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pensieriprov

Strage di Stato

di Sandro Arcais

Quella che segue è una mia presentazione ragionata del libro di Pasquale Bacco e Angelo Giorgianni, Strage di Stato. Le verità nascoste della Covid-19. Un libro che chiaramente vi consiglio di leggere

dsc 0366Il testo e i loro due autori possono essere contestualizzati nell’odierno conflitto che dilania il capitale statunitense, e quindi più latamente occidentale. 

Grosso modo tale conflitto lo possiamo tratteggiare in questo modo: 

– Il capitalismo della manifattura tradizionale (chimica, petrolio, agroindustria, grande distribuzione tradizionale, tabacco, ecc.)

– Il capitalismo della grande finanza, dell’informazione, dei dati, della biotecnologia, dell’high tech, ecc. 

Il primo capitalismo ha aperto e condotto quella lotta di classe per l’egemonia culturale iperliberista che è partita alla fine degli anni Sessanta e ha trionfato in tutto l’Occidente, con sacche di resistenza sempre più flebile, incerta, spaesata e isolata in Europa. Grazie al fenomeno delle fondazioni, questo capitalismo ha imposto l’ideologia neoliberista del libero mercato, del libero movimento dei capitali, della deregolamentazione, della privatizzazione, dello stato minimo, delle tasse minime e del taglio alle tasse dei ricchi, del pareggio di bilancio, dell’austerità, del welfare privato per chi può e del welfare pubblico di sussistenza per i poveri, dell’individuo imprenditore di se stesso, ecc. Questo è il capitale trionfante degli anni Ottanta-Novanta-primi Duemila.[1] 

Le trasformazioni indotte da questa vittoria hanno però determinato una eterogenesi dei fini, nel senso che è cresciuto un settore del capitale del tutto diverso: l’high tech, l’informatica, i social, i dati, l’intelligenza artificiale, la conoscenza, l’intrattenimento, i mass-media, la biotecnologia, la farmaceutica. Questo secondo capitale non ha rinnegato i fondamenti ideologici della prima, ma ha progetti diversi ed esigenze diverse. 

I due fronti del capitale si dividono radicalmente non tanto nell’obiettivo di controllare lo stato, ma per quale obiettivo utilizzare lo stato. 

Il primo fronte del capitale (lo chiameremo capitale neoliberista tradizionale) punta a uno stato minimo, al ritiro dello stato dalla società, dall’economia, e alla ristrutturazione degli obiettivi internazionali degli USA, del loro ruolo e degli strumenti e politiche da adottare nell’agone internazionale. Il suo modello non è tanto la Roma repubblicana lanciata nella costruzione dell’impero mediterraneo, bensì Cartagine. Il capitale neoliberale tradizionale è anti imperiale, rifugge gli impegni da sceriffo del mondo, ha una visione “domestica” degli USA e profondamente agonistica dei rapporti internazionali: se c’è da menar le mani per imporre i propri interessi, loro sono pronti. L’obiettivo imperiale degli USA costa troppo e necessità di uno stato pesante e invadente anche nella vita privata delle persone. Da qui l’enfasi della parola d’ordine “libertà” molto in voga nell’opposizione ai lockdown e al simil-obbligo vaccinale, oggetto delle proteste di questi giorni (ci torneremo). 

Il secondo fronte del capitale (lo chiameremo capitale neoliberista di seconda generazione) ha una visione del ruolo dello stato e del suo peso conseguente. Punta consapevolmente a un capitalismo di stato, a un’alleanza stretta tra capitale finanziario (mercanti nella versione banchieri) e stato (soprattutto Pentagono in stretta connessione con il settore high-tech, informatico e biotecnologico), con il primo nel ruolo di centro pianificatore e testa pensante. Ha capito che gli serve uno stato pesante e interventista: gli serve per trasferire i costi dei disastri del mercato (soprattutto finanziario) sulle spalle dei cittadini attraverso la tassazione e il debito (privato e pubblico), gli serve per i grandi progetti di ricerca a lungo termine (cfr. Mazzucato), gli serve per il governo dei cittadini-sudditi attraverso il controllo sempre più capillare assicurato dall’industria dei dati e degli algoritmi, gli serve nella guerra contro il suo competitore numero 1, la Cina, per l’egemonia sull’intero mondo.[2] 

Per il capitale neoliberista tradizionale l’espressione “capitalismo di stato” è un ossimoro, una bestemmia. Per il capitale neoliberista di seconda generazione è il futuro, almeno a medio termine. 

