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controlacrisi

A proposito di Pomigliano

di Vittorio Rieser

un samizbar “inevitabile” anche se “lontano”

note di premessa
questo samizbar parte “dal punto di vista dell'azienda”, e arriva solo in seguito al punto di vista del sindacato: mi è parso utile “prendere in parola” l'azienda sui suoi obiettivi dichiarati, e vedere se l'accordo concluso era funzionale ad essi; questa prima parte di considerazioni (i primi due paragrafi) è stata scritta prima dell'esito del referendum, ma mi pare resti valida anche ora.

A) dal punto di vista dell'azienda

1. Gli obiettivi dichiarati della Fiat

Dunque, parto prendendo per buona l'enunciazione della Fiat, che vuole mantenere Pomigliano (anche a spese dei polacchi... ma su questo non mi soffermo), investendoci su, a condizione che vengano rispettati certi standards di efficienza, qualità, basso assenteismo, tali da compensare, almeno in parte, l'aggravio del costo del lavoro rispetto ai livelli polacchi.

Cosa ci si aspetta da un'azienda in questo caso?

  • a) che faccia un bilancio critico della past performance dello stabilimento su questi tre parametri, dati alla mano; un bilancio articolato, nello spazio (tra diversi reparti ed officine) e nel tempo (tra diversi momenti – aspetto rilevante soprattutto nel caso dell'assenteismo), perchè le performances possono variare nello spazio e nel tempo. In questo caso, il problema è complicato dal cambiamento nella gamma di modelli (un declassamento di gamma), per cui il bilancio dovrà prendere in considerazione le performances di Tichy, che produce attualmente la Panda.
  • b) che individui le responsabilità dell'eventuale mancato raggiungimento degli standards in passato (e le condizioni che hanno eventualmente permesso il loro raggiungimento a Tichy): nel comportamento dei lavoratori, ed eventualmente del sindacato nella misura in cui può influenzarli o “coprirli”, ma anche nei comportamenti dei fornitori e, soprattutto, della gerarchia di stabilimento per quanto le compete.
  • c)che individui obiettivi di progressivo miglioramento (ricordate il kaizen?) e le condizioni per raggiungerli.
  • d)che “faccia i conti” con la gerarchia di stabilimento (e con altre forze esterne al rapporto tra azienda-sindacato-lavoratori) sugli aspetti che dipendono da questa/e; facendo le necessarie azioni di “repulisti” o di “energica formazione” (a suo tempo, Marchionne eliminò l'80% del top management precedente, e a Mirafiori “fece i conti” con alcuni capi corrotti – a titolo di “azione esemplare”).
  • e) a questo punto, che si presenti ai sindacati (con alla mano i dati sui punti di cui sopra) con una proposta di obiettivi e di strumenti per raggiungerli.

Ad esempio, un premio di risultato (di stabilimento ma articolato anche per aree), basato sui tre parametri di qualità, produttività, assenteismo (quest'ultimo può essere collettivo o individuale, uniforme o legato ai possibili “momenti di picco”). Con ciò non dico che questa proposta divenga di per sé sindacalmente accettabile, ma è una proposta funzionale agli obiettivi, e quindi costituisce un terreno serio di negoziazione – su cui, tra l'altro, è non solo legittima ma doverosa una consultazione tra i lavoratori. Inoltre, si possono anche chiedere – senza ledere la logica negoziale – come “segnale di buona volontà”, “dichiarazioni a verbale” anche su aspetti che dipendono in realtà da cause esterne alle relazioni industriali (es. assenteismo per ruoli elettorali).

 

2. La logica dell'accordo separato e i suoi effetti non previsti

Ma la Fiat non ha fatto nulla di tutto questo. Ha presentato una proposta “prendere o lasciare”, la cui logica è solo quella del controllo unilaterale dell'azienda su tutti questi aspetti: “ci pensiamo noi”. Al sindacato resta il ruolo di gendarme sui comportamenti dei lavoratori, sapendo che, se non riesce a controllarli totalmente, a farne le spese sarà, da un lato, il sindacato stesso, dall'altro anche i lavoratori non responsabili di “comportamenti trasgressivi” (vedi l'abolizione del pagamento dei primi tre giorni di malattia, in caso di picchi di assenteismo).

Tralascio le giuste discussioni sulla costituzionalità o meno (e, tanto più, sulla “legittimità contrattuale”) di questo impianto, e vedrò più oltre il possibile perchè di questa scelta della Fiat; per ora rimango sul terreno delle implicazioni (previste o non previste) che essa può avere per la produzione aziendale.

