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La geopolitica del petrolio

con il Professor Giuseppe Gagliano (Cestudec)

Giancarlo Capozzoli ha realizzato con l'autorevole Professor Giuseppe Gagliano, Presidente del Centro Studi Carlo De Cristoforis (Cestudec), e docente dell'Istituto alti Studi Strategici e Politici (IASSP), questa analisi storico strategica della guerra del petrolio e delle sue conseguenze geopolitiche nel corso degli anni

gas petrolioDalla fine del XIX secolo, la corsa al petrolio ha accompagnato lo sviluppo del mondo e la sua crescita. Ha contribuito sia a migliorare drasticamente le condizioni di vita che a volte a distruggerle con una velocità impressionante. Questa dicotomia spiega in gran parte l’importanza strategica che le viene attribuita. Ancora oggi l’accesso all’oro nero fornisce questa leva essenziale per il dominio economico e militare. La sua conquista ha portato a molti conflitti, ha anche ridisegnato alcuni confini e modificato gli equilibri di potere internazionali. Gli Stati sono naturalmente gli attori apparenti in queste aspre lotte. Ma alcune grandi compagnie petrolifere svolgono un ruolo altrettanto importante nel teatro delle operazioni.

Tuttavia, come ha detto Sun Tzu, “L’intero successo di un’operazione sta nella sua preparazione.” Ebbene ,il successo della conquista del petrolio non fa eccezione a questa regola e richiede un lavoro di intelligence efficace a monte. Di conseguenza, i metodi utilizzati saranno moralmente ambigui e molto spesso andranno oltre il quadro della legalità. I servizi di intelligence utilizzeranno quindi i mezzi a loro disposizione spiando, rintracciando e persino istigando rivoluzioni nei paesi presi di mira. Inoltre creeranno stretti legami con politici e imprese per cooperare meglio e difendere gli interessi nazionali. Il loro utilizzo sarà poi a volte difensivo, a volte offensivo a seconda delle manovre da eseguire.

Se quanto affermato nella premessa corrisponde a verità storica – e non abbiamo alcuna ragione razionalmente valida per dubitarne – non c’è dubbio che le nazioni che si sono ispirate – almeno sul piano formale – alla democrazia e ai diritti umani –come l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti -abbiano violato costantemente e ripetutamente questi valori “sacri “ pur di salvaguardare il loro interesse nazionale e soprattutto gli immensi profitti ricavati dalle multinazionali petrolifere a prezzo di destabilizzazioni politiche, guerre civili, colpi di Stato, governi fantocci, ampia e diffusa corruzione all’interno della classe politica e della classe imprenditoriale africana etc.

Per raggiungere questi traguardi il ruolo dei servizi di sicurezza e delle operazioni coperte è stato decisivo. Un’ultima considerazione infine: che gli apparati statali e quelli di intelligence abbiano operato in spregio sia ai valori della democrazia che ai valori della morale è un dato di fatto storico acquisito. Ieri come oggi. Proprio per questa ragione sarebbe opportuno che le riflessioni astratte ed autoreferenziali – quanto vuote – della filosofia della politica e della filosofia del diritto -si confrontassero con la dinamica effettiva della realtà storica. Allo stesso tempo sarebbe altrettanto opportuno ricordare ai numerosi difensori del politicamente corretto – e fra questi innumerevoli giornalisti ed intellettuali – che la dinamica conflittuale del potere non ha mai rispettato i sacri principi della democrazia e tantomeno la morale evangelica né quella kantiana. Ma solo quella della ragion di Stato e degli arcana imperi.

 

Petrolio e guerra economica nella strategia statunitense

Dal punto di vista storico non esiste ormai alcun dubbio che durante la guerra fredda gli Stati Uniti si servirono dei colpi di Stato e quindi delle cover action non solo con lo scopo di limitare e contenere la proiezione di potenza russa ma soprattutto per proteggere e garantire l’accesso al petrolio facendo proprio una strategia già sperimentata con successo dagli inglesi.

