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La controrivoluzione femminista  

di Antonio Martone

Pubblichiamo il testo integrale della relazione del Prof. Antonio Martone, redattore de L’Interferenza, al convegno dal titolo “Una lettura alternativa della questione di genere. Per una critica di classe del femminismo” promosso da L’Interferenza e dall’Associazione “Uomini e Donne in Movimento” e svoltosi a Roma sabato 15 marzo

mvsdiytverIl femminismo di Marcuse

Nel 1974, Herbert Marcuse formulava una riflessione ambiziosa quanto al legame tra femminismo e trasformazione sociale:

“Io credo che dobbiamo pagare per i peccati di una civiltà patriarcale e del suo potere tirannico: la donna deve diventare libera di determinare la propria vita, non come moglie, né come madre, né come amante o compagna di qualcuno, ma come un essere umano individuale. Sarà una lotta fatta di scontri aspri, di tormento e di sofferenza (psichica e fisica)”[1].

Perché Marcuse aveva scritto parole tanto forti contro il patriarcato? Presto detto, per il filosofo tedesco il femminismo non rappresentava soltanto un particolare movimento ma costituiva una forza più generale, potenzialmente rivoluzionaria nella sua capacità di contribuire alla liberazione dell’essere umano nella sua totalità. Nel fermento politico degli anni Settanta, egli vedeva dunque nella lotta per l’emancipazione femminile un elemento inscindibile da un più ampio processo di trasformazione sociale.

Per rinforzare la sua tesi, egli infatti aggiungeva:

Le potenzialità, gli obiettivi del movimento di liberazione delle donne si spingono però molto al di là di esso, in regioni impossibili da raggiungere nel quadro del capitalismo, e di una società di classe. La loro realizzazione richiederebbe un secondo livello, nel quale il movimento trascenderebbe il quadro nel quale si trova ora ad operare. In questo stadio, ‘al di là dell’uguaglianza’, la liberazione implica la costruzione di una società governata da un differente principio di realtà, una società nella quale la dicotomia costituita tra il maschile e il femminile è superata nei rapporti sociali e individuali tra esseri umani[2].

Secondo questa prospettiva, pertanto, per la sua stessa dinamica, il femminismo non si esauriva nelle lotte per l’uguaglianza formale, ma doveva mirare a una ridefinizione radicale della società. Al di là del rapporto fra generi, vi era l’essere umano nella sua essenza, ed era questa la vera posta in gioco della rivoluzione femminista.

Tuttavia, con il passaggio dagli anni Settanta ai decenni successivi, la realtà sociale prese una traiettoria ben diversa da quella immaginata da Marcuse. Quando nel 1994 Christopher Lasch pubblicò il suo La ribellione delle élite, il panorama socio-politico appariva ormai chiaro: anziché opporsi alle logiche del capitalismo avanzato, il femminismo aveva finito per legittimarle, contribuendo all’ascesa di una nuova élite perfettamente integrata nei meccanismi di mercato. Mentre le lotte di classe erano progressivamente marginalizzate, la dimensione comunitaria delle battaglie sociali si dissolveva, sostituita da forme sempre più marcate d’individualizzazione.

Osservando la società americana post-industriale, Lasch tracciava un quadro realistico quanto disilluso:

“I nuovi movimenti – il femminismo, il movimento per i diritti dei gay, quello per il diritto all’assistenza sociale e quello contro la discriminazione razziale – non hanno nulla in comune tra loro, e la loro unica rivendicazione coerente mira all’annessione nelle strutture dominanti e non certo a una trasformazione rivoluzionaria delle relazioni sociali”[3].

L’ideale marcusiano di un femminismo rivoluzionario, parte essenziale di un cambiamento sistemico, s’era dunque infranto, mostrando piuttosto una società atomizzata, dominata dall’individualismo e dalla competizione. Ciò che Marcuse vedeva come un passo verso la liberazione collettiva, per Lasch era diventato un ulteriore strumento di frammentazione, funzionale alle logiche del capitale.

Chiediamoci allora come mai quello stesso femminismo che, nella prospettiva di Marcuse, intendeva mettere in discussione il potere del capitale e della tecnica, si sia trasformato in uno strumento di consolidamento del potere. Espongo qui la mia tesi in maniera diretta e quasi brutale: il fallimento delle speranze marcusiane era dipeso dal fatto che il francofortese aveva abbracciato in modo acritico la narrazione femminista, privandosi così della possibilità di considerare le dinamiche concrete del sistema di potere del capitalismo. In altre parole, prendendo posizione contro la “tirannia del patriarcato”, l’autore di Eros e civiltà si era alienata la possibilità di interrogarsi a fondo sulle ragioni dell’alienazione capitalistica per venire a capo della quale è, non soltanto utile, ma addirittura necessario, sottoporre a critica decostruttiva la stessa narrazione femminista.

Vorrei dunque delineare qualche schizzo di tale decostruzione.

 

La narrazione storica del femminismo: una visione monodimensionale

Come abbiamo visto anche in Marcuse, uno degli assunti fondamentali della narrazione femminista è l’idea che le società preindustriali e moderne fossero dominate dall’oppressione del “patriarcato”. Tale resoconto storico, che non esito a definire ideologico, ha finito per diventare un dogma che ha chiuso gli occhi su una realtà ben più complessa, impedendo una lettura dialettica e sistemica delle dinamiche storico-sociali. La riduzione della disuguaglianza alla sola dicotomia tra maschile e femminile ha oscurato il fatto che il dominio non è unidirezionale e che le dinamiche di oppressione e privilegio si distribuiscono in modo articolato, intrecciandosi con fattori economici, politici e culturali. Una lettura più attenta ed equilibrata della vicenda storica, peraltro, potrebbe essere sostenuta dallo stesso Foucault il quale, nella sua riflessione sul potere, insiste su una definizione di esso che lo consideri come un sistema diffuso – sorta di rete complessa che si sviluppa in tutte le dimensioni della vita.

In questa prospettiva, il femminismo ignora il ruolo che il femminile ha esercitato nelle sfere della vita quotidiana, della cura, della riproduzione e dell’educazione, ambiti essenziali nella formazione dell’individuo e nella riproduzione delle strutture sociali. Così facendo, il femminismo stesso ha finito per proporre una lettura semplificata che ha assolto le donne da qualsiasi responsabilità strutturale e trasformato la questione dell’emancipazione in un conflitto tra i sessi, anziché in una riflessione più ampia sulla natura complessa del potere in ambito premoderno e moderno.

A una lettura più attenta, risulta invece che, se è vero che molte società storiche sono state segnate da strutture patriarcali, è altrettanto vero che il potere e le opportunità di uomini e donne non dipendevano esclusivamente dal loro sesso, ma erano fortemente influenzati dalla classe sociale, dallo status economico e dalle condizioni storiche specifiche. In molte di queste società, le donne di alto rango (dapprima aristocratiche, poi borghesi) condividevano i privilegi dei loro uomini, mentre gli individui di sesso maschile appartenenti alle classi subalterne erano vittime della medesima oppressione economica e sociale che toccava alle loro donne.

