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Zwischen den zeiten. Problemi e contraddizioni del capitalismo negli anni del ritorno dell'inflazione

di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri 

Recensione al volume L’inflazione: Falsi miti e conflitto distributivo, Edizioni Punto Rosso

pastello carrelli.pngDiamo spazio a una densa recensione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri al volume L’inflazione: Falsi miti e conflitto distributivo.
Ci sembra infatti utile cercare di approfondire questioni economiche che troppo spesso restano appannaggio di una ristretta cerchia di specialisti, ma ancora più sentiamo la necessità di riflettere su proposte di politica economica che vengano però da una prospettiva di classe e in conflitto con le sfide poste dal capitalismo contemporaneo.

Di seguito una sintesi della recensione scritta dagli stessi autori.

* * * *

Il saggio che qui si presenta dialoga con le tesi contenute in L’inflazione: Falsi miti e conflitto distributivo, edito quest’anno da Edizioni Punto Rosso e contenente saggi di vari autori. Il volume si pone il compito urgente, e con cui non possiamo che concordare, di comprendere i fattori alla base della recente fiammata inflazionistica. Si intende farlo dal punto di vista del mondo del lavoro, armati di una coscienza teorica critica in grado di demistificare le narrazioni dominanti e di svelare i conflitti sociali dietro l’apparente neutralità dell’economico.

Lo scritto è diviso in sette parti. Nella prima, si ricostruisce il contesto all’interno del quale il ritorno dell’inflazione è venuto a manifestarsi fin dal 2021. Si dà brevemente conto dello scenario macroeconomico seguito alla pandemia e all’invasione russa dell’Ucraina. Gli effetti dei lockdown sono stati dirompenti sulle catene transnazionali del valore: aggravati dalle politiche fiscali e monetarie negli Stati Uniti e in Europa, così come dal tentativo dell’Unione Europea di ridurre drasticamente la propria dipendenza dalle importazioni di gas metano proveniente dalla Russia.

La seconda parte fornisce una sintesi del volume, del quale si cercano di mettere in luce tanto gli aspetti più originali e apprezzabili quanto quelli che si ritiene debbano essere sottoposti a critica. L’obiettivo che il volume si pone è quello di smontare i falsi miti alla base delle letture più diffuse del ritorno dell’inflazione e ricondurne la causa al conflitto distributivo. In particolare, il libro avanza l’argomento che l’aumento dei prezzi avrebbe, tra le sue cause principali, una “ingiustificata” crescita dei profitti. Si tratterebbe insomma di inflazione da profitti. Il libro rielabora le tesi avanzate da Isabella Weber, Robert Reich e Servaas Storm, e aggiunge indagini empiriche che favoriscono interventi di controllo dei prezzi. Il volume interviene anche sul significato della politica monetaria dagli anni Sessanta a oggi, e fornisce un’utile ricostruzione delle vicende della scala mobile e della contrattazione collettiva a partire dal secondo dopoguerra.

La terza parte avanza alcune critiche all’analisi che il primo saggio del volume avanza sul modo di operare delle banche centrali nei decenni a noi più vicini. In particolare, non è convincente l’idea che la teoria quantitativa della moneta e il monetarismo sarebbero ancora ai nostri giorni il cardine della politica economica – un punto che è evidentemente cruciale comprendere bene dal punto di vista politico e sociale. Il monetarismo d.o.c. à la Milton Friedman ci riporta al Volcker shock del 1979-1982, che si esaurì rapidamente senza venir davvero ripreso negli anni successivi. Da tempo la teoria quantitativa non è più il riferimento teorico di base della politica monetaria. La moneta è riconosciuta (di fatto, quando non sul piano analitico) come endogena. Di più, una interpretazione pseudo-keynesiana ed “espansiva” della regola di Taylor (che dalla manovra del tasso d’interesse va alla moneta e non viceversa) non soltanto si è data nella realtà, ma ha addirittura consentito la svolta di politica economica post-2007. Questo radicale cambiamento nella politica delle banche centrali (sulla base di un “nuovo consenso” che ritorna a Wicksell, e non a Friedman e Lucas) è connaturato alla natura politica del neoliberismo come keynesismo privatizzato. Su questa base viene discussa la contro-svolta delle banche centrali del 2021-2022 come una forma di lotta di classe in anticipo da parte delle autorità di politica monetaria: un punto abbastanza evidente nei pur diversi interventi di Blanchard e Summers (che avanzano tesi assimilabili a una teoria da inflazione da conflitto sociale, certo non monetariste).