Si ripete, mi pare, un'operazione tipo “Romiti 1980”: prima stronchiamo una presenza sindacale autonoma, poi al resto ci pensiamo noi. Si ripete in forme giuridicamente e sindacalmente più estreme – su questo tornerò in seguito.

Ma come andò con la Fiat romitiana degli anni '80 e seguenti? Dopo un iniziale successo dovuto (oltre che all'innovazione tecnologica già in atto) alla sottomissione dei lavoratori, e alla intensificazione conseguente del loro sfruttamento (=aumento della produttività), non avendo “posto mano alle altre variabili” la Fiat “andò in deriva”.... fino all'arrivo del “salvatore” Marchionne (naturalmente, hanno giocato anche altri fattori “esterni”, ma quelli “interni all'azienda” e alla sua organizzazione della produzione erano questi).

L'accordo imposto dalla Fiat, dunque, mi fa intravvedere uno “scenario romitiano”:

  •  l'assenteismo per un po' diminuisce per effetto della repressione;
  •  la produttività per un po' aumenta per effetto dell'intensificazione del lavoro e non per l'efficienza degli impianti (che anzi vengono logorati dall'applicazione alla manutenzione della stessa logica di intensificazione del lavoro);
  •  la mezz'ora di mensa a fine turno (così come gli “straordinari extra”), imposti dall'accordo, vengono regolarmente assorbiti per ricuperare “sul piazzale” (o sulle linee stesse) le vetture difettose uscite dalla linea – sempre più numerose... e così via.

L'esperienza dello stabilimento di Melfi (che pure costituisce un “fiore all'occhiello” dell'efficienza Fiat in Italia) può offrire alcune indicazioni in proposito. Ne ricordo alcuni aspetti:

  •  per accordo sindacale (in quel caso unitario) si realizzarono alcune delle condizioni oggi imposte a Pomigliano (pur senza il contorno repressivo del recente accordo), in termini di turni/orario e di intensificazione del lavoro;
  •  uno degli effetti, in capo a un paio di anni, fu la diffusione di forme di inidoneità (a partire dai casi di ernia del disco;
  •  anche per questo, l'assenteismo, rimasto basso finchè quasi tutti i dipendenti erano in contratto di formazione-lavoro, è schizzato in alto non appena sono passati a tempo indeterminato;
  •  dopodichè, a un certo punto c'è stata la ribellione contro i 18 turni e il sistema di organizzazione del lavoro, che ha fatto saltare i 18 turni (anche se poi la conquista è stata parzialmente riassorbita) e ha cambiato sotto molti aspetti la situazione sindacale in fabbrica.

Complessivamente, comunque, la costruzione di Romiti non è crollata per la ribellione operaia, ma per la propria inefficienza e “arretratezza”. La “Fabbrica Integrata”, che doveva essere la “traduzione italiana” del modello giapponese, non si è mai realizzata compiutamente (neanche a Melfi, che doveva esserne il “luogo principe”) per l'incapacità di affrontare gli “altri” problemi e contraddizioni, che non fossero quello del comando sul lavoro. Se mi permettete un “vezzo filologico marxiano”, la strategia di Romiti e quella adombrata nell'accordo di Pomigliano hanno un elemento in comune, quello di “ripiegare sul plusvalore assoluto” visto che non si è capaci di estrarre adeguatamente il plusvalore relativo.

 

3. l'ambizioso progetto di relazioni industriali della Fiat...

In realtà, l'accordo di Pomigliano si inseriva in un progetto che andava ben al di là dello stabilimento campano (di qui l'assurdità dei discorsi del PD “purchè resti un'eccezione...”).

Sono significativi in proposito anche alcuni particolari: l'accordo è stato firmato anche dall'Unione Industriale di Torino (e non solo perchè la sede legale della Fiat è a Torino); subito dopo l'accordo, la Fiat New Holland di Modena ha denunciato alla magistratura operai e delegati che, mesi prima, avevano fatto uno sciopero per non effettuare gli straordinari comandati dall'azienda...

L'accordo di Pomigliano doveva essere usato come “grimaldello” per imporre un nuovo sistema di relazioni industriali negli stabilimenti Fiat italiani (che ovviamente avrebbe “indicato la via” anche alle altre aziende...).

