Il genocidio sta accadendo. Proprio in questo momento
di Giovanni Pillonca
Il primo quadro che Hedges ci consegna in questo suo ultimo libro, A Genocide Foretold (ora anche in edizione italiana, per Fazi) è quello del suo ritorno, a un anno dal 7 ottobre, nei territori noti e a lui cari della Cisgiordania: egli è stato, infatti, per 7 anni a capo della sezione Medio Oriente del NYT e per il suo lavoro di giornalista è stato insignito del premio Pulitzer.
Hedges vuole incontrare un suo vecchio amico, lo scrittore Atef Abu Saif, che ha appena pubblicato Don’t Look Left: A Diary of Genocide (Boston: Beacon Press, 2024), un libro che contiene il resoconto degli 85 giorni trascorsi da Abu Saif a Gaza dove si trovava in visita a dei parenti il 7 ottobre e dove resta bloccato dall’attacco israeliano e dalla conseguente chiusura di tutti i varchi.
Abu Saif è un testimone prezioso. Essendo nato nel 1973, ha vissuto le tragedie e le speranze del suo popolo dell’ultimo mezzo secolo, dalla guerra del Kippur, passando per le due intifada, inframmezzate dai colloqui che portarono agli accordi di Oslo, a loro volta sconfessati dall’inarrestabile processo di spossessamento prodotto dall’occupazione e da tutte le rappresaglie di Israele sui Territori e tutte le operazioni su Gaza degli ultimi vent’anni. Abu Saif si trovava, infatti, a Gaza anche durante la campagna denominata “Piombo fuso” del 2008-2009 e durante quella del 2014 chiamata “Margine protettivo” su cui si basa il suo The Drone Eats Me: Diaries From a City Under Fire.
Già a pochi giorni dall’inizio dei bombardamenti Gaza si presenta come “una landa desolata di macerie e detriti”, da cui affiorano le membra delle vittime sorprese dai bombardamenti. Mentre rischia ogni giorno la vita, Saif è colpito direttamente dalla morte di persone care, la nipote adolescente cui vengono amputate entrambe le gambe, e che chiede di morire, dall’eliminazione mirata di giornalisti, di colleghi scrittori e poeti, tra i quali l’amico Refaat Alareer, l’autore di “Se devo morire”, la poesia più tradotta e citata in questi ultimi mesi. L’eliminazione di testimoni articolati ed eloquenti come Alareer, e in genere di altri scrittori, era stata preannunciata da settimane di minacce ricevute per telefono da numeri israeliani.
Gli scrittori, dunque, deliberatamente nel mirino, perché testimoni pericolosi, al pari dei giornalisti (187 quelli uccisi dall’inizio delle ostilità), anch’essi direttamente minacciati.
Possono considerarsi preannunciate anche le morti di migliaia di bambini considerata la propensione documentata dei militari israeliani di non porsi problemi a sparare sui minori, a considerarli obiettivi legittimi.
Hedges era a Gaza nel 2001, dove fu testimone oculare di una pratica abominevole dell’esercito israeliano: provocare i bambini con insulti in arabo e poi sparargli mentre lanciano dei sassi. La descrizione ufficiale: bambini colpiti in un fuoco incrociato. Nel 2009 circolavano in rete le magliette dei tiratori scelti del battaglione Shaked della Brigata Givati raffiguranti una donna palestinese incinta con un bersaglio sovrapposto al ventre e la scritta in inglese “1 shot, 2 kills”. Dei bambini non si cura neppure il programma Lavander che indica i bersagli per le bombe che distruggono palazzi abitati da centinaia di persone.
Nemmeno la Cisgiordania e Ramallah in cui Atef è riuscito fortunosamente a tornare è un porto sicuro. È una terra strangolata da un’oppressione fattasi ancora più cruenta e spietata dopo il 7 ottobre. A un anno dalle ostilità, quando Hedges incontra Abu Saif, il bilancio dei palestinesi uccisi è di 716 (sono più di mille oggi), di cui più di 200 minori. Quelli imprigionati sono quasi 10.000, tra i quali bambini e donne incinta, Prigionieri sottoposti a maltrattamenti e torture. Con comunità sotto l’incubo continuo delle micidiali incursioni dei coloni, molte delle quali di conseguenze spopolate.
L’obiettivo di Israele non è cambiato, secondo Abu Saif. È la giudeizzazione della Palestina, ottenuta “cacciando con l’intimidazione e la violenza i palestinesi, confiscando porzioni sempre più vaste delle loro terre e costruendo altre colonie, privando in tal modo i palestinesi dei mezzi di sussistenza al fine di arrivare all’annessione tutti i Territori”. Un progetto che non avrebbe potuto essere sostenuto così a lungo senza l’appoggio del principale alleato, gli USA, dove ha un ruolo fondamentale l’AIPAC [American Israel Public Affairs Committee], l’agguerrita lobby dell’ebraismo conservatore che dispone di mezzi finanziari in grado di condizionare le campagne elettorali sostenendo candidati pro israeliani e conducendo al contempo campagne di delegittimazione per candidati concorrenti (quali, ultimamente, Cory Bush e Jamaal Bowman), che si erano espressi contro le politiche del governo israeliano.
