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onofrioromanofacebook

Per il socialismo tragico

Lettera-recensione a Carlo Formenti

di Onofrio Romano

[Riportiamo la lettera-recensione di Onofrio Romano al libro di Carlo Formenti, apparsa sul suo profilo Facebook e seguita da due commenti particolarmente interessanti. ndr]

84635137 10221632960357579 4693477653330526208 nPubblico qui la mia recensione in forma di lettera all’ultimo libro di Carlo Formenti “Il socialismo è morto, viva il socialismo!” (Meltemi, 2019), già apparsa in appendice al nostro dialogo sul marxismo “Tagliare i rami secchi. Catalogo dei dogmi del marxismo da archiviare” (DeriveApprodi 2019). I libri di Formenti hanno sempre suscitato un vasto e intenso dibattito nel mondo della cultura e della politica, soprattutto a sinistra e non solo in Italia. Si ricordino in particolare i suoi saggi pionieristici sulle conseguenze sociali, economiche, culturali e politiche del digital turn. Da qualche tempo, invece, egli è oggetto di mobbing politico-culturale. Dei libri di Formenti non si parla male. Semplicemente, “non se ne deve parlare”. Più che di mobbing, si tratta di una vera e propria fatwa, poiché la posta in gioco ultima è la morte civile del reprobo. Un dispositivo fascista, che nel mio piccolo conosco molto bene, praticato in maniera ricorrente dai professionisti dell’antifascismo immaginario. Lo ha esplicitato senza troppi complimenti Marco Revelli in uno sciagurato commento su Facebook, in cui rimbrottava un suo amico per aver rotto la congiura del silenzio nei confronti di Carlo, reo – l’accusa è sempre quella – di fare il gioco dell’avversario (anzi, di essere ormai totalmente nel campo dell’avversario). Guai a concentrarsi sul merito delle idee. Io non mi rassegno a questo tritacarne. Non mi rassegno al fatto che il successo a sinistra sia direttamente proporzionale al vuoto di pensiero (sardina docet). Si può essere o meno d’accordo, ma i libri di Carlo Formenti (e di tanti reprobi come lui) sono tra le poche cose che meritano oggi di essere discusse. Buona lettura.

* * * *

Ebbene sì, caro Carlo Formenti. Il tuo libro, “Il socialismo è morto, viva il socialismo!” (Meltemi 2019), è il nuovo manifesto del partito comunista, in versione tragica. Di questo ti fai carico. Di questo dobbiamo farci carico.

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nuovadirezione

Tesi sull’Italia e il socialismo per il XXI secolo

a cura di Nuova Direzione

Documento finale approvato dall’Assemblea Nazionale di Nuova Direzione

9788883512148 0 436 707 751. Contro la mondializzazione

L’esposizione senza protezioni all’uso capitalistico della rivoluzione tecnologica e alla globalizzazione finanziaria sono fondamentali fattori distruttivi nel mondo contemporaneo. L’interconnessione non è un valore in sé. In assenza della capacità di mutuo riconoscimento delle identità storiche e degli ordinamenti istituzionali differenti ciò che resta è semplicemente competizione rivolta ad instaurare rapporti di dominazione. La modernità capitalistica, dissolvendo sistematicamente tutte le barriere, non produce autodeterminazione né emancipazione, ma dipendenza e servitù (talvolta coattiva, talaltra servitù ‘volontaria’, come nel caso italiano). Capitalismo è l’asservimento di ogni funzione sociale e antropologica al fine della riproduzione e accrescimento del capitale, mercificando ogni relazione, quali che siano le conseguenze.

La cosiddetta ‘finanziarizzazione dell’economia’ rende esplicito questo aspetto, in quanto indebolisce le componenti fisse, territoriali, della produzione, rendendo più facili gli spostamenti di capitale e con ciò il potere di ricatto dello stesso. I mercati finanziari (azionario, obbligazionario e monetario) appaiono come il motore centrale dell'accumulazione, indebolendo il potere contrattuale del lavoro, che viene marginalizzato. Fusioni, acquisizioni, outsourcing, riacquisti azionari, precarizzazioni, cartolarizzazioni, piramidi di controllo, elusione fiscale, sono fenomeni connessi che abbiamo sotto gli occhi costantemente. Il gigantismo dell’apparato finanziario, lungi dall'aiutare l'economia reale, sottrae risorse attraverso interessi e provvigioni, aumenta la concorrenza internazionale e alimenta la mobilità del capitale industriale.

