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Requiem per il Plusvalore
di Leo Essen
Secondo la legge del valore-lavoro, il valore delle merci si fonda sul lavoro speso nella loro produzione. Le merci devono essere scambiate in proporzione al lavoro in esse incorporato.
Se l’operaio fannullone della fabbrica A produce un frigorifero in 12 ore, mentre l’operaio diligente della fabbrica B produce lo stesso modello di frigorifero in 6 ore, il frigorifero A avrà un valore di 12 unità, mentre il frigorifero B avrà un valore di 6 unità. Se la legge del valore incorporato regolasse sul mercato lo scambio dei beni in modo necessario e universale, il lavoratore fannullone (oppure il capitalista al suo posto) incasserebbe il doppio del lavoratore diligente. Ma ciò contrasta con ogni fatto empiricamente osservabile. Le scelte individuali dei consumatori – le loro motivazioni psicologiche, ridotte al mero calcolo di convenienza – indirizzerebbero le domande verso l’offerta della fabbrica B, costringendo la Fabbrica A a chiudere e a licenziare il fannullone e a spostare i capitali verso la fabbrica B.
Il prodotto quotidiano di un ingegnere meccanico non ha un valore uguale, ma di gran lunga superiore a quello di un semplice operaio industriale, quantunque in entrambi sia incorporato lo stesso tempo di lavoro. Come equiparare i due lavori?
Il lavoro definisce la quantità pura nella quale si esprimono i valori di grandezza. La quantità pura misurata da una bilancia è la pesantezza, mentre i chilogrammi esprimono la grandezza (il Quanto) della pesantezza di un oggetto determinato. Allo stesso modo, il lavoro esprime la quantità pura del valore, mentre i minuti e le ore ne esprimono la grandezza. Pertanto, per commisurare il lavoro dell'ingegnere a quello dell’operaio occorre trovare la quantità pura per esprimere la grandezza nella quale il primo lavoro sta in rapporto al secondo.
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Scuola e cittadinanza sotto i colpi di autonomia e mercato
di Rossella Latempa e Giuseppe De Nicolao
Non c’è bisogno di citare Calamandrei per ricordare che cittadini non consapevoli si trasformano facilmente in sudditi. […] L’abdicazione dello Stato dal compito dell’istruzione tramite la sua trasformazione in servizio-merce, offerto sempre più tramite forme privatistiche, da parte di soggetti in competizione tra loro, in concorrenza per risorse sempre più scarse, si disvela allora nella sua essenza: un’incredibile miopia, un gesto autolesionistico di un padre che, avendo affamato i suoi figli viene da questi ucciso, uno scenario da Inferno dantesco cui non vorremmo certo dover assistere.
R. Calvano, “Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato”
“Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato” (Ediesse, 2019) è un prezioso libro di Roberta Calvano, costituzionalista presso l’Università Unitelma Sapienza, che affronta con la prosa rigorosa del diritto e lo sguardo attento al mondo della scuola, il nesso istruzione – costituzione – cittadinanza, alla luce delle vicende politiche degli ultimi decenni.
Lo spirito del libro è chiaro fin dal titolo: descrivere cosa ne è della scuola italiana e quale sembra essere il suo destino, tra i continui smottamenti di un riformismo permanente, dall’autonomia scolastica di Berlinguer alle recenti spinte del regionalismo differenziato, tutt’ora in corso[1].
Lungo i diversi capitoli, protagonista è il diritto all’istruzione, presupposto di quell’uguaglianza sostanziale che rende effettiva la dimensione politica e rappresentativa di una democrazia. A partire dal quadro costituzionale, il diritto all’istruzione è scandagliato nell’evolvere dei dispositivi legislativi nazionali e sotto le pressioni di politiche sovranazionali sempre più pervasive; infine, messo “allo specchio”, in chiusura del libro, con il suo profilo apparentemente antinomico di dovere all’istruzione, previsto dalla stessa Costituzione.
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Lezioni venezuelane
di Militant
«Vi abbiamo messo in guardia contro la retorica umanitaria degli stati capitalisti che si dichiarano pronti a venire in soccorso della Russia sovietica affamata». Così si avviava il primo numero della “Correspondance Internationale” nel lontano 1921, quando gli immediati tentativi messi in atto dalle potenze mondiali, fino a poco prima impegnate in una lotta per l’annientamento reciproco, si concentravano per sopprimere sul nascere il più grandioso tentativo rivoluzionario che la storia abbia conosciuto. Il Venezuela non è di certo la nascente Unione Sovietica – sebbene sia una delle poche esperienze rivoluzionarie che abbia tenuto alta la bandiera della sinistra di classe riuscendo a dare ancora un senso a questo lèmma – ma la fase imperialista, mutatis mutandis, è sempre la stessa.
E le ingerenze delle potenze imperialiste in paesi in cui sorge un’alternativa anticapitalista, contrabbandate a mezzo stampa per interventi umanitari (proprio come quelle a cui abbiamo assistito nel caso venezuelano, con estremi quali i tentativi di sfondamento da parte di convogli provenienti dal confine colombiano) (leggi), sono uno strumento vecchio e stravecchio, come testimonia in modo chiaro il titolo dei rivoluzionari del ’17. Una storia di lungo corso quella di questo genere di interventi “umanitari”, che se venisse ripercorsa mettendola nero su bianco, ci si potrebbe per assurdo riempire le pagine di questo blog. Ovviamente non è questo l’esercizio che a noi interessa sebbene anche la mera cronaca, talvolta, sembri esercitare effetti miracolosi sulla generale assenza di memoria storica che caratterizza il nostro secolo. Quello che ci preme ricordare adesso, invece, sono alcune delle ragioni che hanno precipitato una delle più originali esperienze del socialismo moderno in una fase di stallo e di crisi, di cui fanno parte anche, ma non solo, gli appetiti imperialistici.
