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Perchè la sinistra non impara a usare il meme?
Adorno, videogiochi e Stranger Things
Prefazione all'edizione italiana di Mike Watson
Mike Watson: Perché la sinistra non impara a usare il meme? Adorno, videogiochi e Stranger Things, Meltemi 2022
Mike Watson attualizza gli strumenti della teoria critica per riflettere sul rapporto odierno tra arte, industria culturale e politica. La principale questione su cui si concentra l’autore è l’incapacità della sinistra di vedere sia i lati positivi sia quelli negativi nello sviluppo di Internet e, di conseguenza, la particolare cultura della produzione e della ricezione delle immagini che lo accompagna. Secondo Watson, quella sinistra che voleva portare l’immaginazione al potere, salvo poi sposare la razionalità dei sistemi astratti e tecnocratici, può trovare nuova linfa vitale proprio nelle odierne tattiche di comunicazione politica. In tal modo, infatti, essa supererebbe tanto la condanna in stile anni Novanta di essere un baluardo della cultura del libro e del sapere alfabetico – dunque radical chic –, quanto quella più recente di essere parte di un’élite che difende la razionalità astratta del sistema – dunque dell’establishment – dimenticando le esigenze e i movimenti che spingono dal basso per rinnovare la società.
* * * *
Che i ragazzi appassionati di meme dell’alt-right abbiano potenzialmente aiutato Donald Trump a vincere la presidenza nel 2016 è un fatto ben documentato, anche se non necessariamente comprovato. Quello che sappiamo per certo è che la libertà messa a disposizione da Internet, in quanto piattaforma di pubblicazione, ha permesso a una forma deleteria di immaginario di destra di diffondersi a livello globale, trasformandosi in una chiamata all’azione per gli estremisti di destra, come abbiamo visto a Charlottesville e durante l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
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La New Recession e l’affaire Ucraina
di Antonio Pagliarone
La tradizione di tutte le generazioni passate pesa come un incubo sul cervello dei vivi.(Marx Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte)
Attualmente anche i media e gli osservatori mainstream hanno smesso di esaltare la probabile ripresa economica dopo le condizioni catastrofiche provocate dal terrore per il Covid. Purtroppo viviamo in un epoca costellata da eventi spettacolari che hanno ridotto la gente comune ad essere terrorizzata da qualsiasi fenomeno: dal terrorismo islamico alla pandemia, dai cambiamenti climatici catastrofici alla guerra nucleare. Ora si è aggiunto lo spauracchio dell’inflazione.
Inflazione
E’ da tempo che i media e gli osservatori più comuni puntano il dito sull’ aumento eccezionale dei prezzi che ha portato a livelli di inflazione mai visti negli ultimi decenni. Inoltre la tanto decantata crescita poderosa, inevitabile dopo la pandemia, decantata dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Fed, dalla BCE e da economisti dai facili entusiasmi, si è sgonfiata a tal punto che si paventa una New Recession.
A parte il problema della guerra in Ucraina che vedremo in seguito, possiamo notare dal grafico 1 che l’andamento oscillante dell’inflazione osservabile nell’ultimo decennio, registrato per gli USA e per l’Europa, è stato interrotto da un’impennata che inizia verso la fine del 2020 ben prima della guerra in Ucraina ed in piena pandemia1.
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Corte incostituzionale o incompetente?
di Davide Gionco
640 giorni prima di pronunciarsi
Lo scorso 1° dicembre 2022 la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alla legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale e della sospensione dal lavoro e dallo stipendio per gli operatori sanitari inadempienti all’obbligo di vaccinazione contro il Covid-19. Responso: “Le scelte del legislatore sull’obbligo vaccinale del personale sanitario sono non irragionevoli, né sproporzionate”.
Non intendo entrare nel merito dell’imparzialità politica della Corte. I meccanismi di nomina dei membri sono noti e ciascuno è in grado di giudicare se le nomine vengano fatte per garantire i cittadini o altri interessi di parte del mondo della politica.
La Corte si è dovuta pronunciare a seguito del ricorso fatto da uno dei soggetti aventi diritto. Lo aveva fatto il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, in una ordinanza del 22.03.2022, contro il Decreto Legge 44/2021 del 01.03.2021, successivamente convertito in legge il 28.05.2021, dopo che già il Consiglio di Stato si era pronunciato favorevolmente al provvedimento con la sentenza n. 7045 del 20.10.2021.
Per chi non ne fosse al corrente, il D.L. 44/2021 prevedeva la sospensione dal lavoro e dallo stipendio degli operatori del settore sanitario (compresi gli amministrativi), i docenti ed il personale della scuola, i militari e le forze di polizia.
Ora non vogliamo entrare nel merito della correttezza formale della sentenza, in quanto il sottoscritto non ha le competenze.
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L’angelo della storia. Rileggendo Benjamin
di Alessandro Visalli
“9. C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”[1].
Siamo nel 1940, una data decisiva per comprendere il testo, Walter Benjamin rompe radicalmente, nel manoscritto detto delle “Tesi di filosofia della storia”[2] con tutta l’ideologia del progresso che è tanta parte del marxismo. L’operazione che il grande intellettuale ebreo compie è di ibridare nel corpus rivoluzionario marxista elementi derivanti sia dalla critica romantica della civilizzazione, sia dalla tradizione messianica ebraica. Sono allora sedici anni, da quando ha incontrato il marxismo attraverso la lettura di Lukács e l’incontro caprese con la russa Asja Lacis, e quindici da quando in “Strada a senso unico”[3] riconosce nella rivoluzione un esito non già inevitabile, o naturale, quanto una sorta di estrema difesa davanti al disastro. Un “tagliare la miccia accesa” prima dell’esplosione.
