485.000 e Goldman Sachs $ 675.000.
In totale, nello stessa periodo le conferenze sono state ben 92, tutte presso organizzazioni private variamente portatrici di interessi del sistema finanziario. Dalle sue dichiarazioni dei redditi risulta che ha guadagnato a questo titolo $ 21.667.000.
Anche con tutta la buona volontà, non riesco proprio a immaginare una qualunque lectio magistralis il cui contenuto sia tale da giustificare tariffe così esorbitanti. Meno che mai se il conferenziere si chiama Hillary Clinton. È più facile pensare che a fronte di ognuna di queste donazioni travestite da compensi professionali ci sia un voucher virtuale che il donatore passerà a riscuotere al momento opportuno. Quanto più cospicuo l’assegno, tanto più sontuosa la riscossione.

Trump se non altro è miliardario di famiglia e di suo: in quanto tale fa parte del sistema, ma dal sistema è meno condizionabile. Presumo (spero) che i voucher che dovrà onorare siano meno cogenti. È rozzo, politicamente scorretto, ma sembra che per buona parte dell’elettorato repubblicano questi non siano difetti.

Clinton al confronto è un modello di raffinatezza, ma quando emerge la sua vera natura l’immagine che lascia intravvedere di sé è inquietante. La battuta impietosa e l’oscena risata nell’intervista all’indomani della morte di Gheddafi sembrano il prodotto di una mente psicopatica, il che, per un candidato alla presidenza della più grande potenza del globo, non è esattamente il requisito più auspicabile:

In politica estera, che è poi quanto ci tocca più da vicino, Donald Trump esprime posizioni di buon senso che sono fumo negli occhi per la maggior parte dell’apparato politico americano, trasversalmente orientato alla missione manifesta degli Stati Uniti nel mondo. Si oppone a ulteriori interventi in Medio Oriente e ha dichiarato pubblicamente che l’invasione in Iraq era fondata su “deliberate menzogne al popolo americano”; una realtà di fatto che tutti sanno ma che pochi hanno denunciato ufficialmente: non Obama e non certo Hillary Clinton, che quell’invasione ha a suo tempo appoggiato.

La Clinton “ha sostenuto più guerre che qualunque altro Segretario di stato nella storia degli Stati Uniti”. I bombardamenti sulla Libia, la scalata militare in Iraq, il colpo di stato in Ucraina, la dottrina del “perno asiatico” ostile alla Cina, la presenza militare permanente dei soldati americani in Afghanistan, l’isolamento della Russia – e scusate se dimentico qualcosa: in ognuna di queste vicende si è prodigata affinché si sviluppassero esattamente come si sono sviluppate, secondo una sua visione geopolitica che ha sposato senza riserve la dominante visione imperialista americana. Nel conflitto israelo-palestinese la sua adesione alle politiche sioniste è totale, assicura a Netanhyau “tutto il sostegno militare, diplomatico, economico e morale per vincere Hamas” e considera qualunque critica alle politiche israeliane una manifestazione di antisemitismo. Se c’è qualcosa che rimprovera a Israele, è di “non avere dato una lezione sufficientemente dura ad Hamas (Gaza) l’anno scorso“,

Trump, dal momento che se lo può permettere,  ha rifiutato ogni finanziamento di fonte sionista ed evitato di schierarsi nel conflitto israelo-palestinese, proponendosi come il mediatore neutrale fra le due parti. Per quanto riguarda la Russia, ritiene che gli Stati Uniti dovrebbero allearvisi nella lotta contro il terrorismo e auspica una collaborazione commerciale con quel paese. Puro buon  senso, appunto.

Su Global Research James Petras esamina in parallelo le caratteristiche di questi due ormai probabili candidati,  e alla fine la conclusione non è incoraggiante: ” Se Clinton, l’avvocato psicopatico della guerra, riceve l’investitura dal Partito democratico, non c’è alcuna ragione per considerarla il minore dei mali rispetto a Donald Trump. Al più, è un male uguale”.

Certo, il candidato progressista progressista Bernie Sanders non è ancora del tutto fuori dai giochi, ma la potente macchina elettorale della Clinton non lascia molte speranze.

Inoltre, dopo l’esperienza del progressista e premio nobel preventivo Obama, più che mai viene alla mente l’antico monito: attenzione a ciò che desideriamo, gli dèi potrebbero esaudirci.

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