In un qualunque sistema sociale, la divisione dei sessi non è altro che uno degli strumenti attraverso i quali l’ordine sociale viene mantenuto, ma non è l’unico. La falsa visione del patriarcato come nemico ha precluso alle femministe e ai loro sostenitori uno sguardo sistemico sul potere di classe. La lotta contro il patriarcato, in altre parole, ha finito per distogliere l’attenzione dalle strutture autentiche di verità/potere che hanno modellato la condizione di subalternità degli oppressi dal sistema.

 

L’inconsistenza dei concetti di privilegio e di oppressione

Il concetto di “privilegio maschile” è ormai un tema centrale nelle teorie femministe, ma un “patriarcato” fonte di mero privilegio per gli uomini e di mera oppressione per le donne, in fondo, non è mai esistito. Oggi, tali elementi ideologici sono frequentemente utilizzati per giustificare politiche discriminatorie come le “quote rosa” o altre normative di favore per le donne. In realtà, lo stigma dell’oppressione impresso sulla storia degli uomini è molto problematica e del tutto antistorica. La moderna concezione di giustizia fondata sull’uguaglianza non può essere applicata a strutture sociali che operavano secondo logiche profondamente diverse, nelle quali la distribuzione dei ruoli non era intesa come oppressiva, ma come parte di un ordine funzionale di complementarietà. La divisione sessuale del lavoro, piuttosto che riflettere una dinamica capitalistica di sfruttamento, rispondeva in effetti a esigenze pratiche legate a quello che, con termine moderno improprio potremmo definire, divisione del lavoro.

In un contesto storico in cui la gerarchia sociale era la norma, non possiamo interpretare la subordinazione dei sessi attraverso la lente del moderno concetto di dominio. Peraltro, se ci rifacciamo al diritto romano e ad altre tradizioni antiche, la giustizia non era sinonimo di uguaglianza ma di equilibrio funzionale tra le varie posizioni sociali. A ciascuno spettava il suo posto in una struttura che, pur presentando asimmetrie evidenti, garantiva comunque un ordine sociale che si basava sul rispetto di doveri reciproci. La donna, pur essendo legalmente subordinata, non viveva necessariamente in una condizione di totale impotenza, ma era parte di una rete di doveri che prevedeva la protezione, l’assistenza e non era scevra dall’esercitare un’importante influenza all’interno della dinamica familiare e sociale. Ogni ruolo, sia quello dell’uomo sia quello della donna, aveva un’importanza vitale per la stabilità sociale. La donna si occupava della casa, dell’educazione dei figli, della cura degli anziani, contribuendo a mantenere il tessuto sociale e culturale, mentre l’uomo si assumeva compiti che richiedevano una maggiore forza fisica e una certa esposizione al rischio.

Quanto poi all’altro concetto, ossia quello di privilegio maschile, vorrei dire subito che esso è del tutto fuorviante quando non si considerino i costi di un qualsiasi equilibrio sociale. La pratica femminista di applicare la logica del privilegio al contesto storico patriarcale rischia di escludere il sacrificio che ha caratterizzato la vita storica degli uomini di tutte le epoche.

Nel nostro contemporaneo, la continua invocazione del patriarcato come causa principale della disparità di genere crea una cultura di colpevolizzazione collettiva che minaccia il principio di uguaglianza reale. Questo approccio, anziché promuovere una vera e propria emancipazione sociale, non fa che rinforzare divisioni e conflitti funzionali alla conservazione e al potenziamento delle strutture di potere esistenti.

Nel contesto del capitalismo moderno, gli uomini e anche le donne sono stati ingabbiati in una logica economica che li ha ridotti a ingranaggi del sistema. Il loro valore è stato commisurato esclusivamente in base alla loro produttività, spesso espletata in settori fisicamente e psicologicamente estenuanti. Da parte loro, gli uomini, non solo nel lavoro, ma anche nella guerra, sono stati (e sono) storicamente sacrificati come “carne da cannone”, mandati a combattere in conflitti orditi anche da donne di potere.

A queste difficoltà si aggiunge la repressione delle emozioni, imposta da una cultura che insegnava agli uomini a non mostrare vulnerabilità. Essere “uomini” implica non esprimere paura, tristezza, dolore. Inoltre, la società ha posto sul genere maschile il peso di una definizione di sé basata sul successo economico e sociale. Il valore di un uomo, che significava spesso anche il suo livello di desiderabilità per l’altro sesso, veniva (e viene) commisurato al suo successo. Ciò ha spinto molti uomini a vivere sotto la costante pressione di dover raggiungere obiettivi mossi dal desiderio femminile che, a sua volta, concretizzava le aspettative di una determinata società, non ultima quella capitalistica attuale. Non meno importante è la questione della famiglia e dei ruoli domestici. Storicamente, agli uomini è stato negato l’accesso a una pienezza affettiva nei confronti dei propri figli, poiché erano esclusi dai compiti di cura. Infine, la sessualità maschile è stata (ed è) altrettanto controllata e ridotta a svolgersi in condizioni performative e ipercompetitive. Ciò ha alimentato talvolta un circolo vizioso di frustrazione e inadeguatezza, che non ha fatto altro che rinforzare gli stereotipi di virilità dannosi per gli uomini ma certamente vantaggiosi per il mantenimento del sistema capitalistico.

In definitiva, se guardiamo alla storia degli uomini, non vediamo né oppressione né privilegi. Scorgiamo piuttosto una gabbia sistemica che si esercita sul maggior numero di essi.

 

Le conseguenze politiche: il femminismo come arma del capitalismo

Piuttosto che costituire una vera e propria lotta per l’emancipazione delle donne, si può dunque ipotizzare che il femminismo sia stato cooptato e utilizzato come strumento per rafforzare il capitalismo. L’indirizzamento delle lotte sociali verso il conflitto di genere ha avuto l’effetto collaterale di dissolvere la capacità di organizzazione collettiva contro le disuguaglianze economiche e sociali, portando alla frammentazione del movimento di classe e alla distrazione da quelle che sono le reali dinamiche di potere. Il capitalismo, inoltre, nella sua capacità di adattamento, ha riconosciuto nel femminismo una risorsa per migliorare l’efficienza del sistema stesso[4]. L’integrazione delle donne nel mercato del lavoro, che storicamente è stato visto come una conquista femminista, ha finito per alimentare il sistema capitalista piuttosto che minacciarlo. L’abolizione delle barriere di genere nel lavoro ha non solo aumentato la forza lavoro, ma ha anche facilitato una maggiore flessibilità lavorativa, un elemento fondamentale per il capitalismo globale. La “liberazione” delle donne, in quest’ottica, non è altro che l’assorbimento di una parte della popolazione lavoratrice, utile per aumentare la produttività e il consumo senza alterare i fondamenti del sistema economico.

La maggiore mobilità lavorativa delle donne ha contribuito, inoltre, a una trasformazione nelle dinamiche familiari, spingendo verso un modello di “famiglia atomizzata” in cui i legami di solidarietà e coesione sociale sono sostituiti dalla competizione individuale.