Il lavoro che compie sul marxismo, in particolare a metà degli anni Trenta, è da allora rivolto a dissotterrare le componenti romantiche ed antiborghesi che lo stesso Marx recepisce, ma che sono sepolte abbastanza accuratamente dal marxismo tedesco nella fase della sua affermazione politica.
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Centralizzazione della proprietà e capitalismo contemporaneo
A proposito di “La guerra capitalista”
di Andrea Fumagalli
A distanza di 10 mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russia sono usciti alcuni interessanti saggi che analizzano la nuova situazione geo-politica e riflettono sulle possibili tendenze internazionali[1]. Tra loro merita sicuramente un posto in prima fila il recente contributo di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli, La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista, Mimesis, Milano, 2022, uscito in libreria lo scorso 25 novembre.
Il libro è suddiviso in tre parti, con l’aggiunta di tre appendici finali e una postfazione di Roberto Scazzieri. La prima parte inizia con la “sconcertante presa d’atto di un Marx ‘rapito dal nemico’: tanto dimenticato dai sedicenti tribuni degli oppressi del nostro tempo quanto studiato e rivalutato dagli agenti del capitale” (p. 10). Tale punto di partenza è particolarmente utile per soffermarsi sulla marxiana “legge di centralizzazione”, il nodo teorico che ha più affascinato la riscoperta mainstream di Marx all’indomani della crisi finanziaria globale del 2007. Nel testo, infatti, gli autori propongono “una nuova teoria della riproduzione e della tendenza verso la centralizzazione capitalistica, un approccio che si contrappone al paradigma teorico mainstream ma solleva obiezioni anche ai filoni di pensiero critico che hanno ridotto il marxismo a un intoccabile reliquiario anti-scientifico, o che da lungo tempo tacciono sul grande tema delle “leggi” generali”. (p. 10).
A partire da queste premesse, la seconda parte approfondisce l’evidenza empirica della tendenza della centralizzazione capitalistica, che viene definita “un inedito della letteratura scientifica in materia” (p. 10).
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Regionalismo differenziato e UE
di Gerardo Lisco
Le riflessioni che seguono traggono spunto dalla presentazione del saggio del prof. Gian Paolo Manzella, consigliere SVIMEZ e già sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico con il Governo Conte 2, tenutasi a Potenza lo scorso 2 dicembre ed organizzata dal comitato “Comunità e sviluppo Basilicata” di concerto con la stessa SVIMEZ. Manzella è funzionario del Fondo Europeo per gli Investimenti, quindi, potremmo dire, “persona informata sui fatti”.
L’opera si presenta come un saggio di storia della politica regionalista a partire dagli albori della Comunità fino al Next Generation EU. Le differenze e le problematiche territoriali dell’Europa sono tali e tante che la questione regionale è stata centrale sin dall’inizio ed ha influito sugli sviluppi successivi che hanno portato all’attuale Unione Europea. La questione regionale è importante per una serie di questioni che non incidono solo sull’aspetto delle politiche economiche messe in campo dell’UE. Spesso si è fatto leva sulle regioni per ottenere il superamento dei singoli Stati nazionali e poter costruire quella “cosa” che oggi non è uno Stato ma solo un insieme di apparati burocratici e tecnici oltre che di istituzioni politiche, percepita come lontana da diversi milioni di cittadini europei, non solo italiani.
Da Maritain fino a De Benoit, pur se con sfumature più o meno marcate, in molti sono coloro che hanno teorizzato il superamento degli Stati nazionali in funzione della costruzione di quelli che per alcuni dovrebbero diventare gli “Stati Uniti d’Europa”. Il regionalismo che contraddistingue l’azione politica dei singoli Governi Europei, dal Trattato di Roma in poi, è motivato dalla necessità di superare i divari e le disuguaglianze tra le varie regioni europee al fine di costruire un sistema coeso capace, appunto, di superare le differenze tra i singoli Stati che progressivamente hanno aderito alla formazione di ciò che oggi è l’U.E.
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Antropocene, Capitalocene e altri “-cene”
Perché una corretta comprensione della teoria del valore di Marx è necessaria per uscire dalla crisi planetaria
di Carles Soriano
La percezione di vivere in un periodo storico critico per quanto riguarda le condizioni di abitabilità sulla Terra – non solo per gli esseri umani ma anche per molti altri organismi viventi – sta guadagnando sempre più adepti tra la gente comune, gli accademici, i politici e i movimenti sociali.
Questo periodo critico è stato presentato come la crisi planetaria dell'Età dell’Antropocene e gli studi intrapresi nel presente secolo mostrano che le condizioni di abitabilità sulla Terra si stanno progressivamente deteriorando.[1] C'è anche una percezione crescente, anche se meno diffusa, della stretta relazione tra la crisi dell'abitabilità in corso e l'odierna società capitalistica mondiale. Questa percezione si basa più sull'intuizione e sulla corrispondenza storica degli indicatori della crisi planetaria col modo di produzione sociale capitalistico che su studi scientifici che dimostrano che la crisi è una necessità strutturale della riproduzione del capitale. Di conseguenza, per denominare il periodo storico attuale sono stati coniati numerosi termini alternativi ad Antropocene. Sebbene termini come Plantationocene, Chthulucene, Growthocene, Econocene, Pyrocene, Necrocene e così via possono avere un valore provocatorio, è anche vero che si basano su una comprensione incompleta della crisi in corso. Tra le alternative ad Antropocene, Capitalocene è il termine che ha subìto un sviluppo concettuale più profondo. Tuttavia, il concetto di Capitalocene non è privo di importanti malintesi sulla crisi e sul suo rapporto con i fondamenti del modo capitalistico di produzione sociale fondato sulla riproduzione del capitale.
