Print Friendly, PDF & Email

moneta e credito

Paolo Baffi: la moneta europea e “il crepuscolo degli esperti”

di Alberto Baffigi*

Paolo BaffiAbstract: Il lavoro affronta una questione centrale nella storia del pensiero economico: quella del rapporto fra teoria economica e scelte politiche. Lo fa studiando il pensiero economico di Paolo Baffi (1911-1989), Governatore della Banca d’Italia dal 1975 al 1979, còlto in un momento particolare della storia europea e italiana: quello che precede immediatamente l’avvio del Sistema monetario europeo (SME), nel 1978, e gli anni successivi. Sono i primi passi dell’integrazione monetaria europea. Il ruolo di Baffi nel negoziato sullo SME è centrale, ma ne esce sconfitto. Allora come ora, gli esperti erano criticati in nome della democrazia. Lo fu anche l’esperto Paolo Baffi, per le perplessità pubblicamente espresse sulla costruzione di un sistema monetario a guida tedesca che avrebbe comportato l’adesione a una politica monetaria di alti tassi di interesse. Una riflessione sul pensiero e sull’azione istituzionale di Baffi può essere utile nella ricerca di una sintesi fra tecnica e politica, oggi quanto mai urgente.

Per uso pubblico della propria ragione io intendo quello che un individuo può esercitare in quanto esperto della materia di fronte al pubblico intero del mondo dei lettori. Chiamo, invece, uso privato quello che è consentito a un individuo in quanto gli è stata affidata una determinata carica civile o funzione pubblica.

Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (Kant, 1997, pp. 26-27)

1. Paolo Baffi e l’uso pubblico della ragione

Quello del rapporto fra i tecnici e la politica è un tema centrale nel dibattito pubblico odierno. Lo è in particolare in relazione al progressivo scollamento fra i due ambiti, della crescente sfiducia reciproca. Non è una novità.

Questo lavoro si concentra su un periodo della storia d’Italia come lo scorcio degli anni Settanta del secolo scorso, quando l’integrazione monetaria europea muoveva i primi passi importanti. Vi fu una dialettica fra esperti e politica, per alcuni versi analoga a quella attuale, che portò a una sostanziale sconfitta dei primi, all’epoca tacciati di antieuropeismo. La questione viene affrontata riflettendo sul pensiero e sull’opera di un economista come Paolo Baffi, un economista che si è trovato a interagire con la politica in quei momenti cruciali della storia d’Europa e d’Italia. Non ci si occupa qui della sua nota vicenda giudiziaria,1 ma si restringe il campo d’indagine concentrando lo sguardo su un caso specifico. Si tratta, tuttavia, di un caso molto significativo, data la statura intellettuale del protagonista, l’importanza dell’istituzione che rappresentava e l’assoluta rilevanza storica degli anni considerati, anche per le implicazioni che quel dibattito e quelle scelte ebbero sulle prospettive di creazione di una moneta europea che si andavano delineando.

È indubbio che vi sia da alcuni anni una insofferenza generalizzata nei confronti degli esperti, in qualsiasi campo e in particolare quello economico. È un tema centrale che riguarda i sistemi politici di diversi paesi occidentali (Nichols, 2017). In questa prospettiva, una tesi comune ed elettoralmente vincente consiste nel sostenere che occorre tornare alla politica, per ridarla al pubblico dibattito, al popolo, e sottrarla alle élite che se ne sono appropriate. Si mette in evidenza che le scelte pubbliche non avvengono all’interno di processi democratici, ma sono frutto di decisioni prese in nome di considerazioni apparentemente tecniche, che non tengono conto delle preferenze politiche dei cittadini. Il successo delle forze politiche cosiddette populiste, in alcuni casi giunte anche a governare, poggia proprio sull’avversione agli esperti, ai “professoroni”, ritenute persone fuori dal mondo, nel migliore dei casi incapaci di interpretare i bisogni della società in cui vivono, nel peggiore ritenuti interpreti di interessi sezionali, facenti capo a poteri egemoni.

Vi è del vero in questa interpretazione:2 una delle chiavi di lettura della crisi politica che ha investito l’Unione Europea negli ultimi dieci anni attiene proprio al rapporto fra esperti e politica, una faglia pericolosa che ha creato quello che ormai in molti vedono come un “deficit di democrazia”. Per quanto convincente e fondata, vi è però un rischio in questa narrazione: le parti che animano lo scontro politico si identificano sempre più, da una parte, con la difesa della tecnica e, dall’altra, con la rivendicazione del ruolo della politica. Ciò che si rischia di perdere è la consapevolezza della fragilità, e al tempo stesso della necessità, del nesso politica-teoria economica, della comprensione della società, quando si adottano misure di politica economica, anche quelle che riguardano la moneta. Tutti concetti ben chiari a Paolo Baffi. Al fine di adottare politiche efficaci, cioè capaci di raggiungere lo scopo che si prefiggono, occorre non perdere il filo che lega le due sfere: la politica ha bisogno di conoscenza e la conoscenza è cieca senza la politica, entrambe non debbono perder di vista le dinamiche profonde che attraversano la società.

In un momento di profonda crisi del progetto di integrazione europea, come l’attuale, è importante riflettere sul pensiero economico di Paolo Baffi. Vi è, in primo luogo, una ragione legata al valore della sua testimonianza: Paolo Baffi come protagonista di eventi che hanno segnato la storia economica, sociale e politica dell’Italia e del continente europeo. Ma un ulteriore motivo che rende il corpus di testi baffiani un importante punto di riferimento3 è dato dalla sua grande capacità di lasciar amplissimo spazio all’uso pubblico e documentato della sua ragione, come avrebbe detto Immanuel Kant, quell’uso “che un individuo può esercitare in quanto esperto della materia di fronte al pubblico intero del mondo dei lettori” (Kant, 1997, p. 25). Il suo essere un civil servant di grande prestigio e autorevolezza non gli impedì di comportarsi come un intellettuale pubblico, partecipe del dibattito e della discussione; un intellettuale scomodo. Il metodo di lavoro di Baffi, peraltro, documenta il suo pensiero e la sua rete di rapporti con grande trasparenza e attenzione al dettaglio. Le sue carte, conservate presso l’Archivio storico della Banca d’Italia, coprono l’intera sua cinquantenaria attività. Lo fa con una attenzione meticolosa ai dettagli dei ragionamenti, con la scrittura rigorosa: in questo modo egli interagisce con tutti coloro che meritano commenti, critiche o chiarimenti. Se si sfogliano le migliaia di carte che compongono il suo archivio personale non può sfuggire il suo grande spirito analitico ed empirista, la sua continua tensione a riconciliare i doveri del “servitore dell’interesse pubblico”4 con l’ethos dell’intellettuale che coltiva la sua competenza e la sua esperienza, che sa assumersi la responsabilità delle sue idee.

Gli esperti e le politiche, dunque, è il tema che si intende trattare studiando il pensiero di Baffi sull’integrazione monetaria europea. Gli esperti e le politiche: è una questione che attraversa la storia del pensiero economico. Qual è lo spazio della tecnica nelle decisioni collettive? Quale importanza dobbiamo attribuire al consenso sociale nella scelta delle politiche? Baffi ci offre profonde riflessioni su questi temi, sia in interventi pubblici sia in elaborazioni espresse in privato nelle lettere scambiate con giornalisti, economisti, politici, sindacalisti e altre personalità delle più varie estrazioni. Ed è interessante sottolineare come  sulla questione del rapporto fra tecnica e politica si riscontri più di una assonanza con un personaggio legato a Baffi da profonda stima reciproca e da anni di collaborazione: Federico Caffè.5 Si tratta di due biografie scientifiche interessanti dal punto di vista della storia del pensiero economico, per quel nucleo di teoria economica e di approccio metodologico che condividevano e quel tratto di strada percorso insieme in Banca d’Italia, nonostante la loro distanza su molte questioni politiche e le diverse scelte di vita che li contrassegnarono. Va tenuto a mente: ci ritorneremo nel paragrafo 5, parlando del punto di vista di Baffi sulla integrazione europea.

La questione del consenso sociale, quale tema centrale che riguarda il rapporto esperti-politiche, rimandava, secondo Caffè, a un concetto che J.S. Mill sviluppava nei Principles:

tranne in punti di mero dettaglio, non vi è forse alcuna questione pratica, anche tra quelle che maggiormente presentino i caratteri di questioni puramente teoriche, che ammetta di essere risolta soltanto in base a premesse economiche.6

La posizione di Mill costituiva una reazione alla tendenza, molto evidente soprattutto negli epigoni degli economisti classici, “ad una dogmatica e rigida traduzione di schemi conoscitivi in criteri per l’azione pratica” (Caffè, 1966, p. 45). Nello studio della politica economica occorre avere presente la complessità delle scelte sociali e soprattutto essere consapevoli della loro natura non esclusivamente tecnica. È una concezione dell’economia che Baffi condivideva pienamente. Così ad esempio, il 9 maggio 1988, egli spiegava a Giuliano Amato come il rientro dall’inflazione che si era registrato dopo l’avvio dello SME fosse da attribuire a cause che andavano oltre il nuovo regime di cambio, che riguardavano fenomeni la cui “definizione richiede una cultura (storica e sociologica) meno specialistica della mia”.7

Ma che esperto era Baffi, che riconosceva con assoluta onestà intellettuale i limiti della sua scienza? Si vedrà nelle pagine seguenti. Non vi era in lui traccia di quell’illusione che conquisterà negli anni avvenire economisti, politici e uomini delle istituzioni: l’illusione di essere i detentori di un sapere che consente non solo di contribuire alla conoscenza della realtà economica e sociale ma anche di definire gli obiettivi politici da perseguire, persino di progettare un ordine sociale sostanzialmente nuovo (Baffigi, 2016a e 2016b). Era rigore scientifico e realismo pragmatico, quello di Baffi, non si trattava di una tendenza a indicare obiettivi modesti o di un atteggiamento conservatore: “È criterio fondamentale di azione politica quello di proporzionare gli impegni ai propri mezzi”, disse nel suo discorso al Forex dell’ottobre 1978,8 mettendo in guardia sui rischi di un’integrazione monetaria poco flessibile e trainata da una economia come quella tedesca.

Questo approccio si è andato sempre più perdendo e la via all’integrazione di fatto seguita dall’Italia e dall’Europa non ha tratto ispirazione dai concetti e dalla cultura economica della generazione di Baffi. Le stesse decisioni adottate nel corso degli anni dal suo successore, Carlo Azeglio Ciampi, mostrano un evidente cambio di paradigma politico ed economico: la prima fase dell’integrazione monetaria europea, che vide Ciampi protagonista, mosse i primi passi affermando il primato della politica sulla tecnica, sugli esperti.9 Lo vedremo più avanti.