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nuovadirezione

Oggi destra e sinistra sono divenute due facce del liberismo

di  Carlo Formenti

Intervento all’Assemblea nazionale di Nuova Direzione

Screenshot from 2020 02 03 09 10 54I. Sulle sinistre

Se oggi destra e sinistra sono divenute due facce del liberismo, non è perché le sinistre abbiano tradito. Questa evoluzione - certificata dalle ricerche di Thomas Piketty che dimostrano come oggi, negli Stati Uniti e in Europa, le sinistre raccolgano quasi esclusivamente i voti degli strati più elevati in termini di livelli di reddito e di educazione delle classi medie (i cosiddetti ceti medi riflessivi) – è piuttosto l’esito dei radicali processi di trasformazione che le società capitalistiche hanno subito nella fase della finanziarizzazione, globalizzazione e terziarizzazione dell’economia.

A incidere profondamente nell’antropologia degli strati sociali di cui stiamo parlando hanno contribuito, fra gli altri, fattori come i processi di scolarizzazione di massa degli anni Sessanta e Settanta, la terziarizzazione del lavoro, con l’emergenza di nuove professioni nei settori della cosiddetta economia della conoscenza e della net economy, l’immissione di larghe masse di forza lavoro femminile nel processo produttivo, i processi di deindustrializzazione, l’emergenza di valori e bisogni post materiali nelle popolazioni dei Paesi occidentali, lo spostamento dell’attenzione dei movimenti sociali dai temi della ridistribuzione economica ai temi del riconoscimento identitario.

Questi e altri fattori hanno fatto sì che al ricambio generazionale nelle file dei partiti e movimenti di sinistra si sia associato un radicale ricambio di principi e valori: dal solidarismo comunitario all’individualismo, dall’internazionalismo proletario al cosmopolitismo borghese, dall’egualitarismo alla meritocrazia, dalla rivendicazione del primato della politica sull’economia e del pubblico sul privato all’antistatalismo, dal realismo politico al moralismo.

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tempofertile

Passare tra Scilla e Cariddi, il nostro compito

di Alessandro Visalli

scilla e cariddi“Navigavamo gemendo attraverso lo stretto: da una parte era Scilla, dall’altra la chiara Cariddi cominciò orridamente a succhiare l’acqua salsa del mare. Quando la vomitava, gorgogliava tutta fremente, come su un gran fuoco un lebete: dall’alto la schiuma cadeva sulla cima di entrambi gli scogli. Ma quando succhiava l’acqua salsa del mare, tutta fremente appariva sul fondo, la roccia intorno mugghiava orridamente, di sotto appariva la terra nera di sabbia. Li prese una pallida angoscia. Noi volgemmo ad essa lo sguardo, temendo la fine, ed ecco Scilla mi prese dalla nave ben cava i sei compagni migliori per le braccia e la forza”.

Odissea, canto XII

Per passare indenni tra Scilla e Cariddi servono alcune cose: una nave, quindi un collettivo che abbia in sé il senso del viaggio, e una rotta. Ma bisogna anche capire bene cosa sia Scilla, il mostro con dodici zampe e sei teste che ci può prendere uno per uno, e nello stesso modo cosa sia Cariddi, il gorgo nel quale possiamo esser inghiottiti tutti. Dobbiamo sapere da dove veniamo, come siamo giunti qui, cosa abbiamo perso e cosa guadagnato.

