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Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam!*
Ratzinger, a Roma via Friburgo
di Roberto Fineschi
1. Il “pastore tedesco”
L’evento è stato mondiale, oggi più che in passato. L’esposizione mediatica cui la Chiesa Cattolica (d’ora in poi CC) è stata sottoposta sotto Giovanni Paolo II ha reso l’elezione pontificia un fatto più internazionale che mai. Chi gode della parabola o delle fibre ottiche avrà ammirato in varie lingue – dall’inglese al francese, passando per il tedesco – agonia e funerali del fu regnante, preparativi ed elezione del nuovo: una vera e propria ubriacatura eterea.
Della concezione politico-sociale di fondo – o della Dottrina Sociale che dir si voglia – della CC si è già detto in passato (vedi Contraddizione, n. 77), vediamo che riflessioni si possono fare oggi a proposito del nuovo pontefice: Joseph Ratzinger. Il “pastore tedesco”, come è stato beffardamente ma efficacemente battezzato dal quotidiano “Il manifesto”, ha sfatato la consuetudine per cui chi entra papa esce cardinale; dato per vincente dai bookmaker, ha pagato poco chi ha scommesso su di lui: entrato papa è uscito papa col nome di Benedetto XVI.
Nato in Baviera nel 1927 in una famiglia profondamente cattolica da padre gendarme, non è tuttavia filo-nazista – così si legge nella sua autobiografia1 – anzi vive con apprensione l’entrata in guerra e la politica espansionistica hitleriana. Non ancora diciottenne, Joseph prenderà parte al conflitto nella contraerea – ma lui non spara – quando l’esercito tedesco era arrivato ad arruolare perfino i ragazzini. Studia teologia e si fa la fama di “liberal”, tanto che, giovanissimo, partecipa al Concilio Vaticano II come consulente del cardinal-arcivescovo di Colonia Frings; i buontemponi in rosso lo battezzano bonariamente il “teenager” in quanto, allora poco più che trentenne, tale sembrava in mezzo a tante cariatidi.
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Euroatlantismo. Come l’Occidente va alla guerra
di Giacomo Simoncelli
Quasi due mesi fa è stato pubblicato il 2023 Index of U.S. Military Strenght del think tank Heritage Foundation, istituto molto vicino ai Repubblicani al punto da dedicare il sostanzioso studio al senatore dell’Oklahoma James M. Inhofe.
Non è uno dei nomi più conosciuti al di qua dell’Atlantico, eppure Inhofe è dalla fine del 2017 uno dei più importanti esponenti dello United States Senate Committee on Armed Services, poco dopo ha avuto un ruolo chiave nel promuovere lo stanziamento record di 716 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2019 del Pentagono e da anni è indicato da GovTrack.us – piattaforma nata con l’intento di rendere più trasparente l’attività e la composizione delle camere statunitensi – come tra i membri più conservatori del Congresso, date anche le sue posizioni da negazionista del cambiamento climatico.
Questo per chiarire le idee sull’orientamento politico dell’Heritage Foundation.
Torniamo appunto all’Index. Arrivato alla sua nona edizione, rappresenta una fonte di informazioni straordinaria non solo per conoscere in dettaglio le linee strategiche che guidano gli USA, ma – se messo in relazione con gli indirizzi degli altri attori che in un modo o nell’altro stanno facendo emergere un mondo multipolare – diventa quasi uno strumento di formazione politica, in una fase in cui lo stallo della competizione globale si è rotto.
Questo articolo infatti nasce dalla necessità di indagare la configurazione concreta che sul piano militare l’imperialismo europeo in costruzione potrebbe assumere, con un salto di qualità sospinto dalla guerra in Ucraina, per meglio sapere come e dove combatterla.
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Pacifismo radicale. Non c’è giustizia senza pace
di Francesco Coniglione
La discussione sul pacifismo ha trovato nuovo alimento dalle recenti vicende belliche, di cui la questione Ucraina è la più scottante. Ma una chiarificazione sul suo senso non può incanaglirsi nella discussione minuta dei singoli fatti o nella esibizione più o meno impattante di morti e distruzioni, magari con attribuzioni di colpe che fanno proprie in modo acritico la versione di uno dei due contendenti. È necessario, a mio avviso un discorso più di fondo, che parte dalla radice e che quindi dia del pacifismo una lettura “radicale”.
