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Domanda 4: Come vedete l'integrazione alla critica del valore dell'approccio femminista? Cosa vuol dire concretamente: "Il valore è l'uomo" (Roswitha Scholz)?

Risposta 4: Come la maggioranza dei gruppi teorici, anche il Gruppo Krisis è, in maniera niente affatto accidentale, dominato maschilmente; la sfera teorica moderna in quanto tale ha già, di fatto, connotazione maschile ed è il momento di una determinata relazione di genere. In tal senso, anche noi sviluppiamo la critica del valore principalmente a grandi linee senza assimilare, sistematicamente, il problema "perturbante" e in un certo qual modo imbarazzate della relazione fra i generi, che potrebbe essere percepito, na non mediato, dalla critica del valore.

Fondamentalmente, sembrava trattarsi, più o meno come nel caso della politica, di una fra le tante sfere sociali, esposta e dedotta a partire dalla forma valore, puramente in modo teorico e sottomettente (così come si dice che Eva sia nata dalla costola di Adamo). Questa comprensione della relazione di genere, che ha solamente "tradotto" la relativa posizione del marxismo del movimento operaio in termini di critica del valore, è stata spezzata, però, dall'intervento femminista di Roswitha Scholz, la quale è una delle poche femministe teoricamente attive che si relazionano positivamente, seppure in forma distanziata, con la critica del valore del Gruppo Krisis. Questo rapporto alla fine ha generato un approccio teorico indipendente, che sembra sia riuscito nell'impresa, da un lato, di non sottomettere la questione del genere ad un preteso concetto generale di società, di genere neutro e, dall'altro lato, a non collocare tale questione semplicemente in maniera parallela e non mediata (in nessun altra questione, il sociologismo è ridicolizzato, come lo è in questa).

Quest'argomentazione - che è stata resa pubblica per la prima volta in un articolo dal titolo mordace e pungente, "Il valore è l'uomo" - nel suo nucleo va a contestare il carattere della totalità reale del valore; ma non da un punto di vista sociologistico e culturalista che tenti di giocare la varietà delle apparenze contro l'essenza (come fa, per esempio, il decostruzionismo), ma nel senso per cui la pretesa inerente all'astrazione del valore, di sottomettere totalmente il mondo intero degli esseri umani e della natura, è  di fatto irrealizzabile. La storia dell'imposizione del valore non può, in alcun modo, realizzare un fine assoluto, così come l'astrazione del valore non potrà mai diventare il suo proprio contenuto senza materia naturale e senza dispendio reale della sostanza lavoro (anche se, nel capitalismo da casinò, viene suggerito questo).

Pertanto esistono sempre momenti, settori ed attività, che per loro propria natura si oppongono all'astrazione del valore e che non possono essere sottomessi, o possono esserlo solo al costo di grandi attriti. A questo proposito, si annoverano, fra gli altri, il settore identificato nella modernità come "lavoro domestico", educazione dei figli, assistenza agli anziani, relazioni immateriali ed in sé non economiche, quali "amore", dedizione, ecc.. La socializzazione attraverso il valore ha reagito a questo problema nella misura in cui tutti questi momenti e settori, dal momento che non possono essere sottomessi alla "valorizzazione", sono stati "scissi" dalla totalità formale, ed allo stesso tempo sono stati, storicamente e socialmente, delegati, come compito, alle "donne" (simultaneamente poste come "inferiori").

Pertanto, la totalità del valore non è in alcun modo la totalità effettiva, ma esiste un rovescio o un'ombra che, per questo, non viene colta direttamente e che, ciò nonostante, di essa fa parte. Dal momento che questi momenti e settori non rappresentano un oltre indipendente dal valore, sono in questo modo legati ad esso dialetticamente. La totalità realmente effettiva sarebbe perciò quella del valore, e di quello che da essa è stato scisso, in quanto unità dialettica. A questo proposito, si deve parlare di relazione/scissione del valore, anziché di semplice relazione-di-valore; e la socializzazione attraverso il valore, in questo senso, include sempre il pensiero della scissione. Nel contesto della critica del valore, tutta quest'approccio è stato chiamato, alla fine, "teorema della scissione".

Il teorema della scissione, chiaramente, non significa che le donne fanno parte esclusivamente del settore scisso, e gli uomini si trovano per principio fuori dai momenti scissi. Ma la relazione fra i generi, in quanto relazione strutturale, è centrata, nella modernità, per così dire, in maniera logica-essenziale sul problema della scissione; il che può essere dimostrato sia storicamente che empiricamente. In principio e fino ad oggi (ivi inclusa la postmodernità), le attività domestiche, la cura dei neonati, ecc. sono socialmente concentrate nelle donne. Mentre oggi, più di quanto avvenisse anticamente, le donne hanno un lavoro, che le rende differenti dagli uomini, "doppiamente socializzate" (Regina Becker-Schimdt). Dentro il "lavoro" produttore di merci, esse sono sistematicamente danneggiate, collocate professionalmente in "barche bucate" oppure concentrate in professioni cosiddette "femminili", sottorappresentate nei posti di comando, ecc.. Tutto quello che deve realizzarsi fuori o al di sotto del livello del denaro, come sempre, viene ancora automaticamente delegato alle donne, che vivono in case precarie con strutture familiari completamente disintegrate. Anche le connotazioni feticiste e le "caratteristiche" di genere che vengono loro attribuite, continuano sotto forma di desiderio sessuale, attraverso tutte le rotture e le trasformazioni della socializzazione attraverso il valore.