La quarta parte affronta la storia della scala mobile negli anni dell’inflazione rampante nei Settanta e Ottanta. Dopo una rassegna della politica monetaria e valutaria di quegli anni si ripercorrono gli snodi del dibattito economico e sindacale che si svolse in quel periodo, che venne discusso anche sulle colonne di Primo Maggio in un contributo di uno dei co-autori (che allora faceva parte della redazione torinese). In presenza dell’accoppiata svalutazione-inflazione si determinò, nella seconda metà dei Settanta e nei primi Ottanta, un paradossale effetto di ritorno che taglieggiò il salario reale. Evidentemente l’inflazione non soltanto redistribuisce dai salari ai profitti, ma incide anche sulla spartizione del plusvalore tra profitti e interessi, con importanti conseguenze sul piano della centralizzazione del capitale (pur in fasi di declino della grande impresa verticalmente integrata) e della ristrutturazione nei processi di lavoro.

La quinta parte avanza alcuni dubbi sulla tesi centrale nel libro che qualifica l’inflazione come da profitto e discute l’evidenza empirica che ne viene fornita nel volume. Sono qui utili alcuni contributi di Marc Lavoie (alcuni di prossima pubblicazione), che chiariscono i meccanismi per cui tanto la massa quanto la quota dei profitti possono espandersi pur in presenza di un mark-up costante. Non si può trascurare la composizione della domanda e la struttura dei mercati (come ha sottolineato Francesco Saraceno in Oltre le banche centrali), e si deve guardare all’articolazione oggettiva degli squilibri settoriali rispetto a interpretazioni che vorrebbero l’inflazione prevalentemente dovuta alla soggettiva fissazione dei prezzi da parte delle imprese (la cosiddetta “inflazione da avidità”).

La sesta parte del saggio mostra dunque i limiti di un approccio all’inflazione quale fenomeno eminentemente distributivo, e vi contrappone una lettura dell’inflazione (intesa, schumpeterianamente, innanzitutto come variazione dei prezzi relativi) quale fenomeno che può ben esprimere un conflitto (di più, un antagonismo) che emerge dal comando del capitale sul lavoro: sull’allocazione dell’occupazione e sulla struttura della produzione. L’inflazione in ultima istanza va affrontata su questo terreno strutturale e politico più che sul versante distributivo, tenendo ben in conto la fase capitalistica in cui ci trova ad agire.

La settima e ultima parte offre “una conclusione per riaprire la discussione”. Il pregio maggiore del libro che abbiamo discusso ha il suo massimo merito nel consentire di ragionare in modo ordinato sulle sfide che abbiamo davanti, e non abbiamo voluto lasciar cadere questa occasione. Ci pare infatti urgente ragionare collettivamente sulla formulazione di proposte di politica economica in un orizzonte di classe all’altezza delle sfide poste dal capitale.

La recensione completa si può scaricare qui

Comments

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AlsOb
Sunday, 31 December 2023 13:06
Che la guerra contro la Russia e concomitanti o lievemente precedenti problemi di offerta conducano a una transizione verso la definizione di un nuovo sistema di prezzi, sfavorevole alle classi inferiori, è logico e prevedibile specie nel capitalismo.
La banca centrale avrebbe potuto astenersi e si sarebbe giunti allo stesso risultato. Il suo intervento ha prevalentemente avuto come scopo difendere il tasso di cambio e controllare i capitali speculativi, e mostrare fermezza contro ogni cedimento inerziale da aumenti salariali. (Nella riduzione di surplus e aumento dei costi qualcuno deve rimetterci, meglio che accetti il fato velocemente).

La prolissa e negativa recensione del libro collettaneo appare il congegnato di due alienisti. Schizofrenica e pretestuosa, si presenta come la penosa promozione dell’agenda nazionalunionsocialista e neoliberale.
Davanti a una arcigna classe dominante europea, esplicitamente adepta del market fundamentalism, incline al nazismo, pronta a dichiarare guerra imperialistica alla Russia, a sacrificare l’economia europea su scala secolare, a trasformarsi in poodles imperiali, a spiegare ai sudditi che il loro valore è pari a quello della carne da cannone e da genocidio, quando l’unico valore è il plusvalore, di cui si appropriano, i due oraggiosi alienisti si scoprono rivoluzionari del mondo dei sogni, rigettano i conflitti limitati alla distribuzione (niente guerra di classe capitalistica sulla spartizione del surplus), (e tirano pure in ballo Joan Robinson senza capire), ma attacco diretto al sistema di accumulazione dei dominanti. Per dare peso alla lotta indicano i due alfieri rivoluzionari, il sicofante Blanchard, della ottimizzazione della pace sociale e il maggiordomo del capitale finanziario, guerrafondaio e surreale scientista da strapazzo del manganello e olio di ricino Draghi.
Non è una parodia
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