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La riemersione della crisi del capitale e l'attualità del socialismo
di Domenico Moro
La crisi, iniziata con lo scoppio della bolla dei mutui subprime nel 2007 negli Usa e proseguita in Europa come crisi dei debiti sovrani, non è mai finita. Semplicemente, specie dopo il 2009, l’anno di recessione mondiale, è stata tenuta sotto controllo: il malato, cioè il sistema di produzione capitalistico, è stato sostenuto con mezzi artificiali sia in Europa sia negli Usa. Ma il problema di base, la sovraccumulazione di capitale, continua a essere presente. In sostanza, è stato accumulato troppo capitale sotto forma di mezzi di produzione affinché l’investimento possa risultare sufficientemente profittevole. Da questo tutta una serie di misure per sostenere le imprese e i profitti.
Sia negli Usa sia in Europa negli ultimi anni le banche centrali hanno sostenuto il sistema economico pompandovi miliari di dollari e di euro. Recentemente in una intervista al Sole24ore Massimo Rostagno, direttore generale della politica monetaria della Bce, ha riconosciuto che “senza le misure di liquidità della Bce l’eurozona sarebbe già in recessione”. Rostagno aggiunge che “i tassi Bce rimarranno ai livelli attuali o anche più bassi dei livelli attuali, finché l’inflazione prevista non raggiunga livelli sufficientemente vicini anche se inferiori al 2%” e riconosce che il calo dello spread italiano negli ultimi tre mesi di 110 punti base dipende “in parte dalla politica monetaria più espansiva” praticata dalla Bce. Infatti, a settembre la Bce ha ripreso a iniettare denaro nel sistema economico (Quantitative easing) e ha tagliato i tassi d’interesse al livello record di -0,5%, malgrado il voto contrario di sette membri su 25 del board della banca.
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Capitali europei, la festa Usa è finita
di Claudio Conti
Con un articolo in calce di Guido Salerno Aletta
Qualche giorno fa “i falchi” del sistema finanziario europeo – Jens Weidmann, presidente di BundesBank; Oliver Bate, ceo di Allianz; Francois Villeroy de Galhau, governatore di Banque de France; Klaas Knot, pari grado di quella olandese – hanno attaccato pubblicamente Mario Draghi, presidente uscente della Bce, per la sua politica di tassi “eccessivamente accomodanti” e il recente rilancio del quantitative easing (acquisto di titoli di stato sul mercato, per 20 miliardi al mese).
Un fatto inconsueto, che rivela un “malessere” di lunga durata, esploso solo ora che “l’italiano” se ne va e sta per subentrare Chistine Lagarde, notoriamente molto più “sensibile” ai richiami di alcuni di questi poteri.
Più o meno negli stessi giorni, Donald Trump tuonava contro il suo governatore della banca centrale – Jerome Powell, alla testa della Federal Reserve – per aver seguito negli ultimi anni una politica monetaria diversa, se non opposta, rialzando per qualche tempo i tassi di interesse.
Siccome a questi livelli del potere non si discute della migliore teoria economica, ma di vantaggi, sarà meglio dare un’occhiata ai dati sui movimenti di capitali speculativi (quelli alla ricerca dei migliori rendimenti).
La consueta impietosa analisi di Guido Salerno Aletta su Milano Finanza chiarisce efficacemente cos’è accaduto nell’ultimo decennio post-crisi del 2007-2008.
E ci spiega che i capitali europei si sono riversati in quantità crescente verso il mercato Usa proprio perché garantiva tassi di interesse superiori a quelli europei, da tempo fermi a zero.
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Il Green New Deal e l’ecologismo di Stato
La trappola della sostenibilità
di Costantino Ragusa*
Negli ultimi anni abbiamo visto un cambiamento e una trasformazione radicale all’interno dei sistemi economici più avanzati, non solo al Nord, ma anche in tanti paesi del “Sud del mondo”. Questo cambiamento non è stato solo nel loro modo di procedere ma piuttosto in un continuo livellamento e aggiustamento della loro propaganda per giustificare lo sfruttamento e la depredazione continua del pianeta.
Da una parte l’industria, anche quella tra le più inquinanti al mondo, si è rifatta un’immagine sostenibile con politiche verdi. Un esempio tra i più significativi è stato il proporre di contrastare il cambiamento climatico con lo scambio e la compravendita di emissioni di CO2. Dall’altra parte proliferano nuovi ambientalismi impegnati a cogestire con i poteri dello stato il mantenimento degli stessi livelli di sfruttamento della natura: siano questi di natura chimica, genetica o altro.
Più recentemente si sta diffondendo un ambientalismo internazionale, come quello ispirato alla giovane svedese Greta Thunberg con il nome di Friday for Future accolto e cullato favorevolmente in ogni dove: dalle piazze al Vaticano, per arrivare fino a Davos. Un ambientalismo senza contenuto e soprattutto senza più nessuna conflittualità, senza una controparte con delle responsabilità precise: soltanto la denuncia di gravi problemi ambientali che si trasformano in emozioni collettive, come se bastasse prendere coscienza di un qualcosa per far sì che questo cambi.
Se fino a qualche anno fa la propaganda in difesa della natura portata avanti dal sistema industriale era quasi solo una retorica traballante, in tempi recenti siamo di fronte alla nascita di una vera e propria impresa: tutte le industrie, soprattutto quelle più inquinanti e nocive, hanno al proprio interno dipartimenti specifici su tematiche ambientali.
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Il governo Conte-bis è da combattere da subito, senza sconti
Il cuneo rosso - Gcr (Gruppo comunista rivoluzionario)
Pagine marxiste
Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Pubblichiamo di seguito una presa di posizione sul nuovo governo PD-5 stelle, che prende le mosse dalla crisi del precedente governo Lega-5 stelle e si concentra in particolare sui temi della fiscalita’ e del salario. Il testo e’ stato distribuito all’assemblea indetta dal Si-Cobas a Napoli lo scorso 29 settembre. Scopo dell’assemblea era organizzare lo sciopero del sindacalismo di base il prossimo 25 ottobre e la manifestazione contro l’attuale governo a Roma il giorno successivo. A questo link un resoconto dell’assemblea
La fine del governo Lega-Cinquestelle e la sua sostituzione con il Conte-bis Pd-Cinquestelle danno la misura di quanto è complicato per i capitalisti italiani trovare una sintesi dei propri interessi, e rappresentanti politici adeguati a tutelarli. Nonostante ciò, abbiamo di fronte un nuovo governo dei padroni intenzionato a servire con la massima cura il sistema delle grandi imprese e a consolidare il carattere sempre più autoritario della Terza Repubblica. Un governo fragile ma insidioso, da combattere subito, senza sconti. La momentanea estromissione della Lega di Salvini non deve ingannare. Invece, in quel po’ di movimento che è stato in campo contro il precedente governo, c’è più di un’esitazione ad agire. Tra i lavoratori c’è molta confusione, e forse anche qualche attesa. Per chi come noi punta tutto sulla ripresa dell’azione autonoma della classe lavoratrice e sullo sviluppo dei movimenti sociali in senso anti-capitalista e internazionalista, il quadro si è di certo complicato. Tuttavia le contraddizioni di fondo sono lì, pronte ad esplodere, senza preavviso. Se si ha chiaro dove siamo e dove stiamo andando, spazi e temi d’intervento non mancano.