Il lavoro si basa su un corpus di testi tratti dalle carte di Paolo Baffi, conservate nell’Archivio Storico della Banca d’Italia, e prende spunto da una lettera che l’ex Governatore invia al giornalista Alberto Ronchey nell’ottobre 1988 per contestare il contenuto di un suo articolo apparso sul settimanale Panorama (paragrafo 2). I paragrafi centrali sono il 3 e il 4; trattano temi strettamente interconnessi nel pensiero di Baffi: rispettivamente, l’egemonia monetaria tedesca, la complessità del processo inflazionistico e l’insostenibilità del cambio forte. Si conclude con alcune considerazioni sul pensiero di Baffi riguardo l’integrazione europea che mettono in evidenza l’importanza da lui attribuita alle differenze nazionali e alla frammentazione politica come fattore di successo dell’Europa: l’europeismo di Baffi si ispirava a un’integrazione in grado di valorizzare la competizione fra sistemi in un quadro condiviso. Era evidentemente una visione opposta a quella che ha poi orientato il processo di integrazione negli ultimi quarant’anni, tutta incentrata sull’obiettivo di costruire un modello economico- sociale uniforme al quale i vari paesi sono tenuti ad adeguarsi.

 

2. Il crepuscolo degli esperti

L’espressione “il crepuscolo degli esperti”, usata nel titolo, potrebbe benissimo appartenere al repertorio polemico dei nostri giorni di crisi acuta del rapporto fra esperti e politica. In realtà, si tratta di un articolo di Alberto Ronchey apparso sul settimanale Panorama nell’ottobre del 1988.10 Scriveva Ronchey:

Gli uomini nelle cose generali s’ingannano assai, nelle particolari non tanto, secondo il detto di Machiavelli. Ma nei tempi recenti le cose devono essere peggiorate. Quante volte, da un decennio e più, gli specialisti hanno sbagliato le previsioni su cose particolari nell’economia e nella politica? Fra i tanti casi, ci sono esempi non trascurabili.

Nel dicembre ’78, eminenti esperti della Banca d’Italia e altri economisti prevedevano che l’adesione al Sistema monetario europeo come area di semistabilità dei cambi sarebbe stata rovinosa per l’economia italiana. Invece il vincolo esterno costituito dal serpente monetario ha imposto alle industrie italiane la riduzione dei costi del lavoro e l’innovazione tecnologica, ossia una competitività non più affidabile a ricorrenti e illusorie svalutazioni della lira (Ronchey, 1988).

È interessante, con gli occhi di oggi, leggere questo attacco agli specialisti, agli esperti. Gli esperti venivano identificati come coloro che frenavano un progetto politico dalla portata storica come quello dell’integrazione monetaria, considerata come il preludio necessario per l’unificazione politica. In fondo l’Europa, oggi tanto criticata per la sua tecnocrazia, per il suo eccesso di regole che lasciano poco spazio alla politica, questa Europa nasce da scelte politiche che parte importante della cultura economica dell’epoca non riteneva pienamente accettabili (cfr. Masini, 2004, pp. 89 ss.). Non solo, poteva accadere che i tecnici venissero attaccati in nome della democrazia e della sovranità popolare.11

L’articolo non sfuggì a Paolo Baffi che dovette sentirsi interessato personalmente dalle accuse lanciate dal giornalista. Replicò con due lettere. È utile seguire il ragionamento dell’ex governatore, la sua pacata replica a un’opinione che pure destava in lui “qualche sorpresa”. Baffi affronta tre questioni che potremmo definire 1) dell’egemonia monetaria tedesca; 2) della complessità del fenomeno inflazionistico; 3) della insostenibilità della politica del cambio forte. Sono questioni qualificanti dalle quali è utile prendere le mosse per studiare il pensiero di Baffi riguardo l’integrazione monetaria e il rapporto fra esperti e politici.

Il paragrafo seguente si occupa del primo dei tre temi, agli altri due è dedicato il successivo.

 

3. L’egemonia monetaria tedesca

Una delle questioni sulla quale Baffi insiste con maggior forza nelle due lettere a Ronchey è quella del differenziale di inflazione fra Italia e Germania. Nella prima lettera, inviata il 25 ottobre, osserva che il differenziale, altissimo al momento dell’avvio dello SME, continuava a collocarsi intorno al 4-5 per cento. Ciò significa, chiarisce Baffi, che

in assenza di variazioni della parità, la lira matura ogni anno una sovravalutazione di altrettanto nei confronti del marco, con effetto sbilanciante dei conti con l’estero. Questo effetto può essere attenuato dalla utilizzazione della banda larga per la quale mi battei.12

Quella del differenziale inflazionistico con la Germania è una questione centrale per Baffi. Egli il giorno seguente invia a Ronchey una seconda lettera a integrazione della prima. Vi allega una tabellina che mostra il divario tra la dinamica dei prezzi al consumo in Italia e nel “paese leader della CEE, al tempo del negoziato e quale fu durante il primo triennio dello SME” (ivi; la sottolineatura è nel testo). La tabella riporta un differenziale oscillante fra i 9 e 16 punti percentuali, nel quinquennio 1977-81. Conclude Baffi che questa situazione ha comportato “per le monete più deboli nello SME, [...] una distorsione dei flussi commerciali”.13

In questo modo, Baffi metteva a fuoco la questione centrale che deve essere affrontata ogni qualvolta si desideri procedere a un accordo che stabilizzi i cambi in un contesto di economie caratterizzate da diverse strutture economiche, da contrastanti indirizzi di politica monetaria e da divergenti dinamiche dei prezzi. Alcuni mesi più tardi, in un articolo dettato dal suo capezzale, riprende la questione con particolare chiarezza. È un articolo molto denso, nel quale Baffi fa tesoro della sua grande cultura economica e della profonda conoscenza dei fatti storici.

Appare il 3 giugno 1989 su La Stampa, con un titolo molto significativo: “Moneta CEE: falso traguardo”. Scrive Baffi:

La storia monetaria d’Europa ci rivela che, ogni qual volta che la parità del cambio è stata eretta a feticcio o imposta senza adeguato riguardo alle sottostanti condizioni dell’economia, le conseguenze sono nefaste. Mi riferisco in particolare al costo economico e sociale della riconduzione della sterlina alla parità antebellica nel 1925-26; all’imposizione alla Germania, da parte degli Alleati, di una parità aurea immutabile del marco che portò alla deflazione del 1931-32 e, con Hitler e Schacht, al controllo dei cambi sin dal 1934 (Baffi, 1989a, p. 53).

Si tratta di riflessioni, secondo Baffi, di valore generale, applicabili sia ai paesi meno sviluppati sia a quelli più avanzati, appartenenti comunque a vari gradi di sviluppo economico. L’insistenza perché tali paesi

subiscano il giogo di un ordine guidato da una moneta dura come il marco, collocandosi entro fasce di oscillazione sempre più strette o nulle, ignora che a ogni grado di maturazione economica e sociale corrisponde un sistema di vincoli appropriato. Una disciplina rigida in termini di prezzi e cambi, se può essere adatta ai grandi paesi di antica industrializzazione legati fra di loro da una fitta rete di commerci che rende meno probabili ampie variazioni nelle mutue ragioni di scambio, male si addice ad economie, come quelle citate, impegnate a recuperare il ritardo rispetto alle prime.

Nello stesso ambito delle economie sviluppate, si deve osservare che un sistema a guida marco, fondato sulla stabilità dei prezzi, e sulla rigidità del cambio, impone a qualsiasi paese che subisca uno shock riduttivo della sua capacità di produrre reddito (come furono i due del prezzo del petrolio negli anni settanta) la scelta fra il finanziamento estero e il ricorso all’abbattimento dei prezzi interni e, maggiormente, dei salari, che da Keynes in poi sappiamo essere oltremodo difficile e costoso in termini di tranquillità sociale e di produzione del redditi (Baffi, 1989a, p. 55).

È chiaro il richiamo al Keynes della Riforma Monetaria (Keynes, 1925). Si tratta di una cultura economica diffusa nella generazione di Baffi, ancora memore dei guasti derivanti dall’aver trascurato negli anni Venti e Trenta i fenomeni economici e sociali legati all’andamento del cambio.14

Diceva Keynes che, a parità di condizioni, il cambio

non può essere stabile se non nel caso in cui entrambi i livelli dei prezzi, interno ed estero, rimangano stabili. Se, pertanto, il livello dei prezzi all’estero è fuori controllo, ci dobbiamo rassegnare a vedere il livello interno dei prezzi o il cambio trascinato qua e là da influenze straniere. Se il livello dei prezzi all’estero è instabile, noi non possiamo tenere stabili e il nostro livello dei prezzi e il cambio. E siamo costretti a scegliere.

Nell’anteguerra, quando quasi tutto il mondo aveva una moneta aurea, si propendeva tutti per la stabilità del cambio contro la stabilità dei prezzi, pronti a sottometterci a tutte le conseguenze sociali di un cambiamento del livello dei prezzi per cause completamente al di fuori del nostro controllo, e connesse per esempio con la scoperta di nuove miniere d’oro in paesi stranieri o con un cambio di politica bancaria all’estero. A questo ci si assoggettava, in parte perché non si osava adottare una politica monetaria meno automatica, anche se più razionale, ed in parte perché le fluttuazioni dei prezzi che avevamo subite erano moderate (Keynes, 1925, pp. 197-198).

“Siamo costretti a scegliere”, dice Keynes, dobbiamo aver chiari i costi e i benefici delle nostre scelte e il fatto che essi dipendono dal contesto storico in cui ci troviamo. Questo era lo spirito con cui Baffi dava il suo apporto di tecnico. L’economista per Baffi non deve prefiggersi di creare un mondo che funzioni diversamente da quello presente, ma suggerire politiche ben funzionanti che aumentino il benessere degli uomini in carne e ossa, dato il mondo in cui viviamo. In altri termini, occorre realismo, bisogna bilanciare efficacemente gli obiettivi di cambiamento e di miglioramento sociale con la conservazione di alcuni capisaldi della realtà.

Questa sua visione “keynesiana”, l’aveva orientato nel negoziato sullo SME con proposte che sostenevano l’integrazione con un grado di realismo dal quale le trattative e l’esito finale cui esse portarono si allontanarono sempre più, fino a un esito quasi totalmente discosto dalle proposte per le quali si era battuto. Come osserva Luigi Spaventa (1980b),

un interessante progetto italiano, che avrebbe assicurato al sistema flessibilità, durevolezza ed effettiva simmetria di obblighi, fu scartato. Il negoziato si concentrò sull’ampiezza dei margini di fluttuazione e sulla cogenza degli obblighi in caso di divergenza: all’Italia fu concesso un margine più ampio che agli altri Paesi, mentre la questione degli obblighi ebbe una soluzione ambigua (Spaventa, 1980b, p. 25).