A tale fine vorrei partire da un assunto da me presupposto a tutto il ragionamento che verrà: nessun valore, nessun ideale, nessuna visione del mondo o ideologia può valere più della vita di uomini, donne, anziani e soprattutto bambini. Non v’è nessuna giustificazione, di nessun tipo, che possa essere addotta per la morte e lo spegnersi del sorriso di un fanciullo, nessuna libertà o indipendenza che possa essere ritenuta prioritaria rispetto alla distruzione, della miseria e della sofferenza di una popolazione.
Perché alla morte non c’è riparo e una vita spezzata lo è in modo definitivo, mentre qualsiasi altro valore o principio, se perduto, può essere riconquistato, ritrovato: la storia non è mai “per sempre” e ogni condizione politica, sociale, economica può essere cambiata col tempo e la perseveranza degli uomini. La vita è invece data una sola volta e la morte è irreversibile.
Vedo subito la prima obiezione: con questo atteggiamento ciascuno – uomo o popolo – sarà preda del primo violento che se ne voglia approfittare. E di fronte a tale tipo di violenza, si ritiene che vi possa essere una “guerra giusta”, per difendere se stessi e i propri cari.
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Tra il 2022 e il 2023: ombre e chiavi di volta
di Vincenzo Comito
Guerra, inflazione, shock energetico: vediamo in dettaglio gli eventi chiave dell’anno che sta finendo cercando poi di mettere in campo qualche previsione per il 2023
Siamo alla fine del 2022, anno che non ha portato in generale molte buone notizie al mondo (riferendosi all’ano che sta finendo Martin Wolf sintetizza la questione in tre parole: “guerra, inflazione, shock energetico”) (Tindera, Wolf, 2022); comunque, in queste note cerchiamo di fare il punto su alcuni eventi svoltisi in questo periodo e di mettere in campo alcune previsioni per il nuovo anno ed oltre.
Il mondo, il continente europeo e l’Eurozona
L’Ocse, dopo aver stimato la crescita dell’economia mondiale al 3,1% nel 2022 (comunque in ritirata rispetto a precedenti stime), valuta ora quella del 2023 al 2,2%, in notevole riduzione rispetto all’anno precedente (altre istituzioni parlano per la verità del 2,7%). Peraltro, nelle stime dell’ente appaiono grandi differenze tra le varie aree del globo; come in passato a tirare la volata è l’Asia: così, per l’India è prevista una crescita del 6,2%, del 4,6% per la Cina, mentre per gli Stati Uniti si pensa ad uno 0,5% (di nuovo, qualcun altro è più ottimista).
Al di là delle cifre, i rappresentanti del Fondo Monetario e della Banca Mondiale si mostrano molto preoccupati per delle prospettive globali che si vanno deteriorando (The Economic Times, 2022). Il direttore generale del Fondo, Kristalina Georgieva, ha di recente dichiarato che gli indicatori disponibili mostrano ulteriori riduzioni delle prospettive economiche globali, mentre David Malpass, capo della Banca Mondiale, si mostra preoccupato per il rischio di una recessione a livello mondiale (The Economic Times, 2022).