 

Il golpe in Iran in nome del petrolio

Emblematica da questo punto di vista fu l’operazione Ajax posta in essere dagli Stati Uniti per destabilizzare l’Iran. Quando Mossadegh nel 1951, insieme al Fronte Nazionale e al partito marxista Tudeh, approvò il progetto di nazionalizzazione dell’industria petrolifera la reazione inglese fu durissima. Infatti l’industria petrolifera iraniana era allora sotto il dominio britannico, con Winston Churchill che aveva svolto un ruolo fondamentale nell’ottenere i diritti petroliferi in Iran insieme all’Anglo-Iranian Oil Company, considerata vitale per la ripresa dell’economia britannica del secondo dopoguerra e per garantire l’indipendenza energetica della Royal Navy.

In primo luogo, la Gran Bretagna reagì organizzando un embargo generale sul petrolio iraniano e in seconda battuta preparò nel contempo un colpo di Stato per rovesciare Mossadegh. Gli Stati Uniti, in un primo momento desiderando rimanere neutrali, incoraggiano gli inglesi ad accettare la nazionalizzazione e a negoziare un accordo amichevole; questa neutralità continuò fino alla fine dell’amministrazione Truman nel 1953. Tuttavia quando Eisenhower salì al potere, il presidente americano si mostrò più comprensivo nei confronti delle pretese britanniche.

Per gli Stati Uniti, questa operazione segreta fu un tentativo di impedire l’espansione sovietica e di guadagnare una quota delle riserve petrolifere iraniane a favore delle compagnie americane. Di conseguenza, l’impero coloniale britannico oramai in evidente declino cedette il passo all’erede dell’imperialismo e cioè agli USA.

Secondo i documenti declassificati nel 2000 e presenti nei National Security Archives della George Washington University (ottenuti in base al Freedom of Information Act40), la CIA ha ammesso di aver orchestrato questa operazione, denominato esattamente TPAJAX,con l’obiettivo di rovesciare Mossadegh e mettere al potere Shah Mohammad Reza Pahlavi, uno stretto alleato degli americani (fino al suo rovesciamento durante la rivoluzione islamica del 1979). Dopo aver conseguito questo obiettivo le risorse petrolifere iraniane furono sostanzialmente gestite da due multinazionali e cioè la British Petroleum e la National Iranian Oil Company.

 

La guerra Iran-Iraq

Per quanto riguarda l’Iraq e le sue preziosissime riserve petrolifere ,nel 1963 Saddam Hussein salì al potere grazie a un colpo di stato orchestrato dalla CIA che destabilizzò il potere politico di Kassam che – fra l’altro– aveva nel dicembre del 1961 confiscato le riserve petrolifere della Iraq Petroleum Company, privando così le major occidentali dei loro profitti . Di conseguenza, dall’inizio degli anni ’60, l’Agenzia, allora con sede in Kuwait, mobilitava gli oppositori del regime di Kassem e trasmetteva ordini ai ribelli via radio. La CIA tentò ripetutamente di assassinare Kassem, ma senza successo, che però arriverà soltanto l’8 febbraio 1963, quando il partito Bass guidato da Hussein prese il potere con un colpo di stato. Kassem fu fucilato e la CIA in questo modo poté guidare il cambio di regime a Baghdad. I presidenti degli Stati Uniti Reagan e della Gran Bretagna hanno sostenuto Hussein negli anni ’80 contro il loro nemico comune, l’Iran nella guerra Iraq-Iran (1980-88).

 

L’asse coi sauditi: un patto col diavolo in nome del petrolio

Gli Stati Uniti hanno utilizzato la International Trade and Credit Bank, fondata nel 1972, per le sue operazioni segrete della CIA con i sauditi. Questa banca ha contribuito a riciclare denaro sporco e a finanziare gruppi armati come i mujaheddin in Afghanistan. Secondo un rapporto della CIA del 1977, l’agenzia ha sempre avuto fra i suoi compiti quello di monitorare lo stato delle riserve mondiali di petrolio.

Nel 1974 l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti hanno occultato i volumi delle riserve petrolifere dell’ARAMCO , prima della nazionalizzazione di quest’ultima, con l’obiettivo di sottovalutare le riserve in tempi di abbondanza per poi annunciare il “ volume reale ”in tempi di crescita in base alla domanda mondiale e alle esigenze americane.