 

La crisi

Tutto è partito con la crisi del modello fordista e, in modo indissolubile, della prima fase del dominio geopolitico statunitense. Una fase che si chiude con la sconfitta in Vietnam e con la crisi del dollaro-oro[1]. È in queste circostanze che tramonta il keynesismo, per quanto ‘bastardo’, e sorge l’egemonia neoliberale. Si tratta di processi lunghi e largamente interconnessi, e che si sviluppano sul piano geopolitico, economico e socio-culturale con sovrapposizioni e slittamenti[2]. La crisi egemonica si compie come intreccio di più ragioni:

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rifonda

A proposito del libro di Paolo Ferrero, operaio alla Fiat

di Maria Grazia Meriggi

083C5FDC 49A2 4D8D B6E6 50704120A919Il libro di Paolo Ferrero sul ’69[1] chiude un anno di convegni, seminari, volumi di ricerca storica anche accademica sullo stesso argomento, ma si propone esplicitamente come un testo militante, di sollecitazione politica. Il che non significa – al contrario – che non tenga conto di molte acquisizioni storiografiche e non fornisca validi elementi di conoscenza per un pubblico di potenziali lettori giovani, molto lontani da quegli eventi. Polemizza esplicitamente e con efficacia contro una lettura che più che dagli storici è stata data dalla stampa e dai media in generale: il ’68 come una ribellione culturale e di costume di studenti della piccola e media borghesia, momento festoso di modernizzazione dei costumi, nel senso delle “fratture post-mterialistiche”, il ’69 come momento novecentesco e “arcaico” di rivendicazione economica e sociale tradizionale, insidiata dalle anticipazioni della violenza degli anni ’70.

Di questa immagine caricaturale e ideologica il libro fa giustizia mettendo costantemente in luce il carattere composito socialmente dei protagonisti del ’68 studentesco come del ’69 operaio, dove entrano in campo – qui anticipiamo il discorso che seguirà – operai e operaie giovani, con una scolarità più elevata dei loro padri ma di prima immigrazione dal Sud, privi di una cultura del mestiere e di una acclimatazione agli ambienti e all’intensità dello sfruttamento del lavoro industriale. Nel “biennio rosso” alla liberazione dei corpi dal perbenismo soffocante delle famiglie praticata nel ’68 rispondeva la libertà e l’integrità dei corpi dalle costrizioni intollerabili dei ritmi e della nocività praticate nel ’69, con scambi continui fra studenti e lavoratori, resi possibili dal “lavoro alle porte” in cui si impegnarono tutti i gruppi politici in quegli anni.

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voxpopuli

Intervista al professor Franco Berardi

di Vox Populi

lenin e trockijFranco Berardi, detto Bifo, nasce a Bologna il 2 novembre del 1949. Tra i protagonisti del movimento del ’77, in particolare della sua ala creativa e fuori dalla tradizione leninista sorta intorno alla rivista A/traverso, ha partecipato attivamente all’esperienza politica di Potere Operaio.

Tra i fondatori di Radio Alice, alle fine degli anni ’70, dopo la chiusura della radio, spicca nei suoi confronti un mandato per “istigazione di odio di classe per mezzo radio”. Ripara a Parigi, dove ha modo di frequentare Felix Guattari e Michel Foucault. Tornato in Italia, ha modo di collaborare con molte riviste tra cui DeriveApprodi, alfabeta2 ed anche il giornale di Rifondazione Comunista “Liberazione”. Tra i suoi libri più importanti ricordiamo: Contro il lavoro del 1970; Mutazione e cyberpunk. Immaginario e tecnologia negli scenari di fine millennio del 1994; Neuromagma. Lavoro cognitivo e infoproduzione del 1995; Il sapiente, il mercante, il guerriero. Dal rifiuto del lavoro all’emergere del cognitariato del 2004; Dopo il futuro. Dal futurismo al cyberpunk. L’esaurimento della modernità del 2013; e Futurabilità del 2019.

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1) Hai partecipato da protagonista al movimento del ’77, durante questo periodo hai fondato la rivista A/traverso e Radio Alice. Volevo chiederti che legami hanno queste esperienze con il situazionismo e che ruolo hanno avuto nel contestare il partito leninista come forma di organizzazione della lotta del movimento comunista.

Ho letto Debord per la prima volta nel 1977, lo avevo sentito nominare, avevo qualche vaga informazione sul situazionismo anche prima, ma non era qualcosa di ben definito nella mia mente.