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Miti e misfatti dell’attuale crisi energetica
di Giorgio Ferrari
Con la distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 (avvenuta lo scorso 26 settembre), L’Europa ha tagliato i ponti dietro se stessa. Quale nazione, tra quelle aderenti alla Nato, l’abbia materialmente portata a termine -giunti a questo punto del conflitto in corso – potrebbe risultare secondario, visto che nessun paese europeo se l’è sentita di smentire la versione mass-mediatica che ne è stata fornita: quella di un auto sabotaggio russo. Che sia stato impossibile per i russi sabotare i propri gasdotti (a parte l’evidente mancanza di tornaconto), lo dimostrano – oltre ogni ragionevole dubbio – le mappe numero 1 e 2 sopra riportate, facenti parte della valutazione di impatto ambientale sul gasdotto Nord Stream 2, commissionata nel 2018 dalla Agenzia Danese per l’energia.1 Nella Mappa n. 1 sono evidenziati i punti delle esplosioni che ricadono in un’area classificata dal Governo danese come “zona di tiro” per esercitazioni militari (tratteggiata in rosso nella Mappa n. 2), peraltro confinante con una vasta zona (tratteggiata in nero) riservata alle manovre dei sottomarini, zone in cui lo scorso luglio si svolse una esercitazione navale della Nato.2
Oskar La Fontaine, in una recente intervista, ha lasciato intendere chiaramente che l’attentato – di cui a Berlino si sa tutto – non può essere avvenuto senza il consenso di Washington e che si tratta di un atto di guerra contro la Germania. La Fontaine ha militato nella sinistra ma, da buon tedesco, mette al primo posto le sorti della Germania invece che quelle della popolazione civile europea che, come scrissi a suo tempo3, è la vittima reale di questi attentati i cui effetti si stanno delineando assai più gravi di quanto si lasci intendere all’opinione pubblica.
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XX Congresso del Partito Comunista Cinese
di Fosco Giannini
Socialismo con caratteri cinesi e ruolo della Cina nel quadro internazionale. Sintesi dell'intervento conclusivo di Fosco Giannini al Convegno di sabato 26 novembre 2022 (tenutosi presso la Sala della Cooperativa Editrice Aurora in via Spallanzani, a Milano e organizzato da "Cumpanis" e "Gramsci Oggi") sul XX Congresso del PC Cinese
Si è svolto a Pechino, dal 16 al 22 ottobre 2022, il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, un Congresso “di grande importanza sia per la Cina e il suo popolo che per la stessa dinamica internazionale”, come ha tenuto ad affermare in modo “understatement” ma con nettezza politica, lo stesso compagno Zou Janjun, Consigliere dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese, in un proficuo incontro tenutosi lo scorso 18 novembre con una delegazione di “Cumpanis”.
La Risoluzione finale del XX Congresso, approvata il 22 ottobre, mette a fuoco i 5 punti fondamentali scaturiti dai lavori congressuali:
– il rilancio del “socialismo dai caratteri cinesi”, della “Belt and Road” e dell’impegno e della lotta, da parte del governo cinese e del Partito Comunista Cinese, per la pace attraverso la cooperazione e la solidarietà internazionale, ciò in un tutt’uno dialettico e armonico, in cui tutte le parti si tengono l’una con l’altra;
– la presa d’atto, peraltro, della nuova tensione internazionale prodotta dall’aggressività imperialista a guida USA e NATO scatenata sull’intero fronte mondiale e dalla conseguente e oggettiva esigenza di rafforzare l’intera struttura militare cinese, in un quadro generale che vede le continue provocazioni USA sulla “questione Taiwan” (Taiwan che il XX Congresso del PC Cinese ribadisce essere parte storica e inalienabile della Cina) come un segno, tra gli altri, della pulsione di guerra degli USA;
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Corruzione nei palazzi di Bruxelles e nell’establishment di sinistra
Questione di legalità e questione morale
di Gaspare Nevola
1. Né Spinelli, né Berlinguer. Non c’è santo per i ceri dei devoti ipocriti
«Centomila euro per le vacanze di Natale? ‘Troppi, non possiamo fare come l’anno scorso’, si lamenta al telefono con il marito la signora Panzeri» (Libero). Già solo questa frase dice molto sulla corruzione “ai piani alti” di Bruxelles. Ma anche su come ragionano e si comportano in tema di corruzione coloro che sono stati colpiti dallo scandalo venuto alla luce in questi giorni: calcolano e giocano a nascondere il loro malaffare dietro un uso scaltro e spregiudicato della legalità.