Proviamo a vederlo, rispondendo a tre questioni:
- perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?
- che tipo di governo è il Conte-2?
- che fare in questo nuovo contesto politico?
Perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?
Se dicessimo: è caduto per le proteste di piazza, ci lusingheremmo. Certo, le proteste di piazza non sono mancate, da Ventimiglia a Roma-27 ottobre (manifestazione del SI Cobas contro il decreto sicurezza), dalle lotte No Tav alla calda Verona di Non-una-di-meno. Ne siamo stati parte, e le rivendichiamo in pieno.
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Oltre il "breveperiodismo", promuovere innovazioni attraverso l'intervento pubblico
Marco Palazzotto intervista Guglielmo Forges Davanzati
Guglielmo Forges Davanzati (Napoli, 1967) è professore associato di Economia Politica presso l’Università del Salento, e titolare degli insegnamenti di Macroeconomia e di Economia del Lavoro presso la medesima sede. Si occupa di teorie postkeynesiane della distribuzione del reddito, della crisi italiana e dei divari regionali, di Storia delle teorie economiche. Fra le sue più recenti pubblicazioni si segnalano le monografie Ethical codes and income distribution: A study of John Bates Clark and Thorstein Veblen (London: Routledge, 2006) e Credito, produzione, occupazione: Marx e l’istituzionalismo (Roma: Carocci, 2011).
* * * *
Non possiamo evitare di parlare della situazione italiana e in particolare del governo appena nato. Anche Liberi e Uguali è entrato nell’esecutivo. Da più parti si plaude a questa nuova formazione (ad esempio i tre grandi sindacati confederali). Tale ottimismo è basato sull’ipotesi che ci sarà maggiore attenzione alle politiche sociali. Sicuramente c’è una diversità tra il precedente Conte e l’attuale. Ma le premesse non sembrano indicare una significativa svolta. Lei cosa ne pensa?
Dal mio punto di vista, la svolta c’è stata, è stata di una rapidità inattesa e, nelle condizioni politiche date, da salutare positivamente. L’essersi liberati dalla Lega al Governo non è cosa di poco conto. Anche alcune premesse fanno ben sperare: penso innanzitutto alla messa in discussione del progetto di autonomia differenziata e anche al superamento della flat tax. E penso a ciò che ha in programma il nuovo Governo per il Mezzogiorno: mi riferisco, in particolare, al piano per il Sud recentemente annunciato, con incrementi di investimenti pubblici, del tutto in linea con le raccomandazioni contenute negli ultimi rapporti SVIMEZ.
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Crisi economica, scontro geopolitico, populismo e classe
di Citystrike
La crisi economica assume le caratteristiche di una crisi finanziaria perenne. Ma non comincia 10 anni fa. Le sue cause dipendono dalle contraddizioni a livello globale emerse già negli anni '70
L’ultimo libro di Raffaele Sciortino, “I dieci anni che sconvolsero il mondo”, Asterios Editore, 2019, è uno di quei testi importanti che meritano, oltre che una lettura attenta, una analisi approfondita utile a mettere a fuoco un groviglio di questioni, di per sé non risolte e ancora in grado di rideterminare il nostro presente e il nostro futuro immediato. Seguiamo allora per punti il ragionamento dell’autore.
Natura della crisi
E’ opinione abbastanza comune, per lo meno agli analisti marxisti, che la crisi economica globale non cominci nel 2008 con lo scoppio della bolla finanziaria e il fallimento di Lehman Brothers, ma risalga, almeno per le sue cause profonde, agli anni ‘70(1). Questo dato non è così scontato, per lo meno se facciamo riferimento alle analisi del mainstream politico che affollano i giornali. Certamente, nel 2008 succede qualcosa che ha ricadute immediate sugli scenari economici dapprima negli USA per poi allargarsi all’Europa e al resto del continente, ma le condizioni per cui si arriva al crack vanno ulteriormente indagate. Si badi che non si tratta di un mero vezzo teorico: la chiarezza, in questo caso, serve per inquadrare il cuore del problema e per non trasformare una crisi sistemica in una questione contingente legata a falle nei controlli finanziari, all’avidità di pochi speculatori o agli effetti della deregolazione dovuta ad un allentamento dei controlli e al venir meno della separazione tra il mondo del credito bancario tradizionale e la finanza(2).
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La finanziaria incolore di un governo incolore
di Andrea Fumagalli
Note sul Def 2019 provando a dire “qualcosa di sinistra”
Il 30 settembre scorso il governo giallo-rosa Conte 2 ha presentato la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanzia 2020 (NaDef). Dopo mesi di dibattiti, di illazioni e di disinformazioni, abbiamo ora alcuni elementi di analisi, anche se ancora molto incompleti e generici.
La nuova compagine di governo non intende mettere in discussione la necessità di mantenere un certo rigore nei conti pubblici, in linea con i mandati europei, nonostante l’invito di Mattarella a rimodulare in senso più espansivo i parametri di stabilità. L’accoglimento più che positivo del nuovo governo da parte dell’oligarchia finanziaria e della tecnocrazia europea lo conferma. Spread in ribasso e borse in discesa nel periodo della sua formazione evidenziano questa nuova stagione, che, in realtà, tanto nuova non è. Occorre infatti ricordare che il governo precedente di matrice salviniana si pose in attrito con “i diktat europei” solo a parole.