In sintesi, si può dire che, a partire dal teorema della scissione, ne consegue un'integrazione teorica che risolve il problema finora non chiarito della relazione logico-storica fra struttura sociale fondamentale (valore) e relazione di genere, che evita tanto un parallelismo immediato quanto una mera logica di sussunzione. Pertanto, è ovvio che l'approccio femminista è ancora lontano dall'essere integrato, senza rotture, nella critica del valore. Per poter posizionare teoricamente, storicamente e socialmente con maggior esattezza il teorema della scissione è necessario un passaggio dalla critica del valore e dalla teoria della scissione attraverso la teoria femminista. D'altra parte, fin qui la discussione e la formazione teorica della critica del valore non sono state direttamente relazionate alla questione del genere, in quanto non sono state in alcun modo mediate in maniera soddisfacente con questo nuovo approccio, e bisogna fare ancora una lunga strada per sondarne le conseguenze.

L'evoluzione, ancora non conclusa, della critica del valore per mezzo del teorema femminista della scissione viene oggi sovrapposto dalla disputa polemica attinente al decostruzionismo. Mentre il teorema della scissione fra i dieci ed i quindici anni fa avrebbe forse suscitato scalpore nel dibattito femminista, oggi incontra un femminismo a sua volta disarmato che fa pace con il sistema produttore di merci. Nella teoria femminista, le relazioni marxiste del concetto feticista di "lavoro" ed il problema dell'astrazione del valore sono stati superati criticamente ancora meno di quanto lo siano stati nella teoria "maschilista".

Invece, anche nel movimento femminista, il postmodernismo ed il decostruzionismo sono diventate le ideologie di disarmo e di eliminazione dei rifiuti della critica sociale radicale. Proprio per questo, donne ed uomini si dilettano con la "ispirazione" del decostruzionismo femminista di Judith Butler, in quanto così, in netto contrasto con il teorema della scissione di Roswitha Scholz, la relazione di valore e la struttura profondamente radicata della scissione non vengono per niente toccate. Il sistematico oscuramento della forma-valore, e quindi del capitalismo, permette una riduzione "discorsiva sociologistica, disistoricizzata, delle relazioni di genere, ed una strategia superficiale che si riduce ad una sorta di carnevale performativo dei generi, senza che possa essere messa in discussione la questione delle strutture sociali e storiche fondamentali della totalità negativa della scissione del valore.

Quindi, bisogna ancora vedere, riguardo la critica delle relazioni di genere capitaliste, la resa dei conti fra la critica del valore ed il postmodernismo ed il decostruzionismo.

 

Domanda 5: Negli ultimi due numeri assai controversi della Rivista Krisis [n°18, 1996; n°19, 1997], sono stati tentati dei suggerimenti pratici di come il sistema produttore di merci potrebbe essere superato. Nella critica degli orientamenti e della prassi, così come appare sulla Rivista Bahamas, vengono considerati soprattutto tre argomenti. Primo, riguardo alla ricerca di gruppi potenziali che possano assumere la vostra proposta, vi giudicano insufficientemente critici, soprattutto in rapporto al movimento ecologico. Secondo, nella misura in cui indicate ora delle alternative concrete, soprattutto riguardo al movimento ecologico, potete riprodurre solamente in qualche modo l'esistente e, in fin dei conti, affermarlo. E terzo, una teoria critica può avere solamente la funzione di mettere in discussione l'esistente, ma non indicare alternative, in quanto soltanto un movimento rivoluzionario, nella situazione, potrebbe farlo. Cosa rispondete a queste obiezioni?

Risposta 5: Non abbiamo alcuna mucca di sussistenza nel garage, dal momento che non abbiamo alcun garage. Parimenti, non apriamo neanche una cooperativa, né facciamo saltare qualche ponte sull'autostrada (purtroppo), né stiamo facendo qualche richiesta allo Stato. In altre parole: non c'è nessun "orientamento alla prassi" nella Rivista Krisis, poiché una tale prassi sarebbe possibile soltanto nel contesto di un movimento sociale emancipatore, che, per il momento, non è in vista. Invece, tentiamo di concretizzare teoricamente, in alcuni punti, la questione di come superare le forme sociali ed economiche della socializzazione attraverso il valore. Dal momento che evidentemente questo è anche un problema teorico.

Logicamente, la critica teorica implica anche le caratteristiche teoriche principali di un superamento positivo, come conseguenza della negatività (diversamente, la critica stessa non sarebbe possibile), sebbene la sua pratica concreta e il suo sviluppo possono prendere forma, evidentemente, solo per mezzo di un grande movimento sociale. A partire dalla critica del "lavoro", della forma-valore e della relazione-capitale, possono venire specificate alcune determinazioni di metodo e di obiettivi per un movimento di superamento. Quindi, questo non avviene solo quando la critica stessa del valore è inconseguente ed incompleta.

