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 blackblog

Tra 1 abito e 10 braccia di tela: il problema dell'equivalenza

di Frank Grohmann

Lacan«È questo ciò di cui si tratta, ed è questo che voglio proporre oggi alla fine di questa lezione: gli è che la Metonimia, a rigor di logica, costituisce quel luogo dove noi dobbiamo posizionare qualcosa che è primordiale, e questo qualcosa è talmente primordiale ed essenziale nel linguaggio umano al punto che noi, qui, al contrario, lo assumiamo secondo la dimensione del senso. Voglio dire che, partendo dalla diversità di questi oggetti - che sono già costituiti a partire dal linguaggio, e in cui viene introdotto il campo magnetico del bisogno di ciascuno, con le sue contraddizioni - la risposta che ho introdotto precedentemente a questo qualcos'altro, che forse qui potrebbe sembrare paradossale, è stata quella della dimensione del valore.

E questa dimensione del valore, è per l'appunto qualcosa che possiede una sua dimensione di senso in relazione a esso. Si pone e si impone in quanto essere in contrasto, a partire dal fatto che si tratta di un altro versante, di un altro registro. Se qualcuno di voi ha abbastanza familiarità; non dico con tutto il Capitale - chi ha letto il Capitale! - ma con il primo libro del Capitale, che in generale hanno letto tutti, vi chiederei di andare alla pagina in cui Marx, nel formulare quella che, in una nota, viene chiamata la teoria della forma particolare del valore della merce, appare come un precursore della fase dello specchio. In questa pagina [N.d.T.: sulla forma di equivalenza del valore della merce] - in questo suo prodigioso primo libro, che ce lo mostra, cosa rara, nelle vesti di uno che tiene un discorso filosofico articolato - Marx fa questa osservazione eccessiva e sovrabbondante, egli fa la seguente considerazione: che prima di intraprendere qualsiasi tipo di studio delle relazioni quantitative di valore, come prima cosa è necessario presupporre che non può essere stabilito nulla, se non sotto forma dell'istituzione di una specie di equivalenza fondamentale che non si riferisce semplicemente ai tanti tessuti uguali, ma alla metà del numero degli abiti; cioè, esiste già qualcosa che va strutturato nell'equivalenza tela-vestito - vale a dire che gli abiti possono rappresentare il valore della tela, nel senso che essa non è, come un abito, qualcosa che può essere indossato; e che all'inizio dell'analisi c'è qualcosa per cui l'abito può diventare il significante del valore della tela.

In altre parole, l'equivalenza che noi chiamiamo valore in effetti non è altro che l'abbandono da parte di uno - o due - dei due termini, e pertanto l'abbandono di una parte altrettanto molto importante del loro senso. Ed è in questa dimensione che si colloca l'effetto di senso svolto dalla catena metonimica, la quale in seguito ci permetterà di scoprire a cosa serve mettere in gioco l'effetto di senso presente nei due registri, della metafora e della metonimia; a che cosa essi si riferiscono, in questa comune messa in gioco, relativamente a una dimensione, a una prospettiva, che è poi quella essenziale, e che ci permette di raggiungere il piano dell'inconscio. È precisamente questo ciò che rende necessario che noi si faccia appello, in maniera mirata, alla dimensione dell'Altro in quanto esso è il luogo, il recettore, il cardine necessario per questo esercizio.»

(da: Jacques Lacan, "Le formazioni dell'inconscio", 27 novembre 1957).

Questa prima menzione dell'opera di Karl Marx - nel seminario di Jacques Lacan, che all'epoca era in corso e andava avanti da cinque anni - ha molte buone ragioni per meritare la nostra attenzione. E non perché Lacan insinui qui che alcuni dei suoi ascoltatori abbiano «abbastanza familiarità» con il primo libro del Capitale, «che in generale hanno letto tutti»; cosa che però viene subito contraddetta da un sospetto ammiccante: chi ha mai letto tutti e tre i libri?!? E non è nemmeno a causa dell'esuberante elogio che Lacan fa del «discorso filosofico articolato» che troviamo nel primo libro («raro», «prodigioso», «sovrabbondante») del Capitale; l'incipit di un inno al quale Marx stesso non avrebbe probabilmente voluto unirsi! Del resto, in fin dei conti, la sua analisi della legge del movimento economico della società moderna non colpisce forse innanzitutto, e profondamente, le basi stesse di tutto il discorso filosofico [*1]?