Mentre il PC Cinese può tranquillamente e apertamente imporre il suo controllo e la sua volontà suoi suoi sudditi direttamente, senza mediazioni o discussioni, senza un lavoro di manipolazione delle idee, senza dover passare per la demonizzazione e subumanizzazione dell’avversario e la conquista del favore o consenso dell’opinione pubblica, i due capitalismi neoliberisti statunitensi hanno bisogno di conquistare l’opinione pubblica e da anni si scontrano su varie questioni spaccandola e radicalizzandola: stato nazione, immigrazione, diritti civili e, in questi giorni, epidemia, lockdown e vaccini. 

Una lettura oggettiva e lucida (spietata) di ciò che sta accadendo in questi esatti giorni in Italia ha bisogno, secondo me, di un tale contesto. L’ho delineato in maniera schematica e succinta e ha bisogno sicuramente di essere approfondito e perfezionato, ma mi pare che possa essere un buon punto di partenza, anche per entrare nel merito del testo che sto presentando. 

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I punti di riferimento dei due autori sono Trump, a livello politico, e monsignor Viganò, a livello religioso-spirituale. Il fronte opposto è rappresentato dalla grande finanza, a livello non solo economico ma anche politico (i rappresentati politici che a loro rispondono), e papa Francesco, a livello religioso. Nell’ultimo capitolo del libro (Eretici) è fornita una lettura religiosa, quasi escatologica dello scontro: bene contro male, Dio contro Satana. Gli eretici sono chiaramente coloro che non si inchinano alla posizione ufficiale della Chiesa che appoggia la gestione dell’epidemia, i lockdown, la vaccinazione. Il papa attuale non è detto Anti-Cristo, ma la cosa è apertamente suggerita. Il libro si pone chiaramente in questo filone cattolico tradizionalista.

Fatte queste debite precisazioni e alleggerito dagli eccessi (la solita polemica contro la mascherina, p.es.), secondo me, il libro offre una chiave di lettura solidamente documentata sulla gestione dei governi e delle istituzioni sanitarie italiane dell’epidemia. Del resto, a conclusioni quasi identiche io ci sono giunto già prima di venire a conoscenza del testo. Questo ripete una situazione in cui ultimamente mi sono trovato più volte: trovare la controinformazione documentata e spunti di lettura delle dinamiche politiche attuali a destra, sia internazionale (Paul Craig Roberts, p.es.) che nazionale (Siri, Borghi e Bagnai, tra gli altri). Ma su questo bisognerà riflettere un’altra volta. 

* * * *

Il testo non sempre è coerente.

Da una parte, sulla falsariga di Attalì, la pandemia è vista dagli autori come quella condizione che crea una “paura strutturante” che costringe e prepara le popolazioni ad accettare un governo mondiale. Questo sembrerebbe il piano della grande finanza occidentale. Dall’altra, il testo abbraccia fondamentalmente la tesi che il virus sia frutto di un esperimento di laboratorio sfuggito ai Cinesi (cfr. “il virus cinese” di Trump o il CCPV, Chinese Comunist Party Virus, della informazione della destra americana). Infine, in un altro punto del testo, gli autori offrono un’ampia e solida documentazione che il virus circolasse nel mondo sin dall’estate del 2019. 

Credibile è il quadro che gli autori danno dell’OMS, del suo presidente e delle contraddizioni della sua gestione dell’epidemia. Mette in luce gli stretti legami tra il presidente e la Cina, ma anche il ruolo che nella stessa organizzazione hanno le fondazioni private. La prima parte della gestione dell’epidemia, quella in cui (mediaticamente) era solo un fatto cinese, è stata caratterizzata da una sottostima del pericolo e da un apprezzamento continuo dell’operato cinese. Per esempio, il testo mette in evidenza come a un certo punto, mentre la Cina chiudeva a doppia mandata una provincia intera, contemporaneamente il presidente dell’OMS sottodimensionava il pericolo che il virus diventasse un problema globale (interessante a questo proposito le pagine sulla tempestività delle azioni intraprese da Taiwan in aperto contrasto con le indicazioni dell’OMS). 