Baffi era stato molto chiaro il 26 ottobre del 1978, in occasione della sua audizione alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, nel corso della quale aveva descritto la posizione italiana nel negoziato, volta

alla costruzione di un sistema di cambi che potesse adattarsi alle specifiche condizioni del nostro paese e che, senza imporre oneri ingiustificati, desse un utile contributo al processo di convergenza dell’economia italiana verso le condizioni prevalenti negli altri paesi della Comunità.15

La posizione di Baffi, va sottolineato, era improntata a realismo, e rifuggiva da ogni forma di nazionalismo. Il suo era un contributo a un’integrazione non velleitaria e non dannosa per le economie nazionali:

Dopo il crollo del sistema di Bretton Woods e la riduzione del Serpente ad un’area del Marco un nuovo fallimento in questo campo pregiudicherebbe per molto tempo l’utilizzo di tale strumento. Se, pertanto, si costruisse un sistema con elevate probabilità di insuccesso si infliggerebbe un duplice danno all’economia comunitaria: danno consistente nelle tensioni, con le conseguenti perdite di riserve, che accompagnerebbero la crisi del sistema e nel quasi definitivo accantonamento della politica di cambio fra gli strumenti disponibili a livello comunitario.

Con questi scopi presenti alla mente da parte italiana si è sempre cercato di contemperare le esigenze di rigore che un sistema di cambio deve necessariamente avere per svolgere effettivamente la sua azione di stabilizzazione con la realtà di una Comunità che presenta situazioni fortemente differenziate, e, in particolare, con le esigenze legate alla fase di transizione nella quale il nostro paese è incamminato (Baffi, 1978a, p. 11).

La proposta italiana, ricorda Baffi, poggiava su un sistema basato sui tassi effettivi, che andasse oltre la griglia dei tassi bilaterali del “Serpente monetario” che Germania Occidentale, Francia, Italia e Benelux avevano costituito dopo il crollo del sistema di Bretton Woods: l’impegno alla stabilità delle monete si sarebbe dovuto assumere in rapporto a un paniere di valute, non a parità centrali stabilite bilateralmente. Si proponeva, inoltre, un sistema che non prevedesse obblighi di intervento, “condizionando l’accettazione di questi ultimi a progressi sia in termini dei prezzi e costi interni e della bilancia dei pagamenti che sulle prospettive di medio termine dell’economia italiana” (Baffi, 1978a, p. 11). In questa prospettiva, racconta Baffi, sembrava emergere da parte dei partner europei, la volontà di costruire un Sistema Monetario europeo “veramente nuovo”, fondato su basi veramente cooperative. E ciò “aumentò anche la nostra disponibilità a discutere sistemi di cambio più impegnativi” (ivi, p. 12).

Il negoziato proseguì, da parte italiana ispirato da questo moderato ottimismo. Le ultime concitate fasi della trattativa, prima del discorso del 12 dicembre 1978, con cui il Presidente del Consiglio Andreotti comunicò alla Camera la decisione del Governo di aderire allo SME, possono essere utilmente seguite leggendo i diari di Baffi.16

Il 9 dicembre Baffi scrive di aver capito da Andreotti “che si entrerà”: “Gli ho consegnato, suggerendo una nostra dichiarazione unilaterale, il testo Masera sull’obbligo unilaterale di osservare la soglia di divergenza, e gli ho fatto leggere anche quella che sarebbe stata la direttiva conseguente alla B.d’I”.17 Il giorno successivo Andreotti gli telefona dall’aeroporto di Pisa per riferirgli di una conversazione con Giscard d’Estaing: il Presidente francese lo aveva chiamato “sottolineando il suo interesse al nostro ingresso, e promettendo aiuto nel caso di nostra richiesta di variazione del tasso centrale”.18

Lo snodo è interessante. E non è un caso che sette anni più tardi, il 31 dicembre 1985, Baffi non più Governatore, faccia pervenire al suo successore, Carlo Azeglio Ciampi, una nota con acclusi “alcuni testi di fine ’78 ritrovati fra le mie carte”:19 i documenti allegati sono stralci del “testo Masera”, quello che Baffi aveva consegnato ad Andreotti il 9 dicembre 1978, e tre pagine estratte dall’articolo di Luigi Spaventa (1980a): “Italy Joins the EMS - A Politicai History”.20 Siamo nei mesi successivi agli accordi dell’Hotel Plaza, a New York, che avevano invertito la forte tendenza alla rivalutazione che il dollaro aveva mostrato negli ultimi anni e avevano in questo modo portato tensioni tra le monete dello SME.21 Baffi sente probabilmente bisogno di far notare a Ciampi che le difficoltà in cui ci trovavamo in quel momento si sarebbero potute evitare, se solo il negoziato avesse preso la piega per la quale si era battuto: il testo Masera, sul quale come abbiamo visto Baffi proponeva di impostare una dichiarazione unilaterale del governo italiano, prevedeva che l’impegno dell’Italia a intervenire per rispettare la soglia di divergenza fosse subordinato ad alcune condizioni come l’inclusione della sterlina nell’ECU (unica condizione poi accettata nell’accordo finale) e il non eccessivo apprezzamento del cambio effettivo della lira; prevedeva, inoltre, l’ingresso della lira nello SME “alla fine del 1979 o nel corso dell’anno qualora l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo segni un’apprezzabile tendenza alla diminuzione”.22

Ma il pensiero economico di Paolo Baffi era diretto verso una pesante sconfitta: l’“esperto” sconfitto dalla politica, quella internazionale e quella interna. Nelle pagine stralciate da Baffi per il Governatore Ciampi - che, dobbiamo ritenere, contenevano una ricostruzione ritenuta attendibile - Spaventa (1980a) osservava che le rassicurazioni ricevute dal governo francese avevano indotto le “autorità monetarie”, cioè la Banca d’Italia, a insistere affinché Andreotti inserisse un importante passaggio nel suo discorso alla Camera, un passaggio che costituiva il loro contributo alla comunicazione del Presidente del Consiglio.29 Nella frase che le “autorità monetarie” suggerivano di inserire si affermava che le rassicurazioni ricevute venivano interpretate nel senso che

il nostro Paese non sarà costretto a subire un consistente apprezzamento del cambio effettivo della lira, soprattutto se questo sarà il risultato di movimenti di fondi dalle valute terze verso i poli di maggiore forza monetaria in Europa.24

Secondo Spaventa (1980a), Giscard e Schmidt, tuttavia, di fronte alle posizioni italiane, non si limitarono a parlare della questione in termini economici. Usarono argomenti politici che, a quanto pare, fecero presa su Andreotti, sostiene Spaventa (1980a, p. 90):

Hanno fatto notare che, se l'Italia non avesse aderito, coloro che all'estero erano sempre stati sospettosi dell'esperimento di Andreotti di governare con l'appoggio comunista, avrebbero visto confermate tutte le loro preoccupazioni e avrebbero pensato che il governo non era in grado di resistere alle pressioni comuniste sulle questioni di politica internazionale.

La decisione di Andreotti fu presa in extremis, e portò all’adesione immediata ad uno SME la cui costruzione non tenne conto degli aspetti economici segnalati da Baffi, rispetto ai quali fino all’ultimo questi aveva sperato di convincere i suoi interlocutori politici.25 L’egemonia monetaria tedesca potette dispiegarsi comodamente negli anni successivi.26 Baffi non mancò di commentarne gli esiti, in privato e in pubblico. Molto interessante è in questa prospettiva il carteggio con il parlamentare comunista Luciano Barca con il quale discute, tra l’altro, dei vari riallineamenti delle parità adottati nei primi anni di vita dello SME.27 Si espresse sulla questione, come abbiamo visto, nelle lettere ad Alberto Ronchey. Fa puntualizzazioni, ad esempio su un settimanale come L’Espresso in seguito a una intervista a Giorgio La Malfa.28 Tra le prese di posizione pubbliche più significative vi è la partecipazione al convegno, organizzato dall’IMI il 5 dicembre 1988 (Baffi, 1989b): un testo molto sintetico ed efficace in cui Baffi riflette sul “pensiero oggi dominante” riguardo il tasso di cambio sia come strumento antinflazionistico sia come leva da azionare per promuovere la ristrutturazione industriale. Si tratta di una catena causale che Baffi ritiene troppo complessa per essere pienamente affidabile; un’idea centrale nel pensiero di Baffi sul ruolo dello strumento del tasso di cambio nella politica economica.

La questione dell’egemonia monetaria tedesca nel pensiero di Paolo Baffi viene trattata all’interno di una visione dell’inflazione come fenomeno complesso, che riguarda vari aspetti della vita economica e sociale, non riconducibile a nessi causali semplici e facili da governare. Lo si vedrà nel paragrafo seguente. Ciò avrebbe dovuto mettere in guardia sui rischi legati all’ingresso nello SME, nel caso in cui non si fossero ottenute condizioni adeguate allo stato economico dell’Italia: non esiste una scorciatoia per adattare un’economia ad alto tasso di inflazione come l’Italia a un impegnativo accordo di cambio con una potenza di grande peso e caratterizzata da una contenuta dinamica dei prezzi come la Germania.

 

4. La complessità del fenomeno inflazionistico e l’insostenibilità del cambio forte

Nella lettera a Ronchey, dalla quale ho tratto spunto in questo lavoro, scritta il 25 ottobre 1988, Baffi osservava come fosse “un po’ forzato ricondurre l’abbattimento dell’inflazione alla sola disciplina del cambio”. Il processo di rientro dall’inflazione si era avuto ugualmente nelle economie “a cambio libero”, come gli Stati Uniti e il Regno Unito “in ragione di una revisione dello schema delle priorità di politica economica ovunque intervenuto, quale reazione all’ondata inflazionistica degli anni settanta, e di altre cause (tra cui il calo di potere dei sindacati e il controshock petrolifero)”.29

Sul ruolo da assegnare al tasso di cambio Baffi aveva più volte offerto il suo contributo alla riflessione, anche in occasioni pubbliche. Nel discorso al Forex dell’ottobre 1978, I cambi: ieri, oggi e domani, egli aveva osservato che

un appropriato assetto dei cambi non gioca, in positivo, lo stesso ruolo primario di una corretta politica dei redditi e di bilancio; sul piano interno come su quello internazionale, sarebbe speranza mal riposta quella che un qualsiasi sistema di cambio possa essere il solo od il principale punto di avvio di un circolo virtuoso atto a riportarci verso la stabilità monetaria e lo sviluppo.