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nuovadirezione

Il 25 e 26 gennaio nasce Nuova Direzione

di Nuova Direzione

A Milano si costituisce Nuova Direzione. Approveremo le tesi politiche e lo statuto e decideremo insieme come avviare una serrata presenza sulla scena politica italiana. Chi ci conosce o approva le nostre idee può partecipare da subito, entrare nella discussione delle tesi ed aiutare a definire un nuovo modo di fare politica.

BANKSY E LA STREET ART NORVEGESE IN UNOPERA DI SKURKTUR 003Una Nuova Direzione. Perché?

Oltre la destra, oltre la sinistra. Per il socialismo.

Questa è la nuova direzione che il paese deve scegliere. Un socialismo tutto da inventare, integralmente nuovo. Legittimato dalle diseguaglianze, dalle crisi, dal disastro ambientale e dai rischi di guerra prodotti dal capitalismo. Un socialismo necessario anche per l’Italia, perché solo un forte intervento pubblico può far rinascere il paese e aumentarne la capacità di autodeterminazione, ma solo una gestione socialista e popolare può evitare che esso funzioni come sostegno ai grandi gruppi privati.

Un socialismo che non è un modello predeterminato, da applicare ovunque, ma la ricerca dei modi più adeguati, e quindi diversi da luogo a luogo, per limitare il potere del capitale e favorire quello dei lavoratori.

Un socialismo che, così considerato, non è affatto morto nel novecento, ma si presenta in gradi diversi e con le inevitabili contraddizioni sia nell’esperienza cinese, sia in quella sudamericana, sia nei nuovi orientamenti che sorgono in Inghilterra e negli stessi Stati Uniti. E che può ripresentarsi in Italia dimostrando di saper coniugare l’interesse delle classi subalterne e l’interesse nazionale.

 

Destra e sinistra in Italia, due facce del liberismo

Entrambe vogliono precarizzare il lavoro (salvo inventarsi adesso correttivi di facciata). Entrambe puntano sull’immigrazione, sfruttandola in modi diversi, per indebolire i lavoratori. La destra con politiche minacciose, che avvelenano la cultura del paese, ma lasciano volutamente irrisolto un problema che è fonte perpetua di voti; la sinistra con la vantata propensione all’accoglienza illimitata, che si accompagna a goffi tentativi di limitazione dei flussi.

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militant

Né sardine, né pesci in barile

di Militant

Sardine europeiste superL’istantanea migliore, a livello di analisi delle “sardine”, l’ha fornita probabilmente “La Stampa”, lo scorso 11 dicembre, vale a dire il giorno dopo la manifestazione di Torino. Il quotidiano padronale, infatti, accomunava la piazza torinese alla contemporanea iniziativa di Milano, in cui seicento sindaci accompagnavano la senatrice a vita Liliana Segre in una passeggiata in Galleria, insieme a migliaia di milanesi, per protestare contro la campagna di offese di cui, incredibilmente, era stata fatta oggetto una sopravvissuta ad Auschwitz. Le due piazze, in effetti, erano assolutamente speculari: promossa dal basso (Torino) e suggerita dall’alto (Milano) si incontravano le due facce dell’Italia “civica e civile”, nella tappa intermedia di un percorso che, nato poco più di un mese fa, avrebbe visto molte città italiane aderire ai flash-mob delle “sardine”.

E la sinistra di classe, e quelli come noi? Infastiditi, inorriditi, incuriositi, indifferenti: abbiamo manifestato, da un mese a questa parte, una gamma di atteggiamenti così vari da confermare l’inossidabile difficoltà a incontrarsi, oggi, nelle idee, prima ancora che nelle lotte e nelle vertenze. Ne deriva che la posizione di chi manifesti una lontananza totale – difficilmente eccepibile, peraltro – dalle sardine finisca quasi per essere giudicata come ‘rozza’, ‘elementare’ e ‘superficiale’, lontana – quel che è peggio – dalla necessaria complessità che caratterizza oggi la politica post-ideologica. Sgomberiamo il campo dagli equivoci: nessuna struttura della sinistra radicale rivendica una piena adesione al neonato movimento, né paiono esserci entusiasti endorsement da parte di intellettuali e testimonial di riferimento, a eccezione del compagno Erri De Luca, che avrà avuto i suoi buoni motivi. Al netto di ciò, non manifestare quantomeno interesse verso le occasionali piazze animate da pesciolini di carta e di cartone era considerato pari a rinunciare a un approccio che mischia Machiavelli e realpolitik e che oltraggia quel tempismo, quella capacità di stare con gli occhi aperti, quella propensione a cogliere l’attimo che dovrebbe caratterizzare ogni militante politico.