* * * *

I due autori però si concentrano sulla gestione italiana.

Si focalizzano sul ruolo dei media nel costruire e imporre una realtà e all’interno di questa realtà gestire i sentimenti e le emozioni delle persone. Mettono in rilievo l’altalena ripetuta delle rassicurazioni e inviti a riprendere la vita normale, subito seguita dalla colpevolizzazione e allarmismo: 

  • dal “niente paura e beviamoci un aperitivo abbracciando un Cinese” (sottovalutazione) al tutti chiusi in casa (drammatizzazione);
  • dalla scelta di chiusure mirate alla decisione di chiudere tutta l’Italia, dopo opportuna fuga della notizia che ha determinato l’esodo di migliaia di Italiani da nord a sud;
  • dal bonus vacanze per incentivare le persone ad andare in vacanza (sottovalutazione) alla colpevolizzazione delle persone perché sono andate in vacanza e così hanno fatto riprendere i contagi (drammatizzazione);
  • dal “cash back” per incentivare gli acquisti natalizi (sottovalutazione) alla colpevolizzazione degli italiani perché si sono riversati nei negozi a fare shopping facendo così riprendere i contagi (drammatizzazione);
  • dal carnevale degli Europei (sottovalutazione) alla quaresima del tesserino verde (drammatizzazione). 

Il tutto condito da una disinformazione diffusa. Tutto non casuale, secondo gli autori: confusione, incertezza, fuga di notizie, inviti contrastanti e contraddittori <<hanno uno scopo preciso>>.

Documentatissimo è il capitolo sulla impreparazione del paese all’impatto del nuovo virus: assenza di un piano pandemico aggiornato e credibile, assenza di esercitazioni, trenta anni di tagli alla sanità pubblica, chiusura dell’ente che avrebbe dovuto controllare l’emergere di nuovi patogeni e allertare il governo, totale scollegamento tra stato e regioni.

Collegato al disegno di questo quadro è la parte del testo in cui gli autori rilevano come, nonostante il colossale fallimento della risposta italiana al nuovo virus, al governo italiano non è mai venuto a mancare l’appoggio e l’apprezzamento dell’OMS. In questo contesto si pongono le pagine dedicate al rapporto sulla fallimentare strategia italiana pubblicato dall’OMS, ma subito ritirato dietro pressioni del governo, caso portato alla luce da una puntata di Report. 

Preziose e documentatissime sono le pagine sul metodo di conta dei morti causati dal covid e sulla sottomissione, in questo particolare caso, della Medicina alla statistica epidemiologica: i criteri, le categorie, le esigenze e gli obiettivi della seconda hanno messo in secondo piano, se non cancellato, la prima: <<… grazie a un servile inchino della Medicina alle necessità statistiche della “salute pubblica” che fa capo all’OMS e ai suoi finanziatori, la covid-19 è stata indicata come causa di morte per una larga parte dei decessi occorsi nei mesi della pandemia, anche in quei pazienti affetti da patologie oncologiche, da malattie autoimmuni, immunodepressi la cui aspettativa di vita, spesso, era limitata. Per le quali … in altre occasioni si è ricorso all’ “effetto rimbalzo” e all’ “effetto mietitura” al fine di minimizzare l’aumento della mortalità.>> Il riferimento è all’aumento di morti del 2015 rispetto alla media dei 5 anni precedenti. <<Da tutto questo meccanismo che non ha nulla a che vedere con la Medicina e molto con l’OMS, è derivata la sovrastima del numero dei decessi che, amplificata dal megafono dispotico dei mass-media, ha diffuso la percezione di un virus letale>>.