Gli autonominatisi gestori del saccheggio della Teoria Critica "a la Bahamas" oppure "ISF" di Friburgo, che si portano dietro una serie di gusci d'uovo del comunismo di sinistra (ontologico del lavoro, sociologista-classista, democratico), si trovano ancora, nonostante i loro elementi propri della critica del valore, molto impigliati nelle aporie del marxismo del movimento operaio per poter pensare concretamente al superamento della forma-valore. Per questo, si proibiscono questa problematizzazione, proprio in quanto semplicemente teorica, e dichiarano una critica senza strada e senza destinazione, fino al punto che la discussione sul superamento diventa un mormorio diffuso.

Il superamento della forma-valore viene bandito a favore di un mondo puramente e semplicemente oltre, un "totalmente altro" indeterminato ed indeterminabile, verso il quale, a partire dallo stato attuale, non si getta alcun ponte né si traccia alcuna strada definibile. Il carattere inconseguente e quindi astratto, in parte realmente sgradevole, di questa stessa teoria è segnato da una postura quasi esistenzialista riguardo alle relazioni fra teoria e movimento sociale, nella misura in cui quest'ultimo rimane concettualmente nello stato di un soggetto metafisico. La cosa più ridicola è che questa insufficienza teorica viene diffusa come se fosse una radicalità peculiare ed una negatività particolarmente elegante, al fine di rifiutare la critica del valore, molto più avanzata, di Krisis.

A partire da questo atteggiamento - che ha molto a che fare con l'autoaffermazione ed il chiudersi a riccio in uno stadio di transizione fra marxismo del movimento operaio, Teoria Critica ortodossa degli anni '40 e critica del valore - il Gruppo Krisis viene visto principalmente sotto forma peggiorativa, e sempre più viene perseguito con accuse denunciatorie; in quanto noi ci facciamo beffe della proibizione di pensare e  non intendiamo realizzare quello stato diventato "infelice" della vecchia Teoria Critica (questo, però, oggi è solamente un "campo di guerra laterale" nella disputa per il rinnovamento della critica radicale).

Un caso speciale di questo rifiuto denunciatore è la strumentalizzazione della questione ecologica. Noi non abbiamo mai equivocato riguardo al movimento ecologico nel suo stato attuale (e ancor meno riguardo alle sue varianti biologistiche) in quanto movimento di superamento potenziale, ma, al contrario, abbiamo identificato la distruzione mondiale, per mezzo del "lavoro astratto", come un principio di base per la mediazione della critica del valore. Per la Rivista Bahamas e per ISF, al contrario, la critica alla distruzione delle basi naturali di per sé non è nient'altro che un problema neofascista, cosa con la quale dimostrano soltanto la loro incapacità di pensare fino in fondo la critica della "astrazione reale" capitalista. A questo punto, tra l'altro, danno una mano ai postmoderni di "sinistra", i quali, ugualmente, considerano la "natura" come un'invenzione fascista e preferiscono, con grande animosità, le feci preparate dai designer-food della Nestlé o di Maffi, dal momento che in qualche modo i generi alimentari sono solamente oggetti culturali relativistici. Almeno a questo livello, tuttavia, riteniamo di dover concordare con Adorno, contro i custodi della sua Teoria Critica.

 

Domanda 6: Robert Kurz nel suo ultimo articolo sulla Rivista Krisis ["Antieconomia ed antipolitica", Krisis, n°19, 1997] ha identificato due problemi centrali che un movimento che vuole superare il sistema produttore di merci deve risolvere: quello della pianificazione e quello di una strategia di trasformazione appropriata. La parola chiave è la configurazione di una "forma embrionale". Rispetto al problema della pianificazione, sulla Rivista Krisis è stato ricordato correttamente che la mediazione delle attività attraverso il mercato dovrebbe essere sostituita da una pianificazione completamente sociale; oltre al superamento della divisione del lavoro, originata dal capitalismo, e dell'utilizzo di un'altra tecnica, cosa che richiede in parte un'altra tecnica. Ma questo è per l'appunto solo il lato tecnico del problema. Tuttavia, c'è ancora un lato legato alla teoria della democrazia, che viene solo insinuato nella Rivista Krisis. Di fatto, si enfatizza più volte il fatto che una società liberata dal terrore del valore non è libera da conflitti, che le differenze fra le persone non spariscono, ma trovano piuttosto la loro giusta espressione. Ma le conclusioni teoriche di questa comprensione non sono state ancora tratte, mancando nell'identità del discorso di Krisis considerazioni teorico-democratiche: come può essere stabilito in una società abbastanza pluralista il necessario consenso, se d'ora in avanti non servono più i meccanismi repressivi del mercato e dello Stato.

Risposta 6: E' chiaro che Krisis non ha risposto a tutte le domande sul superamento della forma-valore. Perché allora rivendicare un'onniscienza, dal momento che la continua concretizzazione non è oggetto di un dibattito continuo in un campo sociale ampliato? Però non ci occupiamo dei problemi dei "teorico-democratici" non ancora risolti, semplicemente perché la democrazia, che secondo il suo stesso concetto è in accordo con la forma di dominio in quanto momento di socializzazione attraverso il valore, è superata. Al posto dello Stato democratico e del mercato, bisogna inserire le istanze  di una socializzazione diretta, ad esempio "consigli" con partecipazione di tutti i membri della società, che decidano sui flussi di risorse senza l'interferenza dell'astrazione del valore.