Da giorni i quotidiani italiani, chi più chi meno, aprono con titoli a caratteri cubitali sulla corruzione scoperta dai magistrati belgi in seno al Parlamento europeo e nel gruppo socialista. Gli accenti e commenti delle varie testate sono anche differenti, ma la sostanza sullo scandalo è la stessa e condivisa. È utile documentarli con una breve rassegna. Prendiamo a campione le parole del 12 novembre: “Soldi, favori: choc in Europa. Il caso Qatar, sacchi di banconote a casa del vice presidente del Parlamento Ue. Vacanze da 100 mila euro e intrallazzi: le accuse ai Panzieri”” (Corriere della Sera); “Eurocorruzione. Nella casa di Panzeri 600 mila euro. L’accusa: la rete dell’ex deputato Pd ha distribuito per anni le mazzette dell’Emirato. La presidente del parlamento Ue sospende la sua vice. S’indaga pure sui soldi dal Marocco” (la Repubblica); “La tangentopoli in Europa. Così il Qatar pagava i politici. Articolo 1 sospende l’ex deputato, indagato anche un assistente di un eurodeputato Pd” (La Stampa); “Qataritangenti.
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“Guerra cognitiva”: la NATO sta pianificando una guerra per le menti delle persone
di Jonas Tögel
Dal 2020, la NATO ha portato avanti i piani per una guerra psicologica che deve stare su un piano di parità con le cinque precedenti aree operative dell’alleanza militare (terra, acqua, aria, spazio, cyberspazio). È il campo di battaglia dell’opinione pubblica. I documenti della NATO parlano di “guerra cognitiva” – guerra mentale. Quanto è concreto il progetto, quali passi sono stati compiuti finora e a chi è rivolto?
Per essere vittoriosi in guerra, bisogna vincere anche la battaglia per l’opinione pubblica. Questo viene svolto da oltre 100 anni con strumenti sempre più moderni, le cosiddette tecniche di soft power. Questi descrivono tutti quegli strumenti psicologici di influenza con cui le persone possono essere guidate in modo tale che esse stesse non si accorgano di questo controllo. Il politologo americano Joseph Nye definisce quindi il soft power come “la capacità di convincere gli altri a fare ciò che si vuole senza usare la violenza o la coercizione”.(1)
La sfiducia nei governi e nei militari sta aumentando , mentre la NATO sta intensificando i suoi sforzi per usare una guerra psicologica sempre più sofisticata nella battaglia per le menti e i cuori delle persone. Il programma principale per questo è “Cognitive Warfare” . Con le armi psicologiche di questo programma, l’uomo stesso deve essere dichiarato il nuovo teatro di guerra, il cosiddetto “Dominio Umano” (sfera umana).
Uno dei primi documenti della NATO su questi piani è il saggio del settembre 2020 “NATO’s Sixth Domain of Operations” , scritto per conto del NATO Innovation Hub (abbreviato: IHub ). Gli autori sono l’americano August Cole , ex giornalista del Wall Street Journal specializzato nell’industria della difesa che da diversi anni lavora per il think tank transatlantico Atlantic Council, e il francese Hervé le Guyader.
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Elezioni di Medio Termine in USA
Una nuova epoca è cominciata?
di Fulvio Winthrop Bellini
Prima premessa: una nuova epoca storica è cominciata
Sono necessarie, a mio avviso, alcune premesse per fare chiarezza sui risultati delle importanti elezioni di medio termine avutesi negli Stati Uniti d’America l’8 novembre scorso. Queste premesse si rendono indispensabili a causa della cortina di fumogeni che i mass media di regime, soprattutto qui in Italia, hanno steso per minimizzare l’importanza del giudizio che gli elettori americani hanno emesso nei confronti della politica del Presidente Joe Biden sia domestica sia estera, che nel secondo caso si è concretizzata nel sostegno incondizionato al regime del presidente-attore-burattino Volodymir Zelensky. Grazie al fiume di denaro e di armi inviate al regime nazistoide di Kiev, Washington ha potuto parallelamente perseguire la sua strategia principale di aggressione finanziaria nei confronti dell’Unione Europea grazie ai prezzi gonfiati di energia e materie prime, mentre dall’altro capo dell’Oceano, la comunità politica europea sta collaborando con l’aggressore americano, porgendo il collo dell’economia comunitaria alla mannaia dell’inflazione del dollaro. Paesi altrettanto importanti per gli Stati Uniti, però, non desiderano fare la medesima fine di Bruxelles: la Cina, ad esempio, si sta attrezzando per una nuova stagione di conflitti globali, come emerso dall’ultimo congresso del Partito comunista cinese che ha visto la straordinaria riconferma per il terzo mandato di Xi Jinping. Le elezioni di medio termine sono state un giudizio che la classe dirigente americana, tramite il voto per il rinnovo totale della Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato, ha emesso nei confronti della strategia della Casa Bianca di guerra su tre fronti, che vedremo più avanti. La valutazione elettorale emessa l’8 novembre è rilevante perché rilevanti sono i tempi nei quali siamo entrati “ufficialmente” a partire dal 2020 con la pandemia del Covid-19 nel primo biennio e la successiva guerra in Ucraina del 2022.