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vocidallestero

“È giunto il momento di chiudere la triste parentesi politica della sinistra liberale”

Dissent intervista Jean Claude Michéa

Mentre la Francia è paralizzata dalle proteste contro l’ennesima riforma di stampo neoliberale, proponiamo un’intervista al filosofo Jean Claude Michéa. Egli smaschera la sottomissione alle logiche del capitale della cosiddetta sinistra “liberale”, sensibile solo alle battaglie contro le minoranze sostenute dalla “società civile” – ma in realtà strumentalizzate dai ceti dominanti per sviare l’opinione pubblica con obiettivi sostitutivi e impedire il ritorno di una critica socialista al nuovo ordine liberale. Una sedicente sinistra cieca e sorda, quando non connivente, all’ingiustizia di classe. Questa sinistra, gonfia di pregiudizi contro le classi popolari, manifesta idee (se così si possono chiamare) che portano alla società prodotta dall’ideologia neoliberale: una società di monadi disgregate, inevitabilmente disumana. Bisogna chiudere la parentesi rappresentata da questa cosiddetta sinistra, conclude il filosofo francese, come si è chiuso con lo stalinismo

PrideDopo un articolo scritto da Michael C. Behrent sul suo pensiero, la rivista americana Dissent pubblica una lunga intervista al filosofo Jean-Claude Michéa. Questa è stata rilasciata a gennaio 2019, quando i gilet gialli celebravano i loro primi due mesi. Il governo ha iniziato a screditare il movimento e scollegarlo dalle sue basi popolari, puntando l’indice in particolare sulla presenza di “Black block” e gruppi di estrema destra ai raduni di Parigi. Mentre Michael Behrent ha deciso, con l’accordo di Michéa, di tagliare alcuni passaggi che potrebbero essere incomprensibili per i lettori americani, il nostro sito offre la traduzione completa dell’intervista. Nella prima parte, il filosofo è tornato alle sue critiche al liberalismo e alla sua difesa dei gilet gialli. In questa seconda parte, sviluppa le sue critiche alla sinistra liberale.

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Dissent – La xenofobia e l’intolleranza sono in aumento. Combattere il razzismo in questo contesto sembra più necessario che mai. Penso, ad esempio, alla critica al “privilegio bianco” molto diffusa tra i progressisti americani. Per lei, al contrario, l’antirazzismo e le lotte sociali simboleggiano tutto ciò che c’è di falso nel liberalismo culturale. Questa visione non rischia di delegittimare queste lotte in un momento in cui sembrano particolarmente necessarie?

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voxpopuli

Intervista a Carlo Formenti

di Vox Populi

carlo formenti1Carlo Formenti, sociologo, giornalista e militante della sinistra radicale nasce a Zurigo il 25 settembre del 1947. Si laurea in Scienze Politiche a Padova. Negli anni ’70 milita nel Gruppo Gramsci sorto durante la disgregazione del Partito Comunista d’Italia mentre lavora, tra il 1970 e il 1974, come operatore sindacale della Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici in cui ricopre il ruolo di responsabile per gli impiegati e i tecnici.

Dopo lo scioglimento del Gruppo Gramsci partecipa all’esperienza dell’Autonomia Operaia da cui si allontanerà progressivamente dopo la prima metà degli anni ’70.