Altre pagine sono dedicate alla dubbia efficacia dei tamponi

Altro punto importante del testo, sono le pagine dedicate al divieto delle autopsie da parte del Ministero. Divieto che ne sottoponeva l’esecuzione all’autorità giudiziaria. Il blocco delle autopsie nella fase iniziale dell’epidemia, in cui i medici navigavano a vista, <<non ha consentito una definizione della causa esatta della morte>>. La questione non è marginale, perché senza autopsie non si può conoscere il decorso esatto della malattia e la causa esatta della morte e quindi non si può predisporre una cura coerente ed efficace. Questa incertezza giustifica il ministero nel momento in cui esenta (quasi vieta) i MMG dal visitare e curare i malati ed è necessario indicare il numero esatto dei morti di/per/con covid. 

Sempre in ambito medico, gli autori rilevano lo strisciante cambio di paradigma dal principio “secondo scienza e coscienza” all’anglosassone “secondo le linee guida”, estraneo fino ad ora alla medicina italiana. 

Ampio risalto è dato dagli autori alla questione della (auto)esclusione dei medici di base nella gestione medica del covid. La circolare del 22 febbraio dava ai medici il solo ruolo di “vigili sentinelle” sul territorio. Non dovevano curare, bensì disincentivare i malati dal recarsi in pronto soccorso di propria iniziativa e in caso di aggravamento segnalare il caso al 118. La cura era faccenda che non li riguardava, ma di cui erano incaricati i soli ospedali. Il 9 marzo il governo istituisce gli USCA e ne demanda l’attuazione alle regioni. Le USCA funzionano a macchia di leopardo. I MMG vincono un ricorso al TAR che ribadisce che non è compito loro curare, bensì degli USCA. In tutto questo scaricarsi della responsabilità ippocratica, i pazienti rimangono nel loro abbandono. 

Altre pagine ampiamente documentate sono dedicate alla questione delle terapie domiciliari. Sostanzialmente vietate sino al novembre (il medico di famiglia che ha curato ha sostanzialmente disobbedito), quando viene annunciata ufficialmente una bozza di linee-guida per la gestione domiciliare dei pazienti che ribadisce la vigile attesa e la Tachipirina. Per il governo ancora siamo lì. 

L’assenza di un protocollo per la cura domiciliare della malattia causata dal nuovo virus, la destituzione dei medici di famiglia dal loro ruolo di prima linea, la loro maggioritaria acquiescenza a tale decisione è stata poi seguita dalla guerra che ancora prosegue a quelle medicine che si sono dimostrate efficaci in Italia e nel mondo nella lotta alla malattia: l’idrossiclorochina è l’esempio più conosciuto. Della lotta a questo farmaco è fatta una dettagliata e documentata cronistoria, soffermandosi soprattutto sul famoso articolo del Lancet rivelatosi poi una truffa. Interessantissimo è l’identikit fatto della società che ha fornito i dati per l’analisi agli autori dell’articolo, e al suo amministratore: un personaggio a metà strada tra il fallito e il truffatore. Un personaggio perfetto per organizzare una sporca operazione di sabotaggio. Scoperta la truffa, l’OMS torna sui suoi passi, l’AIFA invece conferma il divieto di utilizzare l’idrossiclorochina, se non in ambito di studio clinico. 

Ai vaccini è dedicato uno degli ultimi capitoli: si mette in rilievo la tecnologia del tutto nuova e la pietra su cui inciampa sempre e in continuazione chiunque abbia un minimo di senso critico nel momento in cui, sollecitato dalla propaganda e dal ben indotto stigma sociale (“chi non si vaccina porta la morte”), comincia a pensare che sì, ma in fondo cosa sarà. Mi sto riferendo al fatto che questi nuovi vaccini sono sperimentali, ovvero non sono stati utilizzati prima, se non in ambito oncologico. Ed essendo sperimentali nessuno sa dire con scientifica certezza se avranno effetti (e quali effetti) avversi a medio e lungo termine. 

Tanto meno lo sanno dire i produttori che, firmando i contratti con i governi, fanno introdurre una clausola che li esenta da ogni responsabilità in caso di effetti avversi a lungo termine di cui non si può conoscere l’esistenza. 