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Pensa un po’…
di Elisabetta Teghil
«Pensa un po’, pensa un po’: avvitare due bulloni e il terzo no».
(Pensa un po’, Paolo Pietrangeli 1969)
Ci sono due problemi urgenti all’ordine del giorno: uscire dal pensiero del nemico, reiventarsi e attualizzare le forme di lotta che l’universo dei subalterni deve mettere in campo pena l’usura anche di quel poco che si sta risvegliando.
Quando gli operai negli anni sessanta e settanta del secolo scorso presero consapevolezza del loro ruolo e dei loro desideri riuscirono a mettere in atto forme di lotta autonome ed originali. Il salto di qualità della lotta operaia si è concretizzato con l’abbandono della logica lavorista. Il cambiamento importante era stato la nascita dell’operaio-massa e cardine dei primi comportamenti anti-lavoristi degli anni Sessanta era stato l’assenteismo perché era diventato chiaro che l’<abitudine al lavoro> non è altro che <disponibilità ideologica a subire lo sfruttamento>. Vennero messe in pratica operazioni che si concretizzarono nel salto della scocca, nello sciopero a singhiozzo e a gatto selvaggio, nel boicottaggio, nel sabotaggio. E i grandi impianti industriali di organizzazione tayloristica si mostrarono fragili rispetto a questo tipo di lotte.
Ora il neoliberismo ha cambiato in primis nelle società occidentali le modalità dello sfruttamento. Ora ha la pretesa di appropriarsi di ogni più piccolo aspetto della vita anche del quotidiano e del privato e di metterlo a profitto, ha affinato la capacità di estorcere plusvalore dalla nostra stessa esistenza e dalla nostra disponibilità attraverso tutta una serie di meccanismi di precarizzazione e individualizzazione dei rapporti di lavoro, attraverso la messa a profitto dei nostri desideri e delle nostre paure, dei nostri stessi rapporti sociali e perfino delle nostre lotte.
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La crisi della "politica zero Covid" cinese: un confronto con l'Italia (e in generale l'occidente collettivo)
di Leonardo Sinigaglia
Il semplice fatto che gli stessi figuri che gioirono per i lavoratori sgomberati a colpi di idrante a Trieste e che si impegnarono nella sistematica censura di ogni manifestazione critica rispetto alla gestione pandemica in Italia siano ora impegnati nell’esaltare le proteste cinesi come “lotte per la libertà” e dare risonanza mediatica anche ad assembramenti di poche dozzine di persone avvenuti letteralmente dall’altra parte del mondo dovrebbe essere già un campanello d’allarme. Perché se si vuole comprendere veramente che cosa sta avvenendo in questi giorni in Cina non si può non tenere conto di questo fatto: una certa chiave di lettura proposta ora da media e personaggi pubblici è quantomeno strumentale, se non completamente falsata.
La "politica zero Covid" cinese
Prima di tutto per comprendere cosa sta accadendo in diverse città cinesi serve capire in cosa consiste la “politica zero Covid”, ossia la strategia di gestione pandemica applicata nel paese sin dai primi giorni del 2020. Questa si basa sulla constatazione che, per l’altissima densità abitativa e la disparità geografica delle risorse, la Cina non disporrebbe delle risorse sanitarie necessarie a far fronte ad una diffusione incontrollata o prolungata del virus. Ciò appare evidente andando a vedere la disponibilità di posti letto, circa 5 ogni mille abitanti, che nonostante la progressiva crescita di questi ultimi anni risultano complessivamente ancora insufficienti ai bisogni della popolazione, soprattutto nelle zone rurali.