Questo era possibile (o forse veniva anche “suggerito”) per la congiunzione con una strategia governativa diversa da tutte quelle precedenti. Mentre in passato i governi – pensiamo a quelli democristiani – avevano una funzione di mediazione nelle relazioni industriali (che poteva essere più favorevole ai sindacati, come nell'autunno caldo, o più favorevole ai padroni, come alla Fiat nell'80 – ma era comunque una mediazione), la strategia di Sacconi e dell'attuale governo è una strategia “ultrà”, sia nel senso di essere tutta dalla parte dei padroni sia nel senso di assumere al proprio interno la divisione sindacale e gli accordi separati come elemento non solo accettabile ma esplicitamente perseguito.

Nel quadro di questa prospettiva, gli obiettivi “produttivi” e di stabilimento erano per certi versi secondari: anche perchè probabilmente la Fiat ricascava nella vecchia abitudine di pensare che per le vetture di gamma bassa la qualità non è poi così importante (la Panda non è l'Alfa...).

4. ...e gli effetti del referendum

L'esito del referendum costituisce uno di quei casi esemplari (frequenti anche se non frequentissimi) della lotta di classe, in cui il padrone “fa la figura del cretino”: cioè non ha capito niente della coscienza e dei conseguenti comportamenti dei lavoratori sottoposti al suo comando. (Per limitarci a ricordare un altro caso, basti ricordare l'accordo separato del luglio 62, con cui Valletta si illuse di fermare la lotta contrattuale dei “suoi” lavoratori – ottenendo invece l'effetto opposto).

Figura esattamente analoga hanno fatto i sindacati firmatari dell'accordo: il “capolavoro” esaltato da Bonanni non sembra essere stato particolarmente apprezzato dai lavoratori di Pomigliano.
(Va detto subito che neanche chi era contrario all'accordo, probabilmente, prevedeva un tale esito del referendum: aspetto non irrilevante, su cui torneremo nella seconda parte).

La Fiat (diversamente da Sacconi e dai sindacati firmatari) ha ammesso esplicitamente che l'esito è stato diverso dalle aspettative, e ora si trova realmente in una situazione di incertezza di scelte.

Non credo infatti che l'”ipotesi su Pomigliano” fosse un semplice trucco, messo in atto per trovare una scusa per andarsene: il marchingegno messo in piedi con l'accordo separato era troppo impegnativo.

A questo punto, le alternative di fronte alla Fiat sono:

  •  andarsene da Pomigliano: scelta che al momento sembra impraticabile per tutta una serie di ovvie ragioni;
  •  fare una new company, in cui vengono assunti con contratto individuale (libero da altri vincoli contrattuali) solo i lavoratori che aderiscono a tutti i termini contenuti nell'accordo separato: sarebbe la soluzione “ideale” per la Fiat, ma – anche in base alle dichiarazioni del ministro e dei sindacati che le sono alleati, oltre che per difficoltà “giuridiche” – sembra difficilmente praticabile;
  • restano dunque due altre ipotesi possibili:
  •  la Fiat, basandosi anche sulla maggioranza comunque ottenuta dai “sì” al referendum e forte dell'appoggio di sindacati firmatari e governo, mantiene l'ipotesi originaria su Pomigliano, e si appresta a “forzarne l'applicazione” tra i lavoratori (e magari a chiedere qualche sostanzioso sostegno supplementare al governo);
  •  la Fiat mantiene Pomigliano, ma con un programma produttivo più “debole” e di corto respiro, analogo a quello che doveva essere il “programma sostitutivo” di Tichy, riservandosi ulteriori mosse.

Al momento, però, un punto sembra comunque fermo (da parte della Fiat come dei sindacati firmatari dell'accordo): non c'è la disponibilità a riaprire realmente una trattativa, tanto più se questa comporta il rientro di FIOM (ed eventualmente CGIL) al tavolo negoziale. La reazione dura dei sindacati firmatari alla pur timida proposta in proposito fatta da Sacconi è significativa.

Questo è un elemento importante, di cui terrò conto nella parte successiva, in cui – finalmente – mi porrò “dal punto di vista sindacale”.


B) dal punto di vista sindacale

5. L'accordo e il referendum

Non mi soffermo sulla scelta FIOM di non firmare l'accordo, perchè le sue ragioni sono state abbondantemente illustrate: era una scelta giusta e inevitabile. Altrettanto giusto è stato il rifiuto di un referendum che metteva in gioco “sotto ricatto” diritti individuali indisponibili.

E' stata avveduta l'indicazione di andare a votare per evitare rappresaglie – senza accompagnarla con indicazioni di come votare. Quest'ultima scelta era formalmente coerente con il rifiuto della legittimità del referendum – ma forse derivava anche da un'implicita convinzione che, sotto ricatto, quasi tutti i lavoratori avrebbero votato “sì”.

