Print Friendly, PDF & Email
micromega

Quanto stato d’eccezione può permettersi la democrazia?

di Alessandro Somma

stato emergenza 510Da alcuni giorni è stato proclamato nella Francia metropolitana, ovvero nella parte europea del Paese, lo stato d’eccezione, le cui conseguenze sono elencate in due diversi decreti varati dall’esecutivo[1]. In tutto il territorio le autorità amministrative possono ora limitare la libertà di circolazione, regolamentare o vietare il soggiorno delle persone, nonché disporre perquisizioni di giorno e di notte. Nell’Ile-de-France, la Regione di Parigi, si potrà anche obbligare chi è ritenuto una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico a soggiornare in determinate zone delimitate, oltre che chiudere i luoghi di spettacolo, di mescita di bevande e di riunione di qualsiasi natura, e impedire gli assembramenti considerati idonei ad alimentare disordini.

In virtù di questi decreti, le autorità amministrative, senza il controllo della magistratura come si addice allo stato di eccezione, hanno disposto misure come la chiusura di scuole e università, il divieto di tenere manifestazioni nella regione parigina, oltre a centinaia tra perquisizioni, interrogatori e ordini di soggiorno su tutto il territorio nazionale.

Tutto questo è previsto da una legge emanata all’epoca della guerra d’indipendenza algerina[2], il conflitto che non a caso determinò la fine della Quarta e l’avvento della Quinta Repubblica, ovvero la sconfitta del parlamentarismo e la vittoria del presidenzialismo voluto dal Generale de Gaulle. In un solo caso, oltre a quelli legati alle vicende che accompagnarono l’indipendenza algerina, lo stato d’eccezione venne decretato sul territorio metropolitano: quando, nel 2005, vi fu la cosiddetta rivolta delle banlieu. Allora fu necessario coinvolgere il Parlamento, dal momento che l’esecutivo volle far durare lo stato d’eccezione oltre i dodici giorni, e ciò è possibile solo con un’apposita legge. Anche questa volta si arriverà a questo, giacché François Hollande ha già anticipato l’intenzione di prorogare la misura di almeno tre mesi.

Non solo: il Presidente della Repubblica ha espresso la volontà di modificare la Costituzione per consentire allo Stato di raccogliere la sfida terroristica, ovvero per cancellare le tutele della persona che dovessero ostacolare la difesa dell’interesse nazionale, e ha inoltre chiesto al Parlamento di modificare quanto prima la legge che disciplina lo stato d’eccezione per ampliarne il perimetro e la durata. Ed è facile intuire che, sull’onda dell’emozione, si finirà per assecondare subito quest’ultima richiesta, accordando all’esecutivo il potere di sospendere in modo ancora più incisivo diritti fondamentali, ovvero molti più di quanto è già possibile con la legge del 1955: che autorizza anche a comprimere la libertà di informazione e ad affidare alla giustizia militare i processi per determinati reati. Facile intuire poi che tutto questo diverrà possibile senza interpellare il Parlamento anche se si tratterà di proclamare lo stato d’eccezione per periodi più lunghi degli attuali dodici giorni.

Il tutto mentre, in risposta all’attentato alla redazioni di Charlie Hebdo nel maggio di quest’anno, un provvedimento legislativo aveva già comportato forti limitazioni ai principi fondamentali della segretezza della corrispondenza, dell’inviolabilità del domicilio e della protezione dei dati personali[3]. Tanto che numerose organizzazioni, incluse quelle rappresentative degli avvocati e dei magistrati, avevano parlato di sorveglianza generalizzata della popolazione.

E’ evidente che le vittime della violenza terrorista abbattutasi su Parigi nella tragica notte del 13 novembre non sono solo le persone che hanno perso la vita o sono rimaste ferite. E neppure i molti che si porteranno dentro per sempre il trauma e l’angoscia per aver visto, o sentito, o comunque sofferto per quell’assurdo bagno di sangue. A terra restano anche i valori fondativi della parte migliore della cultura occidentale, quella che attiene allo sviluppo della democrazia e dei diritti umani, cui si rischia ora di dare il colpo di grazia: non per mano dei terroristi, ma per mano di chi si reputa vittima del terrorismo.

