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Mutanti e replicanti
di Lanfranco Binni
Dovremo occuparci a lungo, e con tempi sempre più ravvicinati tra un’epidemia e l’altra, delle mutazioni virali indotte dai cambiamenti climatici, provocati a loro volta dalle devastazioni del capitalismo terminale. Anzi, saranno i nuovi virus ignoti a occuparsi della specie umana. Non è vero, se mai lo è stato, che natura non facit saltus: il “salto di specie” virale da animali a umani in condizioni di nuove necessità (tutte le specie si difendono), stravolge i percorsi apparentemente lineari della storia umana.
Sull’origine dell’attuale epidemia attribuita a uno dei tanti virus della categoria “coronavirus” non sappiamo molto, ne conosciamo alcuni focolai che si stanno connettendo a livello globale, e nei suoi percorsi attraverso i continenti il virus Covid-19 assume caratteristiche diverse, interagendo con i diversi ambienti naturali e antropici. Ne vediamo gli effetti sanitari, economici, culturali e politici, mentre le vere cause sono ignorate dagli assetti istituzionali delle società. Le risposte sanitarie sono antiche, e sono ancestrali le paure. Un’epidemia che si sta trasformando in pandemia viene affrontata come questione esclusivamente sanitaria, e il metodo è lo stesso con cui furono affrontate le epidemie storiche (la “peste nera” che devastò l’Europa medievale, la “spagnola” negli anni della Prima guerra mondiale, fino all’Hiv, a Ebola, e a tante altre forme di mutazioni virali in corso nel mondo, in ogni continente: il contenimento del contagio, fino all’isolamento e alla medicalizzazione degli infetti, nella speranza di sconfiggere la malattia con vaccini sempre in ritardo rispetto alle emergenze, e soprattutto contando su una sua remissione più o meno spontanea e ignota quanto le sue improvvise e imprevedibili manifestazioni.
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Lo Stato di Eccezione - spiegato breve
di Leo Essen
Secondo la definizione, che risale a Bodin, la sovranità è il potere supremo, giuridicamente indipendente e non derivato. Questa definizione, dice Carl Schmitt (Teologia politica), impiega il superlativo «potere supremo» per indicare una grandezza reale, benché nella realtà dominata dalla legge di causalità non possa essere isolato nessun fattore singolo al quale un simile superlativo sia applicabile. Nella realtà politica, dice Schmitt, non esiste un potere supremo, cioè più grande di tutti.
Questa dimostrazione è stata prodotta da Spinoza. Secondo Spinoza (Hegel, Lezioni) il singolare è qualcosa di limitato. Il suo concetto dipende da altro, non esiste per se stesso come qualcosa di vero. Con riguardo a ciò che è determinato, ovvero a ciò che, come dice Schmitt, è una grandezza reale, una forza effettiva, Spinoza stabilisce che «omnis determinatio est negatio». Dunque, è sovrano, ovvero assoluto, solo ciò che non è determinato, singolare. Sovrano è solo ciò che è universale. Solo questo è sostanziale e dunque veramente reale [reale, nel senso dato a questa parola della scolastica]. Al contrario, una forza, un potere, un’istituzione, un’unità territoriale, una burocrazia, eccetera, sono qualcosa di limitato, poiché sono cose singole. Ciò per cui una cosa è singola è negazione. Negazione vuol dire che essa è, solo in quanto è in relazione con ciò che non è – per esempio un'altra forza, un altro Stato, un’altra istanza, un’altra giurisdizione, eccetera.
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La pandemia mette a nudo i disastri del liberismo
di Turi Palidda
Alcuni autori hanno già proposto serie riflessioni sugli effetti della gestione della pandemia in corso. Fra gli ultimi, ottimo l’articolo di Marco Revelli sul Manifesto e su Volere la luna. Ma alcuni aspetti e soprattutto l’insieme delle conseguenze di questa gestione della pandemia meritano più attenzione. Quest’insieme è infatti cruciale per capire non solo che siamo difronte al coagulo di tutti i disastri che ha provocato lo sviluppo liberista, ma difronte a un salto ancora più inquietante. Lo stato d’eccezione va ben oltre l’emergenza sanitaria; come sempre può permettere ai dominanti di imbastire scelte impensabili per i comuni mortali relegati alla condizione di impotenza dalla gestione della pandemia. Non è casuale che Trump decida di proclamare lo stato d’emergenza per poter aver mano libera a cominciare da un’operazione finanziaria sconvolgente (l’iniezione di 1,5 trilioni sul mercato finanziario), approfittando quindi dell’assenza di un effettivo governo europeo della finanza, delle difficoltà della Cina e del crollo del prezzo del petrolio per re-imporre il dominio del dollaro USA). La guerra economica fra USA e Cina e le sue conseguenze sul resto del mondo è aperta più che mai e la congiuntura pandemia è usata anche in questa contesa. E non è un caso che alcune personalità del potere convochino i vertici delle forze armate e delle polizie per riflettere sul rischio di rivolte o “insurrezioni” a seguito dell’emergenza pandemia (questo succede in Italia) in Francia e probabilmente in tutti i paesi mentre la Cina ha già mostrato qual è la gestione totalitaria dell’emergenza).
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La Russia è un paese imperialista?
di Alessandra Ciattini
Nel complesso mondo contemporaneo è importante comprendere qual è la natura degli Stati che stanno in competizione tra loro anche per operare una ragionata scelta politica
Molti si interrogano anche da sinistra sul carattere imperialistico dell’attuale Russia, governata da Vladimir Putin, ex agente del KGB ed ex militare, ormai al potere dal 2000, per cui abbiamo deciso di mettere insieme una serie di dati raccolti da alcuni studi per rispondere a questa domanda. Naturalmente i fattori che hanno determinato il trapasso da una forma di capitalismo di Stato, con il riconoscimento di un’ampia serie di diritti e di conquiste ai lavoratori sovietici, a un capitalismo definito semi-periferico sono molteplici e di carattere esterno ed interno e tra questi ultimi bisogna annoverare il ruolo avuto dalla grande burocrazia.
