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kriticaeconomica

Guerre teoriche? No, meglio interrogarsi sulle sfide dell'economia

Bisogna partire dalle idee che guidano la politica economica

di Roberto Romano

Continua il dibattito sull'insegnamento dell'economia neoclassica. Dal Pil potenziale al tasso naturale di interesse, i concetti possono essere riempiti in modo diverso a seconda dell'approccio teorico. Per Roberto Romano è più importante coltivare questa consapevolezza che cercare di delegittimare gli approcci mainstream

caffe libreria tagliata 801x1024.jpgDobbiamo smettere di insegnare l’economia neoclassica, come si sono chiesti Rochon e Rossi in un recente intervento su queste pagine? È una domanda retorica e forse inutile, sebbene lecita. Non appena si affaccia una sconfitta delle idee più o meno socialiste, ci domandiamo se la scienza mainstream debba avere ancora diritto di cittadinanza1. In realtà, sarebbe più comprensibile questa domanda: siamo all’altezza delle grandi sfide sociali, culturali, scientifiche, economiche e teoriche che attendono l’umanità?

* * * *

La ricerca economica è pervasa da troppi cliché, dalla necessità di pubblicare su riviste di classe A, da un bisogno spasmodico di penetrare ogni intercapedine della produzione di sapere. Tanto che, siamo onesti, si è persa la voglia di capire e comprendere il suo vero oggetto: la società. Perché non riprendiamo a studiare il mondo per come funziona realmente? Perché non ci facciamo più le domande di senso? Perché l’economia è uscita dal suo alveo naturale di scienza sociale?

Spesso mi sono posto domande su concetti come il Pil potenziale, la domanda effettiva e il tasso naturale di interesse. Ho cercato la risposta leggendo gli autori che, a torto o ragione, consideriamo autorevoli da entrambi i lati della “barricata”. Ma se mettiamo in una stanza dieci di questi autori, sono altrettanto certo che possiamo uscirne con più di dieci ipotesi di lavoro o proposte di soluzioni.

Che cosa si nasconde dietro questa incertezza? Il capitalismo è un modo di essere delle società che non si distrugge nelle crisi, ma evidentemente si trasforma e, una volta trasformato, dà luogo a una nuova cultura capitalistica e a nuovi rapporti tra il capitale, lo Stato e gli stessi capitalisti2.

La ricchezza delle idee e della cultura è innanzitutto la possibilità e la capacità di costruire ipotesi di ricerca e di lavoro feconde e, soprattutto, atte a dare delle soluzioni di buon senso al benessere di uomini e donne. Viene in mente la solitudine del riformista di Caffè3.

 

Il Pil potenziale, questo sconosciuto

Il nodo su cui vale la pena spendere del tempo (almeno è questa la mia convinzione) è il concetto di Pil potenziale, la cui declinazione si presta a troppi equivoci rispetto alle grandi sfide di struttura che attendono l’umanità.

Il Pil potenziale neoclassico è associato al livello massimo di produzione reale che un’economia può realizzare mantenendo stabile il tasso di inflazione. Sarebbe il livello di produzione che un’economia può raggiungere quando opera a piena capacità con tutte le risorse disponibili, come lavoro e capitale, utilizzati in modo efficiente. Ciò ha indotto i neoclassici a pensare che, quando “il Pil effettivo è inferiore al Pil potenziale” (cioè l’economia sta operando al di sotto della sua capacità), sia possibile adottare delle politiche economiche attive senza che ciò generi un’inflazione eccessiva. D’altro canto, se il Pil effettivo supera il Pil potenziale, ciò può indicare un surriscaldamento dell’economia, che potrebbe portare a pressioni inflazionistiche.

Tra i fattori che possono influenzare il Pil potenziale vi sono le variazioni delle dimensioni della forza lavoro, i miglioramenti della produttività del lavoro e le variazioni della quantità e della qualità del capitale. Anche le politiche economiche, i progressi tecnologici e le tendenze demografiche possono influenzare il Pil potenziale nel tempo. Il Pil potenziale è quindi una proiezione “matematica” di quello che si potrebbe realizzare senza generare turbolenze.