Una simile società avrà certamente i suoi propri conflitti, e su questo si riflette consapevolmente. Dubitiamo, tuttavia, che tali conflitti si riferiscano in primo luogo alla riproduzione materiale. A questo livello, molto è il risultato di per sé della realtà materiale-sensibile (ad esempio, l'insensatezza della circolazione individuale); a parte questo, le alternative di consumo probabilmente diventano, con una produzione liberata dalla ricchezza, abbastanza differenti, il pluralismo, ed anche il dissenso, si stabiliscono così ad un livello del tutto differente. La fissazione consumistica dell'attuale postmodernismo culturale quotidiano è essa stessa solamente il rovescio delle restrizioni capitaliste, e probabilmente provocherebbe solo disprezzo in una "associazione di uomini liberi".

 

Domanda 7: Per tornare alla domanda precedente: come dovrebbero essere organizzate le discussioni sui cambiamenti nella divisioni del lavoro e sulle tecnologie? Si può realmente dedurre dalla natura stessa della tecnica la possibilità di una soluzione dei problemi esistenti, oppure un simile determinismo tecnologico non può diventare esso stesso una norma repressiva? Il concetto di "economia naturale microelettronica" suscita, ad esempio, quest'impressione. In qualche modo, tutte le persone sono obbligate ad avere la cattiva coscienza di dover vivere in una casa che non hanno costruito essi stessi. Avevamo immaginato il superamento della scissione fra produttori e consumatori in maniera realmente più piacevole.

Risposta 7: Il termine "economia naturale microelettronica" non implica alcun determinismo tecnologico, ma prende ironicamente di mira un pensiero taccagno che vuole identificare la relazione "naturale" (materiale-sensibile) della riproduzione sociale solo con qualcosa di "antidiluviano", equiparando automaticamente le forze produttive avanzate con la forma-valore. Quel che ha inizio con le forze produttive microelettroniche, al di là del valore, non è il risultato di un impulso della tecnica (un topos dell'ideologia borghese, fin dall'inizio del 19° secolo, che maschera la dinamica distruttiva della forma capitalista), bensì degli obiettivi liberi di una società autocosciente.

Non si tratta di un moralismo per cui tutti dovrebbero fare tutto in una falsa immediatezza, ma si tratta della prospettiva di un terreno socio-economico nel quale possano essere sviluppati elementi (e relazioni sociali) di una riproduzione indipendente dalla legge coercitiva del sistema produttore di merci. Perciò, nessuno ha bisogno di auto-costruire la propria casa direttamente, ma ci sarà una riflessione cosciente su questi poteri materiali nei settori della riproduzione, mediati ed immediati secondo modelli pratico-sensibili. Così un'altra teoria critica non guiderà carri o mescolerà la malta.

La tipica utopia postmoderna di un'automazione totale irresponsabile - dove il robot al bar, la mattina, ci domanda solo cosa desideriamo, ed i problemi della riproduzione sociale dei cretini "idioti del consumo" vengono delegati ad un pseudo-cervello elettromeccanico - è certamente ridicola. Questo farebbe la "gioia" del bel nano stupido della "Macchina del tempo" di H.G. Wells. Non ci sorprende, però, che tutte le utopie negative e tutte le visioni horror della modernità, sostenute dall'ingenuità postmoderna, vengano sempre più assunte in maniera positiva.

 

Domanda 8: Il concetto di "economia naturale microelettronica" è una posizione nuova? C'è un testo, di dieci anni fa, di Robert Kurz ("L'immediatezza del feticcio") che dice esattamente il contrario. A quel tempo, il modello era una figura del romanzo “Die Unfähigkeit erwachsen zu werden” che non aveva alcuna nozione di computer, o di cui gliene importava poco, ma che tuttavia incontrava qualcuno che poteva interagire con essi. Però, in questo nuovo saggio ("Antieconomia ed antipolitica"), al contrario, viene offerta educazione politecnica a tutti. Allo stesso tempo, il relazionamento consumistico con nuove tecnologie viene criticato, e si afferma che il CD player è un'innovazione insignificante. Come consumatori, non siamo d'accordo.

Risposta 8: "Economia naturale" è un concetto di supporto che principalmente non consiste in nient'altro che nell'assenza di produzione di merci, mercato, denaro, ecc.. Che questo non possa essere un'economia retrograda o di "sussistenza" (nel senso di una produzione brutale di sopravvivenza, senza "fonti di ricchezza"), ma che dev'essere collegata alle forze produttive più avanzate, è stata una posizione del Gruppo Krisis fin dal principio. Nel confronto con le categorie dominanti c'è bisogno di incontrare nuovi concetti, anche se all'inizio sono stati, nella maggior parte dei casi, "concetti di guerra", immunizzazioni o determinazioni negative. Non vi è ancora alcun apparato concettuale critico-del-valore maturato, perché la relativa teoria critica, in quanto superamento del marxismo sociologista riduttore ed immanente al valore, è ancora agli inizi (questo anche per quanto riguarda lo stato dei concetti teorici in quanto tali).