Nel processo di disgregazione dell’URSS, iniziato negli anni ’80 e portato a termine dalle politiche di Gorbaciov, una parte importante è stata giocata anche dal capitalismo internazionale, il quale, per accaparrarsi le immense risorse sovietiche, ha sostenuto l’emergere di quello che si è definito capitalismo semi-periferico in Russia e nei paesi del CSI; capitalismo caratterizzato da ampi livelli di criminalità imprenditoriale, dalla fuga dei capitali, dalle privatizzazioni, dal controllo informale delle entrate, il cui costo è stato un sensibile calo demografico [1].
Per far accettare agli ex sovietici il passaggio al capitalismo un programma televisivo faceva questa propaganda: il socialismo era rappresentato da una torta che veniva divisa in piccoli pezzi distribuiti tra tutti i cittadini; anche il capitalismo era rappresentato da una torta, ma i pezzi erano assai più grandi e sempre divisi tra tutti.
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“Shut in economy”. Scenari distopici per il dopo pandemia
di Redazione Contropiano
Oggi siamo immersi e costretti a vivere le nostre giornate nel tentativo di ridurre e sconfiggere la pandemia del coronavirus. Lo siamo nel nostro e in decine di altri paesi. Sotto i nostri occhi sono cambiate rapidamente abitudini, parametri di riferimento ma anche fattori strutturali dell’economia, della società e della civiltà del dopoguerra. Abbiamo detto che ci sarà un prima e un dopo immensamente diversi tra loro e nulla sarà come prima.
Ma alle domande sul dopo emergenza si può rispondere in modi molto diversi. Noi agiamo per una cambiamento radicale delle priorità e dei rapporti sociali che hanno determinato le nostre vite da decenni, sicuramente vogliamo seppellire il modello sociale capitalista emerso dagli anni ’80, quelli in cui il sanguinoso dogma liberista decretò che “non esiste la società, esistono gli individui” e che quindi è il mercato e la competitività che regolano e autoregolano i rapporti sociali.
Altri, e non sono nè saranno nostri compagni di strada, cominciano a individuare un modello di relazioni sociali e di produzione che salvaguardino questo dogma adeguandolo però alle nuove condizioni, anzi cercando di mettere a loro vantaggio le nuove condizioni. Il futuro che disegnano è segnato da una accentuazione delle disuguaglianze ancora maggiore, rese più dolorose anche dai fattori climatici e patologici che viene sintetizzata come Shut in Economy. E delineano quelli che possiamo definire come scenari distopici, cioè di una immagine piuttosto inquietante del futuro che però è solo una anticipazione della realtà.
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Coronavirus. Chi è il vero nemico?
di Carlo Formenti
La crisi mondiale che stiamo affrontando ha una portata superiore persino a quella della grande crisi del 2008. Grazie alla lotta contro un nemico terribile stiamo riscoprendo un senso di solidarietà e uno spirito comunitario che negli ultimi decenni sembravano essere quasi del tutto spariti. Ma qual è la vera natura di questo nemico: siamo effettivamente di fronte a una minaccia puramente biologica, a una catastrofe naturale al pari di un terremoto, oppure la realtà è più complessa? Per sciogliere il dubbio occorre rispondere a tre domande: 1) da dove vengono le pandemie; 2) perché le reazioni a questa minaccia cambiano significativamente da un Paese all’altro; 3) se davvero, come molti dicono, dopo questa crisi nulla sarà come prima, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro e soprattutto in che direzione dobbiamo lavorare perché si tratti di un futuro migliore.
- Da dove vengono le pandemie
Si dibatte sugli effetti economici dell’epidemia del covid19 ma nessuno ragiona seriamente su come simili eventi si producono. Ci si limita a prendere atto che si presentano ciclicamente, come le crisi economiche, con ritmi e modalità imprevedibili, e anche da questo punti di vista si evocano analogie con le crisi economiche. In realtà le relazioni fra i due ordini di fenomeni vanno al di là di una semplice analogia: infatti, se la “naturalizzazione” delle crisi economiche non può non apparire sospetta a chi non si accontenta delle narrazioni neoliberiste, nemmeno le pandemie andrebbero analizzate come eventi puramente biologici, privi di relazioni con il contesto socioeconomico in cui si sviluppano.
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L’epidemia travolge tutti, anche il debito globale
di Vincenzo Comito
La diffusione del coronavirus è destinata a stravolgere l’ordine economico, finanziario e geopolitico internazionale. Mentre qualcuno, illusoriamente, invoca la deglobalizzazione e il decoupling Usa-Cina, si profila un’esplosione del debito mondiale. E con essa una nuova drammatica crisi finanziaria
Mi unisco al dibattito in atto su questo sito sul tema del coronavirus pubblicando queste note, certamente affrettate e non organiche, su alcuni tra i molti temi oggi sul tappeto (per esempio, trascuriamo di discutere del grande problema dei rapporti con l’Europa).
Gli eroi
In queste settimane di difficoltà la stampa e la televisione nazionali non hanno mancato nessuna occasione per qualificare i medici e gli infermieri che si battono per sconfiggere il coronavirus come “eroi”, mentre la loro attività viene parallelamente definita come “lavoro eroico”.