Il fatto che le donne siano entrate nel mercato del lavoro (soprattutto terziario) non è dovuto affatto (o, meglio, non è dovuto strutturalmente) alle lotte femministe, a mio parere, quanto piuttosto a necessità legate alla mutazione delle condizioni materiali del lavoro – in altre parole, forse più chiare, al lavoro muscolare si è affiancata la necessità d’un lavoro che metta le risorse tecnico-cognitive al centro delle nuove necessità lavorative. Inoltre, il conflitto tra generi è stato strumentalizzato come un mezzo per disinnescare le critiche relative ai tagli al Welfare, perfino le giuste rivendicazioni delle donne lavoratrici, ossia quelle che riguardano servizi essenziali come gli asili nido. Invece di riconoscere che la mancanza di un sistema di Welfare robusto colpisce trasversalmente entrambe le parti, la discussione si è polarizzata, creando una divisione fra generi che ha impedito una risposta collettiva. Tale approccio ha distratto dall’urgenza di costruire un mercato del lavoro che fosse veramente inclusivo, capace di garantire pari opportunità per tutti, attraverso politiche che sostenessero l’accesso al lavoro senza esporre gli individui a frustrazioni legate all’ineguaglianza e alla precarietà. La mancanza di politiche adeguate nel supportare la conciliazione tra vita familiare e lavoro ha avuto un impatto negativo su entrambi i sessi, ma la sua gestione è stata ideologicamente disgiunta.

Infine, la società contemporanea è caratterizzata dalla cancellazione delle identità fino alla tendenziale fluidità di genere. Tutto ciò, ancora, serve al capitalismo per destrutturare ulteriormente la società e le possibili resistenze rispetto al marketing universale che lo caratterizza.

 

La controrivoluzione femminista

Negli anni ‘70, la progressiva perdita di credito della lezione marxiana e della tradizione socialista-comunista comportò una diminuzione dell’attenzione alla dimensione strutturale e collettiva dei fenomeni sociali. Le lotte precedenti, sebbene non prive di dogmatismi e astrattezze ideologiche, si muovevano all’interno di una prospettiva trasformativa. Questa prassi, connotata da una visione unitaria, svanì gradualmente in concomitanza con l’affermarsi del neoliberismo. Al suo posto emerse un approccio individualistico e frammentato rispetto alla visione collettiva che aveva animato i movimenti precedenti.

Con il tramonto delle grandi narrazioni e dei progetti collettivi, l’orizzonte storico si frantuma, dando spazio a un appiattimento della realtà sociale. Il movimento storico non è più visto come una progressione teleologica verso un futuro migliore, ma come un insieme di dinamiche disordinate e rivendicazioniste.

La frammentazione dell’identità collettiva in un mosaico di individualismi, spesso in contraddizione fra loro, diventa, quindi, un riflesso della condizione sociale contemporanea, dove il soggetto è sempre più isolato e la collettività appare come un concetto obsoleto, laddove l’individuo è spinto a confrontarsi con un presente privo di finalità storiche e a cercare risposte nella sfera personale.

È proprio in questo scenario d’individualismo crescente che si radica il fenomeno del femminismo dell’ultima ondata. Esso si sviluppa, infatti, come una rivendicazione individuale di spazio e riconoscimento, spesso centrato sull’autodeterminazione. Non più una visione unitaria della storia come movimento verso un futuro comune, ma una molteplicità di voci e di lotte che rispecchiano l’incertezza e la competizione che contraddistinguono l’era neoliberale.

Si percepisce oggi il progressismo come naturalmente femminista perché emancipatorio: non c’è ancora la capacità e il linguaggio per comprendere che, in realtà, quando si pone la lotta sul piano del genere, non è verso l’emancipazione che si sta andando. Per esempio, e venendo agli ultimi sviluppi del femminismo teorico, la cosiddetta “intersezionalità” femminista non è capace – né potrà mai esserlo – di assumere l’idea che non tutte le donne sono uguali e non tutti gli uomini sono uguali e che, dunque, prius non è affatto il genere.

In una realtà ormai sempre più costruita a tavolino, in un mondo che rende impotente qualsiasi sforzo di trasformazione del reale, ossia storico-filosofico, pertanto, il femminismo è stato convocato dal potere dominante a rappresentare una vera e propria controrivoluzione. Bisognerebbe aver ben presente questo punto di sutura che si colloca fra logica sistemica del capitale, struttura antropologica dell’uomo contemporaneo e movimentismo immanentistico fintamente progressista.

Esistono donne povere e donne ricche, così come esistono uomini sfruttati e uomini sfruttatori. Il potere contemporaneo è legato oggi, strutturalmente, al capitale finanziario e alla tecnica di cui l’ideologia femminista costituisce una delle punte di diamante. Nella sua capacità di coinvolgere gli individui sul piano della colpevolizzazione morale e di frammentare il tessuto sociale (non c’è nulla che provochi reazioni emotive quanto le faccende di sesso e di genere), il femminismo costituisce evidentemente una risorsa importante del sistema capitalistico. È in questa maniera, infatti, che quest’ultimo mostra quella capacità, assolutamente senza precedenti storici, di appiattimento e di formazione della psico-sfera al di fuori della cara e vecchia dialettica, ma in stretto rapporto con l’emotivismo del qui e ora che ho cercato di evidenziare in alcuni miei libri recenti[5].

Propugnare un’emancipazione delle donne “contro” gli uomini, pertanto, significa far ruotare il discorso intorno a un conflitto di genere che, in ultima analisi, è solo una distrazione dal vero problema: il sistema di potere e sfruttamento che opprime entrambi.

In altre parole, una critica veramente radicale non si limita a invertire le posizioni degli oppressi e degli oppressori, ma cerca di demolire le strutture di potere che definiscono le gerarchie socio-economiche in generale. La vera emancipazione non può essere quella di una parte della società contro un’altra, ma quella di tutti gli esseri umani contro il potere del capitale.


Note
[1] H. Marcuse, Marxismo e femminismo, in Marxismo e nuova sinistra, manifesto libri,
Roma 2007, ebook.
[2] Idem
[3] C. Lasch, La rivolta delle élite, Neri Pozza, Milano 2017, ebook.
[4] Un autore come de Benoist critica soprattutto un certo tipo di femminismo proprio per il fatto che esso si sia integrato nelle logiche del mercato e del neoliberismo, favorendo la scalata di una nuova élite femminile senza mettere in discussione le strutture di potere esistenti. Invece di opporsi al capitalismo, lo avrebbe rafforzato, trasformando l’emancipazione in una questione di successo individuale e di accesso al potere, A. de Benoist, I demoni del Bene. Dal nuovo ordine morale all’ideologia del genere, Controcorrente, Napoli 2015, ebook.
[5] A. Martone, ECity. Antropologia della tecnica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2018; id., NoCity. Paura e democrazia nell’età globale, Castelvecchi, Roma 2021.
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Comments

