A cosa serve una guerra: l’accordo finanziario Usa-Ucraina
di Gaetano Colonna
Si delinea sempre più chiaramente quale sia la prospettiva statunitense nei confronti del conflitto in Ucraina. Il crescente disinteresse dell’amministrazione Trump verso la sbandierata soluzione diplomatica della guerra ci sta facendo capire che gli Stati Uniti d’America in realtà reputano di aver già raggiunto i propri obiettivi prioritari.
Niente rivela più chiaramente quale sia l’orientamento nordamericano sulla questione ucraina dell’accordo economico, siglato lo scorso 30 aprile a Washington da Yuliia Svyrydenko, primo Vice-Ministro ucraino dell’Economia e da Scott K. H. Bessent Segretario del Tesoro USA, accordo tecnicamente denominato United States-Ukraine Reconstruction Investment Fund.
È una conferma del fatto che la politica nordamericana nei confronti dell’Ucraina, con la sua accelerazione a partire dalla cosiddetta rivoluzione arancione del 2004, ha tra le sue finalità principali quella di vincolare l’Ucraina al sistema economico-finanziario che ha il suo baricentro politico negli USA.
Intanto è il caso di premettere che il documento sottoscritto dai ministri dei due Paesi è per il momento una definizione dei principi generali che le due parti hanno accettato, in quanto ancora deve essere formalizzato un accordo di dettaglio, denominato LP Agreement, che dovrà essere approvato dal parlamento ucraino: tanto è vero che la stessa stampa ucraina è stata assai meno trionfalistica dei media nostrani nel valutarne il contenuto, consapevoli che, come ben sanno tutti i diplomatici, “il diavolo è nei dettagli”. E non è davvero difficile intendere chi sia qui il diavolo.
La controparte statunitense è la United States International Development Finance Corporation (DFC), un’agenzia di natura mista pubblico-privata, si noti, costituita il 20 dicembre 2019 su decisione di Trump, dalla fusione dell’Overseas Private Investment Corporation (OPIC) con il programma denominato Development Credit Authority (DCA) dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), oltre che con altri uffici e fondi minori.
Questo accorpamento riunifica quindi programmi pubblici e privati, secondo l’approccio business tipico della presidenza Trump, che già da decenni tuttavia muovevano ingenti risorse finanziarie per scopi di interesse strategico per le relazioni internazionali degli USA: in particolare, l’Ucraina, a partire non a caso dal fatidico anno 2004, ha già usufruito di finanziamenti da queste fonti per un valore di oltre due miliardi di dollari, molti dei quali, recita un dettagliato report di DFC, coperti da segreto “per tutelare la sicurezza dei partner che vi operano”.
L’accordo parte dalla premessa politica che esso avviene “riconoscendo il significativo sostegno finanziario e materiale che il popolo degli Stati Uniti ha fornito alla difesa dell’Ucraina dopo l’invasione su larga scala da parte della Russia” – ma, come appena visto, quel sostegno era iniziato da ben prima.
Oggetto dell’accordo è lo sfruttamento congiunto delle risorse naturali strategiche ucraine, con i vantaggi per gli USA bene evidenziati sul proprio sito web da DFC:
«I progetti sulle risorse naturali comprenderanno minerali, idrocarburi e sviluppo delle infrastrutture correlate.
Se gli Stati Uniti decidessero di acquisire queste risorse per conto proprio, avremmo la priorità nell’acquisirle o nel designare l’acquirente di nostra scelta.
La sicurezza economica è sicurezza nazionale e questa importante salvaguardia impedisce che risorse critiche finiscano nelle mani sbagliate.
È importante sottolineare che questa partnership invia un messaggio forte alla Russia: gli Stati Uniti sono interessati al successo a lungo termine dell’Ucraina».
Non potavi esserci più chiara indicazione della natura politica di questo accordo, che porta con sé numerosi significativi vantaggi economici: i profitti realizzati da DFC e partner USA non possono essere tassati in Ucraina; qualsiasi transazione economica fra le aziende dei due Stati deve essere realizzata obbligatoriamente in dollari; nel caso in cui il governo ucraino adottasse misure di carattere protezionistico che potrebbero danneggiare i partner statunitensi, essi avrebbero diritto ad adeguati indennizzi; il partner ucraino ha obbligo di fornire informazioni al partner statunitense su tutte le attività economico-finanziarie oggetto dell’accordo, in particolare nel caso di eventuali transazioni dell’Ucraina con altre entità od organizzazioni: balza agli occhi il riferimento agli accordi già sottoscritti dall’Ucraina con l’Unione Europea.
Ma ci sembra che il punto più interessante è quello formulato al paragrafo 5. dell’articolo VI dell’Accordo, che reca come titolo Contributi al Partenariato:
«Se, dopo la data di entrata in vigore, il Governo degli Stati Uniti d’America fornisce nuova assistenza militare al Governo dell’Ucraina in qualsiasi forma (compresa la donazione di sistemi d’arma, munizioni, tecnologia o formazione), il contributo in conto capitale del Partner statunitense sarà considerato aumentato del valore stimato di tale assistenza militare, in conformità all’Accordo LP».
Si tratta di una clausola fondamentale, che consentirà agli Usa, secondo i desiderata brutalmente espressi da Trump nel famoso incontro con il presidente ucraino, di accrescere la propria quota capitale nel partenariato, fornendo armamenti all’Ucraina in guerra, e in tal modo acquisendo una quota maggioritaria del Fondo, assumendone il controllo.
Stupisce quindi la superficialità (per ignoranza o volontà) dei giornalisti italici che si sono affrettati a definire questo accordo equo e paritario.
A questo punto, gli USA possono benissimo disinteressarsi del conflitto in Ucraina: si sono comunque assicurati il controllo di risorse strategiche essenziali, a spese del popolo ucraino.
Tutto questo mentre: la Russia si trova incatenata a un conflitto di lunga durata, che avrebbe voluto evitare, pensando di risolvere il problema in poche settimane con una operazione speciale rivolta al rovesciamento di Zelenski; l’Unione Europea, sbilanciatasi dal 2014 in un cieco sostegno all’Ucraina senza alcuna contropartita politica, è sempre più spinta a una contrapposizione alla Russia, in conseguenza della quale la sua economia rischia di avvitarsi sempre più negativamente; la NATO, unica forza militare occidentale, ha nel frattempo portato nei propri ranghi Paesi, come Finlandia e Svezia, che mai si pensava potessero entrare nell’Alleanza Atlantica; l’Ucraina infine sta pagando un enorme tributo di vittime e distruzioni, rischiando, con una progressiva disintegrazione, di diventare un altro dei failed States disseminati dal cosiddetto interventismo democratico americano nel mondo contemporaneo, dall’Iraq alla Libia.