Lasciarsi alle spalle la crisi planetaria richiede una comprensione scientifica del funzionamento della Terra come sistema naturale integrale, e a questo scopo devono essere coinvolte molte discipline delle scienze naturali.
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Uno sguardo altro sulla Cina contemporanea e le sue contraddizioni di classe
di Sandro Moiso
Chuăng, Il sorgo e l’acciaio. Il regime sviluppista socialista e la costruzione della Cina contemporanea, Porfido Edizioni, Torino 2022, pp. 200, euro 12,00
La prima cosa che salta all’occhio, fin dalla lettura delle prime pagine, nel testo prezioso appena pubblicato dalle Edizioni Porfido è che a differenza dell’Italietta, in cui la sinistra antagonista troppo spesso continua a portarsi appresso le incrostazioni del gramscismo e di un certo operaismo ancora influenzato da brandelli di maoismo, in altre e ben più significative aree del mondo, in questo caso Cina e Stati Uniti, il riferimento ai linguaggi e alle esperienze teoriche della Sinistra Internazionalista costituisce una solida base per l’analisi dei più importanti fenomeni sociali, politici ed economici e delle inevitabili contraddizioni di classe che hanno contraddistinto la Repubblica Popolare Cinese dalle sue origini fino a oggi.
Indagare sulle origini e le ragioni dell’attuale salda integrazione della Cina nella “comunità materiale del capitale” è il compito che si sono posti i membri del collettivo comunista internazionalista Chuaˇng, gruppo anonimo i cui membri si distribuiscono appunto fra la Cina e gli Stati Uniti. Il carattere Chuaˇng, da cui il collettivo prende il nome, in cinese è riassumibile nell’immagine di un cavallo che sfonda un cancello e riveste il significato simbolico di liberarsi, attaccare, caricare, sfondare, forzare l’entrata o l’uscita: agire con impeto.
Da alcuni anni le pubblicazioni sull’omonima rivista e la serie di articoli traduzioni e interviste ospitate sul blog chuangen.org, rappresentano una delle fonti di informazione e analisi più attente e pertinenti sulle dinamiche e le traiettorie delle trasformazioni sociali e del conflitto di classe nella Cina attuale.
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Da Hitler a Schelling
di Enzo Traverso
Da Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo, Ombre Corte, Verona 2022
La distruzione della ragione è un libro costruito come l’atto d’accusa di uno spietato procuratore che chiama alla sbarra gli imputati, vale a dire i protagonisti di due secoli di filosofia tedesca. Egli scruta attentamente le prove, frammentarie ma strettamente correlate, di un unico processo che alla fine svela la magnitudine del crimine. Le accuse descrivono un paesaggio variegato e impressionante. Per molti aspetti, l’atto d’accusa di Lukács evoca la procedura ermeneutica del romanzo poliziesco brillantemente studiato da Siegfried Kracauer all’inizio degli anni Venti. La hall dell’hotel dove, alla fine del romanzo, il detective riunisce tutti i personaggi per svelare l’assassino, illustrare il misfatto e comprenderne i moventi, è una sorta di “immagine rovesciata della casa di Dio”1. Dio è sostituito dalla ragione – Kracauer preferisce il termine Ratio – e l’investigatore svolge il ruolo di un sacerdote laico che celebra la liturgia della ragione trionfante. La ragione sconfigge la follia e i suoi argomenti sono inconfutabili, grazie alle molteplici prove che ne corroborano le accuse. Kracauer stesso adottò questo metodo inquisitorio nella sua opera più famosa, Da Caligari a Hitler (1946), che presenta molte affinità con La distruzione della ragione. Il crimine è stato perpetrato, conosciamo l’assassino e l’investigatore ricostruisce rigorosamente la genealogia dei suoi orribili misfatti, citando i complici, la dinamica delle azioni, le circostanze che hanno accompagnato ogni suo passo e che sono state “oggettivamente” – poco importa se consapevolmente o inconsapevolmente favorite da molti altri testimoni e personaggi secondari. Secondo Kracauer, i film di Weimar hanno senza dubbio rivelato “la preponderanza di tendenze autoritarie” che divenne “un fattore decisivo” per l’avvento del nazional-socialismo. “Irrimediabilmente piombata in uno stato di regressione – egli conclude – la maggior parte del popolo tedesco non poté fare a meno di sottomettersi a Hitler”2.
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I Twitter Files
di Mike Whitney - unz.com
Il meccanismo per porre fine alla libertà di parola su Internet è già in funzione
“L’idea è quella di confessare tutto ciò che è accaduto in passato per ricostruire la fiducia del pubblico nel futuro.” Elon Musk, assolutista della libertà di parola
“Divulgando i documenti interni di Twitter, hanno l’opportunità di spiegare nei dettagli come gli utenti di Twitter siano stati segretamente manipolati, gestiti e imbavagliati – per anni – in tutto il mondo – su molteplici argomenti di primo ordine.” Matt Bivens M.D.
I dirigenti di Twitter hanno censurato una notizia che avrebbe cambiato l’esito delle elezioni del 2020? Hanno deliberatamente soppresso le informazioni di cui il pubblico aveva bisogno per prendere una decisione informata su come votare? Il candidato Trump è stato danneggiato dall’ingerenza di Twitter? Gli è costata l’elezione?