Ma questa narrazione alla Olivier Blanchard (o alla Larry Summers, se preferite) non permette di catturare cosa si cela dietro lo sviluppo economico e sociale. L’intervento pubblico è piegato esclusivamente a chiudere la forbice tra il Pil potenziale (calcolato secondo le metodologie neoclassiche) e il Pil effettivo. L’economista si riduce a un idraulico che deve correggere il flusso di “moneta” o di “spesa pubblica” per riequilibrare il Pil.

In realtà, il potenziale di crescita non dovrebbe mai essere associato alla sola disponibilità dei fattori di produzione. C’è sempre un nuovo bisogno che possiamo soddisfare. Più precisamente, il Pil potenziale non è (pienamente) rappresentabile perché esso si sposta assieme al mutamento quali-quantitativo dei consumi e degli investimenti, che evolvono nel tempo.

 

Una sicumera poco “naturale”

In economia è spesso utilizzato anche il termine “naturale”. Adam Smith fu tra i primi a parlare di un “prezzo naturale”. Tale concetto, però, non andrebbe inteso come un equilibrio di lungo periodo in cui emerge un’armonia perpetua. Esso, piuttosto, andrebbe visto come un punto di riferimento mutevole, da interpretare tenendo conto della specifica fase dello sviluppo economico.

D’altronde, i tassi di profitto, interesse e investimento in realtà non convergono mai, ma variano da settore a settore. Se ogni settore ha un proprio tasso di profitto, d’interesse e d’investimento, a rigor di logica non dovrebbe esistere un tasso naturale di riferimento del profitto e, tanto meno, dell'interesse. Il concetto di tasso naturale (o tasso di riferimento) non è altro che una convenzione che misura le diverse aspettative dei settori produttivi.

Riprendendo un appunto di Keynes sottolineato da Rochon e Rossi, "ci siamo cacciati in un pasticcio colossale: abbiamo preso un abbaglio nel tentare di controllare una macchina delicata, di cui non comprendiamo il funzionamento. Il risultato è che le nostre possibilità di ricchezza potrebbero andare sprecate per un po' di tempo, forse per molto tempo”4. Forse, dovremmo riconoscere più chiaramente non solo che l’economia è una materia delicata, ma anche che, privata dello status di scienza sociale, diventa una materia sostanzialmente inutile.

In effetti, la definizione di saggio “naturale” di profitto o rendimento del capitale incontra un limite nella stessa dinamica dello sviluppo capitalistico. Ne consegue che non si può parlare di un livello naturale dei profitti: essi tendono a non convergere e variano da settore a settore. Infatti, lavoro e capitale non sono beni come tutti gli altri, e con il passare del tempo il lavoro cambia natura e contenuto, quanto e come il capitale. Il capitale e il lavoro al tempo 1 sono diversi da lavoro e capitale al tempo 0.

In altri termini, si potrebbe dire che la domanda effettiva è la domanda attesa (potenziale) delle imprese, cioè il lavoro necessario che permette di generare i profitti desiderati. Se la domanda aumenta e muta contemporaneamente l’offerta, la conseguente domanda effettiva genera sviluppo, crescita e lavoro. La domanda effettiva e potenziale vista da Keynes era una medaglia fatta di due facce (capitolo tre della Teoria Generale)5. Si pensi al concetto di “socializzazione degli investimenti”6.

 

Un orizzonte troppo stretto

La questione fondamentale, in qualche modo sottesa all’articolo di Rochon e Rossi, può essere formulata a partire da un contributo dell’amico Salvatore Biasco, da poco purtroppo scomparso: “Finché un nuovo orizzonte politico e intellettuale, di principi, di governo della società, di creazione della ricchezza, di concezione dei rapporti sociali rimarrà inarticolato e non riuscirà a generare una mobilitazione di massa, l’imprinting farà riapparire le idee neo liberali come unica saggezza convenzionale che l’opinione pubblica ha più facilità a percepire e a cui finisce per aggrapparsi"7.