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Lella
Tuesday, 15 April 2025 13:41
Io credo che il fascismo oltre a essere la reazione alla lotta di classe e a tutti i valori di rispetto della dignità umana sia anche la devianza di una antropologia maschile ingrassata da secoli di supremazia sul femminile e negli ultimi secoli dallo strapotere del capitalismo prima industriale e poi ultrafinanziario sullo scenario della geopolitica e di tutta l umanità. Ma il fascismo non è solo quello dei grandi eventi storici o di cronaca politica, è anche lo scatenarsi livoroso nei confronti di tutta la galassia del femminismo, storico o recente, deformando ad arte obiettivi e valori mediante una retorica vuota di pensiero critico ma piena di risentimento se non odio. Siete dei fascisti mascherati da marxisti. Se aveste studiato davvero Marx, l origine della famiglia per esempio, e se aveste studiato la sua filosofia non sareste in malafede come siete. Vi scatenate contro il neo femminismo marchiandolo di infamia perché secondo voi non rientra nella lotta di classe e non sapete o non volete sapere che le lotte delle donne sono state e sono lotte anticapitalistiche per eccellenza perché modificano un sistema di potere che è antropologico nella sua pervasivita' e per questo politico oltre ché economico. Ma voi siete animati da un risentimento ottuso e violento, come è violento il vostro linguaggio e come è violento il vostro anatema fondamentalista perché di una ignoranza tipica di chi non vuol sapere. Voi siete fascisti dentro perché il vostro è, in ultima analisi , un caso psichiatrico ancora da diagnosticare perché si fa forte di un maschilismo che è duro a morire di indole mortifera e distruttiva. Siete la vergogna di tutta quella umanità maschile che ha trovato nelle lotte delle donne una breccia contro un modello di uomo suprematista, arrogante e povero di sentimenti guarda caso molto utile a un sistema che persegue solo profitto a tutti i costi. Chiamarvi compagni sarebbe un insulto per chi lo è davvero. Mi vergogno al posto vostro non solo perché siete ignoranti ma anche perché siete supponenti come tutti coloro che si credono al di sopra di ogni critica e non sanno cosa sia davvero il pensiero critico. La vostra retorica è imparaticcia e arida di fratellanza umana. Di gente come voi facciamo volentieri a meno perché la storia ne è piena e ne porta ancora i segni. Cercate un luogo più consono alla vostra indole. Qui siete a dir poco superflui.
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Ros*Lux
Tuesday, 15 April 2025 15:44
@lella ...Tutta fuffa... ovvero luoghi comuni e retorica vittimista che continua portare consenso al governo neofascista...lei si è bevuta tutta la propaganda che spaccia per emergenza una non emergenza statistica muoiono piu pedonE investite che donne uccise da uomini ....lei si è bevuta i falsi storici della propaganda neofemminista sulle origini dell'8 marzo...E pretende parlare di pensiero critico...Quando le manca il senso critico e la razionalità elementare...
Lei non è in grado di replicare...non ha argomenti...
È evidente: nulla da dire sulla giornata lavorativa legale di 13 ore in vigore Dlgs 66 del 2003?...
Nulla a riguardo dell'8 marzo data simbolica per lo sciopero per la giornata lavorativa legale proclamato su proposta di Rosa Luxemburg e Clara Zetkin dalla Conferenza internazionale delle Donne Socialiste di Copenaghen del 1910?

Tutti maschilisti fascisti?...
Le farò rispondere da un autorevole simpatizzante "compagno di strada" a suo modo neofemminista :

https://www.corriere.it/caffe-gramellini/23_marzo_17/marxismo-ferragnismo-7f8d20b8-c439-11ed-b729-8010ff33c5a3.shtml

#Ciò che invece spiazza noi «boomer» attempati è che, per esprimere la sua fede antifascista, Eliana Como non faccia il verso a Di Vittorio o almeno a Lama, ma a Chiara Ferragni, posando con uno scialle bianco su cui sta scritto «Meloni pensati sgradita», palese citazione del «Pensati libera» con cui l’imprenditrice digitale apparve la prima sera di spalle, in cima alle scale del teatro Ariston di Sanremo.



Ora, se persino una fiera comunista non trova di meglio che ispirarsi alla più fulgida icona del neocapitalismo, non c’è altro da aggiungere. Ha vinto lei. Non Eliana Como, ovviamente, ma Chiara Ferragni, modello di riferimento di tutti i nuovi italiani di destra e di sinistra. Meloni e Schlein lascino dunque oggi stesso la guida del governo e dell’opposizione, affinché Mattarella possa affidare a Ferragni i pieni poteri, segreteria della Cgil compresa. Hasta l’influencer, siempre.
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Lella
Sunday, 13 April 2025 15:28
Continuate pure a rotolare nel vostro fango ideologico. Accozzaglia di concetti senza un nesso intelleggibile che vanno da: stereotipo classista (cos è?) a teorie antiscientifiche (quali?) che passano attraverso la polarizzazione dell 'opinione pubblica (!?) hate speech, reality orwelliano, manifestazioni di massa (magari) contro il patriarcato. Il movimento neofemminista (chi l ha visto?) indifferente allo sciopero del 17 novembre 2023 (ostia). Finalmente ho capito! Ros*Lux - tu non sei umano. Sei un computer a cui qualcuno ha sfilato diversi file dalla memoria. Così oltre a essere un "cretino di silicio," sei anche un computer da portare in discarica.
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Ros*Lux
Sunday, 13 April 2025 22:47
Per avere conferma che il neofemminismo è un Socialismo' per imbecilli.... Basta la propaganda neofemminista sul gender pay gap che viene usato come pretesto per rivendicare piu contratti full time per le lavoratrici...Invece che una riduzione della giornata lavorativa legale a 8 ore ( dal 2003 dlgs 66 vige quella di 13 ore) come avveniva in origine l'8 marzo data scelta da Rosa Luxemburg per superare la censura e l"oblio con il simbolismo dei numeri : # 8 / 3 = 8 ore per lavorare 8 ore , 8 ore per la lotta per il socialismo e per amare, 8 ore per dormire ...
Altro che i falsi storici che diffonde la propaganda orwelliana neofemminista sessista misandrica sulle origini dell'8 marzo... sui incendi appiccati dal maschio padrone etc ,diffusi anche dai doodle dalla Big Sister Google per la ricorrenza ...
Nel caso se ne fosse dimenticata potrebbe andarsi a rivedere i video delle manifestazioni di piazza (presenti la Ferragni,la sclein etc) contro i femminicidi in occasione dell'omicidio della Cecchettin ... manifestazione alle quali dobbiamo la recente istituzione del reato specifico di femminicidio (incostituzionale ) (punito con ergastolo) da parte del governo neofascista Meloni.
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Liliana Frascati
Thursday, 10 April 2025 14:47
Secondo me, non si tiene in considerazione che le contraddizioni possono essere, sono per me, due, quella di classe e quella di genere. Se l'operaio e l'operaia sono ambedue sfruttato/a dal capitale, l'operaia può essere sfruttata anche "sessualmente", a partire dalle molestie sessuali, dagli stupri e dalla prostituzione per arrivare al dramma dei femminicidi. Se la donna delle elite borghesi gode degli stessi privilegi economici dell'uomo borghese, non è detto che non possa essere emarginata in quanto donna. Ci si dimentica inoltre del peso che hanno avuto le religioni monoteiste nel mantenere le donne in uno stato di inferiorità. Se la donna deve lottare contro lo sfruttamento del lavoro insieme all'uomo, l'uomo deve lottare insieme alla donna per la liberazione economica e sessuale di ambedue.
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Ros*Lux
Friday, 11 April 2025 22:18
Il suo commento ( Frascati )tratta in astratto il tema ,senza neanche un accenno di riflessione sulla sempre più evidente contrapposizione tra la lotta di genere e lotta di classe ...
Ad esempio...non prende in considerazione il contesto dello Sciopero generale del 17 novembre e delle manifestazioni del 25 novembre.2023


Se poi ci si sofferma a leggere la prosa femminista di una certa Leila Cinfeugos ,che nel suo articolo alla vigilia delle manifestazioni del 25 novembre 2023 arriva a citare Marx solo per confermare stereotipi e pregiudizi classisti anti proletari , misandrici....E in aggiunta
si noti bene ,la stessa Leila non sente nessun necessità di fare alcun accenno, tanto meno stigmatizzare la figura del Patriarca Berlusconi,scomparso proprio a giugno... allora questo dovrebbe aiutarci a chiarisce allo stesso tempo cosa è diventato oggi il femminismo ...

