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alfabeta

Sull’uso capitalistico della crisi

Stefano Lucarelli

4 Lavoro CrisiLa crisi messa a valore. Scenari geopolitici e la composizione da costruire, a cura di Commoware, Effimera e Unipop, raccoglie gli interventi sviluppatisi, prima, durante e dopo, due intense giornate dello scorso novembre tenutesi presso il Centro sociale Cantiere e lo Spazio di Mutuo Soccorso a Milano. L’occupazione dei luoghi conta, guardarsi in faccia è importante, discutere senza bastare a sé stessi e senza ridurre l’altro a una “tiro a segni” è possibile; altrimenti “la ricomposizione delle lotte... animate da soggettività diverse” rimane un pensiero lontano, un’eco mentale.

Oggi La crisi messa a valore è un ebook liberamente scaricabile dal web, concepito in un tempo che precede l’attentato parigino a Charlie Hebdo e le elezioni greche (di cui però tiene conto il dialogo fra Gigi Roggero e Christian Marazzi). “L’incapacità di fare i conti con la diversità della composizione di classe, l’ansia di armonizzare che ha come contropartita la riduzione della possibilità di produrre innovazione”, sono i due fuochi attorno ai quali si sviluppano ipotesi e narrazioni di esperienze concrete, oltre che riletture anche critiche delle categorie e delle pratiche politiche messe in campo in questi tempi duri. Leggendo si cerca di riprender fiato per uscire dall’oceano di crisi nel quale si è naufragati, fra colpi di reni insufficienti a risalire, piedi che sbattono e corpi che si agitano in un’acqua melmosa in cerca delle correnti amiche.

E tornano alla mente le parole che Paolo Volponi rivolgeva a Francesco Leonetti nel 1994: “La nostra avanguardia è rimasta sempre legata alla crisi: criticandola dall’interno e perciò subendola, esibendola; la crisi può essere infinita, senza soluzione: si continua ad andare sempre secondo il filo della crisi, che è imprendibile, imprecisabile, inconsumabile. Questo è un esercizio prezioso, una ricerca che si svolge; ma resta sempre quel che è: un esercizio, un laboratorio. Non è mai una proposta del tutto nuova, anche se difende una condizione di vigilanza storica, aiutando a capire le difficoltà, a capire che la realtà è deformata. C’è un arrendersi alla crisi, continuando a giocare con la crisi, senza produrre le condizioni per una novità. La crisi, poi, è la condizione perenne della supremazia capitalistica”.

Contro questo pericolo rileggiamo innanzitutto il sottotitolo dell’e-book: ci colpisce l’espressione “la composizione da costruire”. Non si parla dunque solo di classe da ricomporre, ma si lascia intendere che la stessa azione del comporre vada ricostruita. Nulla di auto-celebrativo dunque dalla galassia neo-operaista! Prendiamo sul serio questa necessità di ricostruzione del gesto primo che consente di camminare insieme, di lottare insieme, e in fin dei conti di salvarci.

La prima parte del libro affronta il problema degli scenari geopolitici: i contorni assunti dalla crisi, lo spazio effettivo che essa viene a definire, hanno le caratteristiche della globalità e della diversità. Il lettore potrà chiedersi: come possono essere globali e insieme diversi i contorni di una crisi? Possono, perché siamo in presenza di una rottura globale dell’ordine pre-esistente che produce diverse forme di ri-assestamento. Un punto questo, tematizzato soprattutto negli interventi di Fumagalli e di Sciortino. In questo processo disordinato e sofferto è forte la tentazione di sostenere, come fa Fumagalli, che la crisi non è la stessa che esplose nel 2007. C’è un’eterogeneità che si va definendo su spazi diversi, per ragioni politiche, storiche e sociali, sebbene, il primato accordato alla redditività finanziaria continua a rappresentare, a mio avviso, il punto di convergenza di questi processi. Questo andrebbe ricordato e indagato più a fondo anche quando in gioco sono gli scenari geopolitici. In particolare la politica monetaria è ovunque funzionale alla contestuale tenuta degli indici borsistici e alla realizzazione delle plusvalenze. Eppure ciò avviene in assenza di una convenzione finanziaria durevole e chiara. Si naviga a vista.

Ma in che modo la crisi è messa a valore? Per rispondere a questa domanda è probabilmente necessario re-interpretare il rapporto tra articolazione capitalistica della forza-lavoro, nella sua relazione con le macchine, o meglio, con il macchinico (inteso come introiezione/imitazione della forma produttiva delle macchine, che interessa l’umano), e processi di soggettivazione. Ecco dunque il nesso fra la prima e la seconda parte del libro dedicata appunto alla composizione da costruire. I luoghi in cui si ri-articola la forza-lavoro rispondono ad una pianificazione capitalistica della divisione transnazionale del lavoro? Oppure gli scenari geopolitici della crisi non seguono un’unica logica di valorizzazione e dipendono da scontri tra assetti istituzionali tutto sommato coincidenti con degli Stati sovrani? Sciortino sostiene – non senza ragioni – che gli Stati Uniti continuano tutt’oggi a ricoprire un ruolo sistemico imperiale “producendo sempre più caos e di rimando insofferenze ai quattro angoli del globo”, e che la funzione imperiale vacilla, ma sembra difficilmente sostituibile.