Tale questione è tanto più urgente se consideriamo che la minore crescita dopo gli anni Duemila ha sollevato tante domande, e nessuna di queste domande ha trovato una risposta. In effetti, la seconda rivoluzione industriale, relativa all’elettricità, al motore a combustione interna e all’acqua corrente con gli impianti idraulici nelle case (1870-1900), ha impiegato un arco di tempo molto lungo prima di dispiegare tutte le intrinseche potenzialità, sostenendo una domanda di nuovi beni e servizi, mentre la terza rivoluzione industriale (che comprende anche internet e computer) non sembra aver modificato la struttura economica tanto quanto sarebbe stato necessario per alimentare una nuova domanda1. Forse ha concorso il cosiddetto “morbo di Baumol”2.

In effetti, nella generalità dei Paesi, la dinamica della produttività è stata superiore alla media del rispettivo sistema per lo più nei settori manifatturieri, mentre il contrario si è riscontrato nei settori dei servizi. D'altro canto, la quota di valore aggiunto rispetto al Pil è diminuita per la generalità dei settori manifatturieri ed è aumentata per la generalità dei servizi. La maggiore espansione settoriale dei servizi si è verificata anche per l’occupazione. Cioè, domanda e produzione nel settore con minor dinamica di produttività (i servizi) sono addirittura aumentate rispetto a quelle nel settore più dinamico (la manifattura).

Che cosa si nasconde dietro il “velo” di questo brusco rallentamento della crescita, particolarmente visibile nel Pil pro-capite? La politica economica dopo il Duemila, soprattutto in Europa, ha associato la domanda effettiva alla domanda potenziale. Così, ha confuso l’analisi descrittiva dell’economia con l’analisi prescrittiva, limitando drasticamente i margini dell’azione dei decisori e le possibilità di plasmare il sistema economico. Il Pil potenziale è stato schiacciato sulla sua visione neoclassica: è stato visto solo come reddito “realizzabile”, non come reddito che muta quali-quantitativamente i consumi e gli investimenti i quali, a loro volta, evolvono nel tempo secondo i cambiamenti tecnici3.

Possiamo certamente discutere di Pil potenziale, domanda effettiva e domanda naturale, ma dietro queste definizioni si celano variabili indipendenti che non sono valide per tutte le stagioni. A volte servono maggiori investimenti, altre volte è necessario un aumento della forza lavoro, altre volte ancora servono degli sforzi tecnologici importanti. In realtà, il Pil potenziale (o desiderabile) potrebbe anche essere associato, nel senso etimologico del termine, a tutto quello che desideriamo fare e pensiamo che non sia ancora possibile realizzare. In fondo, è proprio la natura dell’uomo che dovrebbe essere liberata.


Note
1 Roncaglia, A. (2011), Macroeconomie in crisi e macroeconomie in ripresa, Moneta e Credito, vol. 64 n. 254, pp.115-133.
2 Leon, P. (2014), Il capitalismo e lo Stato. Crisi e trasformazione delle strutture economiche, Roma: Castelvecchi, pp. 11-12.
3 Caffè, F. (1982), La solitudine del riformista, Il Manifesto.
4 Keynes, J.M. (1930), The Great Slump of 1930, contenuto in "Essays in Persuasion", consultabile qui: https://www.economicsnetwork.ac.uk/archive/keynes_persuasion/The_Great_Slump_of_1930.htm
5 Keynes, J.M. (1971), Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Milano: UTET, a cura di Terenzio Cozzi, cap. 3, pp. 207-218.
6 Keynes, J.M. (1971), Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Milano: UTET, a cura di Terenzio Cozzi, cap. 24, pp. 566-577.
7 Biasco, S. (2016), Regole, Stato, Uguaglianza, Roma: LUISS University Press, pp.240-241.
8 Gordon, R.J. (2018), La crescita economica degli Stati Uniti è finita?, In F. Menghini, 2018, La stagnazione secolare, ipotesi a confronto, Firenze: goware, p. 48.
9 Baumol, W.J. (1967), Macroeconomics of Unbalanced Growth: the Anatomy of Urban Crisis, The American Review, 57(3), pp. 349-402; Baumol, W.J., Batey Blackman, S.A., e Wolff, E.N. (1985), Unbalanced Growth Revisited: Asymptotic Stagnancy and New Evidence, The American Review,