Se noi facciamo bene a seguire da vicino il riferimento che lo psicoanalista fa al teorico della critica dell'economia politica, è a causa della menzione che viene fatta della «dimensione del valore». Questo riferimento può essere disaggregato e analizzato come segue:

1/ nel linguaggio umano, la dimensione del valore è primordiale ed essenziale;

2/ la dimensione del valore si posiziona nel locus della metonimia (distinto da quello della metafora);

3/ la dimensione del valore si oppone, ovvero è in opposizione alla metafora.

4/ a livello della formulazione della teoria della forma valore relativo della merce, in una nota a piè di pagina, Marx si rivela come un precursore della fase dello specchio.

I punti 1/, 2/ e 3/ riguardano la teoria stessa di Lacan relativa a questo contesto: il linguaggio umano, la distinzione tra metafora e metonimia, il luogo della questione del senso. Il punto 4/ non è che attenga meno alla teoria lacaniana, ma su questo Lacan assume Marx come garante: chi l'avrebbe mai detto; Marx ha già parlato dello «stadio dello specchio» (lacaniano)!

Tutti questi aspetti hanno come presupposto il punto 4/, vale a dire: la lettura che fa Lacan dei passaggi del primo libro del Capitale (il quale tratta il processo di produzione del capitale) al quale qui si riferisce.

Pertanto, il nostro commento inizierà da qui, e si concentrerà su questo punto (1/); per poi concludere a proposito degli altri punti menzionati (2/ e 3/).

1/) Ci interessano qui, i passaggi del primo capitolo della prima sezione ("Merce e denaro"), in cui Marx si occupa del«La merce» distinguendo, sotto quattro voci principali, i due fattori della merce, il valore d'uso e il valore (la sostanza del valore e la grandezza del valore), sottolineando il doppio carattere del lavoro rappresentato nelle merci, nominando la forma del valore o valore di scambio, e infine tratteggiando il carattere feticcio della merce e il suo segreto. Marx parte dalla forma semplice, individuale o accidentale del valore, per poi passare in seguito alla forma totale o dispiegata del valore, e poi alla forma generale del valore, prima di arrivare alla forma denaro.

In questo contesto, il commento di Lacan si articola intorno all'opposizione tra il «vestito» e la «tela», che viene introdotto da Marx al fine di evidenziare quale sia il «punto di partenza» dal quale procede la comprensione dell'economia politica, cioè la «natura bifida del lavoro contenuto nella merce». «Prendiamo due merci», comincia Marx, «, p.es. 1 abito e 10 braccia di tela. Abbia la prima un valore doppio della seconda, cosicché 10 braccia di tela = 1 [unità di valore], 1 abito = 2 [unità di valore]» [*2]. Da questo punto in poi, Marx impiega solo cinque pagine per smascherare questo «duplice carattere del lavoro rappresentato nelle merci»: esso «costituisce il valore delle merci» e «produce valori d'uso [*3]». Torneremo su questo.