Ma è anche vero che un sistema dei cambi che cozzasse contro le realtà economiche nazionali, o anche una gestione malaccorta del cambio nell’ambito di un sistema appropriato, potrebbero agire, in negativo, a spegnere le forze che portano verso l’equilibrio esterno di un’economia aperta e che consentono di alimentare il processo di sviluppo ad un tempo con un’ampia domanda estera e con un largo flusso di importazioni di prodotti da trasformare e di derrate (Baffi, 1978b, p. 4).

In sintesi, lo strumento del tasso di cambio, mentre poco può fare per il raggiungimento della stabilità monetaria, può produrre conseguenze fortemente negative sull’economia. È un farmaco che va usato con attenzione. In questa prospettiva, egli affronta quindi il dibattito, in quegli anni molto vivo, “sui costi e sull’efficacia della manovra del tasso di cambio quale strumento di riequilibrio della bilancia dei pagamenti” (ivi, p. 16). E discute la tesi di chi sosteneva che

ricondotte le riserve e l’indebitamento ufficiali su livelli più adeguati, [...] sarebbe stato preferibile sospendere gli interventi in acquisto sul mercato dei cambi, lasciando che il cambio effettivo della lira, rivalutandosi, sviluppasse un effetto di moderazione dell’inflazione, analogamente a quanto è avvenuto in Germania, in Svizzera e nel Giappone (ivi, p. 16).

Si trattava di una questione centrale, secondo Baffi, anche perché fra il 1977 e il 1978 l’inflazione si era collocata su un livello “apparentemente non abbassabile”, oltre il 10 per cento, pur in assenza di spinte salariali. Su questo sfondo, Baffi faceva due considerazioni.

In primo luogo, nel 1978 il cambio effettivo si era mantenuto sostanzialmente stabile. Ciò aveva contribuito a “permettere un aumento dei prezzi delle importazioni valutato, per l’intero anno, nel 5 per cento, inferiore quindi al tasso di inflazione interno” (Baffi, 1978b, pp. 16-17). La spiegazione dell’“incomprimibilità del tasso di inflazione” andava quindi cercata altrove; in particolare Baffi la attribuiva “alla preponderante influenza dei fattori di inerzia” (ivi, p. 17), i quali caratterizzavano le principali economie occidentali, compresa quella statunitense, in misura più intensa rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta.

In secondo luogo, Baffi si riferiva a risultati consolidati in letteratura che analizzano

la rigidità verso il basso dei prezzi; evidenze empiriche, ancorché non conclusive, mostrerebbero che la traslazione dei costi oltreché parziale è asimmetrica; si può arguire poi, per quanto riguarda i tempi di reazione, che essi siano quanto meno assai più lunghi di quelli occorrenti alle imprese per decidere aumenti dei listini, stante la maggiore incertezza circa il corso del cambio successivo al provvedimento di rivalutazione e quindi il carattere definitivo del ribasso del costo dei beni importati (ivi, p. 18).

E del resto, non è possibile trascurare i costi, anche sociali, di una stabilizzazione perseguita con la sola leva monetaria. In un passo molto importante delle Considerazioni finali sul 1978 Baffi osservava che

Amministrare la moneta al fine esclusivo di stabilizzarne il valore innescava un tempo un processo di aggiustamento temporalmente definibile e capillarmente diffuso in una moltitudine di adattamenti singoli, processo nel quale i costi transitori della stabilizzazione erano economicamente, socialmente e politicamente tollerabili in quanto distribuiti tra molti soggetti. Oggi quei costi si concentrerebbero nei blocchi dell’economia la cui resistenza fosse stata alfine vinta, forse per sempre; là si determinerebbero la disoccupazione di vaste regioni e fasce sociali e la crisi di intere industrie, non esclusa quella bancaria; le disparità diverrebbero intollerabili. Contrapporre a più concentrati e rigidi processi di formazione dei prezzi un più duro esercizio del monopolio monetario, indipendentemente dall’adesione e dalla convinzione di chi opera nell’economia significherebbe, come in alcuni paesi ha significato, perseguire la stabilità con l’imposizione, con un metodo che porterebbe sprechi e distorsioni di risorse non dissimili da quelli che si accompagnano a un blocco dei prezzi (Banca d’Italia, 1979, p. 377).

Ogni misura politica presenta costi e benefici. Per effettuare scelte sociali tecnicamente e politicamente razionali dobbiamo essere in grado di soppesarli, di effettuare un confronto per giungere a conclusioni sull’opportunità della scelta. Interessante, da questo punto di vista la terza osservazione che Baffi formula nella lettera a Ronchey:

la difesa del cambio ha comportato, in Italia, l’innalzamento dei tassi d’interesse reali dai livelli negativi degli anni settanta agli attuali fortemente positivi, che alimentano il circolo vizioso del disavanzo dello Stato. Si tratta di un costo che meritava forse di essere pagato per quello scopo; ma l’effetto ultimo, in assenza di correzioni di rotta, sarebbe una crisi di affidabilità di credito dello Stato che costerebbe anche di più.30

In questo caso il confronto fra i costi e i benefici sembra condurre al fondo di una strada senza uscita. Non vi è unilateralità nel modo in cui Baffi conduce i suoi ragionamenti. Egli evidenzia l’estrema gravità della situazione economica in cui versa il paese che rende impossibile qualsiasi soluzione semplice: non si tratta di essere a favore o contro la difesa del cambio. Gli alti tassi di interesse che occorrono per sostenere quella politica sono insostenibili, ma lo sarebbe anche una politica accomodante. Siamo in un cul de sac. Entrambe le politiche avrebbero costi superiori ai benefici e, inoltre, sarebbero di corto respiro. La stabilizzazione monetaria, secondo Baffi, andava perseguita seguendo l’impervia e quasi disperata strada della persuasione politica. In questo quadro si comprende ad esempio una lettera come quella che egli invia al Segretario generale della CGIL, Luciano Lama, il 13 marzo del 1976.

È dal 1969 che, in un ricorso sempre più frequente di fasi restrittive, cerchiamo di assicurarci i mezzi per pagare le importazioni con tre strumenti che una politica più responsabile saprebbe evitare: il debito estero, la svalutazione, la restrizione. Una qualsiasi combinazione di questi tre strumenti ormai logori ed abusati non è più alla misura dei problemi che il drammatico volgere degli eventi pone al nostro paese. Occorre ormai che la creazione di lire sia commisurata al flusso delle risorse reali che l’economia sa esprimere nel breve periodo; occorre cioè un severo controllo del disavanzo di bilancio e della dinamica salariale. L’aumento della massa salariale eccedente il prevedibile flusso addizionale di risorse reali nel 1976 (1-2 per cento) si risolverà in una pura distribuzione di carta, che non conferirà ai percipienti alcun potere d’acquisto effettivo: anche perché gli effetti redistributivi configurabili sono minimi: non dalle imprese, se non distruggendo il già stentato processo di accumulazione; non dall’agricoltura e dal terziario, i cui redditi si adeguano alla domanda monetaria; poco (e ingiustamente) dai risparmiatori, che già soffrono dei tassi di interesse reali negativi.

L’unico, sconvolgente effetto di una dinamica salariale accesa sarebbe la caduta del cambio.31

Baffi prosegue la lettera argomentando l’importanza del vincolo estero per l’economia italiana, del quale a suo parere dovrebbe tener conto la politica salariale; e conclude con un appello:

So di avere indirizzato questa che non esito a definire una invocazione di aiuto a persona altamente responsabile, dalle cui azioni dipendono in larga parte, nell’attuale congiuntura, le sorti della lira; ed è appunto la certezza della sua sensibilità al bene comune che mi ha indotto, dopo attenta e sofferta riflessione, a scriverle. Insieme con i miei collaboratori sono a disposizione per ogni complemento di analisi e di informazione (ivi, p. 6).

Per Baffi l’inflazione è un fenomeno radicato in comportamenti sociali, non strettamente monetario (Seghezza, 2020). L’inflazione è un male per i suoi effetti distorsivi sulla allocazione delle risorse e per come influenza la loro distribuzione fra le classi sociali. Gli strumenti per combattere l’inflazione, tuttavia, debbono essere proporzionati all’obiettivo. La lotta all’inflazione può essere dannosa.32 E per lo stesso motivo un tasso di cambio ancorato a una valuta “dura” come il marco può rivelarsi controproducente per le monete più deboli. In questa prospettiva, come vedremo tra poco, ogni misura volta a perseguire l’integrazione internazionale, anche nel senso più ampio non strettamente monetario, deve tener conto delle differenze e delle peculiarità nazionali: solo in questo modo è possibile conseguire una integrazione fruttuosa e duratura.

 

5. Conclusioni: Paolo Baffi e l’integrazione europea

Il citato articolo che Baffi pubblicò su La Stampa il 3 giugno 1989 costituisce una sintesi del suo pensiero sull’integrazione monetaria e sull’unificazione dell’Europa. Egli, tra l’altro, vi motiva il suo scetticismo sulla prospettiva di un sempre più stretto coordinamento delle politiche che non tenga conto delle differenze economiche, storiche e culturali dei paesi che vi aderiscono. In questa elaborazione, Baffi guarda lontano, indietro nella storia e nel futuro dell’Europa. E sono interessanti i suoi riferimenti culturali: li riassume per lui l’economista tedesco Roland Vaubel, che Baffi apprezzava molto proprio per la sua visione dell’Europa:

Secondo questa lettura, un coordinamento troppo spinto di politiche economiche elimina l’elemento di concorrenza, caratteristico del Mercato comune, dal livello più alto in cui la concorrenza può esplicarsi, che è quello della formazione delle politiche medesime; esso è quindi contraddittorio con la filosofia del sistema, che in uno schema di concorrenza interna dovrebbe consentire agli agenti opzioni diverse nelle loro decisioni di offerta di lavoro, di investimento di capitali, di culture e stili di vita (Baffi, 1989a, p. 55).

All’articolo di Baffi replicò un Guido Carli risoluto, determinato a evitare che la discussione sull’integrazione monetaria europea divenisse una discussione fra economisti, tra esperti che non colgono l’importanza del momento dell’azione:

Sono incline a ritenere che la convertibilità delle monete sulla base di cambi irrevocabilmente fissi e da ultimo una moneta unica concorrono al raggiungimento dell’obiettivo dell’unificazione politica. Coloro che credono, io sono fra questi, che l’unità politica dell’Europa costituisce un obiettivo prioritario devono accettare il sistema monetario che fra tutti è il più idoneo a sollecitare il suo conseguimento (Carli, 1989, p. 61).