Cit:
"Come è noto anche Marx rifletteva su come l’abbrutimento delle società capitalistiche producesse nell’uomo, sfruttato dal padrone, la tendenza a reimpossessarsi del ruolo del padrone nelle mura domestiche, brutalizzando la donna."
https://www.lacittafutura.it/editoriali/la-violenza-catartica


Bisogna prendere coscienza del fatto che ...Fino a quando ci sarà l'egemonia culturale e politica dell'ideologia sessista neofemminista (finta sinistra vera destra sessista) che si contrappone ed complementare all'ideologia razzista , nel chiaro intento di instaurare un regime bipartisan/bipartito...dove appunto si contrappongono una destra sessista femminista suprematista ed una destra razzista suprematista non usciremo dalla dinamica antidemocratica in corso.
Per una vera difesa della democrazia e per la pace è necessaria la lotta di classe per il Socialismo, che è appunto ostacolata dall'ideologia che promuove la lotta di genere interclassista in realtà lotta di classe di imprenditrici,manager,etc contro lavoratrici e lavoratori..


Ideologia sessista femminista egemone anche nei sindacati,dove ci sono delle dirigenti che sono arrivate a contestare la Meloni con uno slogan della 'influncer Ferragni .
Mentre vige il silenzio da 20 anni sulla giornata lavorativa legale di 13 ore ex dlgs 66 2003!

https://www.corriere.it/caffe-gramellini/23_marzo_17/marxismo-ferragnismo-7f8d20b8-c439-11ed-b729-8010ff33c5a3.shtml
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Ros*Lux
Friday, 11 April 2025 22:27
Sciopero generale 17 novembre e manifestazioni del 25 novembre.2023:

Il suo commento (Frascati )tratta in astratto il tema ,senza una adeguata riflessione sulla sempre più evidente contrapposizione tra la lotta di genere e lotta di classe:

Per quanto risulta dai dati statistici la violenza di genere verso le donne è uno stereotipo classista. Il neofemminismo dell’opposizione e il neomaschilismo del governo sono fondati su teorie antiscientifiche, vere e proprie ideologie sessiste,che producono una polarizzazione dell’opinione pubblica attraverso la legittimazione degli hate speech sessisti…equivalenti ai 2 minuti di odio del Grande Fratello orwelliano,che nella realtà attuale durano senza soluzione di continuità H24…E così …
Stiamo assistendo ad un reality orwelliano…mentre avvengono massacri colossali che potrebbero essere i prodromi
della terza guerra mondiale ci sono manifestazioni di massa contro il maschilismo residuo del patriarcato…
Grottesco!

Mentre la
dichiarazione della Presidente della Commissione di Garanzia sugli scioperi(1) non ha ricevuto nessuna replica ufficiale da parte del movimento femminista …Nessuna che abbia sentito la necessità di ricordare che l’8 marzo era in origine uno sciopero generale internazionale proclamato su proposta di Rosa Luxemburg e Clara Zetkin…
Il governo si dichiara pronto ad accogliere le istanze femministe mentre nega il diritto di sciopero…
Mentre le donne comuniste e il sindacato partecipano alle manifestazioni neofemministe,il movimento neofemminista è indifferente se non addirittura ostile al diritto di sciopero e non ha partecipato neanche alle manifestazioni dello sciopero del 17 novembre.

Il movimento neofemminista è ormai palesemente classista e reazionario.

È necessario prendere finalmente coscienza che il neofemminismo svolge una funzione politica opposta al femminismo storico.
L’assassinio (non il femminicidio) di Rosa Luxemburg è lì a ricordarcelo!

«Serve una revisione», dice Bellocchio. «Lo dicevano anche i miei predecessori. Lo sciopero generale deve essere sempre un fatto eccezionale. Ormai se ne indice uno persino per la Festa della Donna».
https://www.open.online/2023/11/15/sciopero-generale-17-novembre-precettazione-garante-bellocchio/
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Lella
Saturday, 29 March 2025 19:41
Non so cosa sia il neofemminismo perche' non me ne occupo più ma non posso che biasimare toni offensivi e liquidatori più degni di una gogna mediatica che di un reciproco scambio di argomentazioni. Assimilare il neofemminismo, qualunque cosa si intenda con questo, ad una strategia controrivoluzionaria che sostituisce il genere alla classe senza motivare da quali elementi si traggono queste conclusioni appartiene ad una retorica velleitaria e sostanzialmente vuota di senso e per questo poco rispettosa di chi legge. Speravo di trovare un ben diverso livello di confronto su queste pagine e non leoni da tastiera che si camuffano dietro pseudonimi asessuati.
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Ros*Lux
Sunday, 30 March 2025 15:29
Invece criminalizzare tutti gli uomini per il loro essere eterosessuali ... È puro Galateo? ..
E tutto per un rischio teorico di cosiddetto femminicidio che 1/3 del rischio di rimanere vittima di un investimento stradale ...
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Ros*Lux
Saturday, 29 March 2025 19:48
Il neofemminismo è proprio l'ideologia classista anticomunista che ha stravolto l'8 marzo come data simbolica dello sciopero per la giornata lavorativa legale di 8 ore che è diventata la giornata per rivendicare più ore di lavoro per le donne, più contratti di lavoro full time con il pretesto del cosiddetto Gender Pay Gap...In vigenza della giornata lavorativa legale di 13 ore Dlgs 66 2003...
( Anche in Grecia dal 2024 vige la giornata lavorativa legale di 13 ore).


Il Neofemminismo è un socialismo degli imbecilli.
https://www.quotidianosanita.it/m/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=38103

Undici ore di riposo giornaliero. Più facile a dirsi che a farsi
*****
N B dal 2024 anche in Grecia vige la giornata lavorativa legale di 13 ore

Ecco allora che lo spettro dei turni di 12 ore si fa strada. Turni non consentiti nell’Italia degli anni venti del novecento diventano la soluzione dei problemi.
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Giacomo Casarino
Saturday, 29 March 2025 19:56
A volte chi fa la parodia del marxismo pensando di difenderlo è proprio un autentico reazionario, magari combattivo in fabbrica ,ma fascista in casa!
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Andrè Siciliani
Sunday, 30 March 2025 11:05
I veri fascisti sono quelli arcobaleno come tutta la sinistra odierna, anche cosiddetta "radicale", anche i cosiddetti "comunisti", che sostengono le guerre orizzontali (donne contro uomini, omosessuali contro etero, eccetera) e un'ideologia suprematista come il femminismo di massa così come lo conosciamo (che ricordo non essere nato in Unione Sovietica e in Cina, ma nei campus universitari californiani), facendo il gioco del capitale finanziario.