Un’altra campagna condotta con mezzi leciti e illeciti è quella che AIPAC porta avanti contro il movimento BDS, di cui si parla in un istruttivo documentario intitolato “The Lobby- USA” prodotto da Al-Jazeera che la rete televisiva non ha mai trasmesso per le pressioni di AIPAC sul Qatar, ma che è possibile vedere sul sito di Electronic Intifada o sul sito francese Orient XXI.
L’approccio è quello di delegittimare i critici attraverso la diffamazione incentrata sull’accusa di antisemitismo rivolta contro chiunque critichi le politiche dello stato ebraico nei confronti dei Palestinesi.
Si usa come arma la definizione di antisemitismo formulata dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance ) e contestata anche da molti studiosi israeliani. Antisemitico è “negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione”, ma lo Stato di Israele è quello che di fatto nega lo stesso diritto al popolo palestinesi.
Un altro esempio di antisemitismo è “paragonare le politiche israeliane oggi a quelle dei nazisti”. Anche in questo caso sono Israele e i suoi sostenitori che paragonano i palestinesi ai nazisti. Si tratta, osserva Hedges, della pratica del “doublethink” illustrata da Orwell in 1984, ovvero il bipensiero, o il doppio standard, che consente di attribuire agli altri le proprie responsabilità. Il bipensiero usa “logica contro logica” e “ripudia la moralità pur rivendicandola”.
Ma non è solo l’AIPAC a condizionare le scelte dell’amministrazione americana. Un’altra consistente porzione dell’elettorato repubblicano schierata a sostegno incondizionato delle politiche israeliane è rappresentata dagli evangelici fondamentalisti e dai Sionisti Cristiani, cui Hedges ha dedicato anni di studio alla base del suo American Fascists del 2007. Questi gruppi in particolare i Sionisti cristiani, appoggiano il ritorno degli ebrei in terra d’Israele perché indispensabile affinché si avveri la seconda venuta del Messia e l’avvento del suo regno in terra.
Hedges non ha dubbi nel chiamare le cose con il loro nome annunciandolo già nel titolo del suo libro. A un anno dall’inizio della “spietata campagna di vendetta”, come l’ha definita Michael Sfard, si può ben dire che l’offensiva su Gaza dal cielo, da terra e da mare ha assunto tutte le caratteristiche di una campagna genocidaria, come d’altra parte affermano ora inequivocabilmente illustri studiosi israeliani, quali Omer Bartov, Raz Segal, Alon Confino, Amos Goldberg e stranieri e organizzazioni umanitarie come B’Tselem e Physicians for Human Rights Israel.
Si tratta, per Hedges, di un genocidio preannunciato perché rappresenta il culmine di un processo, “il prevedibile epilogo del progetto coloniale di insediamento”. L’ intenzione, elemento fondamentale perché si possa parlare di genocidio, l’hanno sbandierata in modo esplicito i leader israeliani sin dai primi giorni delle operazioni militari, a cominciare dal ministro delle difesa, Gallant, seguito da quello dell’agricoltura, Dichter, e da numerosi membri del Likud il partito del premier Nethanyahu. Il Ministro del patrimonio culturale Eliyahu si è spinto fino al punto di considerare possibile l’opzione nucleare. E di recente, un generale stesso, Aharon Halevi, che ha dichiarato in tv che un genocidio di palestinesi ogni tanto serve a far capire il prezzo che si paga a ribellarsi.
Il genocidio ci rivela qualcosa anche di noi, sostiene Hedges, del nostro rapporto perverso con la questione dei diritti umani e sulla ostentata nostra moralità. Ci dice che diritti umani e moralità non valgono più davanti a quella che Du Bois definiva la linea del colore.
È il nostro razzismo che ci impedisce di parlare di diritti umani e di moralità per i dannati della terra.
L’affermazione che la civiltà occidentale si basa sul rispetto dei diritti umani e del diritto è una menzogna. Per nascondere i suoi misfatti Israele propina all’opinione pubblica internazionale menzogne che lasciano a bocca aperta perché la verità, la realtà vi sono visibilmente capovolte. Un Paese con una potenza militare di prim’ordine si dipinge come vittima di un popolo che da 22 mesi viene bombardato, affamato e decimato. Che viene colpito mentre fa la fila per il pane. O che viene ucciso mentre è in un letto d’ospedale o in un’ambulanza.
Hedges non si sottrae all’esame della questione della liceità della violenza in una situazione di dominio e di oppressione.
Per Hedges, i palestinesi, come tutti i popoli oppressi, secondo il diritto internazionale possono far ricorso alla resistenza armata.