* * * *

Il testo non offre una chiara interpretazione dei fatti, non lega i puntini per vedere che disegno viene fuori. Il punto in cui questo avviene e soprattutto il titolo, ma poi non si propone un disegno complessivo su quanto successo (e sta continuando a succedere). Qualche spunto interpretativo è sparso qua e la, in qualche capoverso di qualche capitolo, ma manca un abbozzo complessivo.

Quindi una ipotesi su questo disegno ve la propongo io. 

Siamo nel bel mezzo della gestione di una epidemia influenzale originata da un nuovo virus che proviene, come molti altri in passato, dalla Cina. Sull’origine del virus non mi esprimo, perché allo stato delle cose, la questione è secondaria. In merito faccio solo notare che se è vero che il virus circolava in Italia già dall’estate del 2019, questo contrasterebbe con l’origine da laboratorio. Ma nulla in proposito è da escludere.

Ben più importante ritengo sia ragionare sulla gestione che è stata fatta degli effetti del virus, gestione in cui l’obiettivo della salute degli Italiani è stato come minimo secondario. I protagonisti di questa gestione sono stati il governo italiano e i mass-media. 

I mass-media si sono distinti soprattutto nell’allarmare, terrorizzare e colpevolizzare gli Italiani, nel dare voce agli “esperti” che sabotavano senza argomenti qualsiasi finestra aperta sulla possibilità di curare con successo la malattia, e ultimamente nel creare una frattura all’interno degli Italiani in modo da dividerli in responsabili e irresponsabili, vaccinati e untori, così da utilizzare i primi per suscitare un diffuso stigma sociale nei confronti dei secondi (soprattutto quest’ultimo ruolo si è imposto prepotentemente in questi ultimi giorni); sin da subito ha usato la metafora bellica per riferirsi all’epidemia e al virus (cfr. il ruolo di Draghi nell’imporre tale metafora); ultimamente ha introdotto la metafora della caccia, dove i non vaccinati sono la preda. 

Il governo si è distinto per i suoi atteggiamenti contraddittori: da un lato ha ripercorso la via cinese, consapevole di un Sistema Sanitario Nazionale assottigliato da decenni di tagli e quindi impreparato alla sfida; ha applicato questa via in maniera indistinta, imponendo decisioni uguali per situazione del tutto differenti; in alcuni momenti ha invitato gli Italiani a tornare alla normalità per poi tornare subito dopo alla via cinese senza distinzioni; dietro suggerimento dell’OMS ha privilegiato un approccio epidemiologico su quello medico, sia nel conteggio dei morti, sia nella gestione della malattia, amplificando artificialmente il numero dei primi e quindi l’isteria generale, che ha contribuito a sua volta indirettamente ad aumentare i morti stessi; ha esentato i medici di base dalla cura demandandola tutta al sistema ospedaliero, eliminando così un filtro necessario al suo stesso buon funzionamento; ha ostacolato con pervicacia e continuità farmaci che risultavano efficaci, eliminando così un filtro necessario al buon funzionamento degli ospedali; ha puntato tutto sui vaccini, attendendoli prima, mentre obbligava a stare chiusi in casa gli Italiani (e contava i morti causati dai suoi errori, inefficienze, inadempienze e ostruzionismo), organizzandone la distribuzione capillare poi, rendendoli obbligatori in maniera indiretta, ora; sui vaccini lo stato ha utilizzato quei poteri prevalenti sulle regioni che non ha mai esercitato in tutta la gestione della epidemia, e si è profuso in uno sforzo in risorse e organizzazione che le USCA, per esempio, non hanno mai minimamente visto; non ha avviato decise e robuste politiche di spesa per irrobustire il SSN. 

Se uniamo tutti questi puntini emerge il quadro di un obiettivo: non tanto la salute degli Italiani e il minimizzare i morti, quanto imporre il vaccino come unico strumento di gestione del virus. 