La sinistra occidentale ha abbandonato la lotta di classe per abbracciare il neoliberismo e le lotte di categorie
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Ros*Lux
Saturday, 29 March 2025 20:24
Invece rivendicare più ore di lavoro per le lavoratrici invece della riduzione della giornata lavorativa legale... È pura stupidità Sessista Neofemminista...

Ripropongo qui un mio commento precedente l'8 marzo 2024:

Dal 25 Novembre 2023 all'8 Marzo 2024.

Mentre l' eco mediatico delle grandi manifestazioni (NON scioperi) della giornata mondiale contro la violenza sulle donne del 25 novembre non si è ancora spento , ferve il dibattito nel movimento neofemmministe sulla piattaforma rivendicativa delle manifestazioni del prossimo 8 marzo di NOUM e dello sciopero USB (e serrata?) di genere .
La piattaforma ha come rivendicazione principale il solito reddito di autodeterminazione femminile ,al quale NOUM vorrebbe aggiungere la promozione dell'istanza di legalizzazione della professionalizzazione della prostituzione ( sex work nella neolingua neofemmminista), proposta che viene contestata nell'articolo citato di seguito:
https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/27132-leila-cienfuegos-nudm-sorpassa-il-patriarcato-a-destra.html

''Bisogna essere consapevoli che “prendere a pugni il patriarcato”, o abbatterlo, rischia di rimanere solo un sogno se non si è disposte a problematizzare la questione della prostituzione"
Prendendo in considerazione gli argomenti di questo dibattito a tratti surreale,sorge spontanea una riflessione :
Perché limitarsi a prendere a pugni metaforicamente il Patriarcato avversando la prostituzione, quando si può prenderlo a calci alle gonadi ,come sex worker professioniste,come fa l'ex candidata di Azione Lady Demonique ,che ha pure messo on line un video di una sua performance nel quale si esibisce in un violento calcio alle gonadi di un suo partner pagante, che indossa una maschera con la faccia di Salvini... Performance pienamente neofemmminista, perché una volta tanto in senso stretto la donna fa violenza al maschio, che per di più è sottomesso!..
Video utilizzato dallo stesso Salvini,che ha avuto facile gioco nel sostenere la stupidita di questa istigazione alla violenza antimaschile, che in realtà è un istigazione alla violenza tra i sessi/generi ...
Istigazione che con tutta evidenza connota la metafora usata dalla Cinfuegos... " prendere a pugni il patriarcato"...Così mentre le neofemmministe e l'opinione pubblica sono impegnate nella lotta al feticcio del Patriarcato (che corrisponde nell'ideologia leghista al capro espiatorio immigrato / terrone),nella realtà un conflitto sessista tra i sessi/generi alimentato dalla propaganda mediatica istituzionale ,dei grandi media privati e colossi capitalisti della Net economy...
Lo stesso Salvini può con disinvoltura negare il diritto di sciopero, portando a compimento una politica classista e capitalista ovvero reazionaria... propedeutica all'abolizione del diritto di sciopero.
Il femminismo si afferma come movimento popolare a partire dalla 2a Internazionale dei Lavoratori e con la proclamazione nel 1910 a Copenaghen,dell'8 marzo come sciopero generale internazionale a sostegno della rivendicazione della giornata lavorativa legale di 8 ore per tutti uomini e donne... In aggiunta allo sciopero internazionale del Primo Maggio, che aveva la stessa fondamentale rivendicazione ...
C'era quindi un unità di classe nella lotta per migliorare la condizione di tutti,senza distinzioni di genere...
Nell'articolo della Cienfeugos la questione della giornata lavorativa legale di 13 ore neanche viene citata,anche perché non e' mai stata una rivendicazione di NUDM...
Che con lo sciopero di genere rivendica il cosiddetto reddito di autodeterminazione...Questa rivendicazione chiarisce bene la differenza tra il neofemminismmo e il femminismo storico, connotandolo di logica perversa secondo la quale non è importante la durata della giornata legale di lavoro o quanto di fatto si lavori... L'importante è che vengano riconosciuti diritti di genere , magari anche spese di tutti gli altri lavoratori...
Ora la rivendicazione della professionalizzazione della prostituzione di NOUM e' la palese negazione dell'assioma neofemmminista che esista una coscienza di genere anticapitalista,a prescindere dalla coscienza di classe.



La critica della Cienfeugos avrebbe lo scopo di promuovere la solidarietà interclassista di genere contro la solidarietà di classe intragenere:
Un appello surreale alle Sorelle D'Italia...

Forse la Cienfeugos dovrebbe provare a lavorare come Colf della Boldrini per rivalutare l'importanza della coscienza di classe e della durata della giornata lavorativa legale e di fatto...Per tutti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/23/maltrattate-e-mal-pagate-donne-contro-la-boldrini/6142311/

"LA STORIA TRISTE DI LAURA BOLDRINI. E DI UN LAVORO CHE NON HA PIÙ DIRITTI
25 MARZO 2021 MONICA TRIGLIA
(...)
"La replica di Laura Boldrini nell’intervista a Repubblica conferma tutto quello che i suoi collaboratori le hanno (con molta pacatezza, in realtà) contestato.

Ma soprattutto conferma l’abitudine (perché è diventata un’abitudine) ormai collettiva di considerare il lavoro “una gentile concessione”. Senza diritto alcuno. Senza rispetto alcuno. Senza dignità.

Vale per le colf e per le assistenti parlamentari, ma anche per i driver di Amazon, per i giornalisti pagati 7 euro lordi a pezzo e per tantissimi altri.

Succede questo, ed è anche colpa nostra. Che a certe storie tristi assistiamo muti. Ormai assuefatti.

p.s. Dicono che la sinistra dovrebbe difendere i diritti dei lavoratori. Ecco, mi verrebbe da ridere se non avessi voglia di piangere."

https://www.monicatriglia.it/laura-boldrini-diritti-lavoro/
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Ros*Lux
Sunday, 30 March 2025 19:26
Quote:
La replica di Laura Boldrini nell’intervista a Repubblica conferma tutto quello che i suoi collaboratori le hanno (con molta pacatezza, in realtà) contestato.
.

Quote:
La storia è triste perché racconta di una persona, anzi di un datore di lavoro, che tratta i collaboratori come servi.
Da notare la falsa coscienza neofemminista, anche se la vicenda della vertenza di lavoro contro la deputata neofemminista Boldrini riguardava la sua Colf e una testimonianza della sua collaboratrice parlamentare...

La giornalista Triglia ,che ha lavorato per molti anni a Donna Moderna come inviato, caporedattore e vicedirettore,scrive di

un datore di lavoro, che tratta i collaboratori come servi.