Riguardo la domanda sulla conoscenza politecnica, noi assegniamo importanza alla ripresa di questo pensiero del marxismo del movimento operaio sotto un nuovo spettro critico-del-valore, per poi discuterlo al livello delle forme produttive microelettroniche. Si tratta della mediazione di un'ampia conoscenza produttiva e tecno-culturale di base. Il che non significa che tutti ora dovrebbero diventare esperti di computer. Quel che importa è proprio la spinta contro una specializzazione ristretta e, soprattutto, contro la monopolizzazione della conoscenza tecnologica, così come si può osservare oggi in tutti i paesi con tecnologia chiave microlettronica.

Se il potenziale di queste nuove forze produttive non viene generalizzato almeno nella sua applicabilità, allora esse non possono nemmeno essere mobilitate in maniera soddisfacente da un movimento di superamento contro il sistema produttore di merci, e che ha bisogno di includere, ad esempio, anziani, ragazze madre, adolescenti, ecc.. Attualmente, nel contesto postmoderno, minaccia già di formarsi un campo di interesse immanente al sistema di una sorta di "classe lavoratrice informatica", elitaria predominantemente "maschile", che viene immaginata come "meglio pagata" e "meglio assicurata" (anche se la maggioranza di queste persone in realtà ha un'esistenza flessibile e temporaneamente precaria).

Di un relazionamento critico con il potenziale della microelettronica, fa sicuramente parte anche il non definirsi come mero "consumatore", e il non lasciarsi programmare come un cane, da un campanello, ad afferrare salsicce, permanentemente, davanti a tutte le mode ed innovazioni inventate dal marketing capitalista. Che il CD non sia stato un grosso miglioramento in relazione all'LP (forse più gustoso), si deduce da quel che dicono molti amanti della musica. Se un simile esempio abbastanza fortuito si possa o no applicare - ci fa quanto meno sospettare che non sia stato ammesso a caso per un'eventuale osservazione, ma è stato causato da lamentele verbali e scritte provenienti da diverse parti, e realizzato come una dichiarazione teorica centrale. Il che significa, conseguentemente, che qui il problema non è la ragionevolezza tecnologica del CD, ma che si incontra una coscienza che viene resa prigioniera, a priori, "identitariamente", dei cicli e delle mode tecnologiche del consumo capitalista.

 

Domanda 9: Sarà perché gli ultimi numeri della Rivista Krisis non contengono una critica erronea a determinate forme di edonismo, che non sviluppano degli aspetti limitati - come fa Günther Jacob in alcuni suoi articoli - ma criticano le apparenze di un punto di vista conservatore? Günther Jacob sbaglia riguardo alla critica che fa dell'approccio del Gruppo Krisis su questo punto?

Risposta 9: A partire dagli anni '80, il cosiddetto edonismo, che si diffonde come una piaga, è altrettanto astratto del "lavoro" capitalista, e ne è solamente il suo rovescio. Quest'edonismo è irriflesso, superficiale e si auto-inganna sistematicamente per quanto riguarda le forme capitaliste di mediazione del consumo. Fare festa, ubriacarsi e godersi la musica pop ha fatto parte della cosiddetta generazione 89 e anche prima di essa, senza che queste persone avessero la minima idea di dotare i loro piaceri banali di grandi concetti "teorico-sociali", o addirittura di ampliarsi secondo una qualche sorta di strategia. La sinistra pop, a quanto pare, amerebbe ancora trasformare selvaggiamente il proprio shopping in un atto critico. Quello che vorrebbe - di imporre la "festa" con un gesto quasi "rivoluzionario" in una "società dell'avventura" casinò-capitalista postmoderna - in realtà gioca solamente un ruolo ridicolo.

Si può avere l'impressione che alcuni degli ideologhi del carnevale socializzato negli anni '80 immaginassero, come oggetto della loro critica, lo spauracchio di un capitalismo anni '50 demodé e triste - già decaduto da tempo - solo per non aver bisogno di riflettere criticamente sul proprio universo di vita capitalista, globalizzato e postmoderno. Il giochetto di una simile pseudo-critica per mezzo di un'ultra-affermazione era già finito da molto tempo e venne spinto all'assurdo. Corrispondeva all'ideologia positivista del consumo del "Gruppo Marxista", del '68 dei tempi andati, cercare di mobilitare in maniera acritica le necessità capitaliste che lo stesso capitalismo non era in grado di soddisfare. Se oggi questa primitiva "teoria della rivoluzione" si riproduce in maniera ampliata nel suo travestimento pop-culturale postmoderno, possiamo soltanto dire che i suoi seguaci, in qualche modo, si troverebbero meglio nel ramo pubblicitario, piuttosto che nel contesto della critica del valore.

Ogni studente del primo anno di facoltà ed ogni redattore di una rivista culturale che entra un po' nella scia del pop culturalismo e del decostruzionismo, oggi ritiene di poter lanciare l'accusa di "conservatorismo culturale" o di "pessimismo culturale", per riuscire a contribuire, con la sua partecipazione all'industria culturale all'apparenza gloriosa di una critica particolarmente affascinante. Di fatto, è altamente conservatore invocare la cosiddetta cultura alta contro la cultura pop e/o voler rianimare la cultura borghese del 19° secolo, oramai passata e morta con la prima guerra mondiale, contro la cultura di massa del capitalismo tardivo. Oggi, tali atteggiamenti difficilmente vengono ancora adottati, tanto nella sinistra quanto nella stessa impresa capitalista. Ormai l'università, secondo il grande programma d'insegnamento tedesco, si dedica alla produzione pop dell'industria culturale. L'asserito conservatorismo culturale è, a sua volta, soltanto uno spaventapasseri anacronistico dei postmoderni, i quali coltivano essi stessi un positivismo culturale ordinario ed affermativo. E' soltanto l'altra faccia della moneta del pessimismo culturale.