Il faticoso parto della legge di stabilità dello scorso anno non ha portato alcuna inversione di rotta nelle politiche di austerity. L’innalzamento del rapporto deficit/Pil dall’1,7% (promesso da Renzi) al 2% è costato l’inasprimento della clausola di salvaguardia per evitare l’automatico aumento dell’Iva, che è quasi raddoppiata sino a 23,1 miliardi. A ciò si è poi aggiunta la manovrina di aggiustamento pre-estiva per evitare la procedura di infrazione di circa 5 miliardi di euro. Altro che cambio di rotta! Siamo nei fatti sulla stessa lunghezza d’onda dei governi precedenti Monti-Letta-Renzi-Gentiloni.
La stesura della nuova legge di stabilità parte quindi con una spada di Damocle di notevoli proporzioni, non ineludibile.
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La Dialettica della natura di Engels
Tra metodo e sistema, filosofia e scienza
di Eros Barone
Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.
Friedrich Engels, Dialettica della natura.
1. Significato e costruzione di una “dialettica della natura”
Per valutare il significato storico e teorico del modo in cui Engels ha esteso la dialettica dal campo delle scienze storico-sociali a quello delle scienze fisico-naturali occorre considerare nel suo significato complessivo la elaborazione teorica da lui sviluppata, che comprende la scienza, la dialettica e il materialismo, e individuare nel contempo lo sfondo storico-culturale di tale elaborazione. Né si può prescindere, per un verso, dai limiti storici inerenti allo stadio di sviluppo delle scienze che offrono ad Engels la base di appoggio per la sua costruzione di una “dialettica della natura” e, per un altro verso, dal fine che egli in generale attribuisce a tale dialettica, quindi alla funzione che essa svolge nella prospettiva del comunismo. Questo duplice aspetto è stato al centro dell’attenzione critica e della ricerca teoretica che, nell’àmbito del marxismo italiano, hanno contraddistinto i contributi forniti da Ludovico Geymonat e dalla sua scuola.
La feconda vitalità del pensiero di Geymonat nasce da una riflessione originale sul materialismo dialettico. Tale concezione, oltre ad occupare un posto centrale e prioritario nelle indagini svolte dal pensatore torinese sulla storia del pensiero filosofico e scientifico, chiarisce anche in quale senso si muova la stessa battaglia culturale condotta da Geymonat per affermare il valore conoscitivo della scienza e contrastare le molteplici forme di irrazionalismo e di “reazione romantica contro la scienza”.
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Dazi, guerra tra le monete, competizione globale
Lo stallo degli imperialismi
di Rete Dei Comunisti
C’è uno stallo tra gli imperialismi a fronte della guerra sui dazi, le monete e la competizione globale? Per sabato 26 ottobre, la Rete dei Comunisti organizza a Roma un forum di analisi e confronto su questa che appare la caratteristica inquietante dell’attuale fase storica. Il titolo del Forum indica una valutazione che merita di essere discussa: lo stallo degli imperialismi, appunto. Qui di seguito pubblichiamo il documento della Rete dei Comunisti di presentazione e convocazione del Forum del 26 ottobre
La presidenza Trump, nei suoi comportamenti apparentemente irrazionali, sta facendo emergere quale sia la reale condizione non solo dei diversi imperialismi ma, a nostro vedere, il limite dello stesso Modo di Produzione Capitalistico in questo frangente storico.
L’improvviso riemergere dei dazi, che ricorda gli scenari precedenti alla seconda guerra mondiale, la fine della centralità del dollaro e la competizione tra le monete, l’accentuazione mondiale delle diseguaglianze sociali e la dimensione globale di una recessione oggi ammessa da tutti, stanno evidenziando, senza ombra di dubbio, i limiti attuali alla crescita capitalistica dovuti alle difficoltà sempre maggiori di valorizzare la grande massa di capitale finanziario che oggi è in circolazione per il mondo.
La sconfitta dell’URSS e del campo socialista alla fine del secolo scorso, ha fatto ritenere che la storia fosse finita e che l’unico orizzonte non poteva che essere il capitalismo come compimento ultimo dei destini dell’umanità. La fine della Storia è stata, e in parte rimane, la rappresentazione ideologica egemone che intendeva chiudere con il comunismo ma soprattutto con la lotta di classe che ha percorso l’800 ed il ‘900.
Le tendenze che ora si stanno manifestando, in verità da oltre un decennio, ci dicono che le contraddizioni insite nel MPC non vengono superate, anzi si aggravano e si amplificano in modo direttamente proporzionale alla pervasività dell’economia capitalista.
Nell’ultimo trentennio, l’occidente capitalista a guida USA, ha ritenuto di avere ormai l’intero mondo a disposizione e si è lanciato nella corsa ai profitti investendo nelle aree non ancora subordinate all’economia di mercato, in modi diversi Cina, India, Russia e paesi dell’Europa dell’est, amplificando e velocizzando così il ciclo economico del capitale.
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I cavalli di Troia dello 0,01%
di Fulvio Grimaldi
Da Gesù, passando per T.I.N.A, a Greta: segui i soldi e trovi Goldman Sachs
“Noi non dovremmo mai accettare il linguaggio dei nostri nemici” (P.P.Pasolini “Petrolio”)
Giovanni Falcone: “Segui i soldi e troverai la mafia”.
Qui, seguendo i soldi che sostengono, propagano e pubblicizzano l’ondata ecogretista, troveremo Soros, NED, Amnesty, Goldman Sachs & Co. Ma di questo dopo, al capitolo “Segui Greta e trovi Paperone”.
Torno in pista dopo quasi un mese di assenza impostami dalla rottura del hard disk del mio computer con relativa perdita di tutti i dati. Rimedio alla bell’e meglio perché il recupero dati per ora non è ancora riuscito. Comunque, ben trovati!