Mentre il suolo americano è stato attaccato per la prima volta l’11 settembre 2001, i sauditi non hanno ricevuto sanzioni significative nonostante gli avvertimenti della CIA. Proprio nel 2001 una serie di contratti petroliferi fu in fase di definizione con l’Arabia Saudita. Infatti, un memorandum della CIA fu inviato al presidente Bush, intitolato “Bin Laden determinato a colpire negli Stati Uniti”. Secondo Ahmed Zaki Yamani, ex ministro dell’OPEC, nonostante la crescente indipendenza petrolifera degli Stati Uniti, questi ultimi hanno bisogno dell’Arabia Saudita grazie alle sue notevoli riserve massicce dotazioni petrolifere. A causa del ruolo che l’Arabia Saudita svolge all’interno dell’OPEC e dell’influenza in Medio Oriente e nei paesi musulmani, gli Stati Uniti non hanno altri partner impegnati in Medio Oriente (tranne Israele, che è circondato da vicini antagonisti); si può notare che nel 2013, ad esempio, le esportazioni statunitensi in Arabia Saudita hanno superato i 35 miliardi di dollari (19 miliardi sono esportazioni dirette, con un aumento del 76% dal 2009).

 

Il petrolio e la strategia imperiale britannica

Non c’è dubbio che le scelte poste in essere a livello di politica estera della Gran Bretagna siano stati profondamente influenzata dalla sua dimensione insulare. Questo spiega la supremazia marittima dell’Impero britannico, le cui dinamiche di potere si riflettono in una proiezione verso le terre esterne. A cominciare dall’Asia. Oltre ad essere il fulcro del mondo, il centro nevralgico del globo, l’Asia centrale è anche una terra di ricchezze, di immense ricchezze. Sete, giada, spezie, tappeti persiani o caviale sono stati sostituiti da idrocarburi, petrolio e gas.

Iniziata già con la rivoluzione industriale inglese, la capacità di costruire scenari anticipando il fabbisogno energetico, ha notevolmente contribuito ad aumentare il potere economico dell’Impero britannico, già con il carbone.

Fin dal 1919 la Royal Navy e Winston Churchill, allora primo Lord dell’Ammiragliato, compresero la centralità geopolitica del petrolio e in questo ambito l’intelligence economica giocò un ruolo decisivo nella fase di appropriazione dei giacimenti petroliferi. Dietro l’avanzata delle società britanniche nel mercato dell’oro nero si celano infatti le azioni dei servizi segreti britannici con la collaborazione della aristocrazia e del mondo accademico.

La Gran Bretagna infatti, come aveva fatto in precedenza per il cotone, mobilitò tutte le élite pubbliche e private interessate alla difesa degli interessi del suo impero coloniale anche se il ruolo del SIS fu preponderante. Ieri come oggi. Sir John Sawers, ex diplomatico e direttore della SIS dal 2009 al 2014, fa parte del consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera britannica BP dal 2015, il cui antenato non è altro che la Anglo-Persian Oil Company. In qualità di ex funzionario del governo e dell’intelligence, Sir John Sawers è incaricato di condividere le sue preziose conoscenze nell’analisi geopolitica di livello mondiale.

Alla fine della Grande Guerra, la battaglia tra i servizi segreti britannici e tedeschi per il controllo dei giacimenti petroliferi di Baku fu intensa. Un ex agente del Raj britannico e affiliato all’MI5, noto anche come Ronald Sinclair, è stato decisivo nel perseguimento del Great Game contro la sua controparte tedesca Wilhelm Wassmuss.

Il petrolio aveva dimostrato di essere al centro della geopolitica.

Seguendo la teoria di Sir Mackinder, è intorno al Golfo Persico e al Golfo Arabico che si trova il perno della strategia dell’Impero britannico, che inizia a tracciare i contorni dei futuri accordi Sykes-Picot. Alla fine della Grande Guerra, la Gran Bretagna non ritirò le sue truppe dal Golfo Persico, anzi. Questa zona è diventata un “lago britannico” di fronte al profondo ridimensionamento dell’ impero turco.

Ebbene, l’espansione dell’Impero britannico in Mesopotamia per controllare la regione e difendere i suoi interessi strategici petroliferi fu ampiamente consentita da Gertrude Bell che fu non solo la prima donna a diplomarsi a Oxford con lode, ma anche la prima donna ufficiale dell’intelligence britannica. Gertrude Bell era considerata la “Madre dell’Iraq” dai suoi contemporanei quando gli accordi furono firmati. Con gli accordi Sykes-Picot del 1916, l’Impero Ottomano viene quindi diviso in due zone: la Francia recuperava la tutela di Siria e Iran, mentre l’Impero britannico assumeva la tutela di Palestina e Mesopotamia.