Nel suo commento, è in particolare a questo trattamento della forma semplice del valore che Lacan si riferisce: «L’arcano di ogni forma di valore», prosegue Marx, «risiede in questa forma semplice di valore»: vale a dire che « x merce A = y merce B ovvero x merce A vale y merce B [*4] ». A partire da questo, Marx definisce i due poli dell'espressione del valore, la «forma-valore relativo» e la «forma-equivalente», come segue: «Due merci di genere differente, A e B, –nel nostro esempio tela e abito–, recitano evidentemente due parti differenti. La tela è la merce che esprime il proprio valore in un corpo di merce da essa differente, nell’abito. D’altro canto, la specie di merce abito serve da materiale di questa espressione di valore. La prima merce svolge una parte attiva, la seconda una parte passiva. Il valore della prima merce, che esprime il suo valore in un’altra merce, è rappresentato come valore relativo, ossia quella prima merce si trova in forma relativa di valore. La seconda merce invece, in questo caso l’abito, che serve da materiale per l’espressione di valore, funziona come equivalente, ossia essa si trova in forma di equivalente »[*5]. Nessuna forma-equivalente, dunque, senza forma-valore relativa: «La forma relativa di valore e la forma di equivalente sono due momenti correlati e inseparabili della stessa espressione di valore, i quali appartengono l’uno all’altro e si condizionano reciprocamente; ma, allo stesso tempo, queste due forme sono estremi, cioè poli della stessa espressione di valore, i quali si escludono l’un l’altro, ossia sono opposti. Essi si distribuiscono sempre sulle differenti merci che l’espressione di valore mette in relazione l’una all’altra». Da ciò si deve concludere, secondo Marx, che «Il valore della tela può dunque essere espresso soltanto in altra merce, cioè soltanto relativamente. La forma di valore relativa della tela presuppone quindi che una qualsiasi altra merce si trovi in confronto a essa nella forma di equivalente. D’altra parte, questa altra merce –qui l’abito–, che figura come equivalente, non si può trovare contemporaneamente in forma relativa di valore. Non è essa a esprimere il suo valore. Essa si limita a fornire il materiale all’espressione di valore di un’altra merce» [*6]. O detto in altre parole: «Dunque, la stessa merce non può trovarsi simultaneamente nelle due forme nella stessa espressione di valore. Anzi, quelle due forme si escludono polarmente» [*7]. Da qui finalmente la seguente conclusione: «Ora, che una merce si trovi nella forma relativa di valore o nella forma opposta di equivalente dipende esclusivamente dal posto che essa occupa di volta in volta nell’espressione di valore, cioè dal fatto che essa sia la merce della quale si esprime il valore, oppure la merce nella quale si esprime il valore» [*8] Ecco come è strutturata la relazione di scambio tra le due merci.

Marx passa poi a esaminare più da vicino la «forma-valore relativo» e la «forma-equivalente». Lo studio della prima comincia dalla questione di sapere in che modo si può scoprire «come l'espressione del valore semplice di una merce si trovi nella relazione di valore tra due merci [*9]». Secondo Marx, questo rapporto di valore va prima considerato «in modo del tutto indipendente dal suo aspetto quantitativo» ; se si procede «in maniera esattamente inversa», come avviene il più delle volte, «vedendo nel rapporto di valore solo la proporzione per cui alcune quantità di due tipi di merci sono equivalenti tra di loro», non si riesce a vedere, continua Marx, «che le grandezze di cose differenti diventano quantitativamente comparabili solo allorché vengono ridotte a una sola unità. Solamente in quanto espressioni della stessa unità, esse assumono grandezze con lo stesso nome, e quindi commensurabili» [*10]. Siamo così arrivati a quel passaggio del testo di Marx su cui Lacan si basa per il suo commento, e che riporta nella seguente maniera: Marx mostrerebbe qui, secondo Lacan, che «non può essere stabilito nulla, se non nella forma dell'istituzione di questa specie di equivalenza fondamentale». Qui Lacan non è completamente d'accordo con Marx? Tanto più che quest'ultimo aggiunge nello stesso paragrafo: «Sia che 20 braccia di tela = 1 abito, o 20 o x abiti, vale a dire, sia che un quantum dato di tela valga un gran numero o un piccolo numero di abiti, tutte queste proporzioni implicano sempre che tela e vestiti sono - come grandezze di valore - espressioni della medesima unità, delle cose della stessa natura. La base dell'equazione è: tela = abito» [*11].