Comments

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Paolo Gustavo
Sunday, 07 April 2024 23:38
Converrebbe leggere un libro testè uscito: 'La Dissoluzione dell'economia Politica' di Romanò e Di Marco, dove si riportano e commentano- e si disquisisce anche- gli Appunti di Sraffa per le Lezioni sulla Economia Neoclassica.
Quello che ne esce chiaramente ( e che era anche presente nelle Introduzione di Anna Carabelli agli scritti di Keynes) è che la Teoria marginalista non ha nè fondamento nè utilità pratica; in primis. E in secondo luogo che quello che che resta di quanto si spaccia per Economia politica si riduce a poche formule empiriche che si stirano a piacimento di qua e di là a seconda delle convenienze politiche (v. l'inflazione).
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Michelangelo Tumini
Thursday, 18 January 2024 22:45
Marx ha insegnato a riflettere sul piano sociale, gli effetti prodotti da un'economia capitalista, senza regole. Keynes ha indicato come intervenire per correggere le scelte di politica economica utilizzando lo strumento più efficace che è la politica fiscale. Ciò obbliga i Governi e la Politica che li dovrebbe guidare a fare scelte funzionali a redistribuire la ricchezza prodotta, la quale a sua volta dovrebbe essere governata in modo che le scelte produttive debbano essere sostenibili e tener conto del contesto. L'economia pertanto è una scienza con le sue leggi, sta alla POLITICA fare le scelte di Governo più funzionali a garantire uguali diritti per tutti e redistribuire in modo appropriato la ricchezza prodotta.
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Paolo Gustavo
Sunday, 07 April 2024 23:43
L'economia NON è una scienza: ha avuto la pretesa per poco, ma già dal '26 (Sraffa) si sapeva che era inconsistente; se si legge l'introduzione di Carabelli agli scritti di Keynes ci si accorge che diceva, con altre parole, lo stesso. Tanto che un estremista come Giorgio La Malfa dopo averla letta ha dichiarato:'alla Bocconi negli ultimi trent'anni hanno insegnato fuffa'.
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AlsOb
Friday, 19 January 2024 15:30
In realtà la teoria della domanda effettiva è tutta dentro Marx, Keynes non ha insegnato nulla di originale.
Kalecki in modo logico e coerente l’ha infatti formalizzata in modo più sistematico a partire da Marx e dai suoi schemi. Oggi la Fed usa Marx (via Kalecki e parte della mmt, di derivazione minskyiana-marxiana, se l’impero non facesse così non sarebbe in grado di portare avanti e finanziare le costosissime guerre e il terrorismo che promuove nel mondo intero).
I due fatti curiosi relativi a Keynes sono, il primo, che i temi più inediti legati alla sua sensibilità estetico-morale e alle sue conoscenze dei mercati monetari, speculativi e finanziari compaiono in scritti meno noti o mai tradotti dall’inglese, il secondo, che divenne sostanzialmente uno “stalinista”, cioè per contenere le irriducibili contraddizioni del capitalismo e mantenergli un volto umano sarebbe necessario adottare misure staliniane.
La politica, specie nel capitalismo, è una forma di guerra. (Infelicemente a sinistra sono stati lobotomizzati e non lo sanno più , l’oppio, come spiegò Marx, sarebbe ancora positivo, perché non cancella la coscienza dell’ingiustizia e della sofferenza, ma anestetizza un poco il dolore).
Nel momento in cui la sinistra divenne frivola e neoliberale, ignorante delle leggi di funzionamento del capitalismo, gli stolti internazionalisti terzomondisti al servizio del capitale finanziario hanno, in Italia, disintegrato le partecipazioni statali e il modello nazionale di accumulazione, (che la DC aveva voluto ibidramente kaleckiano).
Infine una nota di un certo colore, ieri la Lagarde (che è tutto sommato un “buon” presidente della ecb e che è stata criticata sulla questione del tasso d’interesse, a uno verrebbe da dire, soprattutto da strampalati a digiuno della conoscenza minima delle leggi del capitalismo), ha dichiarato, con ragione, che ciò che in moltissimi casi viene spacciato per teoria economica è strampalata pseudometafisica e autentica droga.