Ricordo a questo proposito che in un’opera teatrale tra le più note di Bertolt Brecht, Galileo, ad un certo punto qualcuno pronuncia la frase “infelice è la terra che ha bisogno di eroi”. Ora, per tanti anni, sotto i governi tanto di centro-destra quanto di centro-sinistra sono stati tagliati implacabilmente i fondi per la sanità, come del resto per la scuola e per la ricerca; se si fosse fatto respirare di più il settore, oggi ci sarebbero molti più medici e molti più letti per combattere il flagello. E il lavoro degli operatori sarebbe certamente meno eroico di quanto debba esserlo per necessità oggi.
Parlare di eroismo mi sembra dunque quasi aggiungere al danno la beffa, anche se certamente non è questa l’intenzione di tanti che, pronunciando l’espressione, vogliono solo apprezzare il lavoro svolto dal sistema sanitario pubblico e dai suoi operatori.
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La semplice macroeconomia del dopo crisi
di Alberto Bagnai
La crisi è appena cominciata, o forse dovremmo dire che non è mai terminata, non sappiamo quanto sarà profondo questo terzo scalino verso il basso, ma siccome sappiamo che non è vero che questa volta è diverso, e siccome Ray Dalio (un uomo che sa come navigare attraverso le crisi) si è posizionato al ribasso, sappiamo che qualcosa dovrà succedere, e possiamo cominciare a farci delle idee basandoci sull'esperienza storica.
Intanto, oggi Goldman Sachs ci fa sapere che secondo lui andrà così:
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Paradossi e tragedie del coronavirus
di Italo Nobile
L’alto tasso di letalità italiano
Si era già detto che l’indice di letalità del nuovo coronavirus fosse probabilmente più basso di quanto calcolato sulla base dei dati ufficiali, dal momento che molti casi infetti non sono stati contabilizzati[1]. Ciò implica che la contagiosità è maggiore e/o il virus sta circolando da molto più tempo. Questo, per quanto riguarda il preoccupante dato italiano, potrebbe sollevare domande sull’origine stessa del virus qui operante e sul suo percorso (sia in termini di mutazioni, sia in termini di circolazione). Si è già parlato dello strano aumento di polmoniti avvenuto negli ultimi anni[2] e del fatto che in realtà le statistiche non riescano a dare elementi sufficienti per spiegarne scientificamente i motivi[3].
Facendo un paragone con la South-Corea, l’indice di letalità al momento attuale da noi è il 7,71%, da loro lo 0,97%[4]. Può essere che i sudcoreani abbiano contabilizzato quasi tutti i casi infetti, mentre noi abbiamo decine di migliaia di infetti anonimi e a piede libero. Tuttavia i sudcoreani hanno gestito sino ad alcuni giorni fa quasi il doppio dei nostri infetti e il tasso di letalità giocava comunque di molto a nostro sfavore. Possiamo andare a vedere come stanno classificando gli infetti? Come li stanno distribuendo in una logica di contenimento sanitario sia del contagio che della virulenza del virus? Come li stanno curando?
Si può pensare che i sudcoreani abbiano rallentato subito il contagio. Come? Pare che i test siano stati lì fatti anche agli automobilisti per strada, intervenendo così anche quando non fossero comparsi i sintomi[5]. Il sistema di controllo è stato talmente pervasivo da generare altri inconvenienti sociali[6].
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Come l’austerità ha distrutto la sanità
di coniarerivolta
Nel pieno dell’esplosione dell’epidemia legata al Coronavirus, tutti sembrano concordare sull’esistenza di un serio pericolo di insufficienza di strutture e macchinari, quali respiratori e posti letto in terapia intensiva, che prima o poi metterà gli operatori del sistema sanitario nella posizione di dover scegliere a chi somministrare i trattamenti o meno, innalzando in questo modo la mortalità della malattia per ragioni che nulla avrebbero a che vedere con l’aggressività specifica del Covid-19. È datata 14 marzo la dichiarazione dell’assessore al welfare della Lombardia, Giulio Gallera, su un numero ormai limitatissimo di posti di terapia intensiva nella regione, del tutto insufficienti a fronte dei nuovi malati registrati ogni giorno.
A tal riguardo si sta accendendo una polemica politica sui motivi di tale incapacità del sistema ospedaliero di assorbire il numero crescente di pazienti gravi. Su una cosa sembrano essere tutti d’accordo: il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è evidentemente inadeguato per affrontare questa situazione. Tuttavia, due posizioni distinte emergono dal dibattito circa tale inadeguatezza.
Da più parti si è sottolineato che la causa principale di tali difficoltà siano i tagli alla sanità pubblica effettuati nel corso degli ultimi anni. Sul fronte opposto, invece, le cause sarebbero da ricercare nella cattiva gestione dei finanziamenti pubblici (la cui erogazione sarebbe addirittura cresciuta negli ultimi anni), attribuibile all’inadeguatezza dei dirigenti del settore sanitario e al malaffare. Proviamo a districarci in questo dibattito.
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Sull’epidemia delle emergenze /fase 3: poi fu la volta delle fabbriche e della classe operaia…
di Sandro Moiso, Jack Orlando e Maurice Chevalier
«Vediamo tutti quegli attori e cantanti che in tv o sui social, belli come il sole, invitano sorridendo la gente a restare a casa. Ma un operaio come fa? […] noi ci sentiamo in trappola e ci chiediamo: perché io sono qui?» (un operaio brianzolo a «Repubblica»)
Già perché siamo qui? In fabbrica, chiusi in casa, in quarantena oppure in ospedali che stanno per scoppiare ? E’ quello che molti iniziano a chiedersi, come in un romanzo di Stephen King oppure in un’ennesima serie prequel o sequel di “The Walking Dead”.