Gli è costata eccome, almeno così pensa il popolo americano. Guardate questo estratto di un articolo del New York Post:
Quasi quattro Americani su cinque che avevano seguito lo scandalo del laptop di Hunter Biden credono che una copertura “veritiera” avrebbe cambiato l’esito delle elezioni presidenziali del 2020, secondo un nuovo sondaggio.
Una percentuale simile ha anche affermato di essere convinta che le informazioni contenute nel computer siano reali, mentre solo l’11% ha detto di pensare che “erano state create dalla Russia,” secondo un sondaggio condotto dal Technometrica Institute of Policy and Politics, che ha sede nel New Jersey.
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Lavoro e reddito di cittadinanza
di Alberto Sgalla
“Se fra i diritti fondamentali non figura quello per cui è garantita la base materiale della vita, in pratica crolla la società dei cittadini” (R. Dahrendorf)
La questione del “reddito di cittadinanza” o “basic income”, o “reddito minimo garantito”, “è vecchia quanto la rivoluzione industriale stessa o, se si preferisce, quanto la disgregazione della società operata dal capitalismo” (Gorz).
Oggi Il dibattito intorno al rdc deve riferirsi al nuovo assetto c.d. postfordista della produzione e dello spazio sociale, luogo composito della produzione materiale e immateriale, dell’immaginario, del consenso sociale. Deve ruotare su due temi fondamentali della società postfordista: 1) la crisi della società fondata sul lavoro salariato della fabbrica fordista, con l’avvento dell’economia informazionale, della disseminazione di flussi di persone, merci e capitali, della logistica come nuovo ramo dell’economia industriale, della vita sociale plasmata dal codice assoluto della merce, della disoccupazione crescente connaturata allo sviluppo capitalistico; 2) la crisi del sistema di garanzie sociali proprie del Welfare State.
La società postfordista
Gli anni ‘70 sono stati il punto di svolta verso il nuovo scenario: aumento dei prezzi delle materie prime, crisi petrolifera, tempesta valutaria connessa all’inconvertibilità del dollaro, attacco neoliberista ai diritti e alle condizioni di vita dei lavoratori, disarticolazione della composizione della forza-lavoro, modello “toyotista” di produzione basato sul just in time (zero stock di magazzino) e l’autoattivazione (costante mobilitazione totale dei lavoratori pluri-mansionali per la missione competitiva dell’impresa), decentramento produttivo ad alto tasso di valore aggiunto.
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Le frontiere del capitale
di Into the Black Box*
Come la nuova organizzazione logistica e il potere degli algoritmi hanno cambiato il mondo
E tutta questa coscienza comune si accontenta di usarmi come una scatola nera?
Dato che la scatola nera funziona, è superfluo sapere cosa ci sia dentro?
A me non sta bene. Voglio sapere cosa c’è dentro, io.
Voglio sapere perché ho scelto Gaia e Galaxa come futuro, altrimenti non starò in pace.
Isaac Asimov, Fondazione e Terra, Mondadori, Milano, 1986, p. 14
1.0 - Prequel
Questo volume nasce dal percorso di ricerca collettiva Into the Black Box.
Era il finire del 2013. Da qualche anno si susseguivano in EmiliaRomagna, Lombardia e Veneto blocchi dei facchini ai cancelli degli interporti. Eravamo in piena crisi economica globale. Dopo la bolla dei subprime Usa, l’intero territorio europeo aveva visto abbattersi la scure dell’austerity. Le piazze di mezza Europa si incendiarono. Per confrontarsi su questo, un seminario internazionale intitolato proprio Teaching the Crisis si tenne a Berlino. Partecipammo entusiasti. Giovani militanti e ricercatori di mezzo mondo portarono le loro esperienze e analisi. Piazza Syntagma, Porta del Sol, Piazza Taksim, Kottbusser Tor o le strade di Lubiana: chi aveva attraversato quei luoghi di conflitto si incontrò per parlare di crisi, di reazioni, di lotte e di prospettive. Da Bologna portammo l’esperienza delle “lotte nella logistica” e non è riduttivo dire che davanti a noi si aprì un mondo (puntata 4.1).
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L’emergere del paradigma produttivista
intervista a Dani Rodrik
Per l’economista di Harvard l’era dell’iperglobalizzazione sta tramontando: gli imperativi della sicurezza nazionale hanno già cominciato a dettare nuove regole economiche globali. Credendo di perseguire gli stessi obiettivi, stiamo coltivando linee di confronto – lo dimostra quello apertosi in questi giorni tra Bruxelles e Washington. Come evitare che il nuovo paradigma sia peggiore del vecchio?
Dalla pandemia di Covid-19, molti esperti, accademici e politici annunciano il declino del neoliberismo e della globalizzazione. Secondo te, quali sono le cause di questo cambiamento di percezioni?
Il discorso su quella che ho chiamato iperglobalizzazione si è davvero dissipato. Ciò è particolarmente visibile dopo la pandemia e, ancor di più, dopo la guerra in Ucraina, con le sue ramificazioni geopolitiche, e con il rafforzamento della competizione con la Cina. Ma queste cause immediate e molto visibili vanno collocate nel loro contesto, quello di un decennio che già vedeva farsi evidenti le debolezze ei problemi legati al neoliberismo e all’iperglobalizzazione.