Baffi reagisce scrivendo a Carli il 14 giugno del 1989. Tiene a precisare una questione:

Un punto del mio testo al quale annetto qualche peso è il quarto concernente la deflazione assoluta dei prezzi e dei salari che, in un sistema di cambi rigidi, guidato da una moneta a potere d’acquisto stabile, si renderebbe necessaria nei paesi membri che subissero rilevanti, avversi shocks esterni33.

E conclude con una stoccata: “Nel formulare questo punto avevo in mente, insieme con gli insegnamenti di Keynes, la nostra (tua e mia) apparente cedevolezza degli anni settanta” (ivi). È evidente il distacco fra le posizioni dei due ex governatori. In quegli stessi mesi, il governatore in carica, Carlo Azeglio Ciampi, in perfetta sintonia con Guido Carli, si faceva portatore di una posizione opposta a quella sostenuta con vigore da Baffi. Nel 1989, la lira adottava la cosiddetta banda di oscillazione ristretta, rinunciando alla possibilità di deprezzarsi fino al 6 per cento rispetto alle parità centrali; era la possibilità conquistata grazie all’opera e agli sforzi di Baffi al momento delle trattative sullo SME. È interessante leggere la solenne dichiarazione di Ciampi nelle Considerazioni finali lette il 31 maggio 1990:

L’adesione della lira alla banda stretta dello SME ha rappresentato il suggello della politica seguita negli anni ottanta. Interpretando gli accordi monetari europei non solo come uno strumento tecnico, ma soprattutto come impegno a realizzare la convergenza delle economie partecipanti, il governo della moneta, del tasso dell’interesse, del cambio è stato ispirato a una linea antinflazionistica che stimolasse gli operatori alla ricerca della competitività e al rafforzamento della base produttiva (Banca d’Italia, 1990, p. 14).

A giudicare dall’articolo che Baffi aveva scritto su La Stampa l’anno precedente (Baffi, 1989a), poche settimane prima della sua scomparsa, è probabile che egli, di fronte a questa espressione del “pensiero oggi dominante” (Baffi, 1989b, p. 69) avrebbe avuto forti perplessità sulle scelte politiche ormai maturate. È probabile che avrebbe pensato negli stessi termini in cui si era espresso nel suo intervento al Forex, nel 1978, quando aveva concluso con una affermazione che riassume tutto il suo pensiero sul rapporto fra tecnica e politica:

È criterio fondamentale di azione politica quello di proporzionare gli impegni ai propri mezzi: i mezzi dovendo misurarsi in questo caso non solo in termini di riserve e di crediti, ma anche di capacità e di tempi di realizzazione di politiche economiche non creatrici di inflazione.

Sarebbe quindi cattiva ragion politica quella che venisse adottata per ignorare i limiti e le condizioni nei quali possiamo impegnarci. Il regime dei cambi fissi non ha avuto, negli ultimi sessant’anni, un elevato valore coesivo. Lo SME darà un contributo alla coesione, ma non possiamo determinarci nel presupposto che esso valga quasi per incanto a suscitare negli ambienti nazionali le energie ed i consensi atti ad allineare rapidamente le politiche interne ad un sistema di obblighi che fosse definito con eccessiva durezza (Baffi, 1978b, pp. 27-28).

Baffi fu sconfitto. Il passaggio del testimone con Ciampi simboleggia il passaggio di consegne fra due modi diversi di concepire l’economia, la politica economica, il rapporto fra politica ed economia; cambiò di conseguenza anche il modo di concepire l’integrazione europea e il ruolo da assegnare alla moneta in questa prospettiva. L’economia per Baffi non poteva essere separata dalla società nel suo complesso e, per questo motivo, lui, “esperto”, consigliava ai politici di adottare provvedimenti compatibili con il funzionamento del sistema economico-sociale.

Il pensiero di Baffi, in quanto associato alla sua capacità di osservare i caratteri storicamente e istituzionalmente specifici dei sistemi economici, porta a concepire l’integrazione europea come un cammino di unione fra diversi, di riconciliazione fra peculiarità storiche che richiedono di essere valorizzate. Non è un caso che, come abbiamo visto, Baffi si richiami a un economista come Roland Vaubel, fautore di una integrazione europea articolata, rispettosa delle caratteristiche nazionali; il quale contestava il coordinamento troppo spinto delle politiche che si andava delineando in Europa.

Qui emerge, peraltro, la già rilevata assonanza culturale e teorica che Baffi aveva con il suo amico Caffè; le affinità intellettuali che li legavano erano probabilmente maggiori di quelle cui potrebbero indurre a credere le controversie che spesso li avevano contrapposti.34 I due economisti avevano lavorato con grande impegno all’interno della banca centrale, a promuovere l’integrazione economica internazionale dell’Italia. Ne avevano ben chiara l’importanza. Ispirati da questo quadro generale, essi condividevano un’idea dell’integrazione europea nella quale la storia dei vari paesi doveva avere ampio spazio; l’integrazione era interpretata come riconciliazione e valorizzazione delle differenze, piuttosto che come percorso verso l’uniformità. Questa visione si contrapponeva a quella che poi prevalse sino alla profonda crisi attuale, che definirei di tipo costruttivista, volta cioè a pianificare la costruzione di un ordine che non tiene conto delle differenti esperienze storiche e istituzionali dei paesi europei.35

L’essere un economista capace di comprendere il dato storico-istituzionale consentì a Baffi di rifuggire da un pensiero economico che pretende di guardare agli stati nazionali con sguardo uniforme, senza comprendere l’importanza di costruire sulle differenze. Nella cartellina che contiene la corrispondenza con Vaubel, Baffi ha conservato un articolo dell’economista tedesco apparso sul Wall Street Journal nel 1989. Il titolo è significativo: “Europe, Let Your History Be Your Guide”. Vaubel partiva da interrogativi molto generali: perché l’illuminismo si sviluppò in Europa? Perché la scienza moderna nacque in Europa? E perché la rivoluzione industriale esplose in Europa? Le ragioni di questo “miracolo europeo” sono riconducibili, secondo Vaubel, alla frammentazione territoriale del potere statuale, mai concentrato in un centro imperiale in grado di burocratizzare i processi politici i quali, al contrario, si sono sempre caratterizzati per la grande e vitale competizione fra una varietà di entità statuali.36 Vi è un segno di evidenziazione, quasi sicuramente tracciato dalla matita di Baffi, a margine di una frase chiave:

Cosa possiamo imparare da queste spiegazioni del “miracolo europeo”? Che è pericoloso sopprimere la concorrenza politica internazionale tra i responsabili delle politiche nazionali in Europa, che molti tentativi contemporanei di “armonizzare” o “unificare” regolamenti, norme fiscali e politica monetaria sono mal concepiti e controproducenti (Vaubel, 1989).

Oggi il pensiero di Baffi sull’integrazione europea merita attenzione, in quanto appare in grado di dare forza analitica ad almeno due linee di analisi che si incaricano di dar conto della crisi del progetto europeo, ricercandone soluzioni concrete.

Da una parte, la visione di Baffi consente di rifuggire da quella che Sergio Fabbrini (2017) ha definito “paradigma statalista”:

Il paradigma statalista costituisce un fondamentale vincolo cognitivo (oltre che politico, insisto a dire) sul futuro dell’Europa. In Europa, l’idea di federalismo continua a fare tutt’uno con l’idea di stato. Non distinguendo tra federalismo per disaggregazione e federalismo per aggregazione, la cultura politica europea ha finito per associare il federalismo sia all’esistenza di uno stato sia all’esistenza di un governo. In realtà, solamente dissociando il federalismo dallo stato e dal suo governo è possibile porre su basi realistiche il futuro dell’Europa (Fabbrini, 2017, p. 123).

Baffi, in fondo, con Vaubel, era un fautore di quella che Fabbrini definisce “sovranità frammentata”: la stessa concezione keynesiana dei rapporti economici internazionali e del tasso di cambio spinge a ciò Baffi.

Ma vi è anche una seconda moderna linea di analisi per la quale il pensiero e le analisi di Baffi possono rivelarsi feconde. Si tratta della distinzione tra “processi” e “risultati” come criteri distinti per valutare una determinata attività. Secondo Gian Domenico Majone, acuto critico non nazionalista dell’Unione europea, le decisioni politiche delle istituzioni comunitarie tendono a essere valutate in termini di processo: il progresso dell’integrazione europea viene misurato in base al numero e alla rilevanza delle procedure condivise fra i paesi membri, in base al volume di norme comunitarie prodotte, all’espansione delle competenze delle istituzioni europee. In questa prospettiva, vengono però trascurati i risultati prodotti (o non prodotti) da tali sempre più numerosi processi comuni (Majone, 2014, p. 79).

Una riflessione sul pensiero di Baffi implica l’abbandono dell’enfasi sui processi come criteri di valutazione dello stato di salute e del progresso dell’integrazione; comporta la messa al centro del dibattito pubblico la necessità di attuare politiche attente ai risultati da raggiungere in tempi ragionevoli; queste richiedono l’apporto concreto degli esperti.

D’altra parte, secondo Majone, l’attenzione prevalente posta sui processi rischia di rimandare a un tempo indefinito la realizzazione di obiettivi tangibili e apprezzabili dai cittadini, sui quali costruire il consenso per la costruzione europea. In questa prospettiva appare emblematica la citata presa di posizione di Guido Carli quando, in polemica con Baffi, aveva dichiarato di affidare a un “processo” comune come lo SME l’obiettivo di muovere un passo importante verso “l’obiettivo dell’unificazione politica”. Ma come osserva E.H. Carr (2016): “L’attenzione della politica concentrata su un processo con orizzonte temporale indefinito alla lunga risulta inaccettabile o incomprensibile alla mente umana” (Carr, 2014, p, 84; citato da Majone, 2014, p. 87).

Sono tutti temi sui quali oggi siamo obbligati a riflettere e, sotto questa luce, guardando retrospettivamente alle analisi e alle proposte di Baffi, si scopre che il suo era il pensiero di un esperto che non si contrappone alla politica, ma vuole nutrirla con la conoscenza di cui dispone; il suo crepuscolo era stato forse prematuramente annunciato.


* La responsabilità delle opinioni espresse dall’autore non coinvolgono l’Istituto presso il quale lavora e si basano
su documenti consultabili presso l’Archivio storico della Banca d’Italia (ASBI) e, in un caso, presso l’Archivio storico
della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Ringrazio Elisabetta Loche la cui profonda conoscenza delle “Carte Baffi”
ha consentito le riflessioni qui riportate.