Al contrario di tutto questo, la critica del valore è potenzialmente anche critica radicale della cultura e, di fatto, critica di tutta la storia e della struttura dello sviluppo culturale capitalista (sia la cosiddetta alta cultura che la cultura di massa). Che Adorno, nella sua critica culturale o sociale in generale, contenga elementi conservatori, e che in parte abbia idealizzato un soggetto (culturale borghese) della circolazione, apparentemente sovrano in un passato immaginato, è cosa che viene criticata in dettaglio sulla Rivista Krisis, per il dispiacere di "ISF" e della Rivista Bahamas. Adorno non si esaurisce, però, in questi momenti culturali conservatori, e molti dei suoi commenti critici culturali non hanno niente a che vedere con il futile postmodernismo della "sinistra" attuale. Dal nostro punto di vista, la critica culturale dev'essere sviluppata come momento della critica del valore e dev'essere estesa all'attuale cultura di massa postmoderna. Di questo fa parte anche l'analisi storica della "valorizzazione" della cultura in quanto oggetto industriale della produzione capitalista, la critica dell'estetica della merce, la critica di un consumismo estetizzato nel contesto della medializzazione capitalista, ecc..

Per quel che riguarda Günther Jacob, nonostante egli fornisca alcune buone analisi di alcune sciocchezze pop culturali, tuttavia è sempre rimasto alla superficie empirico-sociologica. Gli è che non è mai riuscito a raggiungere la critica della forma-valore sociale e quella del suo "soggetto automatico", ma è stato piuttosto uno di quelli che ha solamente "completato" il vecchio sociologismo classista immanente al valore, attraverso ampliamenti culturali decostruzionisti. Concetti come "estetica della merce" o "mistificazioni economiche", ecc., appaiono in tali testi come corpi estranei e non sono mediati sistematicamente con l'argomento stesso, specialmente se si considera che, nello spettro dell'ideologia postmoderna in voga, il problema del feticismo, per noi centrale, è stato esplicitamente gettato nella spazzatura.

Tutta la chiacchiera circa un presunto "incremento della ricchezza e delle abilità e necessità dei soggetti" ben all'interno dell'industria culturale, è puramente e scandalosamente falso. Una critica superficiale a livello delle apparenze si svalorizza nel lungo periodo se tralascia la questione essenziale della costituzione capitalista, e finisce per galleggiare sull'assunto principale in maniera affermativa e positivista, relativamente alla cultura. In opposizione a questo, la nostra posizione considera e mobilita il concetto di rifiuto. Anche lo sviluppo cosciente di un'anti-cultura che si discosti dall'industria culturale e la saboti, anziché depositare falsamente in essa dei potenziali di emancipazione.

 

Domanda 10: Ci sono due progetti concreti che sono stati proposti nell'articolo di Robert Kurz [Antieconomia ed antipolitica]. Qui, soprattutto, vengono indicati tre punti: la fondazione delle cooperative di consumo, delle cooperative di costruzione di alloggi, e dei bar autogestiti. Potete spiegare meglio perché tutti questi progetti, che sono già stati sperimentati prima, non sono solo progetti sociali di nicchia, ma questa volta possono avere un impatto sociale maggiore? Inoltre, tali progetti finora hanno sempre fallito, a causa dei loro stessi obiettivi troppo esigenti. Perché ora invece dovrebbero funzionare?

Risposta 10: Ugualmente, si potrebbe chiedere a Krisis delle elezioni dell'Unione cristiano-democratica o sull'appartenenza al sindacato delle microimprese. Il fatto è che queste cose si trovano nel citato articolo della rivista sulla questione del superamento, altrettanto poco del suggerimento di aprire dei "bar autogestiti". Sembra che abbiate letto un altro testo. Un bar, come si sa, è un negozio che sta sul mercato dei servizi per vendere qualcosa. Quasi la metà dell'articolo di Robert Kurz sulla "Antieconomia e l'antipolitica" critica esattamente la fondazione di piccole imprese o cooperative ai fini della partecipazione alternativa al mercato, in quanto fondamentalmente è un vicolo cieco. Per poter avere una prospettiva di trasformazione per il superamento del sistema produttore di merci, è decisivo superare la forma di mediazione sociale (valore, merce, denaro), cosa di cui nella storia del movimento operaio non si è mai seriamente dibattuto, né nella variante del socialismo di Stato né in quella del socialismo cooperativista.