Negli anni ’80 è caporedattore della rivista culturale Alfabeta e lavorerà per il Corriere della Sera e L’Europeo. In questo periodo pubblica libri molto interessanti come “La fine del valore d’uso” in cui analizza i mutamenti avvenuti nell’organizzazione del lavoro con l’introduzione delle nuove tecnologie. Il rapporto tra lavoro, democrazia e nuove tecnologie sarà portato avanti in “Mercanti di futuro. Utopia e crisi della Net Economy” e “Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media”. In “Felici e sfruttati. Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro” si confronta con il lavoro cognitivo e lo sfruttamento nella società post fordista, elaborando un’analisi del plusvalore nella società digitale.

Negli ultimi anni ha pubblicato numerosi libri sul populismo, una sua possibile declinazione da sinistra e l’UE come “La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo” e “Il socialismo è morto. Viva il socialismo! Dalla disfatta della sinistra al momento populista”.

Segnalo inoltre “Tagliare i rami secchi. Catalogo dei dogmi del marxismo da archiviare” in cui si confronta con la tradizione teorica marxista.

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Formenti, dalla lettura dei suoi libri mi sembra di capire che cerca di leggere i conflitti dell’attuale società con il prisma del populismo. Parla di scontro tra alto e basso. Che legami ha la sua lettura con quella offerta in merito da Ernesto Laclau, grande filosofo marxista argentino vicino al peronismo di sinistra?

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marx xxi

L'unità dei comunisti e la questione comunista

Pubblichiamo un interessante dialogo fra Alessandro Pascale, Roberto Gabriele e Paolo Pioppi

falcemartello rossoIl compagno Alessandro Pascale si è fatto interprete, in questi ultimi tempi, di sollecitazioni unitarie nei confronti di un'area che, in vario modo, si definisce comunista. La domanda che viene spontanea è questa: non è il caso di indagare meglio su come impostare la questione? È esigenza primaria quella di invocare l'unità o è preliminare portare la questione sul terreno dell'analisi e aprire un dibattito di contenuti sui processi che possono dare un fondamento solido alla questione che il compagno pone?

Noi riteniamo preliminare dare risposta su questo terreno prima di inoltrarci in discorsi unitari che, come il passato dimostra, non hanno prodotto risultati. I fallimenti dei progetti unitari hanno, a nostro parere, natura oggettiva e su questo bisogna indagare e discutere.

Da questo punto di vista due sono le questioni sul tappeto: 1) il rapporto tra crisi del movimento comunista e organizzazione comunista e 2) la natura dei gruppi che in Italia si richiamano al comunismo.

Analizziamo la prima questione. Sulla “ripresa” del movimento comunista, in Italia come altrove, pesa la crisi irreversibile che esso ha attraversato a livello mondiale negli anni '90 del secolo scorso. Illudersi che si possa andare avanti con la denuncia dei traditori e ricostruire sic et simpliciter un partito comunista, come è dimostrato da questi decenni di tentativi andati a vuoto, è un'operazione perdente, sia nella versione cosiddetta marxista-leninista che in quella dei progetti di “rifondazione”. In ambedue i casi si è trattato di ipotesi che non facevano certamente i conti con ciò che era avvenuto o stava avvenendo.

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ilpungolorosso

Il governo Conte-bis è da combattere da subito, senza sconti

Il cuneo rosso - Gcr (Gruppo comunista rivoluzionario)
Pagine marxiste
Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Pubblichiamo di seguito una presa di posizione sul nuovo governo PD-5 stelle, che prende le mosse dalla crisi del precedente governo Lega-5 stelle e si concentra in particolare sui temi della fiscalita’ e del salario. Il testo e’ stato distribuito all’assemblea indetta dal Si-Cobas a Napoli lo scorso 29 settembre. Scopo dell’assemblea era organizzare lo sciopero del sindacalismo di base il prossimo 25 ottobre e la manifestazione contro l’attuale governo a Roma il giorno successivo. A questo link un resoconto dell’assemblea