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Tempeste e bicchieri. A margine della crisi di nervi tra Francia e Italia sull’Ocean Viking e le migrazioni
di Gaspare Nevola
Tempeste e bicchieri tra Francia, Italia, Unione Europea e Ong. E poi ci sarebbero anche le migrazioni, che un Macron prende a suo modo sul serio, che un Salvini non riesce a farsi prendere sul serio, che una Meloni ci prova, che un Conte e un Letta sono in tutt’altro affare affaccendati. Sotto il vigile balbettio di Bruxelles e un Quirinale enigmatico che conversa a un altro tavolo… Ma qui si parlerà di cose meno frizzanti. A qualcuno fischieranno le orecchie, a qualcun altro non sarà possibile. E agli altri? Per chi cerca letture con più appeal e mordace elettricità, cerchi altro, cerchi altro su cui posare gli occhi per leggere. In giro non mancano… e buona fortuna
1. Roma e Parigi ai ferri corti, l’Unione Europea balbetta
Attraversare le tempeste cercando di contenerle in un bicchiere. Questa sembrerebbe la filosofia e la strategia politica con cui spesso l’Unione Europea cerca di venire a capo dei problemi che sfidano il mondo contemporaneo e mostrano tutte le ambiguità dell’integrazione e dei propositi di una sedicente Unione europea.
Far fronte alle ondate migratorie, regolare gli sbarchi delle sventurate persone che le navi Ong raccolgono perlustrando le acque del Mediterraneo e che pressano sulle coste dei Paesi che vi si affacciano, ridefinire impegni e criteri di gestione dei flussi e dei ricollocamenti degli immigrati portati all’approdo in terra europea. Queste alcune voci salienti del tema e della discussione che affollano le cancellerie e i media, ormai da qualche decennio. In questi giorni l’Unione Europea si è impegnata a varare un piano in 20 punti volto a perseguire i suddetti e altri connessi obiettivi. La spinta a rimettere mano alla materia è arrivata dall’esigenza di fare rientrare le tensioni esplose tra Francia e Italia a metà novembre. La Commissione europea intende rilanciare un Action Plan allo scopo di dare una soluzione alle «sfide attuali ed immediate» che vengono dalle sgovernate rotte migratorie del Mediterraneo centro-meridionale.
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Economia e guerra
di Rossana De Simone, Andrea Fumagalli, Christian Marazzi
Pubblichiamo la trascrizione dell'incontro «Economia e guerra», seconda parte di un dibattito intitolato «Guerra o rivoluzione. Capire la guerra per capire come combatterla», tenutosi durante il festival di Derive Approdi di fine settembre. Gli interventi di Christian Marazzi, Rossana De Simone e Andrea Fumagalli, che dialogano con le relazioni di Maurizio Lazzarato e Cristina Morini che li hanno preceduti, si inseriscono in una riflessione che abbiamo portato avanti con Transuenze negli ultimi mesi. Abbiamo chiesto ai relatori se la palese tendenza al riarmo a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi possa preludere ad un ritorno al keynesismo militare come modalità di rilancio del ciclo economico. Bisogna naturalmente intendersi sul concetto di «keynesismo militare», concetto utilizzato più per eredità storica che per correttezza formale. Quello che ci interessa capire è in che modo il «ritorno» dello Stato al centro dei processi regolativi per coniugare ciclo economico e interessi di difesa nazionale (quello che è stato definito «nuovo capitalismo politico») e il tentativo (se c'è davvero) di ricostruzione di nuovi blocchi sociali (attorno alla stessa questione della guerra?),si coniugano con le fibrillazioni geopolitiche ed una guerra scoppiata nel cuore dell'Europa.