Una convinzione esplicitata più volte sia sui giornali della sinistra (il Manifesto), sia in qualche dichiarazione CGIL – che, affermando giustamente che avrebbe rappresentato i lavoratori del “sì”, qualche volta ha maldestramente detto che ovviamente il “sì” avrebbe prevalso in misura schiacciante.

La posizione della FIOM ha prodotto, anche prima del referendum, alcuni effetti importanti: gli scioperi a Mirafiori, e l'affermazione FIOM alle elezioni RSU di Melfi. In sostanza, la posizione assunta dalla FIOM ha fatto sì che i lavoratori non la percepissero come “un sindacato come tutti gli altri”, ma come un possibile punto di riferimento. “Possibile” e non scontato: può anche avvenire (com'è avvenuto in Fiat in un lontano passato) che questo si traduca in un “avete ragione, ma purtroppo non contate niente”.

Dipenderà, anche, da come la FIOM riuscirà a utilizzare un risultato che le dà ragione (in una misura superiore alle aspettative) e che in qualche modo “riapre i giochi”.
Questa nuova prospettiva non va vista solo nei termini di un (improbabile) rientro nella trattativa, ma in termini di cosa si intende fare dopo, per tutelare i lavoratori di Pomigliano – e di altri stabilimenti in cui la Fiat tenterà di estendere, se non la lettera, lo “spirito” dell'accordo separato di Pomigliano.

 

6. L'ipotesi di rientro nel tavolo negoziale

Come abbiamo detto, è un'ipotesi improbabile, visto se non altro l'atteggiamento dei sindacati firmatari. Ma non ci si deve rinunciare,e va proposta – come faceva, in condizioni di isolamento, la FIOM e la CGIL negli anni 50: per una ricerca incessante di ogni possibile occasione di ricostruire l'unità tra i sindacati, e per un criterio di “realismo”, che tenga conto dei mutamenti nelle condizioni immediate e non rinvii tutto al futuro. Se vogliamo, la proposta di “riapertura del tavolo” rientra – non per scelta FIOM – nella “propaganda”, ma in quella seria, in cui il sindacato fa sapere quali sarebbero le sue intenzioni.

Ma la proposta di rientro non può avvenire “al ribasso”. Non può, anzitutto, essere una proposta tipo “a questo punto firmiamo anche noi” - come si ventila nel PD e forse auspica anche qualcuno in CGIL.

Naturalmente, dev'essere una proposta che parte dall'impianto dell'accordo, ma ne propone alcune modifiche sostanziali:

  •  anzitutto, ovviamente, l'eliminazione delle clausole che violano diritti sindacali e costituzionali;
  •  ma, anche sui 18 turni, non ci si può limitare ad accettarli nei termini proposti dalla Fiat: avrebbe senso, ad es., una proposta di riduzione d'orario per il turno notturno;
  •  sono poi importanti alcune proposte di modifica apparentemente “di dettaglio”: ad es., sui tempi di lavoro, la procedura di reclamo/verifica contenuta nell'accordo è quella vigente in Fiat prima del '68: è il singolo lavoratore, da solo, che deve andare a reclamare (esponendosi così a possibili rappresaglie), e solo in ulteriori istanze possono intervenire le RSU; a queste andrebbe invece attribuito un “diritto di iniziativa”.

Sono solo alcuni esempi: ma sarebbe sbagliato “appiattirsi sull'accordo” per poter “rientrare”, per poi sentirsi dire “no, tu no!”. Già che probabilmente si tratterà solo di “propaganda”, che sia propaganda seria, che fa conoscere ai lavoratori in che direzione ci si muoverà:

 

7. Organizzare/tutelare i lavoratori di Pomigliano “dopo”

Dunque, anche la stessa proposta di “rientro nella trattativa”, va vista nella prospettiva di quello che si farà “dopo”: come ci si muoverà per tutelare i lavoratori di Pomigliano (e di altri stabilimenti Fiat) di fronte al disegno di “razionalizzazione autoritaria” che emerge dall'accordo separato.

Ma la FIOM è adeguatamente attrezzata per fare questo? A me pare di no.

(Qui è d'obbligo una “premessa cautelativa”. Io ormai sono “tagliato fuori” dalla vita concreta, quotidiana del sindacato, e le mie conoscenze si basano sui giornali, sui colloqui con qualche vecchio compagno e su “memorie del passato”: è quindi possibile che alcune mie osservazioni derivino da un'informazione inadeguata).