Riferimenti bibliografici
Archivio storico della Banca d’Italia - ASBI (2009), Paolo Baffi. Guida alle carte d'archivio, Banca d’Italia.
Baffi P. (1978a), “Il Sistema Monetario Europeo e la partecipazione dell’Italia”, Thema: Quaderni di economia e finanza dell'Istituto bancario San Paolo di Torino, 2, pp. 7-19 (Testo dell’audizione del Governatore della Banca d’Italia alla VI Commissione permanente Finanze e Tesoro del Senato, Roma, 26 ottobre 1978).
Baffi P. (1978b), I cambi: ieri, oggi, domani, Relazione del dott. Baffi al XXI Congresso Nazionale del Forex Club Italiano (Associazione tra gli operatori in cambi) svoltosi a Ischia il 14 e 15 ottobre 1978.
Baffi P. (1989a), “Moneta CEE, falso traguardo”, La Stampa, 3 giugno, p. 17; citato come riprodotto in Occhiuto A. (a cura di) (1989), Paolo Baffi. 5 agosto 1911 - 4 agosto 1989, Roma: Ente per gli studi Bancari e Monetari Luigi Einaudi, pp. 51-59, con il titolo “Da Einaudi a Delors e oltre, con giudizio”.
Baffi P. (1989b), “Il negoziato sullo SME”, in Bancaria, 1.
Baffi P. (2016), Servitore dell'interesse pubblico. Lettere 1937-1989, a cura di Beniamino Andrea Piccone, Torino: Aragno.
Baffi P. (2013), Parola di Governatore, a cura di Sandro Gerbi e Beniamino Andrea Piccone, Torino: Aragno.
Baffi P. (2017), Via Nazionale e gli economisti stranieri. 1944-1953, a cura di Beniamino Andrea Piccone, Torino: Aragno.
Baffi P. e Jemolo A.C. (2014), Anni del disincanto. Carteggio 1967-1981, a cura di Beniamino Andrea Piccone, Torino: Aragno.
Baffigi A. (2016a), “L’integrazione europea come questione di Social Choice nel pensiero di Federico Caffè”, Ricerche di storia economica e sociale, II (1-2), pp. 183-208.
Baffigi A. (2016b), “1978, Padoa-Schioppa scrive a Caffè: due visioni della democrazia e dell’Europa”, Menabò di Etica ed Economia, https://www.eticaeconomia.it/1978-padoa-schioppa-scrive-a-caffe-due-visioni-della- democrazia-e-delleuropa/
Baffigi A. (2019), Amilcare Puviani, l'illusione finanziaria e la democrazia: significato, interpretazioni e prospettive, manoscritto non pubblicato.
Banca d’Italia (1976), Assemblea generale ordinaria dei partecipanti. Considerazioni finali, Roma: Banca d’Italia, Roma 31 maggio 1976.
Banca d’Italia (1979), Relazione annuale sul 1978, Roma: Banca d’Italia.
Banca d’Italia (1986), Relazione annuale sul 1985, Roma: Banca d’Italia.
Banca d’Italia (1990), Relazione annuale sul 1989, Roma, Banca d’Italia.
Barca L. (2005), Cronache dall'interno del vertice del PCI. Volume II. Con Berlinguer, Soveria Mannelli (CZ): Rubbettino.
Bernholz P., Streit M. e Vaubel R. (a cura di) (1998), Political Competition, Innovation, and Growth, Berlino: Springer.
Biblioteca “Paolo Baffi” (2009), Paolo Baffi. Bibliografia degli scritti, Roma: Banca d’Italia.
Caffè F. (1966), Sistematica e tecniche della politica economica. I - Parte introduttiva, Roma: Edizioni ricerche.
Caffè F. (1979), I problemi della moneta europea, in G. Amari e N. Rocchi (a cura di), Federico Caffè. Un economista per il nostro tempo (pp. 548-559), Roma: Ediesse.
Caffè F. (1981), Lezioni di Politica economica, Torino: Boringhieri.
Carli G. (1989), “L’Europa dopo il 2000”, La Repubblica, 13 giugno.
Carr E. H. (2014), The Twenty Years' Crisis, 1919-1939, Basingstoke: Palgrave Macmillan.
D’ Amato L. (1978), “Con Baffi e senza”, Il Fiorino, 31 dicembre (anche conservato in ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, pratt. , n. 16, fasc. 6, p. 3).
Fabbrini S. (2017), Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l'Europa, Roma-Bari: Laterza.
Faucci R. (2012), “Federico Caffè”, in Il contributo italiano alla storia del pensiero, Roma: Treccani, disponibile online all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/federico-caffe_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Economia%29/.
Florio J. (2020), “Scacco matto all’Eurozona”, Limes, 4, 11 maggio.
Gaiotti E. e Rossi S. (2004), “Theoretical and Institutional Evolution in Economic Policy: The Case of Monetary Regime Change in Italy in the Early 1980s”, Storia del Pensiero Economico, 2, pp. 5-36.
Gigliobianco A. (2006), Via Nazionale. Banca d'Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Roma: Donzelli.
Gigliobianco A. (2013), “Paolo Baffi”, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma: Treccani, disponibile online all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/paolo-baffi_(Dizionario-Biografico)/ (ristampata in Baffi, 2016).
Jones E.L. (1981), The European Miracle, Cambridge: Cambridge University Press.
Kant I. (1997), “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?”, in Tagliapietra A., Che cos’è l’illuminismo? I testi e la genealogia del concetto (pp. 16-41), Milano: Bruno Mondadori.
Keynes J.M. (1925), La riforma monetaria, Milano: Fratelli Treves (traduzione di Piero Sraffa).
Ludlow P. (1980), “The Political and Diplomatic Origins of the European Monetary System, July 1977-March 1979”, The Johns Hopkins University Occasional paper, n. 32, pp. 1-66, Bologna : Johns Hopkins University.
Ludlow P. (1982), The Making of the European Monetary System, London: Butterworth Scientific.
Majone G. D. (2014), Rethinking the Union of Europe Post-Crisis. Has Integration Gone Too Far? Cambridge (UK): Cambridge University Press.
Masera R. (1987), L’unificazione monetaria e lo SME. L’esperienza dei primi otto anni, Bologna: Il Mulino.
Masini F. (2004), SMEmorie della lira. Gli economisti italiani e l’adesione al Sistema monetario europeo, Milano: Franco Angeli.
Micossi S. (1988), “Ma i capitali ritornano”, Il Sole 24 Ore, 26 ottobre.
Mill J.S. (1965), Principles of Political Economy, University of Toronto Press (edizione originale, 1848). Anche in The Collected Works of John Stuart Mill (33 volumi), 1963-1991, Toronto-London: Liberty Fund, disponibile online all’indirizzo: https://oll.libertyfund.org/titles/mill-the-collected-works-of-john-stuart-mill-volume-ii-the-principles-of-political-economy-i, vol. II.
Mokyr J. (2017), A Culture of Growth. The Origins of the Modern Economy, Princeton (NJ): Princeton University Press.
Nichols T. (2017), The Death of Expertise. The Campaign against Established Knowledge and Why it Matters, New York: Oxford University Press.
Occhiuto A. (a cura di) (1989), Paolo Baffi. 5 agosto 1911-4 agosto 1989, Roma: Ente per gli studi Bancari e Monetari Luigi Einaudi.
Piccone B.A. (2014), “Paolo Baffi Servitore dell’interesse pubblico”, in Baffi (2016), Servitore dell’interesse pubblico. Lettere 1937-1989 (pp. 3-157), Torino: Aragno.
Ronchey A. (1988), “Il crepuscolo degli esperti”, Panorama, 30 ottobre.
Sarcinelli M. (1991), “Sui caratteri della politica monetaria del Governatore Baffi”, Moneta e Credito, 44 (176), dicembre, pp. 431-454.
Seghezza E. (2020), “Governor Baffi’s view on the Italian Great Inflation”, Italian Economic Journal, 6, pp. 563-584.
Spaventa L. (1980a), “Italy Joins the EMS - A Politicai History”, The Johns Hopkins University Occasionai Paper, n. 32, pp. 67-91, Bologna : Johns Hopkins University.
Spaventa L. (1980b), “Lo SME un anno dopo”, Il mercato europeo dei capitali: nuovi strumenti operativi nel quadro dell’integrazione monetaria (pp. 23-29), Torino: Istituto bancario S. Paolo di Torino.
Spinelli A. (1992), Diario europeo (1976-1986), Il Mulino: Bologna.
US Embassy, Italy Rome (1978), Paolo Baffi, Governor of Bank of Italy, Discusses Ems and Italian Economic Prospects, Cable from Rome Embassy to Secretary of State, disponibile online all’indirizzo: https://wikileaks.org/plusd/cables/1978ROME21679_d.html)
Vaubel R. (1989), “Europe: Let your History be Your Guide”, The Wall StreetJournal, 22 maggio.
Visco I. (2010), “Conoscere per deliberare, conoscenza come guida dell’azione”, in Acocella N. (a cura di), Luigi Einaudi: studioso, statista, governatore (pp. 65-70), Roma: Carocci.