La sovranità vacillante sembra emergere anche nel contributo di Battaglia sulla Cina – incapace di incorporare le proprie biodiversità interne - e in quello di Cava sul Brasile – dove il patto sociale lulista ha favorito la formazione di una nuova composizione di classe che trova un limite allo sviluppo istituzionale che potrebbe determinare (ma è proprio in grado di farlo?) in una sinistra falsamente progressista che comanda la restaurazione del consenso neoliberista. D’altro canto lo stesso Marazzi ricorda che il terrorismo islamico - foraggiato anche dagli Stati Uniti - rappresenta in qualche modo un risultato coerente con questa forma precaria di sovranità imperiale, che presuppone tuttavia anche la comprensione delle mancanze e delle incapacità europee di proporre dei dispositivi di ricomposizione, delle forme adeguate di Welfare State magari messe in moto dalle politiche monetarie espansive (“Proviamo allora a trasformare il concetto stesso di liquidità in moneta del comune... Non c’è uscita dalla crisi senza redistribuzione della ricchezza”).

Sulla politica economica europea si concentra l’intervento originale e rigoroso di Orsola Costantini, che mette in luce come la stima del bilancio pubblico, in assenza di fluttuazioni cicliche, su cui poggiano i vincoli europei, è in realtà arbitraria e plasmabile sulla base dei rapporti di forza in campo (“La stima di bilancio strutturale... non può, per costruzione, riconoscere un effetto sul reddito potenziale degli sforzi di politica economica volti a sostenere la domanda aggregata, cioè la spesa pubblica”). I redditi non possono che diminuire nel nome dell’austerità espansiva. Se siamo o di fronte ad una sorta di sclerotizzazione (o addirittura alla costituzionalizzazione) di uno “stato di eccezione”, è un problema che viene posto da Guareschi, che mette in dubbio le capacità esplicative del concetto di “stato di eccezione”. Egli suggerisce l’uso della categoria del “sublime” per definire politiche economiche che tuttavia, per essere fronteggiate, mi pare non abbisognino dell’estetica applicata alla filosofia del diritto. Contano di più gli esercizi noiosi e snervanti che presuppongono (come fa Costantini) l’immersione nei tecnicismi dell’analisi economica ed econometrica per svelare senza appelli la violazione dei diritti umani retrostante a questa tecnocrazia.

Guareschi ha tuttavia il merito innegabile di mettere a fuoco uno dei problemi principali che mi pare scaturisca da questi esercizi intelligenti di critica, la dimensione costituente della crisi, cioè l’uso capitalistico della crisi stessa: da ciò deriva la ridefinizione di ciò che è legittimo all’interno della nuova costituzione materiale che sta emergendo a mezzo di attacchi virali nelle carte costituzionali vigenti, verso un diritto naturale dello stato consolidato. Tornano allora non solo utili, ma vitali, le riflessioni e le pratiche costruite a partire dal punto di vista dell’antagonismo del lavoro vivo (è questa – come ci ricorda Vercellone – la forza dirompente insita nel concetto di composizione di classe), e dall’analisi della configurazione oggettiva del rapporto di produzione capitalistico (cioè principalmente ciò che può essere colto attraverso la composizione organica e la composizione tecnica del capitale – è sempre Vercellone a ricordarlo).

Principalmente si tratta di storie di non-lotte o di lotte potenziali, o di lotte in un contesto di aspettative decrescenti (dobbiamo essere grati a Sciortino per questa espressione), dove può incidere l’incapacità di giudizio critico e di bombardamento informativo (la nuova ignoranza su cui si concentrano i compagni del Cantiere), e che comportano dunque innanzitutto un disimparare, per decostruire l’ideologia del merito (Morini e Vignola lo sottolineano), aggiornando la critica al lavorismo (“Possiamo dire che la valorizzazione economica in un call center passa necessariamente per la produzione di soggettività alienata” scrive Pezzulli), e, soprattutto rovesciando il dispositivo della paura. La crisi andrebbe usata per interrompere le segmentazioni cui siamo soggetti, sul piano razziale e di genere (vedi l’intervento di Curcio), ma più in generale risollevandoci per abitare veramente le nostre città secondo i nostri tempi, i tempi leggeri e vitali della riproduzione sociale (allargata). Quegli stessi tempi che reggono le esperienze dolcemente conflittuali che i Wu Ming raccontano in Cantalamappa, il loro primo libro dedicato ai ragazzi, quindi al futuribile che si erge contro l’uso capitalistico della crisi.

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