Anche in questo caso, i servizi segreti britannici manovrarono abilmente per appropriarsi delle risorse petrolifere persiane inizialmente promesse agli arabi e poi ai francesi. L’ascesa del nazionalismo e l’indipendenza delle colonie segnarono la graduale fine dell’imperialismo britannico.

Alla fine della seconda guerra mondiale, la sterlina fu superata dal dollaro, che divenne il nuovo sistema di riferimento monetario internazionale, materializzato dagli accordi di Bretton Woods. L’ascesa degli Stati Uniti e dell’URSS intorno a due blocchi bipolari costrinse gli occidentali da un lato a stringere alleanze ma dall’altro a fare di tutto per salvaguardare i loro interessi nazionali.

Come Lawrence d’Arabia prima di lui, Harry Saint-John Philby, noto come “Jack”, fu inviato in Arabia Saudita da Gertrude Bell, allora rappresentante dell’Ufficio arabo con sede al Cairo. Figlio di un coltivatore di tè, Philby non era membro dell’aristocrazia britannica. Ex agente segreto della prima guerra mondiale e laureato a Cambridge, Philby fu un arabista amante del deserto, affascinato dal mondo arabo (si converti all’Islam nel 1930) ma fu fortemente in disaccordo con la politica estera britannica in Medio Oriente. Nel 1924, Philby lasciò il servizio di Sua Maestà d’Inghilterra per diventare il consigliere personale di Ibn Saud Re dell’Arabia Saudita. La duplicità della Gran Bretagna nei confronti degli arabi, mescolata al sentimento di odio che nutrì nei confronti del suo Paese, lo portò a commettere un formidabile tradimento per l’Impero, le cui conseguenze influenzarono le relazioni internazionali in Medio Oriente.

Infatti Nel 1933, il rinnegato Saint-John diede un duro colpo a questa odiata aristocrazia consigliando con successo a Ibn Saoud di preferire, per lo sfruttamento delle sue risorse, la Standard Oil of California alla Anglo-Persian Oil Company.

Alla fine degli anni Quaranta, era mortale la stretta esercitata dalle compagnie petrolifere britanniche della Anglo-Persian Oil Company (ora Anglo-Iranian Oil Company) sull’Iran – l’Impero britannico era allora il 3 ° produttore più grande del mondo e il 1° produttore del Medio Oriente-. Mohammad Mossadegh volle intraprendere importanti cambiamenti politici ed economici per il suo paese, ridurre l’influenza straniera e rimuovere lo Scià dall’incarico. Nel 1951 riuscì ad essere nominato Primo Ministro con l’aiuto del Majlis, il Parlamento iraniano, e pose in essere la nazionalizzazione della Anglo-Iranian Oil Company, provocando un’immediata reazione di Londra con un blocco internazionale sugli idrocarburi. Con la Anglo-Iranian Oil Company che assicurava l’indipendenza energetica della Royal Navy, Winston Churchill segui il caso “molto da vicino“.

Nel 1952, il capo del SIS a Teheran, Christophe Woodhouse incontrò a Washington i due omologhi americano Bedel Smith e Frank Wisner. Il SIS si preparerà per il “colpo di stato di Teheran”, denominato Operazione BOOT che sarà affiancato dalla CIA attraverso l’ Operazione AJAX.

Il blocco di Berlino del 1948 ha lasciato tracce durature e profonde nella memoria: la paura che le forze armate non sarebbero state in grado di fermare l’avanzata dell’URSS e la paura della perdita delle compagnie petrolifere di Iran, Iraq e Golfo Persico indussero la CIA e il SIS inglese a collaborare ancora una volta nel 1948. Questa sinergia si concretizzò in un documento noto come NSC 26 in base al quale si prevedeva la possibilità di demolire impianti, attrezzature e rifornimenti petroliferi in Medio Oriente. L’obiettivo di questo progetto era distruggere le scorte di carburante e smantellare gli impianti attraverso demolizioni selettive temporanee, in modo che potessero essere riutilizzati dopo la sconfitta dell’URSS. Per avere successo, le operazioni dell’NSC prevedevano il coinvolgimento sia delle compagnie petrolifere che dei militari. Il Foreign Office nascose tuttavia agli americani il fatto che le compagnie petrolifere britanniche avevano accettato questa cooperare affidandosi esclusivamente ai militari.