Giuramento ecologista
Metto subito le mani avanti rispetto a chi, e sono turbe smisurate, mi salterebbe addosso non appena mettessi in dubbio – e lo farò, ah, se lo farò! – il verbo del culto di Greta e dei suoi seguaci. Follower, come dicono gli aggiornati (che non distinguono il singolare inglese dal plurale), che si contano a milioni e sono tutti belli, forti, fichi, biondi, con gli occhi azzurri e popolano quartieri perbene, parlamenti, governi, consigli d’amministrazione e redazioni affiliate. E ricordo a tutti che da decenni mi occupo di ambiente, nel senso che combatto chi lo invade, disturba, sconvolge, sporca, avvelena e ne massacra gli abitanti (allora, secolo scorso, si poteva). Tanto che, tra l’altro, per tre lustri, prima al TG1 e poi al TG3, ero il riferimento mediatico delle migliori associazioni ambientaliste italiane e perfino del, dai devastatori oggi tolto di mezzo, Corpo Nazionale della Guardia Forestale. E anche da inviato di guerra mi sono premurato – cosa del tutto anomala per i colleghi del settore – di evidenziare come bruciare petrolio e spargere chimica bombarola per distruggere popoli e paesi costituisca un’impronta ecologica più disastrosa di quella di ciminiere, marmitte, caldaie e allevamenti. Ma di questo né Greta, né i suoi infervorati chierici parlano.
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Il fiato corto delle politiche monetarie di fronte alla recessione globale
A.De Nicola e B.Quattrocchi intervistano Christian Marazzi
L’ombra della recessione torna a minacciare l’economia globale: spuntate le armi con cui si è affrontata la crisi poco più di dieci anni fa, il dibattito attorno a nuove misure economiche può forse aprire inediti terreni di rivendicazione per le lotte sociali
Dopo poco più di dieci anni dalla crisi globale ritorna l’ombra della recessione. Se di nuova crisi, forse, si potrà parlare, non potrà che avere, ovviamente, altre caratteristiche. Sul piano dei mercati finanziari diversi indicatori sembrano annunciarla. Alcuni osservatori sembrano preoccuparsi dell’inversione della curva dei rendimenti tra titoli a breve e a medio lungo-periodo: un dato che segnala le aspettative negative degli operatori finanziari sul futuro dell’economia. Cosa ne pensi e cosa sta accadendo nei mercati finanziari?
La questione della recessione, della sua previsione, pone alcuni interrogativi che vanno al nocciolo di quanto sta accadendo. Teniamo conto che di forte rischio di recessione si parla già dalla fine dell’anno scorso. Si è concluso il 2018 con questo interrogativo: come andrà il futuro dell’economia? Soprattutto perché, a seguito dell’aumento dei tassi della FED, c’erano stati disordini nei mercati finanziari.
Anche per quanto riguarda la questione dell’inversione della curva dei rendimenti – che certamente, dal punto di vista storico, è un segnale premonitore dell’inizio di una recessione – non è in assoluto una novità, perché già mesi fa si andava in quella direzione. Il problema, casomai, è che adesso l’inversione delle curve dei rendimenti riguarda gli USA, mentre prima riguardava i paesi europei.
Più in generale, anche la possibilità stessa di fare previsioni lascia un po’ perplessi. Bisogna tener conto che l’economia americana da 122 mesi è in fase espansiva e credo che sia di nuovo corretto parlare di una sorta di “grande moderazione” – come quella che si era imposta prima del 2008.
Cosa vuol dire tutto questo? Che le fasi espansive sono più lunghe e che minore è la frequenza delle recessioni. Però, quando queste avvengono, sono molto violente. Dunque, se ci sarà una recessione nei prossimi mesi, sarà devastante.
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Totalitarismo e comunismo. Ancora sulla risoluzione del Parlamento europeo
di Salvatore Tinè
C'è un passo della risoluzione sulla memoria storica, approvata dal Parlamento europeo il 20 settembre 2019 che non dovrebbe sfuggire ed è il seguente: "L'integrazione europea è stata una risposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista, che ha portato all'Olocausto, e all'espansione dei regimi comunisti totalitari e antidemocratici nell'Europa centrale e orientale, nonché un mezzo per superare profonde divisioni e ostilità in Europa attraverso la cooperazione e l'integrazione, ponendo fine alle guerre e garantendo la democrazia sul continente".
Perciò, prosegue il documento "per i paesi europei che hanno sofferto a causa dell'occupazione sovietica e delle dittature comuniste l'allargamento dell'UE, iniziato nel 2004, rappresenta un ritorno alla famiglia europea alla quale appartengono". Pur inserito all'interno di un testo pieno di vere e proprie falsità storiche, come quella secondo la quale la II guerra mondiale sarebbe scoppiata per responsabilità anche dell'Urss, non si può negare che questo brano contenga una verità storica profonda intorno alla costitutiva, originaria natura politica dell'integrazione europea, corrispondente alle finalità antisovietiche e anticomuniste delle classi dirigenti europee che ne furono le promotrici. Non a caso il richiamo alle originarie motivazioni della nascita dell'Europa unita viene espresso a proposito del suo odierno allargamento ad alcuni dei paesi già appartenenti al blocco sovietico, funzionale alla strategia di vero e proprio accerchiamento della Russia congiuntamente condotta da UE e NATO, la cui inscindibilità è in questo senso dichiarata e apertamente rivendicata: "alla luce della loro adesione all'UE e alla NATO i paesi dell'Europa centrale e orientale" sono tornati "alla famiglia europea di paesi democratici liberi".
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Commento al dibattito Blanchard-Brancaccio
di Annalisa Rosselli*
Crisi e rivoluzioni della teoria e della politica economica: un simposio
Abstract: Il dibattito tra Blanchard e Brancaccio suscita due riflessioni. La prima è relativa alla possibile alleanza tra economisti che appartengono a tradizioni culturali diverse per promuovere misure forti di rilancio dell’economia e di diminuzione della disuguaglianza per evitare conseguenze che potrebbero sconvolgere le nostre democrazie. La seconda riflessione riguarda la rarità di dibattiti tra economisti mainstream e non. Numerosi studi evidenziano che la professione di economista è oggi fortemente gerarchizzata, con uno stretto controllo su quello che è ritenuto ammissibile dal punto di vista del metodo, del campo di studio, dello strumento della diffusione dei risultati. La mancanza di pluralismo è una caratteristica unica dell’economia tra le scienze sociali.