Conosciamo intanto l’unica risposta certa che il governo degli ominicchi e dei quaquaraquà sembra voler e saper fornire: poteri di polizia dati per decreto all’esercito che pattuglia le strade e ulteriori misure restrittive per tutti i cittadini, perché «dopo l’emergenza sanitaria e quella economica, il governo teme possa scoppiare anche quella della sicurezza pubblica, come successo nelle carceri. Dunque è necessario prepararsi in tempo, e cominciare a pensare a piani d’azione per le foze dell’ordine e, nel caso, per l’esercito. La rivolta delle carceri è stato solo un antipasto di quello che potrebbe accadere in caso di diffusione incontrollata dell’agente patogeno. Nelle regioni, il timore è che un’escalation dell’epidemia crei disordini. Negli ospedali, nei supermercati, nelle piazze. “Bisogna essere pronti ovunque e cercare di coinvolgere maggiormente i militari- spiega una voce autorevole di Palazzo Chigi- Senza allarmare la popolazione, ma senza farsi trovare impreparati per l’ennesima volta”». Come si afferma in un articolo di Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian, In che Stato siamo, sull’Espresso n° 12 del 15 marzo 2020.
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Su Togliatti, il marxismo e lo stato socialista
Intervista sconosciuta del 1968
Ferenc Fehér intervista György Lukács
Da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019
Dal 1967 Lukács aveva ripreso la tessera del Posu, il Partito socialista operaio ungherese. György Aczél, l’allora segretario del Comitato Centrale gli chiese di collaborare con i membri dirigenti del partito, sviluppando le sue opinioni sulle questioni politiche e teoriche del momento. Così si preparò la presente intervista, a titolo informativo, fatta pervenire ai membri del Comitato Centrale il 22 luglio 1968.
Lukács e i dirigenti del partito erano arrivati a un comune accordo: in tal modo le questioni trattate e le sue opinioni potevano essere ascoltate, ma non potevano essere rese pubbliche.
La prima parte della presente intervista è dedicata alla personalità politica e teorica di Palmiro Togliatti e, a questo proposito, Lukács si occupa delle questioni teoriche e politiche a lui connesse. Il punto saliente è la prospettiva di una possibile alternativa di sinistra in Europa, analizzando l’articolo di Togliatti su “Capitalismo e riforme di struttura” (Rinascita, 11 luglio 1964), che contiene gli appunti, scritti qualche ora prima della sua morte, sull’unità del movimento operaio internazionale. L’intervista è a cura di Ferenc Fehér.
* * * *
Fehér – Oggi conversiamo sul fondamento della personalità teoretica e politica di Togliatti. Compagno Lukács come consideri le doti di Togliatti nella salvaguardia della teoria marxista, e dove vedi i limiti teorici della sua personalità?
Lukács – Se parlo dell’uomo Togliatti, devo innanzitutto rilevare che si tratta di un uomo di eccezionale capacità politica, con una visione puntuale sulla peculiarità di ogni situazione, che è in continua ricerca e non ragiona schematicamente su nessuna questione; dunque sarebbe possibile dire che nella nostra epoca è stata indubbiamente una delle personalità politiche più grandi. Poi si deve aggiungere – e ciò non ne diminuisce l’importanza – che nonostante Togliatti sia relativamente la personalità politica più grande di questa epoca, purtroppo, condivide largamente i fondamentali errori dell’ambito marxista.
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Appunti di ricerca sulla crisi da coronavirus (in progress)
di Raffaele Sciortino
Di fronte alla diffusione repentina del coronavirus ci sarebbe da indagare a fondo su cosa avviene in ambito sociale, il terreno principale della presa di coscienza delle modalità di funzionamento del sistema e dello sviluppo di eventuali scintille di mobilitazione. Ciò va visto nei due sensi: non solo come dall’alto viene o può essere utilizzata, a date condizioni, l’emergenza reale - ma anche come essa inizia a smuovere, in maniera drammatica come ogni vera crisi, le acque fin qui stagnanti di una società traumatizzata da dieci anni di crisi rimettendo in moto la testa della gente comune, non tutta disponibile a ricette neomalthusiane e a privilegiare l’economia sopra tutto.
Innanzitutto, andrebbe rivalutata una lettura “oggettivista” di quanto sta avvenendo, da riportare alle contraddizioni sistemiche, si diceva un tempo, del capitalismo globalizzato, comprensive di un rapporto a dir poco distorto con la natura. Dalla Cina che deve scontare una crescita iper-accelerata per recuperare un po’ rispetto ai paesi imperialisti e oggi si trova con un ambiente devastato e un sistema sociale e sanitario ai limiti.1 All’Occidente, al tempo di legami sociali allentatissimi, industrializzazione della vita ai massimi e sistemi sanitari privatizzati o semiprivatizzati: ne vedremo delle belle negli States se, come pare, dovesse diffondersi anche lì; in Italia l'atteggiamento iniziale dei governatori leghisti del nord, ma con dentro anche il progressista Sala di Milano non si ferma, è stato tutto in termini di difesa dell'economia veneto-lumbard, con l’appoggio dei gruppi di interesse economici e dei sindacati2, con perdita che potrebbe diventare secca di legittimità a favore addirittura del Pd (!), pur co-responsabile del sistema formigoniano, mentre la gestione da parte del “Partito del Presidente” finora non viene giudicata male da parte della gente, anzi, quanto alla stretta , dopo tentennamenti, verso il modello “cinese” di risposta al virus (cui ora sembra con un voltafaccia accodarsi parzialmente anche il mondo economico nella speranza che la Ue conceda ulteriore debito)3.
