Trump: forcing su Netanyahu per un accordo con Hamas
di Davide Malacaria
“Siamo di fronte alla più grande operazione di pulizia etnica dalla fine della Seconda guerra mondiale, volta a creare una splendida meta turistica dopo che milioni di tonnellate di macerie saranno state rimosse da Gaza e i palestinesi saranno morti o se ne saranno andati”. Così l’ex ministro degli Esteri dell’Unione Europea Josep Borrell in un discorso tenuto in occasione del ritiro del premio europeo intitolato a Carlo V.
Le bombe della Ue
Su Gaza, ha aggiunto, è stata sganciata una potenza di fuoco tre volte superiore all’atomica di Hiroshima. Ma forse la parte più importante del suo discorso è quando ha rivelato che “metà delle bombe” che stanno facendo strame della popolazione di Gaza proviene dal Vecchio Continente.
Data la carica pregressa, Borrell sa di cosa sta parlando, ed è una rivelazione gravissima che disvela il perverso teatrino della leadership europea che, mentre condanna la brutale aggressione russa in Ucraina, sta perpetrando un genocidio a Gaza.
Perché armare un Paese che sta commettendo un genocidio non è solo un sostegno indiretto, è piena connivenza. Peraltro, non si tratta di qualcosa di nascosto, denunciato da figure esterne al conflitto come Borrell o altri: le autorità israeliane, forti della loro impunità, lo rivendicano ogni piè sospinto.
La pulizia etnica di Gaza “è inevitabile” ha dichiarato, infatti, domenica scorsa il premier israeliano Benjamin Netanyahu, dettagliando così tale dinamica: “Stiamo distruggendo un numero sempre maggiore di case così che i cittadini di Gaza non avranno più un posto dove tornare. L’esito inevitabile di tutto ciò sarà che i cittadini desidereranno emigrare fuori dalla Striscia di Gaza”.
Fin qui la follia criminale di Netanyahu e dei tanti che l’hanno supportato in vario modo nel mondo. Un genocidio al quale Trump vuole porre un argine. Lo ha fatto sapere domenica scorsa l’inviato speciale Steve Witkoff alle famiglie degli ostaggi, dichiarando di non essere d’accordo sulla guerra di Israele a Gaza e che sperava in un accordo tra Tel Aviv ed Hamas.
Lo ha dichiarato ieri l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Mike Huckabee, che su X ha espresso la speranza che la liberazione dell’americano-israeliano Edan Alexander da parte di Hamas “segni l’inizio della fine di questa terribile guerra”.
Liberazione che ha fatto dire a Trump che Hamas ha “fatto un passo in buona fede sia nei confronti degli Stati Uniti che dell’impegno dei mediatori… per porre fine a questa guerra brutale e restituire tutti gli ostaggi viventi e le spoglie dei defunti ai loro cari”.
Ad accogliere Alexander c’era Wtikoff, sbarcato ieri a Tel Aviv per colloqui con Netanyahu. Dopo la liberazione, Witkoff ha chiamato Trump e lo ha fatto parlare con il premier israeliano. Ed è stato dopo il colloquio con Witkoff e la telefonata con Trump che Netanyahu si è convinto a riannodare i fili del dialogo con Hamas, inviando a Doha una delegazione di alto profilo.
Il massimalismo di Netanyahu
Lo riporta il Timesofisrael, aggiungendo che, secondo i media ebraici, Netanyahu avrebbe dichiarato “ai partner della coalizione di governo che non cederà sul suo rifiuto di porre fine alla guerra prima che le capacità militari e di governo di Hamas siano state completamente smantellate”.
Non promette nulla di buono, ma tali richieste potrebbero essere soddisfatte tramite negoziati che pongano fine alla mattanza, anche perché più volte Hamas ha offerto il disarmo e anche sulla gestione di Gaza nel dopoguerra si è mostrata flessibile, proponendo di rimanere nella Striscia come un attore sociale.
Trovare un compromesso tra il massimalismo di Netanyahu e le richieste di Hamas è arduo, ma non impossibile. Resta che se venissero soddisfatte le richieste del premier, Hamas potrebbe comunque rivendicare una vittoria, potendo affermare di essere sopravvissuta alle bombe; da parte sua, anche il premier israeliano potrebbe ostentare ai suoi scatenati fan il successo bellico conseguito. Compromesso al ribasso, ma sempre meglio che l’attuale carneficina.
Fiato sospeso, dunque, mentre Witkoff si reca a Doha per partecipare ai colloqui tra la delegazione di Hamas e quella israeliana. Come sottolinea Haaretz, non si sarebbe recato in Qatar se non ci fossero reali possibilità di accordo. Accenno veritiero che va integrato: la sua presenza serve anche a marcare da presso la squadra israeliana perché non faccia brutti scherzi.
Infatti, già in precedenza, da ultimo lo scorso aprile, Hamas si era offerto di liberare tutti gli ostaggi in cambio della fine della guerra, ma Netanyahu aveva rigettato l’offerta. Una determinazione che il premier israeliano ha ribadito anche in questo frangente, dichiarando di essere pronto ad accettare una tregua di breve periodo in cambio della liberazione di alcuni ostaggi, ma anche di voler ricominciare le operazioni militari subito dopo…
Il tour mediorientale di Trump è iniziato con lo sbarco in Arabia Saudita. Sono giorni cruciali. Trump spera di poter annunciare la fine della guerra nel corso di tale viaggio, almeno in tal modo è stata interpretata la sua dichiarazione sull’imminenza di un importante annuncio. Se non riuscirà a piegare Netanyahu, questi è pronto a scatenare l’inferno appena l’Air force one prenderà la via del ritorno.
Lo ribadisce, tra gli altri, un editoriale di Haaretz, che spiega ai suoi connazionali che il forcing del presidente americano non deve essere interpretato come uno “schiaffo” a Israele, come stanno facendo tanti, bensì come un’ancora di salvezza per un Paese che sta camminando nelle tenebre.
“Le mosse di Trump hanno messo a nudo il governo israeliano – conclude l’editoriale – Speriamo che anche i sostenitori di Netanyahu comprendano la portata del suo fallimento e si accordino con lui [Trump]. Fino ad allora, dovremmo augurare a Trump il successo nei suoi sforzi per liberare tutti gli ostaggi e porre fine alla guerra”.
Finora a lodare Trump erano i media della destra israeliana, mentre Haaretz, tranne qualche penna che abbiamo ripreso sul nostro sito, benché ostile a Netanyahu e contrario alla guerra, continuava ad attaccarlo perché ritenuto compagno di merende dello stesso. Le cose, col tempo, si sono fatte più chiare…