* * * *
Cosa hanno in comune due economisti come Emiliano Brancaccio e Olivier Blanchard, aldilà della stessa origine europea? Apparentemente molto poco. Li separano gli anni di un’intera generazione, un oceano, diversità di formazione, idee e potere. Blanchard si è formato nella tradizione del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Solow e Modigliani, che ha creato il mainstream della macroeconomia del ventesimo secolo mantenendo una democratica attenzione per il problema della disoccupazione e una fiducia nella necessità e possibilità di intervenire a correggere i più clamorosi fallimenti del mercato. La tradizione culturale di Brancaccio è invece quella che è stata avviata più di mezzo secolo fa dagli italiani a Cambridge (UK) e che sopravvive in molte diverse versioni nelle riserve di alcuni dipartimenti del nostro paese, sfuggendo all’omologazione con il modello di importazione USA prevalente. È una tradizione che non ha espulso la storia – dei fatti e delle idee – dagli studi economici, che ha il coraggio di sfidare il pensiero dominante di cui non si stanca di mettere in rilievo i bias ideologici e che persegue la ricerca di un “paradigma economico alternativo” ( Blanchard e Brancaccio, 2019, p. 9).
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Scuola, nessuna discontinuità. Il nuovo governo procede col pilota automatico
di Giovanni Carosotti e Rossella Latempa
A dispetto della “discontinuità” dichiarata dal nuovo esecutivo, sulla scuola sembra si voglia procedere col pilota automatico, portando a compimento un disegno di riforma di lunga incubazione, che il governo Renzi ha avuto il merito di rendere complessivamente riconoscibile nella sua coerenza. La pubblicistica recente in tema di istruzione riporta all’attualità temi e contenuti tipici della”cultura della Buona Scuola”, vagamente riverniciati, con l’intento sottile (almeno per chi non lo sappia intendere) di convincere in merito al carattere progressista delle spinte riformatrici, contraddicendo i più elementari principi di realtà. Leggiamo dunque della necessità di attuare nuove “metodologie didattiche delle non cognitive skills“, di superare “una visione solo cognitiva dell’apprendimento“, dell’esigenza di una “didattica innovativa” che “contrasti la disaffezione nei confronti della scuola” e combatta la “povertà educativa“. Si tratta di strategie retoriche, persuasive e comunicative ampiamente riconoscibili, usuali da parte di una certa sinistra “neoliberista”, decisa a mostrare come interventi regressivi, per esempio il Jobs Act, siano di effettivamente di sinistra. Ma per scardinare definitivamente ciò che resta della scuola democratica, della sua organizzazione, delle sue finalità formative e delle sue fondamenta politico-civili, ecco che è necessario superare definitivamente la resistenza degli insegnanti: quanto meno di quelli che il Miur definiva in un rapporto del 2017 “professionisti di vecchia data ancora convinti che il titolo di studio non solo serva, ma sia un valore”.
Nuovo esecutivo, nuova politica: nel segno della discontinuità. Questo lo slogan con cui, dall’inizio della crisi estiva ad oggi, il nuovo governo chiede legittimazione di fronte all’opinione pubblica.
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Vi ricordate di Piazza Fontana? Fu «Strage di stato»
di db – cioè Daniele Barbieri
Propongo una lettura (30 minuti circa) da portare in scena
Brevissima premessa
Per i 50 anni dalla strage di Piazza Fontana i megafoni dei Palazzi ci sommergeranno di vecchie e nuove bugie. A me pare importante ri-dire le verità scomode. Per questo ho preparato una lettura cercando in 30 minuti di riassumere i perché delle bombe e accennando alle lezioni da trarne sull’oggi. Soltanto 30 minuti perché spero che poi venga voglia di discuterne… Domenica ho fatto la “prima” a Imola: chi c’era dice che funziona e mi incoraggia a replicare. Dunque se la cosa interessa… e se esistono un contesto e un luogo e un adatti… contattatemi: in coda trovate le info utili. Se qualcuna/o fosse interessato ma dicesse «a che titolo ‘sto tipo vuol parlare di una storia così complessa?» rispondo: feci parte del collettivo che scrisse la controinchiesta «La strage di Stato» e poi da solo, nel ’75 , pubblicai «Agenda nera» cioè una breve storia del neofascismo italiano; per questo mi sento se non un “esperto” (bah) comunque un testimone.
Attenzione: qui sotto dove trovate […] significa che sto ancora ritoccando il testo, in cerca di una migliore sintesi.
* * * *
Il 12 dicembre 1969 è un venerdì, giorno in cui le banche sono più affollate del solito.
A Milano nella Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana la bomba scoppia alle 16,37: ci sono 17 morti (14 sul colpo) ma anche 87 feriti. Alcuni resteranno mutilati per sempre: vite distrutte eppure di loro non si è parlato quasi mai.
Ma c’è una diciottesima vittima legata a quell’infame strage. Morirà in questura a Milano pochi minuti prima della mezzanotte del 15 dicembre (o forse pochi minuti dopo la mezzanotte… sono versioni differenti ma importanti per giustificare che se ne occupi un altro giudice, quello che entra in turno alle ore 24).
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Una nuova economia a emissioni zero
di Andrea Roventini
Vietare le attività inquinanti, incentivare politiche pubbliche ambientali, predisporre strumenti finanziari per l'innovazione ecologica. Tre passi per cambiare paradigma
Quest’estate le conseguenze del riscaldamento climatico hanno spesso occupato le prime pagine dei giornali e le discussioni sui social network. Non solo per gli incendi che hanno piagato la foresta Amazzonica, ma anche per quelli che hanno bruciato la Siberia, le eccezionali ondate di caldo che si sono registrate in città come Parigi, con punte vicine ai 45° C, o in Australia e India con temperature sopra i 50° C, e per finire l’uragano Dorian che ha portato distruzioni nei Caraibi e negli Stati uniti sudorientali.
Tuttavia, l’impatto del cambiamento climatico non porta solo a un aumento delle temperature e a un’intensificazione degli eventi estremi (ondate di calore, tropicalizzazione dei temporali), ma aumenta anche la variabilità climatica. L’instabilità climatica implica, come nel Trono di Spade, che l’inverno può arrivare inaspettatamente, con conseguenze devastanti per la produzione agricola. Di fronte a questi fenomeni, è farsesco che certi giornalisti o politici minimizzino i rischi del cambiamento climatico per le temperature rigide che si registrano in alcuni giorno dell’inverno in Italia o negli Stati uniti. Le proiezioni all’anno 2100 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente indicano che se non combatteremo efficacemente il riscaldamento climatico, tutta l’Europa sperimenterà forti aumenti delle temperature, ma l’area mediterranea sarà colpita da periodi estremi di siccità, mentre le precipitazioni si intensificheranno nelle regioni centrali e orientali.