La prospettiva di "svincolamento" dalla forma-merce, da noi discussa, è rivolta all'esatto opposto di una partecipazione alternativa nel mercato, cioè, all'organizzazione di un ritiro di certe aree della riproduzione dalla mediazione del mercato. Pertanto, le "cooperative" per così dire (se si vuole dare ad esse un nome del genere) non comprano cose per poi in seguito rivenderle con un accrescimento per mezzo del lavoro, ma piuttosto, al contrario, comprano, o perfino si appropriano di, qualcosa rielaborandolo per il proprio consumo, senza ritornare così al mercato. Si tratta pertanto di appropriarsi di determinati elementi (in primo luogo direttamente raggiungibili) della riproduzione profondamente differenziata che il mercato ha assunto sotto la pressione della valorizzazione capitalista e di strapparli al mercato al fine di produrre in territori socio-economici in un certo qual modo autonomi, dove un'istanza di auto-comprensione diretta sostituisca la forma-valore. Il riferimento alle cooperative di consumo e di abitazione, non rappresenta un qualche suggerimento pratico immediato, ma serve piuttosto soltanto ad illustrare l'argomento teorico (ed anche a mostrare che tali forme "inverse" dei settori non di mercato esistevano già storicamente, con puntualità, nel movimento operaio socialista collegato alla politica di Stato, senza che questo, tuttavia, divenisse cosciente e venisse sviluppato teoricamente e praticamente).

Al di là di questo, basicamente, non trattiamo il tema dello "svincolo" a livello di progetti individuali "qui ed ora", ma unicamente come una prospettiva parziale per un movimento sociale futuro che possa allo stesso tempo proseguire la lotta degli interessi immanenti al sistema (salario, riduzione del tempo di lavoro, trasferimenti sociale, ecc.) con maggior durezza, qualora siano mediati da un obiettivo di svincolamento e di superamento; questo vale anche rispetto all'integrazione di altri momenti ed obiettivi di più ampia portata che si riferiscono alla relazione di genere, all'antirazzismo e all'antinazionalismo, alle reti transnazionali, alla critica delle relazioni capitaliste con la natura, alla lotta per le risorse naturali e alle forme di "appropriazione selvaggia", ecc.. Quindi, non si tratta di presunti "progetti di nicchia", bensì di un aspetto importante del movimento di superamento, che superi il vecchio dualismo (strutturalmente borghese) fra "politica" ed "economia" condizionato dalla forma-merce, di partito e sindacato, ecc..

Evidentemente, da parte di un movimento di superamento, è necessaria una discussione critica su tali questioni. Non vogliamo affermare in alcun modo che abbiamo definito e risolto il problema, per così dire ex cathedra, con il mero lancio del concetto di "svincolamento". Non vogliamo, però, metterci a combattere permanentemente contro le interpretazioni meramente denunciatorie dei nostri saggi teorici, che dal punto di vista postmodernista non discutono mai seriamente il superamento della forma-merce. Il fatto di essere percepiti, negli ambienti pop culturalisti e nei discorsi decostruttivisti di moda, solo in maniera peggiorativa, è nella natura dello stesso assunto. Dacché per il modo di intendere apparentemente critico, nei media, nelle mode e nei mondi simbolici capitalisti, la critica del valore in fondo non offre nulla. E' quando invece la sinistra "dell'estetica della vita" si interessa alla critica del valore, che dobbiamo chiederci che cosa abbiamo fatto di sbagliato.

 

Domanda 11: La strategia di superamento da parte del gruppo si basa sulla sua teoria della crisi. Quali effetti hanno i suoi suggerimenti, però, nel caso che il collasso non avvenga?

Risposta 11: E' chiaro che le forme reali di "svincolo" dalla forma-merce e/o gli attacchi diretti alle coercizioni del sistema produttore di merci possono fallire, ma esse non possono essere integrate, per definizione, nella forma dominante. Tale integrazione è possibile solamente se la critica del "lavoro" e della forma-merce viene abbandonata oppure (come è avvenuto con tutte le sinistre finora esistenti) se questa critica non è mai esistita fin dall'inizio o non ha determinato i modi di procedere teorici e pratici.

Tuttavia questo problema non è né arbitrario né accidentale, ma dipende da decisioni meramente morali, e pertanto esterni al problema della crisi; in maniera più o meno conforme al punto di vista agnostico, tutto è possibile, ma è meglio non volerlo sapere con esattezza. Fondamentalmente, questo vuol dire che la critica radicale del valore è formulabile solamente come teoria della crisi. Dal momento che, mentre la socializzazione del valore poteva superare le sue crisi temporanee dell'imposizione, per mezzo di nuovi impulsi di accumulazione su vasto raggio, nel mentre che essa non era ancora del tutto sviluppata strutturalmente, le questioni circa l'emancipazione venivano obbligatoriamente formulate in maniera immanente al valore. Nella misura in cui la formulazione di una critica del valore si trova oltre il marxismo del movimento operaio, essa stessa è di per sé un fenomeno di crisi.

Al di fuori di questo, e al di fuori delle evidenti apparenze del superamento strutturale globale, una seria posizione anticrisi dovrebbe argomentare teoricamente anche sulla crisi dell'accumulazione. Il ragionamento nudo e crudo su "che cosa avverrebbe se non ci fosse nessuna crisi?", ci appare come un'illusione, come il desiderio padre del pensiero. Detto in poche parole, significa che non ci deve o non ci può essere nessuna "crisi finale" perché allora anche tutto il meraviglioso mondo nuovo del culturalismo postmoderno finirebbe giù nello sciacquone. Certamente, una simile ideologia dello struzzo, all'inizio riesce a sopravvivere completamente senza un'argomentazione teorica circa l'accumulazione, e, a partire da quest'attitudine, probabilmente si chiede ancora dove sia il collasso e se potrà mai avvenire un giorno, nello stesso momento in cui le schegge delle distruzioni hanno già cominciato a volare sulle teste di questi signori.