Vale la pena qui dare un'occhiata più da vicino. Lacan ha certamente ragione, quando dice che «questa specie di equivalenza fondamentale che non si riferisce semplicemente a tanti altri tessuti uguali»; e anche quando arriva alla conclusione che «esiste già qualcosa che deve essere strutturato nell'equivalenza tessuto di tela- tessuto di tela, cioè che dei vestiti possono rappresentare il valore della tela». Ma secondo Marx, questa strutturazione, come abbiamo appena visto, lungi dal portare ad una semplice «equivalenza tessuto-tessuto» (Lacan), si rivela più complessa; dal momento che per quel che riguarda la loro relazione di scambio, sia la tela, sia l'abito è l'equivalente, o meglio: o l'una o l'altra merce ha assunto la forma di un equivalente in relazione all'altra merce, che (così) viene a trovarsi nella forma di valore relativo. L'equivalente (Marx non parla mai di «equivalenza»!) è sempre solo da una parte, mentre dipende allo stesso tempo sempre dall'altra parte dei due poli dell'espressione del valore. In tal modo, per Marx, gli «abiti» rappresentano solo «il valore della tela» (Lacan), nella misura in cui le due forme sono allo stesso tempo anche sia i due momenti (associati, interdipendenti, inseparabili) che gli estremi o poli (reciprocamente esclusivi, opposti) della stessa espressione di valore. Se, secondo Marx, il valore può essere espresso solo in maniera relativa, ciò avviene nel senso che la forma relativa del valore di una merce (la tela) presuppone che un'altra merce si trovi rispetto ad essa (a quella tela) nella forma equivalente.Naturalmente, è l'espressione formale di Marx «tela = abito» che può facilmente ingannare il lettore, e che favorisce qui una non trascurabile imprecisione da parte di Lacan. Ma: se «tela = abito», come scrive Marx, è la «base dell'equazione» - un'equazione come base di un'equazione? - allora questo è valido solo a condizione che tale base, secondo lui, non può mai essere colta solo grazie a unico sguardo, vale a dire che va colta da entrambi i due lati alla volta. In altre parole, si rendono necessari due tentativi successivi, ognuno dei quali affronta solo un lato dell'equazione (apparentemente duplice), vale a dire che può essere colta solo una delle due equazioni. Pertanto, a questo punto, in questa fase, la concezione di Lacan circa «tela = abito» di Marx, in quanto «equivalenza fondamentale» rimane (troppo) imprecisa:

Da un lato, perché non problematizza la logica della riduzione, in base alla quale, in Marx, le grandezze di cose differenti diventano quantitativamente comparabili. Quando Marx formula «tela = abito è la base dell'equazione», quel segno di uguaglianza si fonda solo sulla base di una riduzione delle grandezze delle cose differenti a una sola unità, cioè: il «valore». La percezione di questa duplicazione (quasi folle) dell'equazione, è dovuta a quel doppio segno di uguaglianza (per così dire razionale). Infatti, questi segni di uguaglianza non riguardano la stessa equazione: il primo, rende la merce sotto forma di valore relativo uguale alla merce sotto forma di equivalente, mentre il secondo, rende la riduzione delle grandezze di cose differenti equivalente a un'unica e stessa unità, la quantità di valore. D'altra parte, Lacan non tiene conto del fatto che le due merci «messe sullo stesso piano qualitativo non svolgono il medesimo ruolo. Perché, come spiega Marx: "Viene espresso solo il valore della tela. E come? A partire dalla sua relazione con l'abito, che viene considerato come suo "equivalente", o come "scambiabile con esso". In questa relazione, l'abito assume una forma di esistenza preziosa, una cosa-valore, poiché solo in quanto tale esso è la stessa cosa che è la tela. Del resto, l'essere-valore proprio della tela viene messo in evidenza, o acquisisce un'espressione autonoma, poiché è solo come valore che essa può essere riferita al vestito come se fosse qualcosa di uguale valore, o fosse scambiabile con esso» [*12]. La teoria del valore di Marx presuppone quindi le necessarie distinzioni tra cosa-valore, essere-valore e grandezza del valore. Ma nel corso delle parafrasi di Lacan, questi contorni della «dimensione del valore» (Lacan) così strutturata si confondono, e - è questa la nostra tesi - ora Lacan dimentica completamente questo punto attorno al quale, secondo Marx, «ruota la comprensione dell'economia politica». Perché alla fine, è solo intorno a questo «punto» che Marx affronta la relazione di scambio tra due merci e pone la questione di sapere cosa significhi l'equazione «1 abito = 10 braccia di tela». La risposta è: «Che esiste qualcosa di comune, e che ha la stessa dimensione, in due cose diverse» [*13]! In altre parole, un po' diverse: «Ciascuna delle due cose», 1 abito e 10 braccia di tela, «sono quindi uguali a una terza cosa, che in sé non è né l'una né l'altra». Vale a dire: «Ciascuno dei due», 1 abito e 10 braccia di tela, «nella misura in cui essa è valore di scambio, deve quindi essere riducibile a questa terza cosa»: «bisogna ridurre i valori di scambio delle merci a qualcosa che sia loro comune, e di cui essi ne rappresentano una quantità maggiore o minore» [*14]. Questa cosa comune, o terza cosa, non può perciò essere una «proprietà naturale, geometrica, fisica, chimica o altro» delle due merci, poiché: la loro riduzione a tale cosa comune o terza - chiamata anche «astrazione del valore d'uso» - cancella ogni qualità sensibile del prodotto del lavoro. In altri termini, essa consiste nel ridurre le differenti forme concrete di lavoro a un «lavoro umano identico, a un lavoro umano astratto». [*15]