pungolo121La fine del governo Lega-Cinquestelle e la sua sostituzione con il Conte-bis Pd-Cinquestelle danno la misura di quanto è complicato per i capitalisti italiani trovare una sintesi dei propri interessi, e rappresentanti politici adeguati a tutelarli. Nonostante ciò, abbiamo di fronte un nuovo governo dei padroni intenzionato a servire con la massima cura il sistema delle grandi imprese e a consolidare il carattere sempre più autoritario della Terza Repubblica. Un governo fragile ma insidioso, da combattere subito, senza sconti. La momentanea estromissione della Lega di Salvini non deve ingannare. Invece, in quel po’ di movimento che è stato in campo contro il precedente governo, c’è più di un’esitazione ad agire. Tra i lavoratori c’è molta confusione, e forse anche qualche attesa. Per chi come noi punta tutto sulla ripresa dell’azione autonoma della classe lavoratrice e sullo sviluppo dei movimenti sociali in senso anti-capitalista e internazionalista, il quadro si è di certo complicato. Tuttavia le contraddizioni di fondo sono lì, pronte ad esplodere, senza preavviso. Se si ha chiaro dove siamo e dove stiamo andando, spazi e temi d’intervento non mancano.

Proviamo a vederlo, rispondendo a tre questioni:

  1. perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?
  2. che tipo di governo è il Conte-2?
  3. che fare in questo nuovo contesto politico?

 

Perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?

Se dicessimo: è caduto per le proteste di piazza, ci lusingheremmo. Certo, le proteste di piazza non sono mancate, da Ventimiglia a Roma-27 ottobre (manifestazione del SI Cobas contro il decreto sicurezza), dalle lotte No Tav alla calda Verona di Non-una-di-meno. Ne siamo stati parte, e le rivendichiamo in pieno.

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linterferenza

La Nuova Sinistra: scientifica, sfacciata e non ortodossa

di Filippo Albertin

13631513 1474288335930460 5061856645472659185 nLe eterogenee trasformazioni politiche, culturali e sociali che in questo ultimo quarantennio hanno accompagnato il passaggio dalla Prima Repubblica della “rappresentanza” post-bellica alla Seconda della “rappresentazione” (dominata come ovvio dal berlusconismo e dai suoi corollari), e dalla Seconda alla Terza della (per certi versi ancora più cupa) “auto-rappresentazione” (culminante nella vittoria pentastellata del 2013), presentano un fattore comune: la costante dissoluzione di un pensiero e di un’azione politicamente efficaci e nel contempo orientati a sinistra.

Non si vorrà, in questo articolo, elencare con eccessiva enfasi o accanimento i perché della lunga crisi del Socialismo (rivoluzionario o riformista che sia) nel nostro paese. Troppe sarebbero le interpretazioni, troppe le analisi, e quel che è peggio altrettanto numerose le dispute intestine e le conflittualità ad esse relative che si andrebbe a produrre o evocare. Dispute e conflittualità che oggi, con perifrasi ormai tristemente peculiari quali “la scissione dell’atomo”, hanno reso tutto ciò che orbita nella cosiddetta “sinistra radicale” tristemente celebre per la sua natura litigiosa, autoreferenziale, randagia, settaria e in ultima istanza autolesionista.

Sarà questo mio intervento a far sorgere finalmente la tanto agognata Nuova Sinistra? Logicamente no. Mi permetto però di sottolineare, non senza una vena di profondo disappunto, che a tutt’oggi nessuno, ma veramente nessuno ha mai proposto alcunché di oggettivamente innovativo e contro-intuitivo in materia di reale costruzione di ciò che in molti appellano come Socialismo del XXI Secolo.

Il movimentismo diffuso che da qualche tempo viene un po’ supinamente salutato come la salvezza e la via per la riconquista dei diritti, in realtà, esiste in mille forme e versioni ormai da decenni, senza che un bel nulla sia cambiato.

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linterferenza

L’involuzione della Sinistra dalla scienza al mito

di Norberto Fragiacomo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Worshiping the golden calfEsaurita in apparenza[1] la sua spinta propulsiva, la sinistra sedicente marxista si crogiola oggigiorno alla luce di una costellazione di miti/feticci che, interpretabili come coperte di Linus, segnalano anzitutto l’inaridirsi del metodo dialettico che Marx trasmise in eredità ai suoi successori.