Quando la realtà contraddice l'ideologia... l'ideologia nega la realtà...per questa volta torna comodo il maschile "sovraesteso"...
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Lella
Saturday, 29 March 2025 16:46
L'autore ignora che il movimento delle donne, allo scopo di costruirsi una identità nel senso più esteso del termine dentro cui potersi riconoscere, ha dovuto rivedere l'intera storia dell'umanità a partire dalle sacre scritture per capire come mai le contraddizioni del capitalismo avevano portato alla luce un disagio, quando non una sofferenza di portata storica e planetaria del nostro genere, così profondo rispetto al quale le risposte della cultura universale apparivano del tutto insufficienti, cultura che era stata fatta esclusivamente dalla parte maschile dell'umanità. Il patriarcato è un termine derivato dalla antropologia culturale e definisce un vero e proprio sistema di potere che si estrinseca sia nel privato sia nella dimensione pubblica e che ha come essenza un maschiocentrismo pervasivo e ben strutturato sia simbolicamente sia giuridicamente. La domanda è: ma dove è stato l'autore in tutto questo tempo? Non si può rivolgergli lo stesso discorso che si farebbe a una classe di studenti delle scuole superiori soprattutto perchè il suo negazionismo trabocca da tutte le affermazioni per le quali le argomentazioni non possono valere più delle evidenze che si impongono alle persone di pensiero. Invece sono sfuggite al nostro autore al quale è passata sotto il naso la storia di questi ultimi 50 anni, con le lotte per la maternità libera, per il lavoro e anche per l'affermazione di un pensiero che nasca dalla nostra differenza sessuale. Enzo Iannacci ha scritto una canzone che narra la vicenda di un villico del 1300 che si reca a Milano per assistere alla morte sul rogo di Prete Liprando ma a causa della calca e del fumo non ha visto niente. La canzone è dedicata a quelli che sono presenti a eventi che segnano la storia della civiltà e neanche se ne accorgono. L'autore è come questo villico ma purtroppo la sua figura è esemplificativa di tutti coloro che forse per ragioni di difficoltà adattive hanno inibito la presa cognitiva sulla realtà e ne hanno fatto un surrogato a cui credono fermamente al punto di spacciarlo senza alcun ritegno.
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Ros*Lux
Saturday, 29 March 2025 18:20
Tutta fuffa sessista nazifemminista... intanto abbiamo la giornata lavorativa legale di 13 ore art 7 dlgs 66 2003... È tornata attuale la rivendicazione originaria dell'8 marzo sciopero generale internazionale per la giornata lavorativa legale di 8 ore , proclamato dalla conferenza delle donne socialiste di Copenaghen del 1910...il neofemmminismo è un Socialismo degli imbecilli...
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Ros*Lux
Saturday, 29 March 2025 16:13
Sono d'accordo e aggiungo...

Contrapporre alla lotta di classe per il Socialismo... La lotta di Razza o di Sesso/ Genere era ed è funzionale agli interessi dei vertici della classe dirigente capitalista ,che si opponeva/oppone alla socializzazione del Capitale ovvero al Socialismo egualitario .

Dopo la sconfitta del razzismo nazista per contrastate la lotta di classe per il Socialismo egualitario...Sono state elaborate :
1) L'ideologia neoliberista che arriva a negare l'esistenza stessa della Società, nella sua radicale e irrazionalista opposizione al Socialismo egualitario .
2) La più subdola ideologia neofemminista che contrappone e promuove il conflitto di sesso/genere alla/contro la lotta di classe per il Socialismo egualitario.