In questo modo, viene così chiaramente designato qual è il «punto» essenziale di Marx ai fini della comprensione dell'economia politica in generale, punto che Lacan sembra aver dimenticato la sera del 27 novembre 1957: certo, ogni lavoro è «dispendio di forza-lavoro umana», ma «in quanto lavoro contenuto nella merce», esso è di una «duplice natura», e «in quanto lavoro rappresentato nella merce», ha assunto un «duplice carattere» (vedi sopra): sia in quanto lavoro utile concreto che produce valori d'uso, che come lavoro umano identico o astratto, che costituisce il valore della merce [*16]. Ma questo non avviene senza che i corpi delle merci vengano a essere rivestiti di un'«oggettività fantasmatica» [*17], che d'ora in poi resterà a essi attaccata come se fosse una seconda pelle, sia in quanto «semplice gelatina di lavoro umano indifferenziato» sia come «cristallizzazione di quella sostanza sociale, a essi comune» [*18]. L'equazione «1 abito = 10 braccia di tela» contiene quindi al suo interno quella comunanza che appare nella relazione dello scambio di merci: il valore. «1 abito» e «10 braccia di tela» sono dei «valori - valori merceologici», ma lo sono solo nella fantomatica oggettività di una sostanza sociale che li accomuna: il lavoro astratto. Questa risposta alla domanda circa che cosa dica questa equazione, porta inevitabilmente alla domanda seguente: «Come possiamo fare allora a misurare la grandezza del loro valore?». Ogni approccio alla teoria marxiana del valore che dimentichi l'elaborazione che Marx sviluppa a partire da questa seconda domanda, non può che falsare e snaturare in maniera indebita la «dimensione del valore» (Lacan) nel contesto della modernità produttrice di merci. Dato che un valore d'uso, o una merce, ha valore solo perché il lavoro umano astratto si trova a essere oggettivato o materializzato in essa, ecco che allora la risposta alla domanda su come misurare la grandezza del valore deve essere: «A partire dal quantum di "sostanza costitutiva del valore" che tale merce contiene, dal quantum di lavoro» [*19].

2/) Resta ora da sapere come fare a spiegare il fatto che Lacan si sia così distratto riguardo al «punto» di Marx. Ci sono delle buone ragioni per pensare che la risposta risiede semplicemente nel fatto che la sera del 27 novembre 1957 la base ideale di Lacan era diversa. In effetti, nel momento in cui Lacan formula che la strutturazione dell'equivalenza tela-abito - necessaria affinché i vestiti rappresentino il valore della tela - che si accompagna al fatto che i vestiti «possono diventare il significante del valore della tela», non costituisce solo il suo punto saliente in quanto si rivela qui come la teoria del significante (un elemento essenziale del progetto di rinnovamento, dall'interno, dei fondamenti della psicoanalisi, nella misura in cui vanno ricercati nel linguaggio), per la cui elaborazione Lacan si affida in questo momento alla linguistica strutturale; ma il «valore» qui in questione risulta essere un concetto linguistico che non va confuso con il concetto di valore di Marx [*20]. È pertanto su questo sfondo - e quindi non su quello dell'analisi di Marx della forma semplice del valore - che va capito ciò che Lacan spiega poi riguardo la «dimensione del valore» (vedi sopra). Ed è sempre su questo stesso sfondo che bisogna leggere l'affermazione di Lacan secondo cui, da un lato, la dimensione del valore si trova a «l'opposto» della «dimensione del senso» e, mentre dall'altro lato, «l'equivalenza che si chiama valore implica per l'appunto l'abbandono di una parte di uno o due dei due termini - 1 vestito, 10 braccia di tela - l'abbandono di una parte altrettanto importante del loro senso». La confusione che ne risulta, da questo punto di partenza di Lacan, tra questo abbandono di una parte molto importante del significato dei termini in gioco (Lacan), e questa riduzione delle grandezze delle cose diverse alla stessa unità (Marx), per non rischiare di cadere al primo passo, nell'una o nell'altra trappola omologica, deve essere evitata a ogni nuovo tentativo di mettere in relazione tra loro le categorie della critica marxiana dell'economia e quelle della critica psicoanalitica della coscienza (R. Kurz). Bisogna prima ristabilirla e poi, per quanto riguarda i passi successivi, evitarla ogni qualvolta.