Note
1 Per la biografia di Baffi si rimanda alla voce curata da Gigliobianco (2013) per il Dizionario biografico degli italiani, dalla quale sono tratti gli stralci riportati qui di seguito. Si veda anche Gigliobianco (2006, pp. 307-334) e la serie di volumi, ricchi di documenti, curati e scritti da Beniamino Andrea Piccone (2014; Baffi, 2013, 2016, 2017; Baffi e Jemolo, 2014). Paolo Baffi “nacque a Broni, nell’Oltrepò pavese, il 5 agosto 1911, figlio unico di Giovanni e di Giuseppina Lolla. Il padre, figlio di un piccolo coltivatore, morì quando Paolo aveva solo quattro anni e fu la madre a provvedere ai bisogni della famiglia lavorando come sarta”. Baffi fu assunto dalla Banca d’Italia nel marzo 1936.
“All’inizio del 1945, dopo la nomina di Luigi Einaudi a governatore della Banca, Baffi assunse la guida del Servizio  studi [...]. Fattori decisivi per la sua scelta furono la competenza e la familiarità con il mondo anglosassone, qualità  essenziali per instaurare un rapporto di fiducia fra le amministrazioni italiane e gli Alleati, sempre alla ricerca di dati obiettivi sulla situazione economica del paese. Senza tale rapporto di fiducia - al quale per la Banca contribuirono in modi diversi Einaudi, il direttore generale Donato Menichella e Baffi stesso - l’Italia non avrebbe potuto ottenere gli aiuti di cui aveva assoluto bisogno per superare l’emergenza del dopoguerra”. Diresse il Servizio studi fino al 1956, quando, nel febbraio, fu promosso consigliere economico. “Una parte rilevante delle sue energie fu dedicata al ruolo, assunto nello stesso 1956, di consigliere economico della Banca dei regolamenti internazionali”. “All’interno della banca centrale, la funzione più caratteristica di Baffi fu di stimolare la produzione di idee, e di sottoporre a un rigoroso vaglio critico le nuove proposte. Di grande rilievo fu l’adozione, nel 1965 (pur con molte cautele), del concetto di base monetaria, messo a punto negli anni precedenti da Karl Brunner, Allan H. Meltzer, Milton Friedman e Anna Schwartz”. “Nel marzo 1979 il governatore Baffi e Mario Sarcinelli, vicedirettore generale, furono incriminati per interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento: erano accusati di non aver trasmesso all’autorità giudiziaria i risultati di un’ispezione al Credito industriale sardo, una banca i cui finanziamenti all’industria chimica SIR (Società italiana resine, controllata da Nino Rovelli) erano oggetto di indagine da parte della magistratura. Il proscioglimento dall’accusa - costato a Sarcinelli il carcere, risparmiato a Baffi solo in ragione dell’età - sarebbe arrivato (ancora in fase istruttoria) con la sentenza dell’11 giugno 1981, ma, per garantire alla Banca una guida non intaccata da sospetti, Baffi aveva preferito lasciare la carica: le sue dimissioni ebbero effetto il 7 ottobre 1979”. Morì a Roma il 4 agosto 1989.
2 O’Rourke (2015). Si veda anche Baffigi (2016a, 2016b, 2019) e la bibliografia ivi citata.
3 Per una visione completa dell’opera di Paolo Baffi e del suo articolatissimo archivio personale si veda Biblioteca “Paolo Baffi” (2009) e Archivio storico della Banca d’Italia (2009).
4 Servitore dell’interesse pubblico è il titolo di un interessante volume a cura di Beniamino Piccone (Baffi, 2016) che raccoglie una vasta selezione della corrispondenza di Baffi dal 1937 al 1989.
5 Per un profilo biografico di Federico Caffè si veda il saggio di Riccardo Faucci (2012). Sul rapporto Baffi-Caffè è interessante Visco (2010, pp. 67 ss.)
6 Il brano di Mill è citato in italiano in Caffè (1966, p. 46). Il testo originale può essere consultato in Mill (1965, p. XCI): “Except on matters of mere detail, there are perhaps no practical questions, even among those which approach nearest to the character of purely economical questions, which admit of being decided on economical premises alone”.
7 ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 1, fasc. 19, pag. 4.
8 ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, Pratiche, n. 116, fasc. 1, pag. 29.
9 Luigi Spaventa (1980b) osserva che nei vertici politici che si svolsero a ritmo serrato nel 1978 in preparazione del Sistema Monetario Europeo si animò una “strana disputa”: “Sia la partenza di Copenhagen, sia tutte le tappe successive - Brema, Aquisgrana, Bruxelles, Roma - sono caratterizzate da iniziative e decisioni politiche, assunte con poca o nessuna istruttoria tecnica, le quali tagliano corto ai dibattiti tecnici, sia interni sia esterni alla trattativa, e alle numerosissime esitazioni espresse dagli esperti. Esperti e tecnici, soffermandosi sulle diverse alternative, tendevano ad ingrandire i costi economici dell’una o dell’altra scelta. I politici, al contrario, spinti da diverse motivazioni, mettevano in ombra i possibili costi e tendevano a magnificare i benefici attesi” (Spaventa, 1980b, p. 23). Una fotocopia dell’articolo di Spaventa è conservata fra le carte di Baffi, in una delle cartelle tematiche nelle quali troviamo concentrati documenti sullo SME, peraltro rinvenibili in maniera sparsa anche in molte altre cartelle del suo archivio. Si veda ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, Pratiche, n. 117, fasc. 2, pp. 16 ss.
10 Il numero è quello del 30 ottobre, in edicola già il 24 ottobre, come risulta dalle fotocopie della rassegna stampa compilata in Banca d’Italia conservata da Baffi nel suo archivio.
11 Baffi stesso subì critiche pesanti, ben oltre quelle che abbiamo visto formulate da Ronchey, come quelle del direttore del quotidiano finanziario Il Fiorino che in una serie di articoli prese di mira il Governatore inquadrandone l’azione all’interno “di tutto un groviglio di residui nazionalistici e di interessi contrastanti che ancora ostacola il cammino dell’Europa monetaria, che poi è una tappa decisiva verso l’unità completa e senza aggettivi” (D’Amato, 1978). E aggiungeva più avanti: “Non è affatto un buon affare per il nostro Paese il rischio che l’Europa monetaria si inceppi e, con essa, l’Europa dei popoli. Il giudizio, trattandosi di una così stretta connessione, deve essere lasciato al governo e, prima di tutto, al parlamento quale espressione della libera volontà degli italiani”. L’articolo è conservato in ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 16, fasc. 6, p. 3.
12 ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 37, fasc. 12.
13 Ivi. Baffi cita l’articolo di Stefano Micossi, uscito lo stesso giorno, il 26 ottobre 1988, che documenta la distorsione dei flussi commerciali rilevata nella seconda lettera a Ronchey, attribuiti alla “sistematica sottovalutazione del marco” (Micossi, 1988).
14 Si veda Caffè (1981, pp. 335-6).
15 Baffi (1978a, p. 11). Luciano Barca, parlamentare del PCI, in perfetta sintonia con Baffi, il giorno della audizione di Baffi annotava sul suo diario: “Lucida esposizione di Baffi alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato sulle varie ipotesi ancora in gioco per lo SME e sulle divergenze tra i vari paesi. Indica tre condizioni perché l’adesione allo SME si riveli fruttuosa: 1) accordi di cambio sostenibili; 2) sostegni di credito; 3) misure a favore delle economie meno prospere” (Barca, 2005, p. 758).
16 Preoccupato della posizione di Andreotti, che vedeva favorevole a un’adesione incauta al Sistema monetario europeo, il 6 novembre 1978, nel corso di un lungo pranzo con l’ambasciatore americano, Baffi aveva tentato di convincere il governo americano a fare pressione su Andreotti, per invitarlo alla prudenza: “Baffi ha sorpreso l’ambasciatore dicendo: ‘Voi americani avete una certa influenza su Andreotti. Ditegli di essere prudente - spiegategli che l’Italia non può entrare nello SME alle condizioni attuali’. L’ambasciatore ha risposto che gli Stati Uniti non potevano permettersi di dire all’Italia cosa fare, e che noi non volevamo certo essere indicati come i colpevoli di una battuta d’arresto del processo di cooperazione economica o monetaria europea. ‘Allora’, ha replicato Baffi, ‘dovete dire agli inglesi di entrare. Noi e gli inglesi dovremmo entrare con un sistema molto flessibile oppure, in alternativa, dovremmo restare fuori con una dichiarazione con la quale chiariamo il nostro intento di entrare più avanti. Sarebbe un disastro per noi entrare senza la Gran Bretagna’” (US embassy, Italy Rome, 1978). Il cablogramma è richiamato in Florio (2020).
17 Ivi. Per la sua partecipazione al negoziato, Baffi si avvalse della preziosa collaborazione e fondamentale di Rainer Masera, allora in forza al Servizio Studi e di Giovanni Magnifico, che ricopriva il ruolo di Consulente economico della Banca d’Italia (Baffi, 1989b, p. 67). Il testo Masera viene riassunto più avanti nel testo.
18 Lo stralcio del diario di Baffi è consultabile presso l’Archivio storico della Banca d’Italia (ASBI, Carte Baffi, Governatore Onorario, Pratiche, n. 97, fasc. 2, p. 163). Il Governatore annota anche: “Mercoledì 13 il consiglio dei ministri francese farebbe una dichiarazione in questo senso. Consigliato ad A. di telefonare anche a Schmidt (mi risulta che lo ha fatto)”.
19 ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, Pratiche, n. 117, fasc. 2, p. 25.
20 Le ricostruzioni di Spaventa sulle vicende che portarono allo SME erano condivise da Baffi. In una lettera a Giuliano Amato, del 9 maggio 1988, l’ex Governatore scrive: “la mia posizione personale nello SME è già stata illustrata in opere di Ludlow, Spaventa e Masera e da me stesso” (ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 1, fasc. 19, p. 3). Il citato testo di Spaventa (1980a) fu pubblicato in un occasional paper della Johns Hopkins University nel giugno 1980 insieme a quello di Ludlow (1980). Si veda anche Baffi (1989b, p. 67), Ludlow (1982) e Masera (1987).
21 Il governatore Ciampi pronunciò le seguenti parole nelle sue Considerazioni finali, lette il 31 maggio 1986: “Nell’ultima settimana di novembre l’atteggiamento del mercato mutò bruscamente. Esplose quella che lungo trenta giorni operativi, sino alla metà di gennaio, si sarebbe rivelata una fra le più gravi crisi valutarie degli ultimi anni” (Banca d’Italia, 1986, p 12).
22 ASBI, Carte Baffi, Governatore Onorario, Pratiche, n. 97, fasc. 2, p. 164. Lo stesso testo, allegato alla nota inviata a Ciampi, si trova in ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, Pratiche, n. 117, fasc. 2, pp. 22-23.
23 ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, Pratiche, n. 117, fasc. 2, p. 21. Il passaggio si trova in Spaventa (1980a, p. 90).
24 ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, Pratiche, n. 117, fasc. 2, p. 21.
25 Per notizie sulla dialettica politica interna che convinse Andreotti a non rinviare l’ingresso della lira nello SME e a rinunciare a porre condizioni ulteriori nel negoziato, si veda Barca (2005), Ludlow (1980, 1982), Spaventa (1980a, 1980b), Spinelli (1992).
26 Negli stessi giorni, precisamente il 30 novembre 1978, il cancelliere Schmidt aveva rassicurato i vertici della Bundesbank sul fatto che gli accordi di cambio, in particolare per quanto concernevano gli obblighi di intervento, non sarebbero stati vincolanti nel caso in cui avessero contrastato con gli interessi tedeschi. A una specifica richiesta del Presidente della Bundesbank, Otmar Emminger, di porre per iscritto questo impegno del governo nei confronti della banca centrale, Schmidt fece presente l’inopportunità di tale formalizzazione; e fece scaltramente riferimento all’antico motto Ultra posse nemo obligatur (Le minute dell’incontro fra il Cancelliere e gli esponenti della Bundesbank sono consultabili, anche in traduzione inglese, presso l’archivio della Margaret Thatcher Foundation, “EMS: Bundesbank Council meeting with Chancellor Schmidt (assurances on operation of EMS) [declassified 2008], 1978 Nov 30 Th”, Bundesbank Archives (N2/267), http://www.margaretthatcher.org/document/111554; link controllato il 24 febbraio 2022). Si veda anche Baffigi (2016a, p. 190).
27 Così Baffi chiudeva una lettera a Barca, all’indomani del riallineamento del marzo 1983: “L’ECU può essere paragonato alla moneta bicolore da 500 lire: il marco (col fiorino) è il disco interno; ad ogni riallineamento (ad ogni nuova coniazione) il diametro della moneta resta fermo, ma il disco interno si espande. Oggi, esso occupa più del 48 per cento dell’area totale (di cui ormai un 8 per cento soltanto compete alla lira). Quando avrà superato il 50, il marco sarà giunto a definirsi in termini di se stesso, quindi a non ‘divergere’ mai. Questo momento è vicino” (Archivio storico, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Carte Luciano Barca). Barca ottenne il consenso di Baffi a pubblicare la lettera sulla rivista politico-culturale comunista, Rinascita, da lui diretta, dove apparve il 1° aprile del 1983, a fianco di un commento dello stesso Barca che metteva in evidenza l’importanza politica del ragionamento tecnico svolto dall’ex Governatore.
28 Si veda ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 37, fasc. 12 e ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 21, fasc. 38.
29 ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 37, fasc. 12, p. 4.
30 ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 37, fasc. 12.
31 ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 26, fasc. 4, pp. 4-5.
32 L’idea di far riferimento a un quadro giuridico, a una “costituzione”, per la conduzione della politica monetaria, in questo senso, per Baffi avrebbe dovuto costituire il suggello a un conseguito assetto non inflazionistico di una società nel suo complesso più che uno strumento utile per perseguire la stabilità dei prezzi. In questo senso, non convince l’interpretazione che Mario Sarcinelli (1991) dà dei “caratteri della politica monetaria del Governatore Baffi”: secondo l’autore, Baffi considererebbe la mancanza di un esplicito mandato antinflazionistico per la banca centrale italiana come una lacuna fondamentale; la tesi di Sarcinelli tende a trovare una continuità nell’impostazione della politica monetaria nel passaggio da Baffi a Ciampi, spingendosi fino a sostenere che Baffi avrebbe gettato le basi ideali e tecniche per la stagione successiva. L’interpretazione di Sarcinelli appare unilaterale, non tiene nel dovuto conto il pensiero economico e le valutazioni fattuali di Baffi. Del resto due autori come Eugenio Gaiotti e Salvatore Rossi (2004, p. 16), che pur tendono ad accettare l’interpretazione di Sarcinelli, ne stemperano le implicazioni riportando il passaggio delle prime Considerazioni finali di Baffi, lette nel maggio 1976: in quell’occasione, Baffi aveva ricordato che in paesi come la Germania, l’Olanda e la Svezia la legislazione offre alla banca centrale “una adeguata base giuridica assegnandole espressamente il compito di tutelare la stabilità monetaria”. Ma si era affrettato a sottolineare che “i brillanti risultati conseguiti” da quei paesi “in termini di stabilità e di sviluppo, piuttosto che alle formulazioni legislative, debbono ascriversi a un clima di opinione che al maturarsi dell’analisi e dell’esperienza ha cessato di assegnare al disavanzo durevoli effetti espansivi, o agli aumenti nominali delle retribuzioni effetti migliorativi della condizione della classe operaia in termini di reddito reale e di occupazione. Una visione ugualmente disincantata sta facendosi luce in Inghilterra e negli Stati Uniti” (Banca d’Italia, 1976, p.43).
33 ASBI, Carte Baffi, Governatore onorario, Pratiche, n. 11.0, fasc. 1 Pagina 2.
34 Si veda ad esempio l’osservazione di Alfredo Gigliobianco, citata da Visco (2010), su una polemica che nel 1950 aveva contrapposto le valutazioni dei due economisti sul ricorso ai cambi amministrati all’indomani della guerra: “È interessante la diatriba perché poi durante il regno di Carli, Baffi e Caffè saranno frequentemente contrapposti l’uno all’altro (e sempre rispettosissimi l’uno dell’altro) sulle stesse linee interventismo vs mercato. In fondo non erano così distanti. Baffi vedeva soprattutto le degenerazioni dell’interventismo, Caffè vedeva soprattutto i fallimenti del mercato. Entrambi, con Einaudi, vedevano i vantaggi di un mercato ben funzionante” (Visco, 2010, p. 69).
35 Interessanti a questo riguardo le idee federaliste di Federico Caffè (1979). Egli, per parlare dell’Europa e delle difficoltà del cammino verso l’integrazione, ci porta a una polemica antica come quella di Francesco Ferrara contro Cavour, negli anni Cinquanta dell’Ottocento. I “sentimenti federalisti” che animavano l’economista siciliano furono causa di contrasto fra i due. Secondo Caffè, “questo contrasto politico era un contrasto in cui avevano ragione entrambi, sia Cavour il quale vedeva che soltanto anticipando i tempi, realizzando l’unificazione politica era possibile fare l’Italia e sia Ferrara, il cui punto di vista è efficacemente compendiato in questo brano che risale al 1856: ‘immaginate un Ministero quale quello in cui egli - il conte di Cavour - è circondato, una maggioranza parlamentare come quella che a lui ubbidisce, seder domani in Campidoglio e di là, da Roma, con le loro idee, dovessero regolare la vita, il lavoro, le imprese, le scuole, le chiese, le fontane, ecc. dell’ultimo villaggio calabrese o siciliano immaginate che pretendessero inondare quelle province di intendenti e di ispettori civili presi dalla Savoia e latori di leggi che ne capovolgono le idee ed il linguaggio e ne avrete ben tosto un concetto dello stato di immaturità in cui si trova la legittima ambizione di governare l’Italia’” (Caffè, 1979, p. 550).
36 L’importanza della frammentazione istituzionale come fattore che storicamente ha consentito il successo dell’Europa è stata ripresa più di recente dallo storico economico Joel Mokyr (2017) che non a caso richiama un lavoro che vede la significativa presenza di Roland Vaubel (Bernholz et al., 1998). Scrive Mokyr: “Ciò che ha cambiato la storia è stato che in Europa, a lungo termine, gli innovatori hanno sconfitto il conservatorismo. Questo non è successo in nessun’altra regione del mondo. Ma come si spiega l’unicità dell’esperienza europea? Un serio candidato per una spiegazione è quello che E.L. Jones (1981) ha definito il ‘sistema degli stati’ europeo, costituito da unità altamente frammentate, costantemente in contrasto tra loro. L’Europa ha tratto notevoli vantaggi dalla frammentazione politica, anche se a costi considerevoli. L’idea che la frammentazione politica produca benefici per gli effetti positivi derivanti dalla competizione tra coloro che aspirano al potere risale ai grandi pensatori” (Mokyr, 2017, p. 166). Utile la lettura dell’intero capitolo 11: “Fragmentation, Competition, and Cultural Change” (pp. 165­178).