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Comunizzazione e teoria della forma-valore
Introduzione1
di End Notes
La forma valore del prodotto del lavoro è la forma più astratta, ma anche più generale, del modo di produzione borghese, che ne risulta caratterizzato come un genere particolare di produzione sociale, e quindi anche storicamente definito.2
Nel primo numero diEndnotesabbiamo descritto la genesi della teoria della comunizzazione in Francia negli anni successivi al Maggio '68. Il testo seguente e altri presenti in questo numero si collocano all'interno della prospettiva della comunizzazione, ma sono anche fortemente influenzati dagli sviluppi teorici nell'area della teoria marxiana della forma valore e, in particolar modo, dalla tendenza della “systematic dialectic” che è emersa negli ultimi anni.3
Marx era stato chiaro: ciò che contraddistingueva il suo approccio, e che fa di esso una critica piuttosto che una continuazione dell'economia politica, era la sua analisi della forma valore. Nella sua celebre esposizione de “Il carattere feticistico della merce e il suo segreto” egli scrive:
Ora, l’economia politica ha bensì analizzato, seppure in modo incompleto, il valore, la grandezza di valore, e il contenuto nascosto in tali forme. Ma non si è nemmeno posto il quesito: perché questo contenuto assume quella forma? Perché, dunque, il lavoro si rappresenta nel valore, e la misura del lavoro mediante la sua durata temporale si rappresenta nella grandezza di valore del prodotto del lavoro? Formule che portano scritta in fronte la loro appartenenza ad una formazione sociale in cui il processo di produzione asservisce gli uomini invece di esserne dominato, valgono per la loro coscienza borghese come ovvia necessità naturale quanto lo stesso lavoro produttivo.4
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Sull’epidemia delle emergenze /fase 2: prima venne il carcere…
di Sandro Moiso e Jack Orlando
L’avevamo anticipato una settimana fa: di fronte ad un’epidemia di una certa e inaspettata gravità questo stato non avrebbe saputo rispondere che con la militarizzazione e la repressione.
I dodici morti1 e gli innumerevoli feriti tra i detenuti rivoltosi del carcere di Modena e di Rieti e in tutte le altre case di reclusione che sono esplose tra domenica e lunedì, ne sono la palese conferma.
Mentre i media asserviti cercano di avvallare l’ipotesi, sia a Modena che a Rieti, che i detenuti siano morti tutti, o quasi, per overdose, è un governo paralizzato a tutti i livelli quello che finge di saper traghettare i cittadini verso una lontana e, per ora, invisibile riva di salvezza. Un governo che sa mostrare, ma solo in alcuni casi, il pugno di ferro, mentre, in realtà, i suoi rappresentanti centrali, regionali e locali non fanno altro che aggravare il probabile naufragio e, memori della gloria del comandante Schettino, cercano di accaparrarsi le lance di salvataggio dichiarandosi in quarantena per aver acquisito il virus Covid-19 o invocando misure “cilene” più che “cinesi”.
Ed è in conclusione di un lunedì che conta blocchi stradali, evasioni di massa, sparatorie in strada e scontri per riprendere possesso delle carceri in mano ai rivoltosi, che Giuseppe Conte appare per parlare alla Nazione. Da tiepido uomo d’ufficio prova goffamente a vestire i panni del minuteman mentre dichiara con aria grave che d’ora in avanti tutta l’Italia sarà zona rossa. Le misure stringenti che già hanno investito il nord ora dilagheranno fino all’estremo sud.
Ma a ben guardare, nonostante l’avanzare incessante del virus, a preoccupare veramente tutto l’arco parlamentare, mai così unito come in questi giorni, è un altro tipo di contagio: è l’epidemia della conflittualità sociale che fa scendere gocce di sudore freddo lungo le schiene dei padroni.
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Da dove è arrivato il Coronavirus, e dove ci porterà?
di Rob Wallace
Un’intervista con Rob Wallace, autore di “Big Farms Make Big Flu”
Dentro ogni conflitto c’è uno scontro sulla conoscenza. La pandemia mondiale Covid-19 è la realtà della crisi capitalistica nell’era dell’antropocene. Non la prima, ma la prima capace di minacciare le catene del valore su scala globale compromettendo la riproduzione sistemica nelle aree a più avanzato sviluppo capitalistico del pianeta. ll virus è già un rapporto oltre i limiti dello sviluppo. Disvela non tanto di mancata tenuta dell’ecosistema planetario rispetto alla sua messa a valore capitalistica, quanto l’endemicità dei suoi cicli di crisi che ridefiniranno da qui in avanti il rapporto tra umano ed ecosistemi integralmente trasformati in eco-tecno-sistemi presentando condizioni – con buona pace di ogni residuo fantasma di progresso - in gran parte ancora ignote. In questo senso battersi per una conoscenza di parte del fenomeno significa risalirne alcune determinanti strutturali. Ciò serve a svincolarsi innanzitutto da una riduzione della crisi a emergenza esclusivamente sanitaria. Le straordinarie forme di solidarietà e mobilitazione sociale diffusa per difendersi dal contagio sono al momento alternativamente preda di una retorica dell’“avevamo ragione” sui disastri sociali del neoliberismo o delle strategie di gestione dello stato di eccezione, ma a più significative altezze si pensa già su chi scaricare i costi di questa crisi, guardando avanti. Chi e come si guarda all’evoluzione di questa emergenza? La crisi si sviluppa rapidamente cambiando l’aggressività degli attori in campo che non sono tutti uguali, sia nella produzione dell’emergenza sia nella sua evoluzione. È importante immaginare come questi legami possano costruire una loro propria traiettoria autonoma, in difesa di interessi macroproletari sotto attacco e per nuovi rapporti a venire, passando per questa crisi ma costruendosi una forza per aggredire i nodi strutturali della preservazione capitalistica nella tempesta.