Come si possono, si chiede infatti, intrappolare per anni più di 2 milioni di persone, in uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta; ridurre la vita dei suoi residenti, metà dei quali sono bambini, a un livello di sussistenza; privarli di forniture mediche di base, cibo, acqua ed elettricità; utilizzare aerei, artiglieria, unità meccanizzate, missili, cannoni navali e unità di fanteria per massacrare a caso civili disarmati, senza aspettarsi una risposta violenta?
I regimi fondati e mantenuti attraverso la violenza generano violenza. La vendetta collettiva contro gli innocenti è una tattica familiare utilizzata dai governanti coloniali. È anzi l’epilogo abituale di tutti i progetti coloniali.
Alla fine di quest’orgia di massacri quotidiani, Israele avrà, secondo Hedges, segnato la sua condanna, o, come scrive Anna Foa, il suo suicidio. “Sarà smascherato come il regime di apartheid orribile, repressivo e pieno d’odio che è sempre stato, alienandosi le giovani generazioni di ebrei americani”, molti dei quali hanno manifestato nei campus contro lo sterminio in atto a Gaza.
A quegli studenti, che hanno pagato caro questo loro impegno civile con arresti, espulsioni e in molti casi pregiudicando il loro futuro, Hedges dedica un capitolo del suo libro definendoli la coscienza della nazione e denunciando la resa totale delle autorità accademiche alla prepotenza del potere trumpiano e dello Stato.
Sinistramente, Israele porterà il marchio di Caino e sarà associato per molti anni a venire alle sue vittime, come i turchi agli armeni, i tedeschi agli ebrei, i serbi ai bosniaci. Ma lo saranno anche i paesi che hanno consentito o addirittura contribuito alla devastazione e ai massacri.
Negli stessi giorni in cui Hedges era in Palestina/Israele, Michael Sfard, il più noto fra gli avvocati israeliani per i diritti umani, così descriveva la situazione a Gaza: ”Un campo di battaglia disseminato di prove orribili di crimini di guerra senza precedenti; il ripetuto sradicamento forzato di circa un milione e mezzo di abitanti dalle loro case e poi dai luoghi in cui erano fuggiti, senza alcun impegno a consentirne il ritorno al termine dei combattimenti; bombardamenti che, secondo il portavoce dell’IDF, miravano a colpire gli agenti di Hamas, e che di fatto uccidono, con gelida indifferenza, decine di civili a ogni attacco; la strategia di guerra, che occasionalmente include la privazione intenzionale di aiuti umanitari e l’uso della riduzione alla fame come metodo di guerra per ottenere vantaggi militari; l’assedio medievale imposto da Israele nelle ultime settimane nella Striscia di Gaza settentrionale, che ha ucciso e fatto morire di fame migliaia di bambini, donne, anziani e uomini innocenti”.
Da allora, a 9 mesi di distanza, il quadro è drammaticamente peggiorato: ai crimini elencati si è aggiunta l’abominevole pratica di sparare sui civili stremati dalla fame e dalla sete convocati per ricevere dei viveri, ma che si scopre essere stati usati come esca, trasformati in bersagli inermi. Nel corso di una campagna militare giudicata dagli esperti come una delle più mortali e distruttive dei tempi recenti, che supera per alcuni parametri i bombardamenti alleati sulle città tedesche nella seconda guerra mondiale.
Generazioni di israeliani dovranno convivere con quello che hanno fatto a Gaza nell’ultimo anno.
Dovranno spiegare ai loro figli e nipoti perché si sono comportati in quel modo; perché non si sono rifiutati di bombardare; perché non hanno fatto di più per fermare l’orrore.
La stessa domanda che si dovranno fare gli abitanti dei Paesi dell’Occidente democratico, patria dei diritti umani.
Chi potrà ben dire di aver levato la sua voce nell’adempimento del suo ufficio sarà di sicuro Francesca Albanese, Relatrice Speciale per i diritti umani in Palestina, che non ha mai smesso di denunciare l’abominio in corso e della quale il libro di Hedges riporta in appendice la relazione intitolata “Genocidio come cancellazione coloniale”.
Un’altra voce, cui Hedges dedica un capitolo del suo libro, sarà quella che Aaron Bushnell registrò sulla videocamera del suo cellulare mentre, il 25 febbraio 2024, si apprestava a immolarsi davanti all’ambasciata israeliana a Washington: “Non sarò più complice di un genocidio. Sto per intraprendere un atto di protesta estremo. Ma rispetto a ciò che la gente ha subito in Palestina per mano dei colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sia la normalità”. In un post, Bushnell aveva scritto: “Molti di noi a volte si chiedono: cosa avrei fatto se fossi vissuto al tempo della schiavitù? O nel Sud di Jim Crow? O durante l’apartheid? Cosa farei se il mio Paese stesse perpetrando un genocidio?” La risposta è: sta accadendo. Proprio in questo momento”.