Purtroppo, in mancanza di interventi tempestivi, il peggio deve ancora avvenire. Lo scorso anno, un articolo pubblicato su Pnas, uno tra i più influenti giornali scientifici insieme a Science e Nature, ha avuto un forte impatto mediatico avvertendo che siamo vicini a un punto di non ritorno per il nostro Pianeta.
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Who is the Subject of Human Future?
di Andrea Cengia
In un articolo del 2004 Jacques Ranciere si chiedeva: «Who Is the Subject of the Rights of Man»[i]? Mi è venuto in mente quell’articolo pensando alla mobilitazione globale che il 27 settembre scorso ha portato a manifestare milioni di giovani in varie località del mondo[ii]. Va detto da subito che l’entità delle forze umane messe in campo è così significativa da non poter essere sottovalutata. Anzi essa rappresenta un auspicabile punto di partenza per un coinvolgimento delle giovani generazioni nei giganteschi problemi politici che attraversano il pianeta. Ed è su questo ultimo aspetto, ossia sulla dimensione politica della manifestazione, che ritengo occorra iniziare a riflettere. Queste poche righe non hanno l’ambizione di contenere un’ analisi strutturata del fenomeno, ma vorrebbero contribuire a delineare alcuni aspetti di questo processo, al fine di identificarne con maggiore precisioni limiti e possibilità.
Il punto sul quale credo occorra focalizzare l’attenzione è uno dei passaggi del discorso di Greta Thunberg nel quale l’attivista svedese, ha affermato che il futuro «was sold so that a small number of people could make unimaginable amounts of money. It was stolen from us every time you said that the sky was the limit, and that you only live once»[iii]. Si tratta di concetti che Greta aveva avuto modo di esprimere anche nel discorso al Senato italiano il 18 aprile 2019: «ci avete rubato il futuro»[iv]. E qui torna in mente Ranciere. Parafrasando il titolo di quell’articolo, credo che occorra chiedersi a chi si riferiscano i discorsi di Greta e di questa ondata ecologista quando evocano la dimensione collettiva del “noi”. Quindi: chi è il soggetto ‘noi’ dei Fridays for future? Sembra abbastanza chiaro che ad una prima considerazione il “noi” qui evocato si riferisca ad una dimensione generazionale: i giovani contro gli adulti, la società del futuro contro la società del presente, i giovani cittadini contro le élite politiche nazionali e internazionali.
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Scissioni e declino dei partiti politici: un problema di exit e voice?
di Eugenio Levi e Maurizio Franzini
L’uscita dal PD di Matteo Renzi e di un consistente drappello di parlamentari per far nascere Italia Viva ha, inevitabilmente, catturato nelle scorse settimane una speciale attenzione. Le caratteristiche personali dell’ex-presidente del Consiglio sono state spesso invocate per spiegare questa scelta scissionista. Non è certo il caso di negare che le caratteristiche personali contano, ma il fenomeno non è certo originale e, soprattutto, le sue cause sono complesse ed è difficile comprenderle senza affrontare il tema del declino dei partiti come organizzazioni politiche. Scopo di queste note è fornire una chiave di lettura del declino dei partiti e delle loro sempre più frequenti scissioni utilizzando le categorie di exit e voice, introdotte da Albert Hirschman e utilizzate proprio per spiegare il declino delle organizzazioni (A. Hirschman, Exit, voice and Loyalty, 1971).
Come è ben noto, secondo Hirschman se l’organizzazione non funziona in modo soddisfacente chi ne fa parte o utilizza i suoi servizi ha sostanzialmente due opzioni per manifestare la propria insoddisfazione. La prima è l’exit, cioè uscire dall’organizzazione cercando altrove quello che l’organizzazione non è in grado di offrire. Nei partiti politici, l’exit si traduce, anzitutto, nella riduzione del numero degli iscritti e dei voti, ma anche in vere e proprie scissioni come quella di Italia Viva, che rappresentano forme più organizzate di exit. L’altra opzione, la voice, racchiude tutte le possibili forme di protesta propositiva indirizzate a segnalare uno stato di insoddisfazione e a suggerire ai dirigenti come ritornare sulla “retta via”. Fra queste annoveriamo la dialettica fra maggioranza e minoranza negli organismi dirigenti del partito e la protesta degli iscritti veicolata attraverso le strutture locali.
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La riscrittura dei fatti e la realtà della storia
A proposito della mozione votata a Bruxelles
di Alexander Höbel
1. La mozione “sull’importanza della memoria” (un titolo davvero beffardo!) approvata dal Parlamento europeo coi voti di gran parte dell’emiciclo (compresi quasi tutti i rappresentanti del Pd, tra cui quel Giuliano Pisapia che come "criminali" comunisti contribuimmo a eleggere alla Camera nelle liste del Prc) costituisce un documento di estrema gravità, il cui significato non può essere sottovalutato.
Di fatto, nell’anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, nella quale la barbarie nazifascista fu battuta anche e soprattutto grazie al contributo decisivo dell’Unione Sovietica, coi suoi circa 25 milioni di caduti e pagine epiche come la resistenza dei leningradesi a 900 giorni di assedio o la vittoria di Stalingrado, si anticipa la data di inizio del conflitto, che viene fissata al patto Molotov-Ribbentrop anziché all'aggressione tedesca contro la Polonia, il 1° settembre 1939 (solo dopo 16 giorni, l’Urss penetrò a sua volta in territorio polacco, evidentemente a scopo difensivo, ossia in reazione all’attacco hitleriano, che imponeva – può essere duro dirlo, ma è la concreta realtà storica – di non lasciare che le truppe tedesche dilagassero in tutta la Polonia giungendo ai confini dell’Urss, il che peraltro aveva costituito uno dei motivi del patto Molotov-Ribbentrop). Questa modifica della data di inizio del conflitto costituisce ovviamente un atto del tutto arbitrario, una vera e propria riscrittura della realtà di stampo orwelliano.