Gli inglesi temevano infatti non solo le conseguenze economiche ma anche che le compagnie petrolifere americane potessero ridurre il petrolio in Medio Oriente. Tuttavia, questo piano fu oggetto di numerose modifiche per diversi motivi. In primo luogo a causa delle carenze individuate nei termini di attuazione delle demolizioni selettive, alcune delle quali avrebbero potuto rivelarsi irreversibili e dalla presenza di installazioni petrolifere iraniane che non erano sotto il controllo degli inglesi.

Tuttavia, a causa dell’ascesa del nazionalismo, e in particolare di quello iraniano, delle guerre regionali e delle invasioni sovietiche l’ NSC 26 fu poi modificato negli anni ’50 prendendo forma in un piano noto come NSC 5714 con il quale si abbandonava il ricorso alle compagnie petrolifere, si rafforzava l’azione delle forze armate, si manteneva la distruzione delle scorte, si pianificava la distruzione di terre e mezzi di approvvigionamento e si prevedeva l’utilizzo di attacchi aerei con bombe convenzionali e nucleari. Fortunatamente questi piani non sono mai stati attuati ma queste strategie segrete mostrano quanto fosse prezioso il petrolio e come non dovesse cadere nelle mani dell’avversario o dell’alleato.

Nel 2011, la Libia del Colonnello Mouhammar Gheddafi, fu oggetto di violente rivolte popolari promosse dal Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) che rapidamente si trasformarono in guerra civile con un visibile intervento britannico (esercito regolare) e sotterraneo (SIS). Grazie alle recenti rivelazioni di Wikileaks sappiamo che vi furono e-mail tra Hillary Clinton e Sidney Blumenthal, uno dei suoi stretti consiglieri, che hanno rivelato che alti funzionari della CNT erano convinti che il Foreign Office stesse lavorando per rafforzare la posizione della British Petroleum. In queste e-mail viene sottolineato il fatto che fino a questo momento la BP è stata costretta a trattare con Gheddafi, ma che tuttavia il Regno Unito è stato una delle prime grandi potenze a sostenere la ribellione della CNT.

Queste e-mail rivelano anche la pressione esercitata dagli inglesi sulla CNT per ottenere un risarcimento per il loro supporto sotto forma di contratti favorevoli per le società del settore petrolifero. La CNT, rifiutando accordi globali, accetta accordi commerciali in modo selettivo a favore delle aziende britanniche. La vera posta in gioco della guerra era quindi non solo il passaggio a un nuovo ordine politico la gestione e la ridistribuzione della rendita petrolifera.

 

La Francia e il neocolonialismo petrolifero.

Dopo l’indipendenza algerina, Parigi ha perso il controllo di una parte significativa del petrolio. Tuttavia, l’indipendenza energetica così cara alla politica di potere del presidente de Gaulle necessitava al contrario di un aumento delle sue fonti di approvvigionamento.

La Francia si è poi rivolta alle risorse petrolifere del suo ex impero coloniale in Africa occidentale. Attraverso Jacques Foccart, la SDECE e la compagnia petrolifera Elf, istituì reti di influenza per mantenere leader “amici della Francia” a capo degli stati petroliferi del Golfo di Guinea. L’obiettivo così perseguito è la stabilità politica del Paese produttore perché la redditività di un giacimento petrolifero si raggiunge nel lungo periodo: dalla scoperta di un giacimento al suo sfruttamento, si possono impiegare da 5 a 10 anni.

In primo luogo, Jacques Foccart, è stato “Segretario generale della Presidenza della Repubblica per la Comunità e gli affari africani e malgasci” sotto de Gaulle e poi sotto Pompidou dal 1960 al 1974. È diventato rapidamente indispensabile grazie alla rete molto attiva che sta sviluppando per realizzare la politica africana della Francia.