Perché tanto tanta energia e convergenza di azione tra governi e media (rafforzatosi con l’arrivo di Draghi) per imporre la soluzione unica del vaccino, sino ad accettare morti che potevano benissimo essere evitate? Secondo la narrativa ufficiale, perché il vaccino è l’unico modo di giungere all’immunizzazione degli Italiani, così da mettere al riparo il paese da future epidemie e concentrarsi sulla produzione e sulla competizione economica.

Questa narrativa non è scalfita minimamente dai riscontri che arrivano dai paesi che per primi si sono avviati nella campagna vaccinale: Israele e Regno Unito. Lì continuano a contagiarsi e a contagiare, anche i vaccinati.

Allora, perché continuare a puntare unicamente sul vaccino e, soprattutto, su un vaccino sperimentale? Perché non accontentarsi del fatto che questi vaccini sperimentali sembrano servire ad attenuare gli effetti della malattia nelle persone a rischio? Perché puntare con ostinazione sulla strada di una vaccinazione di massa che non potrà che inutilmente aumentare (è questione di statistica) i casi avversi gravi?

La mia ipotesi è che è necessario sradicare una visione sospettosa e una diffusa riluttanza nei confronti dei vaccini diffusa negli Italiani (e nei Francesi, del resto). Questo perché il futuro SSN dovrà essere basato sul sempre più diffuso e capillare utilizzo dei vaccini. Il grande capitale finanziario non ha nessuna intenzione di intervenire sulle cause di fondo che producono virus sempre nuovi, non vuole suicidarsi per dar luogo a un mondo migliore, più sicuro e salubre. E non vuole, del resto, sprecare soldi in “spese improduttive” (che cioè non producono diretti profitti privati) come ospedali, medici, infermieri, strutture di servizi, ecc. Al contrario, il modo di produzione capitalistico sa che andrà a peggiorare questo mondo, sia direttamente con il suo normale dispiegarsi, sia con il conflitto tra i due capitalismi di stato, quello statunitense e quello cinese, che si prospetta sempre più aspro. Sa che ci saranno altre epidemie, non perché qualche sua agenzia segreta inventa e diffonde un nuovo virus, ma perché sa che le condizioni che sta creando (e che determinano i sempre più frequenti salti di specie dei virus animali in questi ultimi trent’anni) peggioreranno. In questo quadro, è necessario mettere in sicurezza gli stati dell’impero occidentale da eventi probabili, al minimo costo e imponendo ai suoi sudditi una tecnologia sperimentale che si promette come facilmente e velocemente adattabile ai vari mutamenti. Una tecnologia che, molto probabilmente non causerà una ecatombe (almeno si spera), ma di cui di sicuro nessuno può prevedere le conseguenze a lungo termine. Ma, si sa, il neoliberista conosce solo il risultato a breve termine, poi si vedrà. 

Il vaccino, insomma, come strumento sanitario fondamentale di uno stato di guerra (ibrida) permanente.

Ma le precedenti considerazioni non spiegano il perché di un vaccino sperimentale. Per tentare di rispondere a questa ulteriore domanda, dobbiamo considerare alcuni altri aspetti. 

La concorrenza economica e la competizione tecnologica sono solo due delle tante forme in cui la guerra si presenta nella nostra modernità segnata dal trionfo del capitalismo su tutta la linea. Se teniamo presente questo scenario possiamo chiederci come mai proprio un vaccino sperimentale. Si risponderà: per questioni di tempo. Ma questa risposta è contraddetta dal fatto che i laboratori cubani, alla fine della primavera del 2021 hanno reso operativi una serie di vaccini “tradizionali” e con quelli si avviano a immunizzare la popolazione dell’isola. Il fatto è che in un regime di capitalismo di stato arrivare per primi a una nuova tecnologia biotecnologica soddisfa sia le esigenze di profitto del capitalismo che quelle di potenza dello stato. Le aziende farmaceutiche leader (tutte americane) attraverso la formula del brevetto e della proprietà intellettuale si assicurano un mercato mondiale praticamente inesauribile di clienti totalmente dipendenti da loro per la loro sicurezza sanitaria. Il nuovo vaccino è per tali multinazionali del farmaco uno strumento di guadagno inesauribile, ma è anche contemporaneamente un potente strumento di controllo e dominio nelle mani dello stato di cui sono alleate e in fondo strumento. Lo stato (statunitense) allora si assicura uno strumento ulteriore (le aziende farmaceutiche e la nuova tecnologia di cui detengono il controllo) per controllare, dominare, ed espandere la propria sfera di influenza e assicurarsi nuovi alleati nel nuovo scenario di guerra mondiale ibrida. 