Da sinistra si potrebbe aggiungere che è il prezzo che si paga per la guerra ideologica praticata dalla classe dominante per cancellare totalmente Marx, (e pure Kalecki, Keynes, Robinson, Kaldor e alcuni altri), per impedire che le classi inferiori acquisiscano una grammatica di classe adeguata a capire il capitalismo e il mondo in cui vivono.
Perciò, con selezione avversa, privilegiando deboli di cervello, fabbricano stolti e strampalati, che credono ciecamente alla pseudometafisica propagandata e si comportano coerentemente, criminalmente, in senso esplicitamente dostoevskyiano e arendtiano.
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Michele Castaldo
Thursday, 18 January 2024 16:12
Non so cosa vuol dire Alsob, una sigla più volte incontrata nei commenti ad articoli su questo sito. Ma se si preferisce l'anonimato, va bene lo stesso.
Sarebbe la mia una banalizzazione su Marx cercare di fissare delle leggi generali che regolano il modo di produzione capitalistico? Ohibo!
Sarebbe un oppiaceo quello di definire una tendenza verso l'implosione del modo di produzione capitalistico che finzione con quelle leggi?
Vedi caro Alsob sono stato un militante comunista di lunga lega e un difensore di Mao e il Maoismo almeno quanto tanti altri.
Ma ti chiedo: come mai a M;ao è seguito Den Xiao Ping e il denxiapinghismo? Come mai oggi la Cina somiglia tanto agli Usa?
Smettiamola di dare lezioncine di "marxismo" e di "maoismo" senza riuscire a interrogarci sulle leggi che regolano il modo di produzione capitalistico e perchè è oggi in crisi profonda. Altrimenti giriamo come somari intorno all'albero.
Michele Castaldo
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AlsOb
Friday, 19 January 2024 00:46
Non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che tutti, almeno qui, portano il massimo rispetto a Michele Castaldo, per la sua storia, passione politica e sacrifici personali, per testimoniare e promuovere giustizia sociale e il superamento dello sfruttamento capitalistico.
È molto corretto da parte sua evidenziare come il funzionamento del capitalismo sia definito da leggi relativamente oggettive, che dovrebbero essere conosciute, per poter intervenire con cognizione di causa e incidere nel dibattito e conflitto politico, dagli ambiti delle frequentazioni personali e partitiche a quelli istituzionali, e marcato però anche da irriducibili contraddizioni.
Per un verso l’applicazione di una spassionata logica marxiana porterebbe a intuire che il capitalismo sia irrecuperabilmente destinato a precipitare in una situazione segnata sensibilmente da nichilismo e anomia, dalla perdita di valore della vita umana delle masse di inferiori. Neanche la più ripetitiva propaganda hollywoodiana riuscirebbe a nascondere la realtà fattuale del capitalismo, di sistematica violenza, abbruttimento intellettuale e spirituale e sopraffazione. (Questa sarebbe una prospettiva pure abbastanza in linea con sentimenti smithiani).
Per un altro verso la sofisticata visione teologica, correlata alla esigenza umana di mantenersi ottimista e replicante della fede hegeliana, che l’incarnazione non può essere stata invana, porta Marx a elaborare una seducente soteriologia rivoluziona, lusingante, ma probabilmente non così lineare come da lui prospettato.
Infatti in nessun paese industrializzato si è verificata la sognata rivoluzione nei termini immaginati.
Il credere che l’implosione del capitalismo, che effettivamente, per la sua estremistica natura di razzismo, violenza e sfruttamento presenta grosse difficoltà a garantire redditi accettabili o più elevati per tutti, senza ricorrere paradossalmente a elementi di gestione marxiani, determini una sorta di palingenetica fuoriuscita dal capitalismo e ingresso in un nuovo umanesimo è una illusione, magari un oppio che aiuta a sopportare la sofferenza, ma pur sempre una credenza non scientificamente marxiana.