Da un lato, stringe legami molto forti con i presidenti francese e africano. Dall’altra, con i servizi di intelligence come lo SDECE ma anche con aziende francesi presenti in Africa come Elf e il suo presidente, Pierre Guillaumat. Inoltre, Elf è "un’azienda al servizio dello Stato ". Il suo ex presidente, Loïk Le Floch-Prigent, lo ha addirittura soprannominato “il ministero del petrolio”. È anche una “agenzia di intelligence” privata piena di ex agenti operativi e analisti dell’intelligence che lavorano all’ombra del petrolio. Foccart vi colloca anche membri della sua rete. Ad esempio, il denaro del petrolio aiuta a finanziare la politica estera della Francia.

In particolare, può influenzare il voto dei suoi alleati africani all’ONU e quindi “estendere il suo status di potenza mondiale mantenendo il suo seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. Allo stesso tempo, la SDECE e il DST, hanno un ampio pool di fonti umane con cui confrontarsi tra le fila dei tanti espatriati che lavorano all’Elf. Inoltre, il supporto fornito dalla SDECE alla compagnia Elf ha contribuito a garantire in parte l’approvvigionamento di petrolio francese.

Tuttavia, i vari impegni esterni della Francia dopo il 1945 contribuiranno a rendere lo SDECE un servizio più orientato all’azione clandestina che alla ricerca di intelligence. Infine, la figura chiave di questi intrecci di interesse fu Maurice Robert. Ufficiale della SDECE dal 1954 al 1974, ha ricoperto in particolare la carica di capo della sezione Africa. Ha poi lavorato per il presidente di Elf dal 1974 al 1979, dove ha sviluppato le capacità di intelligence dell’azienda. Le sue attività consistevano principalmente nel tenersi al passo con ciò che stava accadendo politicamente ed economicamente nei paesi in cui Elf era presente o aveva progetti, nell’essere alla ricerca di nuove opportunità per il gruppo. Incontrava frequentemente alti leader politici africani, compresi capi di stato, in Africa o in Francia durante i loro viaggi. Infine, ha ottenuto dal 1979 al 1981 il prestigioso incarico di Ambasciatore di Francia in Gabon, che tende a dimostrare l’importanza politica dell’intelligence e del petrolio in questa parte del mondo.

 

L’intervento francese in Gabon

Jacques Foccart pose il Gabon, ricco di petrolio, al centro della politica africana della Francia. Non esitò, quindi, a intervenire negli affari interni del Paese. Dopo l’indipendenza del Paese nel 1960, l’ex colono aiutò fortemente Léon M’ba, presidente francofilo, a organizzare la sua amministrazione. Il mantenimento della stabilità politica, in accordo con gli interessi della Francia, fu espresso per la prima volta durante il putsch di Jean-Hilaire Aubame nel 1964. Charles de Gaulle volle quindi riportare al potere M’ba. Ha autorizzato, in sostanza, un intervento militare organizzato da Foccart, Guillaumat, Robert (SDECE) e Robert Ponsaillé, consigliere del gruppo petrolifero e presidente gabonese. M’ba riprese così il potere. Quando morì nel 1967, la rete Foccart installò Omar Bongo, un ex membro del servizio segreto francese, a capo del Gabon. Ha poi regnato sul paese con il sostegno della Francia fino alla sua morte nel 2009. In cambio, ha condiviso la ricchezza del paese con la Francia e la classe politica francese.

 

Nigeria e Biafra, caccia al petrolio

Il caso della guerra del Biafra in Nigeria (1967-1970) ha messo in luce le capacità sovversive della Francia di instaurare un regime favorevole all’approvvigionamento di petrolio alla Francia stessa. Dagli anni ’60 in poi, le riserve petrolifere della Nigeria si sono rivelate eccezionali.

Nel 1968, de Gaulle incaricò Foccart di riprendere il controllo dei giacimenti petroliferi nigeriani e del terminal petrolifero di Port-Harcourt (l’unico grande accesso all’Atlantico) allora sotto il controllo anglosassone. Dalla sua base a Libreville in Gabon e ad Abidjan in Costa d’Avorio, lo SDECE alimenterà il conflitto fornendo armi ai secessionisti con il pretesto di aiuti umanitari. Il tenente colonnello Raymond Bichelot, capo del SDECE ad Abidjan dal 1963, ha avuto un ruolo centrale nella conduzione delle operazioni in Biafra. Parigi stava usando i suoi servizi di intelligence per fini sovversivi al fine di aiutare la sua industria petrolifera a sviluppare le sue fonti di approvvigionamento.