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Le conseguenze economiche del coronavirus
di Mario Pianta
Cosa possiamo imparare e cosa possiamo cambiare di fronte all’epidemia di coronavirus? Riscopriamo che la salute è un bene pubblico globale, che la sanità pubblica e il welfare state sono attività fondamentali, alternative al mercato, che ci aspetta una seria crisi dell’economia, della finanza e dell’Europa
L’epidemia di coronavirus sta cambiando rapidamente condizioni sanitarie, abitudini di vita, relazioni sociali e attività economiche. L’Organizzazione mondiale della sanità riporta nei primi 52 giorni dell’epidemia 133 mila contagi e 5000 morti nel mondo; il numero di nuovi contagiati per ogni persona infetta è stimato tra 2 e 4; a livello mondiale siamo ancora in una fase di crescita esponenziale dell’epidemia; in Cina, dove il virus è partito, sembra che il contagio si sia fermato dopo aver raggiunto gli 81 mila casi; in Italia – il secondo paese più colpito con 15 mila casi – l’epidemia non rallenta ancora. In molti degli altri 123 paesi contagiati le prospettive sono di una rapida diffusione.
Le conseguenze dell’epidemia sono di grande rilievo e investono il sistema economico mondiale. In queste note – necessariamente schematiche – si propone una riflessione sulle questioni aperte dall’epidemia, sulle lezioni che possiamo imparare, su alcuni cambiamenti possibili per quanto riguarda i rapporti tra salute, economia e politica a livello mondiale.
1. La salute è un bene pubblico globale e come tale va garantito
Il necessario punto di partenza è la nostra concezione della salute. La Costituzione italiana – come moltissime altre carte dei principi internazionali – riconosce la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Dal punto di vista economico, la salute è un bene pubblico globale perché non può essere prodotto come una merce venduta sul mercato a consumatori individuali e perché è minacciato dalla mancanza di salute (o, appunto, dalla nascita di epidemie) in ogni punto del pianeta.
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Ballando sul balcone con due piedi nella fossa della libertà
di Fulvio Grimaldi
Medjugorie, i reprobi e una madonna molto vendicativa. Suicidio assistito dell’umano libero
“Se uno, con parole mielate e cattivo pensiero, convince il popolo, saranno grandi i mali che colpiranno lo Stato" (Euripide, Oreste)
Stavolta più che leggere si vede e si ascolta.
Trasmissione Byoblu su virus e connessi del 13 marzo 2020, con interventi di Massimo Mazzucco, Alessandro Sansoni e miei. Byoblu è una web-tv italiana, diretta da Claudio Messora, che fa onore alla nostra informazione per libertà, indipendenza, ricchezza, diversità di notizie e analisi fuori e contro le comunicazioni controllate e obbedienti e che ci offre una preziosa alternativa di ricerca e verità. Ho avuto qualche volte il privilegio di partecipare ai suoi talk show, o tavole rotonde. Così anche sere fa, insieme ad interlocutori fuori dal coro come Massimo Mazzucco, il “debunker” incontestabile di tante Fake News americane, e ad Alessandro Sansoni, giornalista di “Cultura e Identità“. In testa c’è il link. E’ una trasmissione che susciterà consensi e controversie, ma credo che valga la pena, anche perché, di tempo tutti quanti ora, grazie all’esercitazione in corso, ne abbiamo.
Dalla Germania un’altra storia
https://www.youtube.com/watch?v=p_AyuhbnPOI
E questo è un video di importanza fondamentale, direi risolutrice. E’ in tedesco con sottotitoli inglesi e lo affido a chi, tra i miei interlocutori, volesse assumersi il campito di tradurlo in italiano, o aggiungerci sottotitoli, in modo da annientare una volta per sempre la sciagurata esercitazione di riassetto socio-politico operata su di noi con il ricatto della salute e della vita. Parla il prof. Wolfgang Wodarg, pneumologo, epidemiologo, massima autorità tedesca ed esponente europeo del sistema pubblico della sanità (vedi il mio “Emergenze “naturali”, o cent’anni di Cigni Neri?” in www.fulviogrimaldicontroblog.info).
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La falsa apocalisse, e la vera
di Marcello Tarì
Sono passati lustri oramai da quando è cominciata l’invasione di film, romanzi, serie tv, articoli di giornale e, primi tra tutti, di saggi scientifici che dipingono il mondo come in preda agli ultimi tragici singulti prima della sua fine, data per certa e molto vicina – il colpo finale verrà dalla crisi climatica, quella economica o da quella sanitaria? dalla guerra o dalla distruzione dell’ambiente? -, così che si può parlare oggi di un vero e proprio pattern apocalittico dominante a livello globale. È una delle conseguenze, questa, di una potente offensiva spirituale portata avanti dai padroni del mondo negli ultimi secoli. L’Apocalisse da voce profetica degli ultimi è diventata un affare redditizio, essa ha paradossalmente raggiunto lo status di un valore aggiunto alla merce: la vertigine della distruzione e la valorizzazione della paura che porta con sé la impreziosiscono. Non sia mai che anche The end non venga pagata dai sudditi a peso d’oro.
Non importa quanto stupida, ridicola o di cattivo gusto possa sembrare la moda di parlare con studiato cinismo di ogni «piaga» che si abbatte sul mondo, come accade in molti libri «apocalittici» che passano per alternativi (ma a cosa?), perché l’importante è lo Spettacolo che promette e fomenta. Ma, oltre che merce, è anche diventata una tecnologia di governo la quale, tramite la gestione manageriale della paura, consente di paralizzare la popolazione relegandola a mera spettatrice impotente della catastrofe. D’altra parte al governo neoliberale non serve produrla in prima persona, gli è sufficiente agire sui suoi effetti. Guardatevi attorno… Anche se sarebbe un errore pensare che non abbia alcun ruolo nella distruzione, basti pensare a un Bolsonaro e alla sprezzo con il quale il suo governo e le imprese che ci lucrano sopra stanno devastando coscientemente l’Amazzonia.