(Crescita tecnologica e incremento del tasso di salario tendono a farsi accompagnare da una diminuzione del tasso di profitto, il che appare irrazionale e inaccettabile per il capitale e la sua struttura di potere).
Per quanto concerne Deng Xiaoping e la Cina e le ricorsive confusioni e mistificazioni in merito, si dovrebbe ricordare che Deng Xiaoping fu riabilitato e scelto come successore espressamente da Mao Zedong, (operazione che tragicamente Stalin non fu capace di eseguire), e che le politiche economiche da lui attuate, per far compiere un ulteriore significativo salto alle forze produttive, furono rese possibili e si saldavano sulle precedenti di Mao Zedong. Pensate in termini di sfasamento in relazione alle modalità di arricchimento individuale, hanno vacillato su questo terreno, per gli eccessi neoliberali, che hanno pure posto in rischio la tenuta del sistema e il concetto di comunismo seguito dalla Cina.
Un po’ per fortuna, ma soprattutto per il peso intellettuale e morale ancora esercitato da Mao Zedong, il partito comunista cinese e i suoi leader, in particolare Xi Jinping, hanno introdotto robusti correttivi, da differenziare il modello di accumulazione di surplus cinese rispetto a quello speculativo e predatorio dell’impero, nonostante sia inevitabilmente inserito nella sfera dell’imperialismo del dollaro e sia sottoposto a costanti attacchi da parte dell’impero, che confida di poter inibire lo sviluppo e soggiogare il resto del mondo attraverso la promozione di guerre e terrorismi secolari.
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Michele Castaldo
Thursday, 18 January 2024 07:15
Caro Roberto Romano,
poche chiacchiere, il modo di produzione capitalistico è l'ultimo stadio di un tempo storico sviluppatori dallo scambio. Esso contiene delle leggi fisse: a) aumento della produttività del lavoro: b) riduzione dei costi di produzione.
Questi due fattori hanno sviluppato due leggi ancora: a) merci - denaro - merci' e b) denaro - merci - denaro'.
Queste leggi hanno sviluppato un insieme di rapporti degli uomini con i mezzi di produzione a macchia d'olio fino a raggiungere gli attuali livelli di mondializzazione degli scambi incentrati dalla produzione di valore. Un insieme di rapporti in cui tutto si tiene o niente si tiene. Fino ad oggi tutto si è tenuto perché il meccanismo delle leggi su dette funzionava: estrazione di materie prime, produzione di valore, vendita delle merci, moltiplicazione dei mezzi di produzione, moltiplicazione della produzione delle merci via via all'infinito.
Fino a comprimere l'insieme del mercato con tutto quello che questo comporta: una crisi generale dell'insieme del modo-moto di produzione.
La domanda se è possibile modificare quelle leggi non dà luogo a procedere, solo gli illusi o gli illusionisti possono ancora rincorrere un miraggio del genere.
Per queste ragioni è da prendere in seria considerazione che l'insieme del modo-moto si stia avviando verso una implosione di natura catastrofica.
Una qualsiasi ipotesi di nuovi rapporti sociali non possono che derivare da quella obbligata implosione.
Tutto il resto equivale a friggere l'aria e a parlare di parole, ovvero noia, noia, noia.
Michele Castaldo
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AlsOb
Thursday, 18 January 2024 15:58
Vi è un poco di ingiustificata presunzione e superficialità nel predicare la inesorabilità e necessità ontologica della implosione del modo di produzione capitalistico, come premessa allo spontaneo sorgere di auspicati nuovi umanistici e "ben comportati" rapporti sociali.
La realtà è molto differente e la banalizzazione di Marx fa sorridere.
È pur vero che ognuno coltiva delle fissazioni e illusioni che funzionano da oppio, ma non muta il loro carattere di pericolosità per il soggetto e gli altri.
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