La controrivoluzione promossa dall'ideologia neofemminista è basata sulla mistificazione del rapporto genere/classe, che come nel caso della mistificazione razza/classe e' funzionale alla veicolazione degli interessi e l'egemonia dei capitalisti: trasfigurati e mischiati nell'ideologie irrazionaliste razziste e sessiste ci sono gli interessi classisti ed egoistici dei capitalisti, che nell'ideologia neoliberista vengono postulati e promossi in modo palese.
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Mauro Recher
Friday, 28 March 2025 18:00
Non ho letto i libri delle femministe, pecca mia, sono un operaio metalmeccanico ,questo non è certamente una scusante, perchè i libri si possono leggere ugualmente, ma io vedo , o meglio leggo nei vari gruppi facebook a spinta femminista un unico comun denominatore "l'odio per il genere maschile" , io ho sempre una frase in testa "Che le femministe trattano gli uomini come i leghisti trattano gli extracomunitari" i punti di contatto tra due pensieri che ,secondo il volgo e il sentito dire dovrebbero essere molto distanti, ci sono tutti, la violenza, sia gli extracomunitari per uno e gli uomini per l'altro si macchiano dei più orrendi delitti, per non parlare del gender pay gap che , per i leghisti erano i famosi 35 euro in albergo, a scapito della sua collocazione politica ,un pochino come il nido del cuculo che va a fare l'uovo dove c'è posto ,il femminismo è una ideologia molto di destra
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d
Friday, 28 March 2025 17:06
caro Martone, se vuoi parlare delle femministe leggiti le femministe, non (solo) Marcuse e Lasch
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Giacomo Casarino
Thursday, 27 March 2025 19:38
Più che ad una critica del femminismo questo articolo sembra assomigliare ad una sorta di manifesto pro-maschilista: se il femminismo, nelle sue varie e contrastanti versioni (qui esso viene invece assunto come una compatta costruzione teorico/pratica), è stato, come molti sostengono, comunque una rivoluzione epocale, questo articolo costituisce un (velleitario) atto controrivoluzionario.
Velleitario perché parte da presupposti errati: confonde allegramente concetti che sono addirittura antitetici come quelli di "emancipazione" e di "liberazione" delle donne . L'autore cita Marcuse, ma non si chiede perchè il francofortese parli, correttamente, di liberazione e non di emancipazione. In tal modo egli ignora il fatto che tra i vari femminismi (non riconducibili ad unum) il più radicale sia quello "della differenza" che individua anche nelle società odierne la sussistenza del patriarcato. E che non esista talora a fare i conti con Marx, magari anche per criticarlo/integrarlo, com'é il caso di Silvia Federici. Verrebbe la voglia, di fronte a tanta sicumera, di elencare una bibliografia, ma qui mi limito al titolo della stessa Federici (che io ho avuto modo di recensire) " Calibano e la strega: la donna, il corpo e l'accumulazione originale". Buona lettura!
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Andrè Siciliani
Sunday, 30 March 2025 11:41
Il femminismo non ha nulla a che fare con il marxismo, tanto che non è nato in Unione Sovietica o in Cina, ma bensì nei campus universitari californiani
Le varie donne socialiste e comuniste, considerate molto spesso erroneamente o in maniera mistificatorie come femministe, non si sono mai definite femministe ma lottavano per i diritti di tutti quanti, sostenevano l'unità dell'uomo con la donna per la lotta per il socialismo.
Il femminismo è solo un'ideologia suprematista, che ci racconta falsità come l'esistenza di un fantomatico patriarcato quando il patriarcato è finito con l'industrializzazione, con la fine della famiglia patriarcale e la formazione di quella nucleare. E di conseguenza per poter portare più soldi a casa, le donne sono entrate nel mondo del lavoro, nelle fabbriche.
Inoltre il femminismo si è affermato in Occidente guarda caso con il passaggio da capitale industriale a capitale finanziario, perché mentre il primo è strettamente legato all'economia reale e di conseguenza aveva bisogno della violenza fisica (quindi maschile) per difendere e affermare il suo dominio, il capitale finanziario che non essendo legato all'economia reale, ha bisogno del suo volto femminile (violenza psicologica e guerre orizzontali) per mantenere il suo dominio
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Giacomo Rotoli
Sunday, 30 March 2025 09:28
Credere ancora che il femminismo abbia qualcosa a che fare con la lotta di classe nel 2025 è pura utopia. In primo luogo va detto che il femminismo si è distaccato dalla tradizione marxista già negli anni 80 del secolo scorso, gran parte delle femministe hanno aderito ad un variegato femminismo liberal-borghese che va da quello della differenza a quello c.d. gender (da Butler in poi nella sostanza). E' rimasto certo un femminismo di stampo marxista, ma si tratta, ed è il caso della Federici di un falso marxismo perché per Federici la contraddizione principale, come per le femministe liberal, è la questione di genere e non quella di classe, in questo modo non fa che avallare il neo-liberalismo. Detto in termini più terra terra ancora Federici ci vuole far credere che il problema originario sia lo sfruttamento del lavoro di cura femminile e che questo sia la base dello sviluppo capitalista: una favoletta mal fondata perché è difficile parlare di capitalismo in epoche molto lontane e non si ha nemmeno un quadro logico di cosa era il vagheggiato stato primitivo che precederebbe la lotta di classe. Peraltro i riscontri storici di una sottomissione eterna delle donne sono scarsi e poco chiari, di recente è emerso come le donne fossero anche cacciatrici oltre che raccoglitrici, e quindi avessero parte attiva nell'economia primitiva. Chi volesse approfondire comunque può leggere Carlo Formenti, le Macerie dell'Impero dove parla appunto della Federici. La questione del lavoro di cura è poi intrinsecamente sbagliata perché ha al suo cuore una falsa analisi, questo controesempio banale è dovuto a Marino Badiale. Immaginiamo una donna che svolga solo lavoro di cura: è abbastanza ovvio che la donna percepisce un reddito sotto forma di beni e servizi che sono l’avere un tetto, il frigorifero pieno, le bollette pagate, questo in cambio del lavoro di cura della casa familiare. L’errore delle femministe è di considerare il lavoro pagato esclusivamente con il denaro, ma non sempre è così. Immaginiamo due donne che svolgono un pari lavoro di cura (magari con stesso numero di figli con età simili) che decidono di comune accordo di fare l’una il lavoro casalingo svolto dall’altra ricevendo in cambio dall’altra un salario identico. Cosa è cambiato? Assolutamente nulla. Eppure sono passate dallo svolgere un lavoro non pagato ad uno con salario. La tesi femminista è sbagliata: il loro lavoro era pagato anche prima in beni e servizi.
Più in generale sarebbe ormai necessario per i neosocialisti o i neomarxisti cessare definitivamente di considerare il femminismo come un tutto qualcosa che possa essere considerato nel proprio canone, esso è ormai una battaglia di retroguardia (lo scrive anche Formenti) che non può che portare acqua al mulino del neoliberalismo, inventarsi fantasiose teorie sull'accumulazione originaria non conduce a nulla, anzi questo inasprisce soltanto le relazioni tra uomini e donne nel generale attacco al maschile che viviamo nelle società neoliberali e quindi non può che condurre a frammentazione e disastri. I comitati delle donne comuniste potevano avere senso nel 1920, sull'onda del cambiamento portato dai mutamenti sociali nella divisione del lavoro, ma oggi sono anacronistici, dato che le donne hanno raggiunto ogni posizione di potere possibile in tutti i campi (giusto ricordare che certe battaglie sono state fatte, ma sono ormai acquisite e lo sono almeno dagli anni 80 appunto). Permane certo una differenza di numero nelle posizioni di potere, ma per le donne dell'elite neoliberale non è mai stato un problema accedere, si è sempre trattato di un problema di volontà: mi spiego con un esempio tratto dalla quotidianità medio borghese che sfugge a queste/i 'teorici': 'ah, io sto nel comitato di quartiere per le pari opportunità ci riuniamo due volte al mese, ma poi sono moglie di un medico'.
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Ros*Lux
Sunday, 30 March 2025 13:31
D'accordo...Ma in tutto questo ...A risultare invisibile , innominabile è la giornata lavorativa legale di 13 ore, in Italia da 20 anni e Grecia dall'anno scorso...In Spagna d 12 ore non ricordo da quale anno .
Ora se siamo d'accordo sul fatto che il neofemminismo è un socialismo per imbecilli... È proprio perché questo sostituisce arbitrariamente la categoria di Classe con il Sesso/Genere ,per deviare la lotta di classe in odio sociale verso un capro espiatorio, l'uomo eterosessuale...
La presa di coscienza di questa mistificazione non può tradursi in una risposta speculare sessista, ad esempio non può limitarsi alla sola tematica dei padri separati,che pure appartengono a due classi e a ceti diversi con interessi differenti, ma dovrebbe tradursi in nuovo impegno sulla questione fondamentale della giornata lavorativa legale di 8 ore: questione fondamentale secondo Rosa Luxemburg che propose appunto l'8 marzo come data simbolica ,per lo sciopero internazionale per la giornata lavorativa legale di 8 ore ,capace di superare la censura e l'oblio.

Addirittura secondo Antonio Labriola la giornata lavorativa legale di 8 ore sarebbe stato il primo passo verso la socializzazione del Capitale.
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Ros*Lux
Saturday, 29 March 2025 16:22
Se siamo d'accordo sul fatto che il neofemminismo è un socialismo per imbecilli... È proprio perché questo sostituisce arbitrariamente la categoria di Classe con il Sesso/Genere ,per deviare la lotta di classe in odio sociale verso un capro espiatorio, l'uomo eterosessuale...
La presa di coscienza di questa mistificazione non può tradursi in una risposta speculare sessista (neo maschilista), ad esempio non può limitarsi alla sola tematica dei padri separati,che pure appartengono a due classi e a ceti diversi con interessi differenti, ma dovrebbe tradursi in nuovo impegno sulla questione fondamentale della giornata lavorativa legale di 8 ore: questione fondamentale secondo Rosa Luxemburg che propose appunto l'8 marzo come data simbolica ,per lo sciopero internazionale per la giornata lavorativa legale di 8 ore ,capace di superare la censura e l'oblio.

Addirittura secondo Antonio Labriola la giornata lavorativa legale di 8 ore sarebbe stato il primo passo verso la socializzazione del Capitale.

Ma è proprio l'ideologia classista anticomunista neofemminista a stravolgere l'8 marzo come data simbolica dello sciopero per la giornata lavorativa legale di 8 ore che è diventata la giornata per rivendicare più ore di lavoro per le donne, più contratti di lavoro full time con il pretesto del cosiddetto Gender Pay Gap...In vigenza della giornata lavorativa legale di 13 ore Dlgs 66 2003...
( Anche in Grecia dal 2024 vige la giornata lavorativa legale di 13 ore).

Il Neofemminismo è un socialismo degli imbecilli.
https://www.quotidianosanita.it/m/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=38103

Undici ore di riposo giornaliero. Più facile a dirsi che a farsi
*****
N B dal 2024 anche in Grecia vige la giornata lavorativa legale di 13 ore

Ecco allora che lo spettro dei turni di 12 ore si fa strada. Turni non consentiti nell’Italia degli anni venti del novecento diventano la soluzione dei problemi.
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