Comments

Search Reset
0
AlsOb
Wednesday, 31 May 2023 15:38
Molto opportuna la scelta di proporre questo istruttivo e documentato contributo scientifico su Paolo Baffi e le sue battaglie di politica monetaria nazionale e europea, scritto da uno studioso meticoloso e preparato.
Andrebbe letto e meditato con attenzione, specie in un’epoca in cui, particolarmente in campo economico, con l’incontrastata affermazione del neoliberalismo fascista, vige la regola della intolleranza verso la scienza e della propaganda mistificatrice di marca pseudo-metafisica.
Paolo Baffi è stato il maggior banchiere centrale italiano e uno dei più grandi a livello internazionale, tanto che in alcuni consessi internazionali di banchieri veniva spesso reverenziato.
È però alquanto bizzarra e espressione di lacunosa logica la equivoca volontà dell’autore, probabilmente vittima di pregiudizi, di presentare come cornice esamplare della sua trattazione il conflitto tra politica e esperti. E per non farsi mancare nulla tira pure in ballo i populisti, a cui avrebbe potuto aggiungere i pericolosi negazionisti e novax così da riempire il quadretto convenzionale alla moda.
La vicenda Baffi, e di altri, in realtà esigerebbe su questo aspetto una riflessione più sofisticata e meno banale: essa non rappresenta tanto un conflitto diretto tra politica e esperti, ma gli effetti del dispiegamento di un programma di emarginazione di studiosi non inquadrabili nel progetto neoliberale fascista e non allineati con i dogmi della pseudo-metafisica e della finta scienza. (Volti a istituire un sistema economico meramente funzionale agli interessi dei dominanti). L’autore peraltro riconosce il radicale mutamento paradigmatico avvenuto, quando confronta con analitica precisione le posizioni contrapposte di Baffi e del (furbo) Carli. Ma non riesce a connettere in modo logico i vari tasselli, che lui stesso presenta.
Per inciso il successore di Baffi scelto dai dominanti fu il propugnatore del neoliberalismo e dell’internazionalismo terzomondista e, a evidenziare dubbie competenze in campo economico e monetario, anche il realizzatore di una irresponsabile e disastrata svalutazione, da annali storici, come esempio in negativo di modalità svalutativa da evitarsi accuratamente.
La preoccupazione tecnica e politica di Baffi fu sempre quella di adottare misure di politica economica e monetaria e compiere passi verso sistemi monetari cooperativi sovranazionali che fossero scientificamente e storicamente fondati, da garantire reali benefici, e che non si risolvessero sulla base di rapporti imperialistici e fideismi aprioristici.
Tale posizione si scontrava frontalmente con il nuovo paradigma neoliberale fascista imposto dalla classe dominante, che si affidava e effida soprattutto a irrazionali mitologie e totem e tabù.
Da un punto di vista tecnico la cautela di Baffi rivela un approccio storico e modellistico di tipo prevalentemente macroeconomico, quando l’avanzare del capitalismo finanziario richiede sempre più anche l’integrazione di una prospettiva macrofinanziaria.
Le enormi e irriducibili tensioni e contraddizioni specifiche dell’euro sono la conseguenza della irrazionale costruzione su base fanatica e pseudo-metafisica neoliberale di una architettura macrofinanziaria inconsistente, i cui scopi si esauriscono nella reintroduzione di forme di schiavitù e riti sacrificali. Se negli ultimi dieci, dodici anni la ecb non avessesse adottato, spesso secondo comportamenti erratici e di improvvisazione, davanti alle emergenze critiche, comportamenti correttivi e non convenzionali e meno ancora codificati, la sbilenca e imperialistica impalcatura dell’euro sarebbe già completamente crollata in uno dei più clamorosi e eclatanti fallimenti, conseguenza della venerazione ideologica dell’anti scienza.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit