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Un'agenda per l'autunno

di Sergio Cesaratto

L'elemento da cui deve partire un ragionamento di sinistra sul che fare nel prossimo autunno è che, rebus sic stantibus, reddito e occupazione in Italia continueranno a calare nel quadro di una stagnazione complessiva dell'Europa che costituirà, a sua volta, causa principale del rallentamento dell'economia globale. Non c'è luce in fondo al tunnel. Tale preoccupazione traspare nell'intervista pre-ferragostana che Stefano Fassina, il braccio destro economico di Bersani, ha rilasciato al Foglio (9/8); assai meno nella coeva intervista rilasciata da Bersani al Sole in cui egli rivendica la continuità europeista coi Ciampi e Padoa-Schioppa e, viene da desumere, col montismo: «Noi siamo quelli dell'euro... lealtà al governo Monti, lealtà verso il grande obiettivo europeo, responsabilità nella tenuta dei conti, nella riduzione del debito e nella costruzione di un avanzo primario»; sebbene la Germania abbia le sue responsabilità e abbia guadagnato dall'euro «noi paesi cosiddetti periferici dobbiamo riconoscere che dopo l'euro non abbiamo fatto i compiti a casa, non abbiamo approfittato dell'abbassamento dei tassi». E dagli coi «compiti a casa». L'obiettivo di diminuire il rapporto debito pubblico/Pil non è per la sinistra un obiettivo condivisibile, tanto meno nel quadro di stagnazione prima, e di aperta crisi ora, in cui la moneta unica ha condotto il paese. Né il debito pubblico costituisce un problema con bassi tassi di interesse, quelli che oggi vengono a mancare per la sciagurata inazione della Bce. Questo non per assolvere i casi di mala gestione pubblica, in particolare negli anni di Berlusconi. Ma non sulla tematica del debito pubblico la sinistra si deve crocifiggere. La Carta d'intenti del Pd è peraltro così vuota di contenuti che addirittura goffo è stato il tentativo di riempirla di temi - come le unioni civili - che sono punto di civiltà e non programma sociale, come chiosava domenica su questo giornale Alfio Mastropaolo.

Pur costituendo una base più ragionevole di discussione, il decalogo programmatico che Fassina ha proposto nella sua intervista ancora non copre in maniera soddisfacente il buco politico di Bersani.

Punto centrale è la concessione della licenza bancaria ai fondi di salvataggio europeo (surrogato di un aperto intervento della Bce ancor più indigeribile ai tedeschi), in cambio di una definitiva cessione di sovranità fiscale a Bruxelles.

Due osservazioni vanno fatte al riguardo. La prima riguarda un'ambiguità della proposta (naturalmente sappiamo che un'intervista non è il luogo adatto per articolare le proprie proposte). La concessione della menzionata licenza bancaria può essere impiegata sia per reindirizzare le politiche europee in direzione espansiva, che come strumento per procrastinare l'agonia con l'obiettivo ultimo (con Monti e Fornero conniventi) di distruggere stato sociale e sindacati. Dipende da quali tassi d'interesse la Bce si dà come obiettivo. Al di là del teatrino tedesco di intervento sì/intervento no a cui abbiamo assistito a inizio settimana, un intervento Bce vi potrà essere, ma prevedibilmente col solo scopo di far sopravvivere l'euro dando tempo all'austerità di svolgere la sua funzione ultima di far fuori, per ora nell'Europa meridionale, un secolo di conquiste sociali (compiendo così il disegno per cui la moneta unica fu creata, si veda il mio pezzo su il manifesto del 31/7). Fassina si oppone ovviamente a questo disegno, per cui deprecabile è stato il tentativo di Eugenio Scalfari di ricondurre le sue proposte a quelle della Merkel. Per evitare equivoci, consigliabile è allora esprimersi in toni più diretti proponendo un impegno trasparente della Bce a diminuire i tassi di interesse a livelli tali da consentire il doppio obiettivo di stabilizzare i rapporti debito/Pil e di consentire politiche fiscali espansive. Per coprirsi le spalle "accademiche" Fassina potrebbe riferirsi da un lato a Wyplosz e De Grauwe, e dall'altro a Pasinetti. Questo costituirebbe un primo passo verso un vero "patto di stabilità e crescita" europeo progressista. Non l'unico, naturalmente. Si deve affrontare il problema dello squilibrio di competitività infra-eurozona creato dall'euro; quello di uno spostamento della distribuzione del reddito a favore dei salari pur controllando l'inflazione; quello della modernizzazione, civile, amministrativa e infrastrutturale (anche coi project bond sostenuti da Fassina) della periferia europea.

La seconda questione riguarda l'effettivo spazio politico europeo di un ben articolato insieme di proposte progressiste. Mentre Hollande fa finta di niente sperando di passare inosservato ai mercati, a me sembra che la Spd sia assai lontana da serie soluzioni progressiste. Domenica scorsa Jacopo Rosatelli su queste colonne e Piero Soldini su quelle de l'Unità si sono spesi a difesa delle dichiarazioni anti-Merkel del responsabile economico della Spd, che molti avevano lette come vicine a quelle della destra euro-scettica. Non abbiamo ragioni di negare che il sig. Schneider sia preoccupato degli effetti nefasti delle politiche d'austerità. Poiché però è sulla solidità delle proposte che va esercitato il giudizio ultimo, a me pare che il senso delle affermazioni di Schneider meritoriamente tradotte dal sito Voci dalla Germania - la Bce «in nessun modo dovrà farsi carico del finanziamento degli stati, come già ora accade indirettamente con l'acquisto di obbligazioni» - sia inequivocabile. Siccome quello dell'intervento della Bce sulle linee sopra tracciate è il primo passo (e neppure il più complicato!) di un difficile percorso di ricostruzione dell'Europa, ci si domanda: ma stiamo parlando di un percorso realistico? Eh, ma la Spd propone gli Eurobond, e poi si deve avere pazienza, lì c'è una discussione aperta, mi si replica. Gli Eurobond senza un intervento della Bce non significano nulla, e circa la discussione aperta... abbiamo atteso Hollande, ora ci si dice di attendere le elezioni tedesche, mentre qui da noi interi settori produttivi vanno perduti (quanti mesi di vita ha la Fiat?), la disoccupazione monta, sanità e istruzione pubblica vengono demolite.

Noi di "Oltre l'austerità" poniamo allora due quesiti alla sinistra, e a ben vedere a tutti coloro che hanno seriamente a cuore i destini di questo paese - dove per seriamente intendiamo chi è consapevole che "austerità e crescita" costituisce un ossimoro, e che la presunta "credibilità" conquistata a colpi di "rigore" come fattore di crescita, su cui l'impianto del governo Monti-Giavazzi si fonda, è una sciocchezza buona solo per chi scambia termini suadenti per sostanza economica. Cari leader della sinistra, avete in mente dei paletti - un tasso di disoccupazione, una sequenza di trimestri in cui il Pil cade o quant'altro - superati i quali riterrete di porre radicalmente in discussione questo quadro europeo? Quali ulteriori condizioni capestro siete disponibili ad accettare dall'Europa, e in cambio di cosa? È su questa base che voi dovreste attrezzarvi a una risposta alternativa, senza attendere l'«imprevisto» evocato da Massimo D'Antoni su l'Unità (17/8) per predisporre il "piano B". Il rischio non è, infatti, solo che la situazione comunque precipiti, ma che intanto prevalga l'assuefazione al coma.

Una risposta infine a Guido Viale (il manifesto 15/8) che imputa all'e-book "Oltre l'austerità" di aver ricondotto creazione e fallimento dell'euro allo scontro fra teorie economiche buone e cattive. Nessuno di noi è così ingenuo da aver scritto e pensato questo. Ma avremmo anche esulato dal nostro compito se non avessimo anche speso energie nel mostrare l'erroneità delle analisi economiche evocate a sostegno delle scelte europee passate e presenti. Tradizionalmente la sinistra ha sempre dato grande valore alla battaglia delle idee. Nella solidità dell'impianto analitico e nella precisione e coerenza delle analisi l'e-book trova la sua peculiarità rispetto a un pensiero economico più leggero ed eclettico - la nostra è la sinistra di Gramsci e di Sraffa. Circa poi l'attualità della "conversione ecologica", non abbiamo dubbi che il sostegno a domanda aggregata e occupazione debba provenire da un grande "piano del lavoro" volto alla riqualificazione del territorio nazionale, come anche dalla difesa e sviluppo delle nostre capacità tecnologiche e di esportazione.

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