Vediamo alcuni aspetti.

L'”accordo istitutivo” di Melfi prefigurava molti degli aspetti dell'accordo di Pomigliano (anche se non le parti repressive di diritti inalienabili), e fu firmato unitariamente anche dalla FIOM (anche se per ragioni di “scambio politico” con la firma del CCNL di categoria). Fu la rivolta operaia, anni dopo, a spingere la FIOM a rimettere in discussione il sistema dei 18 turni, insieme ad altri aspetti.

Più recentemente, esiste un accordo unitario sul WCM (World Class Manufactring) da introdurre in tutti gli stabilimenti Fiat. Ci si domanda se si sono valutate tutte le implicazioni del WCM, ad es. sul sistema dei tempi di lavoro. Ad es., a Mirafiori il vecchio TMC è stato sostituito dal sistema UAS: si sono valutate le conseguenze in termini di intensità del lavoro? Cosa si è fatto in proposito?

Insomma, c'è il rischio che la FIOM per un bel po' si sia adeguata alle “logiche Fiat”, per dire “no” tardivamente, solo quando queste violavano clamorosamente alcuni diritti fondamentali.

Più specificamente, per costruire un'autonoma capacità di tutela dei lavoratori a fronte delle condizioni che la Fiat vorrebbe imporre, sono necessarie alcune condizioni:

  • a) una conoscenza diffusa (quindi: capacità di analisi critica; quindi: capacità di contestazione/contrattazione) della metrica del lavoro (e più in generale dell'organizzazione del lavoro), e degli effetti sulla salute ad esse legati – ma la FIOM, ad es. a Torino, ha “mandato in pensione” chi sapeva fare queste cose, rifiutando anche loro proposte di collaborazione, e non li ha sostituiti con “nuovi esperti” in grado di formare le nuove RSU.
  • b) una capacità di analisi critica e propositiva sui problemi di efficienza e qualità: la “presa in considerazione” di questi aspetti non può limitarsi – come spesso è avvenuto – ad accettare le proposte padronali in merito, ma dev'essere in grado di elaborare proposte autonome, funzionali ai medesimi obiettivi, che salvaguardino meglio la salute e la professionalità dei lavoratori. Ora, sempre a Torino, la FIOM ha letteralmente perseguitato chi (come Sartirano e Garetti a Rivalta) cercava di misurarsi su questo terreno...


Mi fermo qui. Non sta a un vecchio reduce “trarre le conclusioni politiche”. Vorrei solo sottolineare due cose:

  •  se la FIOM vuole “capitalizzare” il credito conquistato con l'atteggiamento tenuto di fronte all'accordo di Pomigliano, dovrà fare un grosso sforzo, non solo di formazione quadri ma di precisazione/ridefinizione di analisi e di linea (non certo nella direzione auspicata dai suoi “amici di destra”, al contrario!),
  •  ogni passo, di proposta come di contestazione, va sempre accompagnato da una proposta in direzione unitaria. Impariamo dalla CGIL e dalla FIOM degli “anni duri”. Non si tratta di rinunciare ai propri contenuti (in questo momento, a fronte di sindacati che perseguono la divisione come un obiettivo, non servono “concessioni moderate” per favorire l'unità); ma di cogliere qualsiasi contraddizione, qualsiasi fermento, qualsiasi presa di posizione autonoma negli altri sindacati per coltivarli ed aiutarli e costruire, quando possibile, anche momenti unitari parziali.



Infine, una “postilla internazionalista”:

L'accordo separato di Pomigliano mette brutalmente in luce le contraddizioni interne al “proletariato europeo”, scegliendo una linea di “beggar my neighbour”.

Di fronte a questo, l'unica risposta adeguata sarebbe in una strategia sindacale europea unitaria: molto lontana all'orizzonte, per non dir peggio, per la quale però bisogna battersi.

Ma possono anche essere utili iniziative più informali di rapporto. La “lettera degli operai di Tichy”, pubblicata da alcuni giornali di sinistra, magari sarà stata scritta da qualche vecchio trozkista (ma anche Kuron e Modzelewski erano trozkisti sparuti e minoritari, poi anche incarcerati, ma la loro lettera conteneva elementi di verità!). Qualsiasi contatto diretto – anche solo sul terreno dell'informazione, meglio se anche su quello del dibattito politico – con i lavoratori polacchi può gettare qualche “seme” che darà frutti in futuro.

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