3/) A partire da questo punto in poi, siamo disposti ad ammettere che Lacan ha fatto più di un riferimento di passaggio, quando ha voluto usare Marx come «precursore» della sua tappa dello specchio.

Guardiamo più da vicino: la sua analisi porta al Marx della seguente frase: «Grazie alla relazione di valore, la forma naturale della merce B diventa così la forma di valore della merce A, ovvero, il corpo della merce B diventa uno specchio del valore della merce A» [*21]. Essa è seguita, nel Capitale, dalla seguente nota a piè di pagina, alla quale Lacan si riferisce: «Per certi aspetti, l'uomo è come una merce. Dato che non viene al mondo dotato di uno specchio, né della formula fichtiana dell'io, l'uomo si guarda prima nello specchio di un altro uomo. È solo attraverso la sua relazione con l'uomo Paolo, suo simile, che l'uomo Pietro si riferisce a sé stesso in quanto uomo. Ma così facendo, il Paolo in questione, con tutta la sua corporeità paolina in carne e ossa, viene anch'egli riconosciuto da lui come forma fenomenica del genere umano».

Nel caso migliore, qui Lacan sta rispondendo, con un'osservazione divertente, a una battuta dello stesso Marx. Poiché, come sempre, qui lo specchio seducente riesce anche a ingannare, e diventa in apparenza il «fondamento dell'equazione» (vedi sopra) di Pietro e Paolo, ma in realtà nasconde un rapporto di equivalenza che viene colto troppo poco nella riflessione. Ciò perché, ancora una volta, con Marx, lo specchio non è tra i due, ma solo su un lato dell'equazione! Ma che succede se la battuta di Marx non può essere trasposta a Lacan? Ecco che allora non saremo in grado di cogliere ciò che si trova davvero tra l'uomo e la merce, ovvero: l'ipotesi psicoanalitica dell'inconscio.


Note
[1] Voir la confrontation de Marx avec Proudhon dans Misère de la philosophie, 1847.
[2] Karl Marx, Le Capital, Livre I, Paris, PUF, 1993, p.47.
[3] Ibid., p. 53.
[4] Ibid., p. 55.
[5] Ibid.
[6] Ibid.
[7] Ibid., p. 56.
[8] Ibid.
[9] Ibid. Je souligne.
[10] Ibid.
[11] Ibid., p. 57.
[12] Ibid.
[13] Ibid., p. 41. Je souligne.
[14] Ibid., p. 41-42. Je souligne.
[15] Ibid., p. 43. Je souligne.
[16] Ibid., p. 52. Voir plus haut.
[17] Ibid., p. 43.
[18] Ibid.
[19] Ibid., p. 43.
[20] Voir : F. Rastier (2002), « Valeur saussurienne et valeur monétaire », L’information grammaticale, 95, 2002, S. 46-49 ; L. Depecker (2012), « L’élaboration du concept de « valeur » dans les manuscrits saussuriens », Langages, 2012/1 (n° 185), S. 109-124 ; A. d’Urso (2015), « Théories économiques et sémiotiques de la valeur. Une approche homologique et une proposition inédite », SynergiesItalie, n° 11, 2015, S. 37-49.
[21] Karl Marx, Le Capital, Livre I, Paris, PUF, 1993,p. 60.

fonte: GRUNDRISSE. Psychanalyse et capitalisme

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