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Covid-19 come sintomo: note sulla produzione di un virus
di Fabio Vighi*
Comprensibilmente in questi giorni si parla molto dei sintomi del Covid-19 (tosse secca, febbre alta, ecc.). Si discute invece molto meno del virus come sintomo. Diciamo allora che per intervenire sui sintomi del virus occorre non solo avere conoscenze scientifiche mirate, ma anche mettere in atto una riflessione seria sulle cause strutturali del suo scatenamento globale e, con queste, delle possibilità di cambiamento che l’emergenza, almeno teoricamente, ci dischiude. Se l’informazione mainstream, interessata innanzitutto a produrre panico, si concentra sul tema del contenimento dell’epidemia e delle sue conseguenze psicologiche, sociali e economiche (evidentemente non si parla d’altro che di gestione del fronte emergenziale), riflettere sulle cause può portare a una serie di considerazioni tutt’altro che secondarie.
L’ipotesi più accreditata è che, per quanto non si possa dire con precisione dove e in quali circostanze, la gestazione del Covid-19 sia avvenuta a margine di processi produttivi invasivi di tipo agro-industriale. Come sottolineato dal biologo evoluzionista Rob Wallace,1 i luoghi d’origine dei coronavirus (Mers e Sars) e di patogeni simili come l’Ebola, sono quelli di un’industria agro-economica sempre più aggressiva, che devasta interi ecosistemi mettendo in esplosiva relazione tra loro animali privati del loro habitat, allevamenti intensivi di bestiame, e periferie urbane a alta densità abitativa e scadenti condizioni igienico-sanitarie. In termini tecnici, si tratta di malattie zoonotiche, ovvero trasmesse, direttamente o indirettamente, dagli animali all’essere umano. Non per nulla molti di questi virus portano il nome di animali, per esempio l’aviaria, la suina o i cosiddetti arbovirus (trasmessi da artropodi, generalmente zecche o zanzare, tra cui lo Zika-virus).
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Come cambia la geopolitica del petrolio
di Demostenes Floros
Pil, Coronavirus e petrolio. Il report di Demostenes Floros per il Centro Europa Ricerche
L’esito del meeting di Vienna
Durante il meeting di Vienna del 5-6 marzo 2020, l’OPEC plus non ha raggiunto un accordo in merito alla riduzione della produzione di petrolio. Ciò ha determinato un crollo dei prezzi. Più precisamente, alla chiusura di venerdì 6 marzo, il Brent North Sea veniva scambiato a 45.5 $/b e il West Texas Intermediate a 41.55 $/b, il minimo da 3 anni a questa parte. Alla riapertura di lunedì 9 marzo, la qualità europea precipitava a 33.79 $/b, mentre quella statunitense a 30.17 $/b, il prezzo più basso da 4 anni, nel momento in cui scriviamo.
Nello specifico, la Federazione Russa, leader dei produttori non-OPEC, ha rifiutato di ratificare il piano deciso – imposto, secondo alcuni – dai produttori OPEC che prevedeva tagli per 1.500.000 b/g, di cui 500.000 b/g a carico dei non-OPEC, in aggiunta alle vigenti misure di riduzione dell’output di 2.100.000 b/g (1.700.000 b/g a carico dell’OPEC plus, + 400.000 b/g volontari dei sauditi che andranno a scadenza il 31 marzo 2020.
PIL, coronavirus e mercato petrolifero
Per quale motivo, la Federazione Russa – che a febbraio 2020 ha estratto 11.280.000 b/g, il massimo da agosto 2019 – ha preso una decisione che potrebbe teoricamente compromettere il futuro dell’OPEC plus, un organismo nato a fine 2016 sulla scia della vittoria militare russa in Siria e divenuto permanente a luglio 2019? Ad oggi, Mosca non ha forse tratto benefici da tale alleanza?
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Alla fine il mostro è alla porta
di Mike Davis
Nei prossimi giorni il virus potrebbe devastare le baraccopoli di Africa e Asia, ma il pericolo per i poveri globali è stato quasi totalmente ignorato da media e governi occidentali. Intanto negli Usa sta per abbattersi un “Katrina sanitario”. Già la “semplice” influenza stagionale del 2018 ha sovraccaricato gli ospedali dopo vent’anni di tagli: milioni di lavoratori a basso salario, precari privi di assicurazione, disoccupati e senzatetto saranno gettati ai lupi. Su quanto sta per accadere negli slum e negli Usa scrive Mike Davis, secondo il quale il principale problema resta Big Pharma che preferisce dedicarsi ai farmaci che provocano dipendenza e alle cure dell’impotenza maschile invece di favorire l’accesso ai salvavita e la ricerca. È questo il tempo per spezzare il potere del monopolio dei farmaci e quello dell’assistenza sanitaria a fini di lucro
Il Covid-19 è alla fine il mostro alla porta. Ricercatori stanno lavorando giorno e notte per identificare l’epidemia ma hanno di fronte tre grandi sfide.
Tre sfide
Innanzitutto la continua penuria o indisponibilità di kit di test ha fatto svanire ogni speranza di contenimento. Inoltre sta impedendo stime accurate di parametri chiave quali il tasso di riproduzione, la dimensione della popolazione infetta e il numero delle infezioni benigne. La conseguenza è un caos di cifre.
Ci sono, tuttavia, dati più affidabili sull’impatto del virus su certi gruppi di alcuni paesi. È molto pauroso. L’Italia, ad esempio, riferisce una percentuale impressionante del 23 per cento di morti tra i maggiori di 65 anni; in Gran Bretagna la percentuale è oggi del 18 per cento. L’”influenza corona” che Trump rifiuta, è un pericolo senza precedenti per le popolazioni geriatriche, con un potenziale pedaggio di morti dell’ordine di milioni.
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E allora le Foibe?