Ma se proprio dovessimo anticipare l’inizio della guerra a prima dell’avvio delle operazioni militari, allora perché non fissarne l'inizio alla Conferenza di Monaco del 1938 dove Gran Bretagna e Francia lasciarono mano libera a Hitler? O magari farla coincidere con l'Anschluss tedesco dell'Austria? O con l’annessione hitleriana dei Sudeti?
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Althusser: l'innocenza dell'avvenire
di Leo Essen
Nel febbraio del 1968 Louis Althusser partecipa al seminario di Jean Hyppolite con una comunicazione sul rapporto tra Hegel e Marx. I punti intorno ai quali ruota il suo discorso sono tre: 1) la lettura di Hegel (umanista) fatta da Feuerbach; 2) l'anti-umanesimo della dialettica di Hegel; 3) la teleologia della dialettica hegeliana.
Feuerbach ha avuto una grande influenza sui giovani radicali hegeliani. Li salvò dalle contraddizioni insolubili nelle quali erano immersi, fornendo loro una teoria dell’alienazione dell’uomo. Questa teoria ha avuto molto successo. Lukács la innestò sulle analisi sociologiche di Weber; e tale arrivò, tramite la Scuola di Francoforte, siano ad oggi.
Nell’Essenza del Cristianesimo, Feuerbach, dice Althusser, realizzò lo sforzo prodigioso di mettere fine alla filosofia classica tedesca, di buttar giù (più precisamente di «capovolgere») Hegel, l’ultimo dei filosofi, in cui si riassumeva tutta la sua storia, con un filosofia retrograda, in rapporto alla grande filosofia idealista tedesca. Con Feuerbach, dice, dal 1810 si ritornò al 1750, dal XIX secolo al XVIII secolo.
Ottenebrato dalla sua ossessione per l’Uomo e per il Concreto, Feuerbach immise in Hegel e nel suo sistema qualcosa che non c’era: l’Uomo.
Il sistema hegeliano, dice Althusser, non poggia assolutamente sull’Uomo, né sulla sua testa, né sui suoi piedi. Dunque, non si tratta di capovolgere Hegel, di riportare in Terra ciò che lui aveva messo in Cielo.
Come aveva osservato Hyppolite, dice Althusser, nulla è più estraneo al pensiero di Hegel di questa concezione antropologica della Storia. Per Hegel, dice, la Storia è certamente un processo di alienazione, ma questo processo non ha l’uomo come Soggetto.
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Tra Nietzsche e Auschwitz
di Salvatore Muscolino
Discutere di Adorno a 50 anni dalla morte significa discutere di un intellettuale decisamente fuori moda soprattutto perché la società è affetta oggi da uno specialismo sfrenato che è quanto di più lontano vi sia dall’idea che egli aveva dell’intellettuale e del sapere.
Protagonista indiscusso della prima generazione della Scuola di Francoforte, Adorno ha offerto contributi sul piano della critica musicale, su quello sociologico e filosofico che sono fondamentali per comprendere un’intera stagione della storia culturale europea ed Occidentale.
In questa occasione, la domanda alla quale vorrei provare a rispondere è se l’impianto categoriale del pensiero di Adorno sia ancora oggi valido considerato che la sua opera ha costituito e costituisce un punto di riferimento imprescindibile per tutti coloro si richiamano alla grande eredità della Teoria critica: penso a Jürgen Habermas, Albert Wellmer, Axel Honneth fino ad arrivare agli esponenti più giovani come Rahael Jaeggi.
Lo scenario nel quale viviamo oggi è quello della cosiddetta postmodernità e quindi per una valutazione d'insieme del pensiero di Adorno è necessario interrogarsi su come egli si collochi rispetto a questo orizzonte culturale. Ad uno sguardo complessivo, credo che non sia azzardato considerare l’intera riflessione adorniana come un chiaro esempio del carattere “tragico” del pensiero filosofico dopo Nietzsche. È Nietzsche infatti il campione di quel “pensiero negativo” che attaccando la soggettività moderna e rifiutando qualsiasi mediazione razionale tra pensiero e mondo ha portato il logos filosofico ad esaurimento riducendolo sostanzialmente a “volontà di potenza”. Se il problema della filosofia contemporanea è il nichilismo, Nietzsche è colui che sostenendo la sconnessione di pensiero e realtà e riducendo tutto a “interpretazione” deve essere considerato il vero “profeta” della parabola del pensiero novecentesco verso il nichilismo.
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Il clima sta cambiando, i rapporti di sfruttamento no
di Enzo Pellegrin
Se mai ce ne fosse bisogno, le manifestazioni "istituzionali" di venerdì scorso hanno confermato un dato ambientale, sul quale gran parte del mainstream mediatico investe risorse di controllo dell'opinione da almeno venti anni. Il clima della Terra sta cambiando.
Lo confermano, in ordine di importanza: i governi più potenti del mondo, le organizzazioni governative, le cosiddette organizzazioni non governative, i governi allineati ai governi più potenti del mondo. Nel mazzo entra pure il governo italiano, il quale ha "istituzionalizzato" le manifestazioni per il clima con una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione, la quale invitava i docenti ad accettare la giustificazione di assenza per la partecipazione al "Friday for Future". Ultime ma non meno importanti, le organizzazioni dei partiti governativi e filogovernativi, le quali hanno tentato di dirigere, attraverso le loro organizzazioni giovanili, le manifestazioni di venerdì.
Che il clima, ma non solo il clima, stia andando incontro a mutamenti derivanti dall'inquinamento dei metodi di produzione e di sviluppo economico, lo avevano in precedenza detto sia la comunità scientifica internazionale, sia una serie di personaggi che alle nazioni Unite avevano più volte parlato, senza che il mainstream mediatico avesse mai dato loro la dovuta eco.
Fidel Castro Ruz, nel 2007, nella piena esplosione di quello pseudoecologismo peloso che lodava la ricerca di carburanti alternativi al petrolio derivati da vegetali e mais, ricordava che
"L'energia è concepita come qualsiasi merce…La terra e i suoi prodotti, i fiumi, le montagne, le foreste ed i boschi sono vittime di una incontenibile rapina. I beni alimentari, ovvia - mente, non sono sfuggiti a questa infernale dinamica.
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