Penso che per molti versi la crisi finanziaria globale sia il punto in cui è iniziata. Non ha portato a un cambiamento fondamentale nel discorso, ma ha messo in moto alcune forze che sono all’origine di questa dissoluzione del discorso neoliberista. Questo è veramente il punto di svolta nel commercio e nella finanza globali. Dopo la crisi finanziaria, la Cina, ad esempio, è diventata molto introversa in termini di commercio, e in una certa misura ciò è accaduto anche in India più di recente. Così, se consideriamo i due Paesi che sono stati i veri motori dell’espansione del commercio mondiale e degli investimenti, il loro atteggiamento, le loro politiche e il loro reale orientamento nei confronti dell’economia mondiale hanno subito una netta evoluzione nell’ultimo decennio. Molte cose erano quindi già in movimento prima della pandemia.
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Sono farmaci e non vaccini. Lo studio che lo prova
Valentina Bennati intervista Marco Cosentino
Quelli che tutti chiamano "Vaccini anti-Covid" in realtà sono farmaci (cosa che ha implicazioni farmacologiche, cliniche, giuridiche e regolatorie ben precise). Intervista a Marco Cosentino, medico e professore di Farmacologia all'Università degli Studi dell'Insubria e direttore del Centro di Ricerca in Farmacologia Medica della stessa Università
Correva la fine dell’anno 2020 quando i farmaci prodotti contro il temuto SARS-CoV-2, indicato come responsabile della dichiarata pandemia da Covid-19, furono velocemente immessi in commercio da varie aziende farmaceutiche sulla base di autorizzazioni emergenziali e condizionate e presentati da media e istituzioni come salvifici vaccini. L’articolo 4 del Decreto-Legge 44-2021 li ha anche imposti ad alcune categorie di lavoratori – obbligo che pare esser stato ritenuto “non irragionevole e sproporzionato” dalla recente sentenza della Corte Costituzionale del 1 dicembre scorso – tuttavia, c’è un interessante studio italiano, finora trascurato dai più forse per i suoi “tecnicismi” malgrado la straordinaria attenzione che sta sollevando a livello internazionale, che evidenzia in modo molto chiaro un aspetto fondamentale: i cosiddetti trattamenti anti-Covid non sono affatto dei vaccini come normalmente presentati, ma in realtà farmaci che, in assenza dei dovuti studi relativi alla farmacodinamica, farmacocinetica e tossicologia, sono “di fatto impiegati in maniera cieca e inconsapevole così da produrre conseguenze imprevedibili seppure apparentemente non riconducibili agli inoculi in plurime e ravvicinate dosi”.
Così scrivono gli avvocati Roberto De Petro e Giuseppe Mantia, facendo riferimento al sopracitato studio (che è stato condotto da Marco Cosentino, medico e professore di farmacologia all’Università degli studi dell’Insubria e dalla collega professoressa Franca Marino del Centro di Ricerca in Farmacologia Medica della stessa Università), sulla base del quale i due legali giungono a definire questi prodotti come “medicinali falsificati”.
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L'invasione degli ultra-pedagogisti
Scuola democratica, universalismo e lotta di classe
di Marco Maurizi
1. Né concretezza, né utopia
Il recente volume di Christian Raimo, L’ultima ora. Scuola, democrazia, utopia (Ponte alle Grazie, Milano 2022) è un testo che rappresenta perfettamente i pregi, pochi, e i difetti, moltissimi, di tutta una schiera di aspiranti riformatori della scuola che si autodefiniscono progressisti e democratici. Tra i loro pregi sicuramente le buone intenzioni, il desiderio di migliorare un’istituzione che è “in crisi” da tempo (o forse, come suggerisce Raimo stesso, da sempre), l’attenzione al disagio giovanile, la preoccupazione per il razzismo e l’esclusione, la speranza che la scuola possa farsi argine alle vecchie e nuove diseguaglianze. Tra i loro difetti il non sapere assolutamente come realizzare tutto questo, tranne poche idee che o sono molto confuse o sono totalmente sbagliate.
Il libro di Raimo permette di dare un’occhiata a questo laboratorio di analisi e strumenti concettuali con cui il pedagogismo “di sinistra” affronta la realtà scolastica. Nonostante il progetto di un libro che vuole guardare da vicino il mondo della scuola senza perdere di vista l’orizzonte ideale di una società futuribile si può dire che esso fallisca miseramente il compito, non riuscendo ad essere né abbastanza concreto, né sufficientemente utopico. Il problema, come vedremo, è l’inadeguatezza del quadro sociologico di fondo: la totale incapacità dell’autore di cogliere le questioni di classe là ove si producono, nel meccanismo di autovalorizzazione del capitale, per ridurre il proprio “anticapitalismo” a vaghe suggestioni relative ad un non meglio identificato “classismo” o, addirittura, al “conformismo”. Questa lacuna di fondo determina, a cascata, tutti gli errori di prospettiva sul mondo della scuola e i tre grandi assenti di questo libro: il lavoro docente, la soggettività studentesca, l'universalità del sapere.
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“Come finira’ il capitalismo?” Anatomia di un sistema in crisi
di Sergio Leoni
Nel punto interrogativo del titolo di questo libro è già espresso il senso e il tema che l’autore sviluppa in più di trecento pagine fortemente argomentate, di lettura chiara ma non facile e che dunque richiede una buona dose di volontà di comprendere tesi che oggi, rispetto al “senso comune”, appaiono quantomeno eccentriche se non eretiche.
L’autore, secondo le stringate note nella terza di copertina , è “sociologo ed economista tedesco”. Direttore emerito del Max Planck Institute for the Study of Societes di Colonia. Membro dell’ Accademia delle Scienze di Berlino e Corresponding Fellow della British Academy”.
Qualcosa di più è possibile sapere su questo autore attraverso i soliti canali (wikipedia in questo caso): ha studiato nella Università Goethe di Francoforte, negli anni in cui l’omonima scuola di Horkeimer e Adorno è stata al centro o comunque parte essenziale del dibattito filosofico e politico a cavallo degli anni 60/70.