Se questa analisi ha un senso, risulta evidente l’ingenuità e la vanità della richiesta di certa sinistra movimentista e globalista (quella per cui l’obiettivo più importante pare essere quello di limitarsi a stare sempre e comunque dalla parte dei buoni e giusti e avere così la coscienza a posto) di togliere il brevetto sui vaccini e di trasferire risorse e tecnologie in Africa. L’unica cosa che è possibile prevedere in proposito è l’acquisto da parte degli stati occidentali di quantitativi di dosi da inviare ai paesi poveri, in una operazione sostanzialmente mediatica che spanda il dolce miele della bontà e generosità nelle coscienze atrofizzate dell’opinione pubblica occidentale (e contemporaneamente continui ad assicurare i profitti per i suoi alleati farmaceutici). 

Riassumendo, il vaccino (sperimentale) soddisfa vari interessi: quelli dello stato capitalista che si può permettere di continuare con lo smantellamento della sanità pubblica e la sua progressiva privatizzazione; che può permettersi livelli crescenti di disuguaglianza e di peggioramento delle condizioni di vita di fasce sempre più ampie delle persone limitandone le ricadute dal punto di vista sanitario; che può imporre un controllo sanitario sulle persone e sui loro stili di vita (dal diritto alla salute al dovere di essere sani) per funzionalizzarli ulteriormente alla produzione (di guerra economica); che può imporre il suo potere e il suo controllo sulla popolazione attraverso la giustificazione dell’interesse collettivo della salute; e infine quello delle multinazionali del farmaco americane che possono conquistare nuovi mercati e rendere dipendente la salute dei sudditi ai loro progetti e profitti (il capitale decide non solo se lavori, non solo come lavori, non solo per cosa lavori, ma anche se e come ti curi). 

Stroncate le resistenze italiane (e francesi) si passerà alle altre popolazioni europee. 

E qui torniamo alla distinzione iniziale tra i due capitalismi e la lotta tra i due. Questo progetto fa capo al capitale neoliberista di seconda generazione, alla riformulazione dei progetti di egemonia mondiale dopo l’era Trump, di focalizzazione sullo scontro con la Cina. C’è un serrate le fila in corso, una irreggimentazione dei singoli stati e della società al loro interno, le disubbidienze sono sempre meno tollerate e, per ora, trattate col neanche tanto sottile strumento della manipolazione mass-mediatica e con la tecnica di mettere una parte della popolazione contro l’altra. Questo spiegherebbe come mai mi trovo spesso e sorprendentemente vicino alle posizioni della destra e di questo testo in particolare. Essendo in difficoltà, la destra neoliberista si appoggia e utilizza le istanze della parte della popolazione che porta sulle spalle il peso di questi cambiamenti epocali: precarizzazione, disoccupazione, immigrazione, riduzione delle tutele sociali e oggi messa in discussione della libertà di scegliere o meno se utilizzare un farmaco sperimentale. Ne cerca l’appoggio perché ha bisogno di una truppa che non aveva (date tutte le sue politiche antipopolari) e non aveva mai cercato. Il fatto che la cerchi in maniera interessata e sarà pronta a disfarsene alla prima occasione, non cancella il fatto che quella è la parte della popolazione colpita e sofferente. Ecco perché mi trovo spesso di fianco alla destra: perché il mio popolo è stato abbandonato da chi lo doveva rappresentare e le sue istanze sono ora rappresentate (in maniera interessata? certo) dalla destra.


NOTE
[1] Su questo aspetto è consigliabile la lettura di Marco D’Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi.
[2] Per alcune idee utili a inquadrare questa nuova versione del neoliberismo nella sua fase iperfinanziaria, può essere utile la lettura di Maurizio Lazzarato, Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista.

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