Nella misura in cui i postmoderni se ne escono ancora con un'argomentazione anti-teoria della crisi, questo non solo è disgustoso, ma è anche eccezionalmente debole: reca in sé, in accordo col Ministero della Scienza e della Tecnologia, l'allucinazione di una sorta di capitalismo software, che in tal modo può riuscire a sostituire il dispendio industriale di "nervi, muscoli e cervello" per mezzo di una riduzione post-industriale al solo "cervello", attraverso la quale tutto il processo di mediazione e di creazione del plusvalore verrebbe ad essere eliminato (una simile illusione venne formulata da Habermas negli anni '70). Una posizione anti-crisi di questo genere potrebbe essere pensabile come una posizione di interesse, immanente al valore, di quella già menzionata "classe di lavoratori informatici" precarizzati.

O il problema della sostanza del valore viene gettato nella spazzatura immediatamente, in nome dell'anti-essenzialismo decostruzionista, per poi (come più o meno avviene nell'argomentazione di Baudrillard) ritornare positivamente all'illusione capitalista per cui si rende reale una forma del suo contenuto e postulare la possibilità della perpetuazione del capitalismo da casinò. In entrambi i casi non solo ci si deve separare definitivamente ed esplicitamente dalla teoria di Marx, ma anche dalla realtà (che per fortuna nel postmodernismo già nemmeno esiste più).

 

Domanda 12: Consideriamo i possibili oppositori di una strategia del superamento. A leggere l'ultimo saggio di Robert Kurz, su Krisis, si ha l'impressione che il problema centrale sia la sinistra dogmatica ed i burocrati delle amministrazioni dominate dal partito socialdemocratico. Non ci sono forze più potenti e più influenti che impediscono un cambiamento sociale?

Risposta 12: Tutte le istanze della socializzazione attraverso il valore sono, naturalmente, degli oppositori istituzionali al superamento: il management, gli apparati di Stato e l'industria culturale, così come il lavoro salariato che rimane nella sua maschera di carattere e spera irrazionalmente in nuovi impulsi di prosperità (mentre gli stranieri prendono fuoco). Il riferimento fatto ad un'amministrazione municipale (che, com'è noto, nelle grandi città sono ancora dominate nella maggioranza delle volte dai "potenti pezzi grossi" della retroguardia del partito socialdemocratico) che si oppone ad un movimento di superamento, era collocato in un contesto che parlava di un determinato livello. Quindi, non si è detto assolutamente che le istanze delle autorità capitaliste di ordine superiore non sarebbero degli opponenti; ciò sarebbe del tutto ridicolo. Il fatto che le stesse persone, i gruppi, gli apparati ed i livelli istituzionali agiscono individualmente, con contraddizioni e conflitti che irrompono anche dentro gli apparati, questo dipende, in fin dei conti, dalle forme del percorso della crisi e dei movimenti sociali. Tali rotture e conflitti oggi possono già essere constatati, ma dal momento che non c'è alcun contro-movimento emancipatore, marciscono e continuano dentro l'amministrazione della crisi capitalista. Qualcosa di completamente diverso, è il confronto dento la stessa teoria critica, a proposito di una nuova formulazione della critica sociale. Noi non possiamo farla con Helmut Kohl, Blüm, Schröder o Cromme e Stihl (un presidente della Confederazione dell'Industria e del Commercio). Si tratta di livelli completamente differenti di "opposizione", e sarebbe imbarazzante confonderli. Il fatto per cui l'opposizione sociale reale non si realizzi perché la critica radicale è tornata nella sfera teorica, non può essere preso argomentativamente sul serio al fine di non sviluppare un confronto necessario internamente alla teoria.

Al contrario, è esattamente questa la condizione per renderla in gran parte socialmente attiva, dopo il cambio di paradigma, in quanto la paralisi della critica ha casualmente a che vedere con il fatto che il superamento di questa forma vecchia, inadeguata, non è stata generalizzata e realizzata in maniera sufficiente. Quando dentro la sinistra, ci sono posizioni che si combattono, di modo che visto da fuori sono posizioni difficilmente distinguibili, è chiaro che la cosa sia dolorosa e che ferisce personalmente. Nella dinamica dei gruppi, questo ha qualcosa dei noti litigi degli intellettuali in esilio. Per quanto possibile, andrebbero evitate forme di confronto che portano solo a lavare la biancheria sporca. Ma, in ultima analisi, si tratta di chiarimento dei contenuti, il che non può essere ottenuto per mezzo di "coesistenze semantiche". Per una determinata situazione storica, una determinata questione, un determinato contesto, non esistono molte verità tante quante sono le stelle in cielo. Il relativismo postmoderno, che non vuole arrivare da nessuna parte, è presente anche in ciò che concerne la questione dell'opposizione, e momentaneamente è l'opponente principale interno al pensiero critico.

- Pubblicata su: Joelton Nascimento - "Introdução à Nova Crítica do Valor" - São Paulo 2014

 

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