In realtà, la guerra del Biafra è una guerra tra le compagnie petrolifere britanniche, Shell e BP, e la francese SAFRAP, filiale del gruppo statale francese ERAP. Parigi in pratica stava andando a cacciare sulle terre delle compagnie britanniche già costituite dal 1950. La rivolta venne repressa al costo di più di un milione di morti causati in parte dal blocco alimentare deciso dall’esercito nigeriano.

La SDECE sfruttò il “genocidio per manipolare l’opinione pubblica (tramite il quotidiano Le Monde) e nascondere il suo vero ruolo nella guerra”. Tuttavia, la compagnia petrolifera francese riuscì a mantenere la maggior parte della sua produzione di petrolio. In conclusione, osserviamo che Foccart aveva orchestrato efficacemente “le varie strategie di influenza e manipolazione contro dei paesi produttori di petrolio”. Il suo scopo era quello di mantenere un clima politico favorevole al buon approvvigionamento di petrolio alla Francia. Per raggiungere questo obiettivo, si affidava alle risorse umane dei servizi di intelligence e delle reti diplomatiche, nonché a notevoli risorse finanziarie come quelle dell’Elf e dei suoi suoi alleati africani. Tuttavia, questo “sistema Foccart” non è riuscito a sviluppare al di fuori del distretto africano, una “visione particolare sul ruolo dell’intelligence economica nella conservazione di un interesse di potere, ad eccezione di alcune aree chiave” e in particolare di quella del petrolio.

 

Il ruolo di Alexandre de Marenches

Alexandre de Marenches è stato nominato Direttore generale dello SDECE da Pompidou nel 1970. Ha ricoperto questo incarico fino al 1981. Il presidente lo ha invitato a riformare fondamentalmente lo SDECE. La scelta di Pompidou era motivata dall’affare Marković, uno scandalo che coinvolgeva la moglie del presidente e lo SDECE. All’alba del primo shock petrolifero (1973-1974), de Marenches si preoccupava dell’uso che i paesi dell’OPEC avrebbero fatto del guadagno finanziario generato dal “drastico aumento dei diritti dovuti dalle compagnie petrolifere". Per realizzare gli interessi della Francia portò in essere quattro possibili strategie: guerra finanziaria; partecipazioni arabe in società francesi, potenzialmente destabilizzanti per l’economia; aiuti alle organizzazioni terroristiche e infine l’uso della corruzione diffusa.

Convinto che l’Unione Sovietica stava segretamente tirando le fila con l’obiettivo di minare l’approvvigionamento di petrolio dell’Occidente, costruì un’alleanza di intelligence anticomunista: Safari club. Creato nel 1976, riuniva l’intelligence francese, iraniana, egiziana, saudita e marocchina. L’obiettivo di Parigi era la lotta al comunismo in Africa e in Medio Oriente. Lo SDECE si avvaleva quindi dei petrodollari sauditi per finanziare le sue operazioni e aumentare la sua influenza.

Ciò che era in gioco oltre alla sua partecipazione al Safari club, era non solo l’importanza dell’Arabia Saudita per l’industria degli armamenti francese ma anche il rinnovo dell’accordo petrolifero con il Regno Saudita. Inoltre, alla Francia venne tacitamente affidato dai suoi partner NATO il ruolo di “poliziotto dell’Africa”. In cambio, il suo attivismo energetico particolarmente autoritario fu tollerato. Ad esempio, durante la guerra civile in Angola (1975-1991), lo SDECE, ed in particolare il suo servizio di azione, hanno fornito sostegno militare all’UNITA, un movimento di guerriglia che combatteva contro il regime comunista al potere. L’Angola era un paese ricco di petrolio ed, in particolare, la regione di Cabinda. Elfi. Durante la Guerra Fredda, lo SDECE si era trasformato in un servizio per la difesa del distretto africano al fine di mantenere l’influenza francese sulle sue ex colonie e per garantire il suo approvvigionamento di risorse petrolifere.

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