* * * *
Christian Marazzi
Il capitalismo è nato come atto di guerra, la privatizzazione dei beni comuni è stata pura violenza contro coloro che fino a quel momento potevano disporne e vivere grazie ad essi. Sono d’accordo con Maurizio Lazzarato quando ribadisce la centralità della questione monetaria, nella fattispecie del dollaro, e che la globalizzazione ha camminato di pari passo con la dollarizzazione, con qualche sfumatura negli ultimi dieci anni che andrebbe tenuta in considerazione per spiegare anche lo sbocco bellico nell’Europa centrale.
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Alcune riflessioni sulla Matrix della Grande Menzogna
di Alberto Bradanini
Catlin Johnstone, una giornalista australiana eterodossa, in una sua angosciata analisi[1] afferma che la terza guerra mondiale è oggi una prospettiva che i media mainstream – e dunque i loro padroni su per li rami della piramide – ritengono possibile, come fosse un’opzione come un’altra. L’oligarchia occidentale e il suo megafono mediatico sono così usciti dal solco della logica e del buon senso, dando un lugubre contributo alla locomotiva che potrebbe condurre il mondo alla catastrofe.
Secondo un nugolo di cosiddetti esperti, alcuni qui di seguito menzionati, gli Stati Uniti devono aumentare subito e di molto le spese militari, perché occorre prepararsi a un inevitabile conflitto mondiale.
Questa patologica esegesi della scena internazionale viene presentata senza alcuna prova e con la veste di una necessità ontologica, come un incendio destinato a scoppiare per autocombustione. Il menu viene poi arricchito con l’elencazione dei nemici pronti a invadere l’Occidente, fortunatamente protetto dalla pacifica nazione americana, la sola in grado di difendere le nostre democratiche libertà.
Il funesto allargamento della guerra in Ucraina – che, coinvolgendo nazioni in possesso dell’arma nucleare, porterebbe allo sterminio della razza umana – sarebbe dunque l’esito di una congiunzione astrale come la gravitazione della luna sulle onde del mare. Essa non dipenderebbe – come invece pensano miliardi di persone al mondo, del tutto ignorate, ça va sans dire – dalla patologia di dominio e di estrazione di ricchezze altrui da parte di quella superpotenza che decide fatti e misfatti del governo ucraino e che dispone del potere di porre fine alle ostilità in qualsiasi momento, se solo rinunciasse alla sua irrealistica strategia di dominio unipolare del pianeta (una valutazione questa condivisa da numerose personalità e studiosi statunitensi, anch’essi ignorati).
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La Russia ha bombardato la Polonia!
di Fosco Giannini
Se oggi in Italia vi fossero stati gruppi dirigenti comunisti con i coglioni, essi avrebbero manifestato immediatamente e vigorosamente in via Solferino 28, a Milano, sotto le finestre del Corriere della Sera. E immediatamente si sarebbero organizzati per manifestare in via S. Valentino 12, di fronte all’Ambasciata della Polonia a Roma e in Via Vittorio Veneto 121, di fronte all’Ambasciata degli USA a Roma.
Ma di comunisti italiani non se n’è vista l’ombra: alcuni di loro sono impegnati, ancor più della Meloni, a fustigare Putin e la Russia; altri sono ancora molto indaffarati nel distruggere il loro partito per mantenere caldo l’abbraccio con dei soci improbabili e comunque molto antirussi e anticinesi; altri ancora soffrono da tempo di paralisi politica e grave affanno nella deambulazione semplice.
Perchè i comunisti avrebbero dovuto immediatamente raccogliersi nella milanese via Solferino, sotto le finestre del Corriere della Sera?
Perchè l’editoriale del “Corsera” di mercoledì 16 novembre di Danilo Taino dal titolo “Sempre più isolato” (riferito a Putin) è stato una pura vergogna! E’ stata una volgare ed untuosa piroetta servile di un Arlecchino servo di tre padroni: gli USA, la NATO e l’UE.
A proposito delle esplosioni avvenute in Polonia, al confine con l’Ucraina nella notte di martedi 16 novembre e a proposito dei due poveri morti contadini, Taino scrive: “Vladimir Putin non è andato a G20 di Bali. Si è però fatto sentire con l’unica voce che gli sia rimasta: un barrage di almeno 90 missili sull’Ucraina.
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