Alba Vastano intervista Eric Gobetti
Intervista a Eric Gobetti a cura di Alba Vastano. “La volontà dei neofascisti è quella di ignorare tutto quello che è avvenuto prima per soffermarsi solo sulle violenze commesse dai partigiani in parte nell’autunno del 1943 e soprattutto alla fine della guerra. In questo modo si finisce per identificare tutte le vittime come fasciste (cosa che non è del tutto vera) e soprattutto i fascisti solo come vittime, quando invece sono gli iniziatori della violenza in queste terre. Quello che è successo a Torino ma anche in altre occasioni e ad altri colleghi è proprio il tentativo di impedirci di parlare di storia, ovvero di far capire cosa è successo veramente prima, durante e dopo la guerra. Il loro scopo è quello di impedire che si sappia la verità, di mantenere la gente nell’ignoranza e poter diffondere comodamente i loro slogan nazionalisti che hanno ben poca attinenza con la realtà dei fatti”.
Eric Gobetti
Viviamo un tempo eccezionale, in uno Stato d’eccezione. Un tempo buio e colmo di interrogativi sul futuro dell’umanità tutta, segnata oggi da uno stato di fragilità che accomuna, che ci dovrebbe accomunare. Cosa ci lascerà in eredità questa fase storica che ci obbliga a blindare le nostre vite, la nostra socialità? Non ci è dato di conoscerlo. Nel frattempo potremmo occuparci, più che del nostro futuro, del nostro passato rivisitando la storia dei grandi conflitti del Novecento che potrebbe offrirci oggi la via maestra. Dove abbiamo sbagliato per ambizione e sete di potere? Perché si continua ancora a negare e non vogliamo ancora ammettere gli errori compiuti nel passato che hanno portato al collasso dell’umanità? Ci sono stati durante le grandi catastrofi del secolo scorso vinti e vincitori, come in ogni conflitto. Di chi le responsabilità dei fatti che hanno scatenato le guerre fra i popoli?
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Le curve, la retta e la quarantena della politica. Stare a casa non basta/1
di Militant
E’ davvero complicato provare a prendere parola collettivamente rispetto “all’emergenza coronavirus” con il clima di opinione che si è generato in questo paese. Da giorni siamo tutti letteralmente investiti da un flusso unidirezionale di informazioni da parte del circuito mediatico e da quello politico che sembra non avere fine e che sta alimentando un senso di ansia e di insicurezza diffuse che difficilmente avremmo potuto immaginare soltanto un mese fa. A questo flusso “istituzionale”, che si dirige dall’alto verso il basso, si aggiunge poi la cacofonia delle decine e decine di post, tweet, meme, appelli, video e messaggini WhatsApp che quotidianamente ognuno di noi riceve orizzontalmente dai contatti della propria “infosfera” social e che, coerenti con il mood dominante, come in un sistema di forze danno comunque come risultante quello della estrema drammatizzazione della situazione. Sia ben chiaro, non vogliamo certamente negare la serietà dell’epidemia in corso, ma non vogliamo nemmeno cedere allo storytelling della catastrofe “naturale” , e quindi “imprevedibile”, con cui si sta cercando di depoliticizzare la situazione, nascondendone le cause sistemiche e alimentando un clima da “unità nazionale” che serve soltanto a nascondere le responsabilità politiche più che a individuare come uscire da questa situazione.
E già, perché qui, di fronte a questo approccio millenaristico, fatto proprio purtroppo anche da tantissimi compagni ormai “individualizzati” tanto quanto il resto della società, la prime cose che sembrano essere state messe in quarantena sono state proprio la politica e il pensiero critico. Ci asterremo dalle considerazioni strettamente mediche, non abbiamo competenze specifiche e diffidiamo di chiunque in questi giorni abbia conseguito velocemente una laurea in medicina all’Università di Google, magari con una specializzazione in virologia su Facebook o Twitter.
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Christine La “gaffe” (!?!)
di Carlo Formenti
La prima pagina del Corriere del 13 marzo dedica alla cosiddetta “gaffe” della presidente della BCE, Christine Lagarde, uno spazio assai più contenuto di quello di altri quotidiani nazionali, a ulteriore conferma della sua linea Europa uber alles. Tuttavia, dal momento che l’uscita della cinica rappresentante degli interessi della finanza globale è stata di portata tale da suscitare, oltre a pesanti effetti depressivi sulle borse, reazioni stizzite persino da parte del tremebondo Mazzarella e del dirigente della Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, il quotidiano milanese non ha potuto esimersi dal dedicare due pagine (la 8 e la 9) alla scandalosa battuta della segaligna Lagarde (“Non siamo qui per chiudere gli spread”). Così come ha indotto il pur inossidabile europeista Federico Fubini – nel taglio basso di pagina 8 – a farsi scappare alcune verità ormai troppo evidenti per essere ignorate.
Non si è trattato di una gaffe, spiega Fubini, bensì dell’imbarazzante ammissione di quali interessi guidino certe scelte: non a caso quelle parole ricalcano alla lettera una frase di Isabel Schnabel, rappresentante tedesca nel comitato Bce; non impreparazione o lapsus dunque, bensì rigorosa applicazione dei dettami della Bundesbank. La battuta in questione rivela l’auspicio che l’Italia, in odore di recessione a causa dell’epidemia, sia prima o poi obbligata a chiedere un “salvataggio” dalla Ue, avviandosi a subire il destino della Grecia (anche se questo, naturalmente, Fubini si astiene dall’esplicitarlo). Mentre la stizza della Confindustria è un sintomo evidente della paura che la Germania (e in misura minore la Francia) colgano l’occasione per arraffare altre fette del nostro apparato produttivo e dei nostri mercati, riducendo definitivamente l’Italia allo status di semicolonia degli “imperi centrali” (a tale proposito ricordo che il direttore del Sole24Ore, qualche giorno fa, si è spinto ad affermare che se l’Europa insiste a comportarsi in un certo modo, “è giusto che l’Italia vada per conto suo”).
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