Scrivendo, in una celebre lettera a Lafargue, “Quel che so per certo è che io non sono marxista” Carlo Marx intendeva sottolineare – assieme al suo ripudio del dogmatismo – l’esigenza che la ricerca andasse avanti in ogni direzione e che lo strumento dialettico da lui forgiato venisse rettamente adoperato nella prassi, senza caricarsi di indebiti contenuti religiosi e/o metafisici. Colpisce che l’ammonimento sia stato lanciato in un’epoca di dinamica diffusione del verbo socialista, non sorprende invece che in un periodo di ripiegamento qual è l’attuale la tentazione di rifugiarsi in un rasserenante marxismo da beghine sia presente, prima ancora che in singoli compagni spaesati, in intere formazioni politiche – e ne detti la linea.

Sebbene la pretesa marxiana di creare una società giusta ed egualitaria “definitiva” sia figlia di un’educazione giudaico-cristiana (d’altra parte la formula “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza” valeva anche per chi l’ha enunciata…), egli si sarebbe opposto con vigore all’emergere di un perbenismo di sinistra che, osservato da vicino, assomiglia fin troppo a un catechismo dei buoni sentimenti. Polemico e all’occorrenza “spietato”, ma sempre problematico, il filosofo di Treviri ci ha offerto un’infinità di spunti e generalizzazioni che vanno prese per quello che sono, non elevate a regole che non ammettono eccezioni (pena immediate scomuniche, da parte loro tutt’altro che “buoniste”).

E’ da un pezzo però che, smarrita la rotta, la sinistra va alla deriva, e non sapendo più che farsene delle mappe se le incornicia e le trasforma nell’identità fittizia di cui abbisogna per occupare il tempo che la separa dall’ormai prossimo naufragio sulle scogliere del reale.

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militant

Tra Salvini e Open society: il futuro dell’anticapitalismo nell’inverno della sinistra

di Militant

centro destra sinistra altredirezioniUnione europea, questione nazionale e migranti hanno scavato l’ennesimo solco nella sinistra radicale. Eppure questo decennio di contrapposizione (esclusivamente) intellettuale lascia dietro di sé macerie su cui costruire ben poco. Non saremo forse di fronte a false flags su cui ci accaniamo in assenza di lotte di classe dal basso? Favorito dalla chiacchiera social, ben presto il confronto è scaduto sul piano della scomunica: “rossobruni” contro “dirittoumanisti” è l’unico terreno di confronto, il punto di mediazione è l’anatema vicendevole. Siamo davvero sicuri che da ciò potrà nascere qualcosa di fecondo nella piccola ridotta dell’anticapitalismo italiano? È lecito dubitarne. La polarizzazione ha invece schiacciato le due posizioni a ridosso l’una del “sovranismo” reazionario, l’altra del liberalismo illuminato, fronte entro cui trovano posto il Pd, la Chiesa di Francesco e le Ong quali modus ideologico dell’attivismo umanitario. Portare acqua al mulino altrui, soprattutto quando questo è nel caso o nell’altro chiaramente avverso alle sorti di una società migliore, può costituire una strategia? Il dubbio, fin troppo evidente, impone una verifica di ciò che siamo diventati, riconoscendo preliminarmente però un dato di fatto: in assenza di lotte di classe (cioè di lotte politiche, non di vertenze sindacali), questa esasperata conflittualità avviene su di un piano irrilevante. Non ci stiamo giocando nessuna partita politica: perché dunque tanto amore per la scomunica? Forse perché, consapevoli di ciò, sappiamo di giocare senza farci male, simulando una dialettica che in altri tempi avrebbe avuto una sostanza, e oggi è solo ritualità. Qui c’è bisogno di demolire gli idoli che di volta in volta innalziamo a difesa delle nostre ragioni, che molto spesso si rilevano parziali, incomplete, inefficaci.

Bisogna dunque sottoporre a verifica molti dei topos di questo decennio triste. Il populismo elettoralmente e culturalmente trionfante ha scardinato il giochetto entro cui, tutto sommato, vivacchiavamo: da una parte il babau berlusconiano, dall’altra il fronte progressista.