In ogni caso, questo testo si colloca del tutto al di fuori di quello che è stato, negli ultimi decenni, un mainstream cui si sono adeguati, in maniera più o meno convinta, la gran parte degli storici, dei filosofi, degli economisti. Senso comune, detto in parole povere, secondo cui, con la caduta del muro di Berlino, con la fine, evidentemente più dichiarata che effettivamente realizzata, della guerra fredda, il modello capitalistico, non solo occidentale ma perfino “mondiale”, sarebbe diventato il solo e unico scenario, l’unico modello economico possibile, l’unica forma di strutturazione della società, l’unica e definitiva “visione del mondo”.
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La Legge del Valore-(Lavoro) in Nietzsche
di Leo Essen
I
Nietzsche(1) non è un pensatore della Differenza. Che Nietzsche non parta dalla Differenza tra Forte e Debole, Aristocratico e Plebeo, Piacere e Dispiacere, eccetera, oppure, tra Causa ed Effetto, Libertà e Necessità, etc, è smentito in Al di là del bene e del male – a partire dal titolo.
Il difetto del pensiero della Differenza, dice Nietzsche, sta in ciò: che si finisce per porre Atomi a sostegno dei Differenti – ovvero delle Sostanze – si finisce nella Metafisica.
Un pensiero – scrive in Aldilà, 17 – viene quando è «lui» a volerlo. [E non quando lo vuole un «io penso», in quanto subjectum, sostrato, sostanza].
Un pensiero viene quando è «lui» a volerlo e non quando «io» lo voglio; cosicché è una falsificazione dello stato dei fatti dire: il soggetto «io» è la condizione del predicato «penso». [Le virgolette e i corsivi sono di Nietzsche, e hanno il loro peso, evidenziano la raffinata precauzione di Nietzsche].
Esso pensa [in corsivo. Nemmeno il flebile «esso», l’impersonale «esso» va bene, perché mira sempre a una sostanza, dunque anche «esso» è una falsificazione dello stato dei fatti.
Come cavarsi fuori da questo pasticcio se anche «Esso» rimanda ad una sostanza, falsificando lo stato dei fatti?
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Questa guerra mondiale in fieri
di Nucleo comunista internazionalista
Una delle domande di fondo se non la domanda a nostro avviso di fondo a cui i rudimentali punti di orientamento qui sotto esposti cercano di rispondere è la seguente: quale è il carattere della presente guerra mondiale in fieri nella quale l’umanità è inesorabilmente trascinata e di cui è parte la guerra al momento localizzata in terra ucraina in quanto scontro armato fra la Nato-braccio armato dell’Occidente collettivo e la Russia-“ariete apripista” di un nuovo assetto “multipolare” del capitalismo mondiale?
Riguardo questo aspetto della guerra che evidentemente appare ed è centrale, la domanda può essere posta più precisamente:
essa ha o può avere un carattere progressivo dal lato delle potenze statali russa e cinese (e dietro ad esse il Sud globale del mondo) in quanto colpo di grazia vibrato all’egemonia imperialista dell’America e dell’Occidente collettivo e quindi guerra anti-imperialista che i rivoluzionari devono appoggiare; oppure essa è una contesa armata fra Stati per una diversa e “più equa” ripartizione del potere capitalistico globale, quindi guerra inter-capitalistica da sabotare da ogni lato statale dei belligeranti?
Può essere utile allo scioglimento del rebus anche prendere in esame lo storico discorso pronunciato il 30 settembre dal presidente Putin (che fa il tris con quelli, altrettanto storici, del 21 e del 24 febbraio su cui abbiamo detto in uno scritto precedente: https://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o55248:e1) in occasione dell’annessione alla Russia delle quattro provincie sudorientali di un’Ucraina che non esiste e non esisterà più per come era configurata prima il 24 febbraio.
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Le élite sono il nuovo Mago di Oz
di Carlo Freccero
C'è una sorta di paradosso che riguarda i grandi progetti, utopici o distopici, in corso di realizzazione oggi: sono al centro della scena, ma nessuno è in grado di vederli. La pandemia prima ed oggi la guerra, hanno creato all'inizio un certo sconcerto, ben presto riassorbito dalle logiche di una “nuova normalità”. Purtroppo tutto sembra congiurare contro di noi, ma secondo la logica corrente si tratta di un susseguirsi di fortuite coincidenze. Possibile che in un periodo storico così breve si concentrino casualmente una pandemia, una guerra, la carestia, la crisi climatica, l'esaurimento delle risorse alimentari ed energetiche? Certamente, ci risponde il mainstream, perché noi abbiamo abusato delle ricchezze del pianeta moltiplicandoci incessantemente, vivendo al di sopra delle nostre possibilità, consumando le risorse a disposizione delle altre specie e delle generazioni future. Per ogni obiezione c'è una risposta scientifica e filantropica pronta a ribadire che la colpa del disastro è solo nostra, cioè di quel 99% della popolazione del pianeta che deve dividersi le risorse residue dopo che le élites ne hanno privatizzato la parte migliore. Una massa che perde o ha già perso il suo potere contrattuale, perché il lavoro umano non ha più valore, in quanto viene progressivamente sostituito dai robot e dall'intelligenza artificiale. Oggi non solo i lavoratori non vogliono più fare la rivoluzione, ma si cospargono il capo di cenere.
Ma se recuperassimo un po' di lucidità, dovremmo chiederci se la catastrofe che stiamo attraversando sia semplicemente il frutto della nostra irresponsabilità, oppure faccia parte di un RESET, un azzeramento volontario da parte delle élite, di un sistema economico già fallito, proprio a causa delle élite stesse.
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Dove va la globalizzazione?
di Raffaele Sciortino
Machina ha già pubblicato (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/introduzione-a-stati-uniti-e-cina-allo-scontro-globale) l’Introduzione del nuovo volume di Raffaele Sciortino, «Stati Uniti e Cina allo scontro globale. Strutture, strategie, contingenze» (Asterios, 2022), che segue di qualche anno il precedente «I dieci anni che sconvolsero il mondo» (Asterios, 2019), testo che inquadrava il «momento populista» del decennio seguito alla crisi del 2008 nella dinamica intrecciata del mercato mondiale, degli assetti geopolitici e dei rapporti di classe. La medesima prospettiva sistemica, che caratterizza i lavori di Sciortino, è qui «applicata» alle trasformazioni del capitalismo globale che ha il suo asse fondante nel rapporto asimmetrico tra Usa e Cina, non visto limitatamente come relazione o scontro tra potenze, ma come perno degli assetti capitalistici dispiegati su scala planetaria degli ultimi decenni.
Transuenze pubblica oggi un secondo estratto di questa pubblicazione, un paragrafo contenuto nella prima parte del volume, intitolato «Dove va la globalizzazione?», a fini espositivi qui proposto (con il consenso dell’autore) in versione lievemente ridotta e con alcune soluzioni editoriali non presenti nell’originale. Fermo restando l’intento prioritario di invito alla lettura integrale del volume, la pubblicazione di questo paragrafo, che nello schema del libro fornisce una descrizione analitica dello scenario, di «servizio» agli argomenti centrali, discende dai temi affrontati, questioni ricorrenti anche di questa sezione della rivista. Sciortino colloca in una prospettiva di medio periodo, attraverso una sintetica ma rigorosa selezione di dati ricavati da fonti pro sistema, lo stato della globalizzazione, da egli intesa anzitutto «come stadio del processo di affermazione del mercato mondiale come unità di produzione e circolazione internazionalizzate» da cui è dunque difficile tornare indietro, nonostante gli smottamenti in corso. Il mutamento della scena, rispetto alla fase ascendente della globalizzazione (e dei rapporti tra Usa e Cina), è spinto in questa visione dalla crisi dell’accumulazione di capitale, ufficialmente apertasi a ridosso del 2008.
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Sergio Romano e l’esercito imperialista europeo
di Fosco Giannini
Perché il movimento pacifista, i comunisti, le forze antimperialiste e anticapitaliste debbono dire NO all'esercito europeo
Domenica 27 novembre u.s. Sergio Romano firma un articolo, per il “Corriere della Sera”, dal titolo tanto perentorio quanto apodittico: “Se vuole contare nel mondo l’Ue deve costruire il suo esercito”. Romano è figlio della grande borghesia di Vicenza; nei primi anni ’50 partecipa all’esclusivo, importante e denso di prospettive di carriera politico-diplomatica, Seminario nordamericano di Salisburgo; studia poi, attraverso una borsa di studio della Fondazione Harkness (Istituto di studi del Commonwealth, tanto per dire…) all’università di Chicago; con così tante stigmate statunitensi, britanniche, imperialiste, nel 1954 entra alla Farnesina per poi intraprendere una lunga carriera diplomatico-politica che lo porta ad essere prima ambasciatore a Londra e poi a Mosca, quindi ambasciatore italiano presso la NATO, “visiting professor” all’università della California e tanto e tanto ancora, sia sul piano della carriera diplomatica che politica e giornalistica, esperienze di prestigio che lo portano a diventare un influente “maître à penser” della politica internazionale italiana.
Romano, anche in relazione alla sua storia, alla sua biografia intellettuale, è decisamente schierato nel campo atlantista sul piano geopolitico e nel campo liberale sul piano economico/ideologico. Purtuttavia, specie nella sua ultima fase e molto probabilmente in virtù di un surplus di esperienza concreta delle dinamiche internazionali che ha stemperato la sua lancia liberale/occidentale, è andato assumendo posizioni alquanto eterodosse rispetto ai crociati dell’imperialismo e interessanti anche per il fronte antimperialista.
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Il governo Meloni e la riforma del MES
Federalismo coercitivo e difesa della sovranità nazionale
di Luca Lanzalaco
Il 30 novembre 2022 i partiti della maggioranza di governo hanno votato a larga maggioranza una mozione che impegna il governo “a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del Trattato istitutivo del MES alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo” (Parlamento italiano – Camera dei Deputati 2022a).
A questo proposito avanziamo due tesi. La prima è che si è trattato di una decisione giusta, anche se la sua formulazione lascia alcuni margini di ambiguità che andrebbero quanto prima chiariti. La seconda che la posta in gioco in questa decisione sia ben più alta ed importante della semplice revisione di alcune procedure di controllo sull’andamento del deficit e del debito degli Stati membri dell’Unione europea. Esaminiamo distintamente le due tesi che, come emergerà chiaramente, sono tra loro connesse. Nel fare questo riprenderò in sintesi temi ed argomenti che ho avuto modo di sviluppare in modo molto più approfondito in altra sede (Lanzalaco 2022).
Prima è però opportuno un chiarimento. Dietro l’etichetta MES nel dibattito politico e nel discorso pubblico corrente si collocano due differenti referenti che, seppur strettamente collegati, vanno tenuti distinti (European Commission 2022, 19-20). Da un lato, vi è il cosiddetto Fondo salva stati che, istituito durante la crisi dei debiti sovrani (2010-2012) per offrire assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà, è stato riformato all’inizio del 2021.
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La guerra Russia-Ucraina: lo stupido e l'analista
a cura di Luigi Longo
Ho trovato interessante sia la conferenza stampa di Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, tenuta a Bruxelles il 25/11/2022 e ripresa dall’agenzia Adnkronos e pubblicata, a mò di stralcio, sul suo sito https://www.adnkronos.com/ucraina-stoltenberg-diventera-membro-nato_5EZiSZ99s7FBWwsQbcCHLa/amp.html, sia l’intervista del colonnello statunitense Douglas Macgregor rilasciata al canale polacco Votum TV e pubblicata sul sito www.comedonchisciotte.org del 24/11/2022.
Le riporto per riflettere sia sulla stupidità di Jens Stoltenberg sia sull’analisi concreta e ragionata del colonnello Douglas Macgregor.
Una precisazione e una riflessione. La precisazione riguarda il concetto di stupidità, una sorta di scherzosa (mica tanto) teoria generale della stupidità umana, elaborata dallo storico Carlo Maria Cipolla (Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988, in particolare le pagine 65-77) che così la definisce « Il secondo fattore che determina il potenziale di una persona stupida deriva dalla posizione di potere e di autorità che occupa nella società. Tra burocrati, generali, politici, capi di stato e uomini di Chiesa, si ritrova l’aurea percentuale […] di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (o occupano). La domanda che spesso si pongono le persone ragionevoli è in che modo e come mai persone stupide riescano a raggiungere posizioni di potere e di autorità ». Affermare, come fa Jens Stoltenberg, che « […] Se Putin, o altri leader autoritari, vede che l’uso della forza è premiato, la userà ancora per raggiungere i suoi obiettivi.
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L’eterna primavera della speranza. Le conferenze ONU sul clima fra passi avanti e inazione
di Barbara Bernardini
La COP27 di Sharm el-Sheikh – la ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – si è conclusa all’alba del 20 novembre, quasi due giorni dopo il termine previsto. Per arrivare all’approvazione del piano di attuazione ci sono volute due notti di trattative ulteriori, con in mezzo un momento in cui tutto sembrava perso: Frans Timmermans, a nome della Commissione europea, si diceva pronto a lasciare il tavolo, “meglio nessun accordo che un cattivo accordo”.
Poi l’accordo è arrivato, né buono né cattivo: molte delle sintesi riportate da chi era presente e da chi ne ha analizzato i 66 punti – una ben fatta è quella di Italian Climate Network – concordano su quali siano gli aspetti positivi e quelli negativi. Il grande successo del testo finale è l’istituzione del fondo compensativo “loss and damage” che prevede un risarcimento per le perdite e i danni subiti dai paesi più vulnerabili per gli effetti di una crisi climatica che non hanno contribuito a causare. Il risarcimento dovrà arrivare dai paesi che sono i principali emettitori storici – quindi tenendo conto non solo delle emissioni attuali ma anche di quanto abbiano contribuito in passato –, ma per capire chi dovrà contribuire, chi potrà beneficiarne e in che misura, bisognerà aspettare: non è stato deciso nulla in concreto ma si rimanda a una commissione che avrà il compito di districare i nodi che ora sono stati ignorati. La Cina da che parte dovrà stare? Non ha la responsabilità storica degli Stati Uniti, e alla COP27 si è presentata come capofila del fronte dei paesi “vulnerabili”, ma per quanto tempo potrà ancora essere considerata un’economia in via di sviluppo? Al tempo stesso, quello che viene chiamato il fronte dei G77 (in contrapposizione con i paesi del G20), quanta forza negoziale riuscirebbe a mantenere se la Cina si sfilasse?
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La tesi fallace degli "opposti imperialismi" e perché schierarsi per il Multipolarismo
di Leonardo Sinigaglia
Che si tratti delle violenze e delle speculazioni dei colossi energetici, finanziari, farmaceutici o agroalimentari, al centro vi è sempre l’imperialismo statunitense. Ciò è dovuto al fatto che in questa fase storica, al vertice della piramide del potere, vi sono i cartelli finanziari (i maggiori dei quali sono Vanguard Group, State Street e Black Rock) che hanno in Washington, nelle sue forze armate e nel suo “soft power” il principale strumento d’azione. L’imperialismo americano è ciò che ha consentito per anni il neo-colonialismo del Fondo Monetario Internazionale, le “rivoluzioni colorate” e la crescita del potere dei grandi capitali al punto di poter sfidare, e vincere, gli stessi Stati nazionali.
Quello americano non è l’unico imperialismo presente al mondo, ma riassume e controlla tutti quelli rimasti. L’imperialismo francese o quello inglese sono sostanzialmente subalterni a quello americano.
Ma la dittatura internazionale di questo viene oggi efficacemente messa in discussione dal processo di costruzione di un mondo multipolare. Cos’è l’imperialismo americano? L’imperialismo americano è la sottomissione violenta dell’Umanità agli interessi geostrategici delle lobbies di Washington. Cos’è il multipolarismo? Il multipolarismo è l’alternativa a tutto ciò, base per riaffermare la sovranità democratica e l’autodeterminazione dei popoli.
Nel suo discorso del 30 settembre il Presidente Vladimir Putin definiva l’epoca che stiamo attraversando come segnata da “trasformazioni rivoluzionarie”. Ciò è completamente vero, perché appare sempre più chiaro come il mondo segnato dalla “fine della Storia”, il mondo dell’egemonia statunitense sia ormai in fase di decomposizione.
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