In questi tempi di crisi economica e finanziaria ci siamo molto interrogati su quanto quei valori siano compatibili con lo sviluppo del capitalismo, che ha imposto di limitare sino ad azzerare i diritti sociali, e di farlo nel disprezzo delle prerogative parlamentari. Ci siamo interrogati su questo ben sapendo che i diritti umani e la democrazia sono appannaggio dell’Occidente, che altrove lo sviluppo del capitalismo non si è combinato con la loro promozione. Ben sapendo, cioè, che il relativo benessere raggiunto nel nord del mondo si fonda drammaticamente sul malessere per nulla relativo in cui versavano le popolazioni del sud del mondo. Ben sapendo, ancora, che queste ultime non hanno potuto fare altro che assistere inermi al saccheggio di risorse ambientali, alla guerra condotta con le cosiddette bombe intelligenti chiamate ad esportare la democrazia, conservando tutt’al più la libertà di offrirsi come combustibile umano per le catene di montaggio azionate per produrre beni di consumo destinati ad altri.

E’ come se fossimo avviati a condividere destini che ci sembravano distanti, come se il sacrificio dei diritti sociali cui assistiamo da anni fosse solo il drammatico assaggio di cosa sarebbe avvenuto nel breve termine: prima le limitazioni della democrazia necessarie a imporre le politiche austeritarie, e poi quelle indispensabili a promuovere le politiche securitarie. Politiche, queste ultime, utili se non altro a trasmettere la sensazione che l’insicurezza che incombe su di noi è quella che attiene a problemi di ordine pubblico, e non l’insicurezza sociale in cui siamo piombati per lo scempio di Stato sociale e di lavoro tutelato cui siamo chiamati ad assuefarci. Del resto è per finanziare le politiche securitarie, e non certo per salvare il welfare, che nel discorso al Parlamento riunito a Versailles, simbolo della grandeur francese, Hollande ha preannunciato lo sforamento dei mitici parametri di Maastricht.

Non si tratta di una parabola che ci coglie di sorpresa. Da tempo si sostiene che lo stato di eccezione è tutt’altro che una misura provvisoria o straordinaria, che è cioè divenuto il modo corrente di governare[4]. Il che contribuisce al riproporsi di una combinazione perversa, la stessa da cui ha tratto origine il fascismo: regime nel quale all’affossamento delle libertà politiche non ha corrisposto all’affossamento delle libertà economiche: queste ultime dovevano essere solo riformate, costrette entro un ordine presidiato da una politica disponibile a sacrificare la democrazia, ma per privilegiare le necessità del mercato.

Non siamo ancora al fascismo o comunque al definitivo affossamento delle libertà politiche, ma la loro limitazione è una pratica cui da tempo il potere politico si sta dedicando. Finora si è privilegiato il lento ma inesorabile restringimento del perimetro assicurato alla decisione democratica, che in Italia segue una tabella di marcia oramai nota: dalla riduzione delle competenze affidate ai Consigli comunali alla riforma del Senato, passando per la cosiddetta abolizione delle Provincie o per le limitazioni al diritto di sciopero. I rischi legati al terrorismo, quelli veri o quelli presunti, consentiranno ora di compiere un salto di qualità. Lo stesso salto che abbiamo conosciuto dopo l’11 settembre 2001, cui hanno fatto seguito il noto Patriot Act negli Stati Uniti, oltre a numerosi provvedimenti meno noti ma non meno liberticidi in diversi altri Paesi.

Nel frattempo possiamo accomodarci in poltrona e gustarci la cronaca della guerra cui i media si cureranno di dedicare ampio spazio. Non la guerra invocata per raccontare i fatti di Parigi, ma quella che prontamente il governo francese ha voluto riaccendere: innanzi tutto con un massiccio bombardamento di Raqqa, roccaforte siriana del cosiddetto Stato islamico, i cui abitanti difficilmente finiranno per essere conquistati alla causa della democrazia e della pace. E durante la pubblicità potremo ingannare il tempo misurando la distanza sempre più impercettibile tra le politiche invocate dalla destra xenofoba e quelle realizzate dagli esecutivi europei, inclusi quelli che si professano di sinistra o di centrosinistra: anche queste politiche, applicate all’attuale dramma dei migranti, non mancheranno di contribuire a renderci culturalmente miseri e odiosi agli occhi del mondo.

______________________________________________

Note
[1] Decreto 2015-1475 e decreto 2015-1476, entrambi del 14 novembre 2015.
[2] Legge 55-385 del 3 aprile 1955.
[3] Legge 2015-912 del 24 luglio 2015.
[4] D’obbligo il riferimento a G. Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003.

Comments

Search Reset
0
Eric
Wednesday, 25 November 2015 20:23
Sono tutti una massa di PAZZI, CRIMINALI INCALLITI, questa situazione mi fa pena e mi porta alla nausea. E' assurdo che si sta consentendo di ripetere gli ORRORI della storia, come se la storia e i suoi Crimini, non l'avessimo mai studiata, ma siccome il Dio Potere che è il Satana di tutti i tempi e il ricatto del Denaro, non ha storia ed ama fare carneficina, di esseri umani, natura ed animali, sono davvero disgustato.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit