Mario Draghi, ovvero l’ontologia del tecno-capitalismo
di Lelio Demichelis
Il recente discorso di Draghi a Bruxelles a un anno dalla presentazione del suo Rapporto è una quintessenza del pensiero tecnocratico neoliberale. Per competere con Cina e USA serve il primato della crescita e dello sviluppo, meno limiti alle imprese e quasi nessuna cura per la democrazia e la tutela dell’ambiente.
“Monito all’Europa”. “Discorso accorato e appassionato”. “Parole nette. Parole scandite”. “Un ultimatum ai governi”. Questi alcuni dei titoli che hanno accompagnato il recente discorso di Mario Draghi per celebrare un anno dalla presentazione del suo Rapporto sulla competitività. Ma per quale Europa parla Draghi? E in nome di chi ha redatto il suo Rapporto? Poche, come sempre le critiche, molte, come sempre, le lodi. Nessuno (o pochissimi) ha cercato di analizzare la filosofia – meglio: l’ontologia e la teleologia (e la teologia economica e tecnica) – sottesa al suo Rapporto e al suo discorso. Intendendo con ontologia, il senso per cui l’uomo deve essere formattato per essere funzionale al sistema e alle esigenze del capitale, e con teleologia intendendo le finalità da perseguire mediante l’ontologia sistemica, cioè l’accrescimento incessante di profitto, del mercato e dei sistemi tecnici integrati e convergenti in mega-macchine.
Il discorso di Draghi merita quindi un’analisi dettagliata e approfondita. Recuperando quel pensiero critico oggi quasi scomparso dalla scena politica e culturale, ma senza il quale non si capisce il mondo che cambia e come sta cambiando e chi lo sta cambiando a nostra insaputa.
Iniziamo con una notazione: Draghi cita molte sigle e molti acronimi – IPCEI, PPA, CfD, ScaleupEurope – ma non cita mai il più importante, l’IPCC, ovvero The Intergovernmental Panel on Climate Change, i cui studi e i cui allarmi sul cambiamento climatico e ambientale, cioè sull’ecocidio in corso (prodotto dall’uomo, o meglio: da tre secoli di rivoluzione industriale tecnica e capitalistica basata su profitto e sfruttamento di uomini e biosfera, a prescindere dall’uomo), dovrebbero essere invece la bussola per guidare e attuare (questa sì urgentemente) la trasformazione radicale del sistema tecnico e capitalista nel senso di responsabilità (e giustizia) ambientale, sociale e intergenerazionale.
Ma l’unica volta che nel suo discorso Draghi usa il termine ecosistema lo fa per ecosistema digitale, in perfetta neolingua dell’oligarchia tecno-capitalista (far sembrare naturale ciò che è artificiale). E meno che meno ha ovviamente ricordato i dieci anni dalla Laudato si’ – un intralcio al pieno dispiegarsi delle forze produttive. Perché l’Europa fa suo il Rapporto di Draghi basato sul sempre di più (più produttività per più profitti privati, per più consumismo, per più ecocidio) e non certo adotta il senso ecologico e sociale (ontologico) dell’enciclica di Francesco, basata su responsabilità e sobrietà, su una diversa idea di progresso.
Rileggiamo allora alcune parti del discorso di Draghi, quelle meno messe in evidenza (i corsivi sono nostri).
Cominciamo dalla tecnologia. Dice Draghi, a proposito degli ostacoli che frenano l’innovazione e degli obiettivi invece da perseguire: “Il primo: rimuovere le barriere alla scalabilità delle nuove tecnologie […] consentendo alle imprese innovative di operare, commerciare e raccogliere finanziamenti senza ostacoli in tutti i 27 Stati membri, proprio come avviene in altre grandi economie”. E siamo ben oltre la regolamentazione del mercato, ma alla sua promozione ordoliberale (rimuovere gli ostacoli… consentendo alle imprese…), a prescindere da ciò che vogliono fare le imprese, a prescindere da qualsiasi fine/scopo altro e diverso da quello del capitale, a prescindere da democrazia, partecipazione, uguaglianza, fraternità, responsabilità per il futuro. Ma attenzione, questo il sistema lo chiede per il bene dell’intera società, non certo (esplicitamente) per l’oligarchia – Draghi infatti aggiunge, con un tocco di buonismo: “Questo è particolarmente importante per dare ai giovani europei una possibilità nel loro continente. Loro vogliono restare qui, non vogliono dover andare altrove per avere successo”. Che poi le scelte dell’oligarchia accrescano la crisi climatica e insieme generino distruzione di posti di lavoro (anche di media e alta qualità), sostituiti dalla IA, minacciando nei due sensi di ambiente e lavoro il futuro di questi stessi giovani, deve restare nascosto dalle retoriche della neolingua archica. Draghi non vuole ovviamente trasformare il sistema per dare un futuro sostenibile, non accetta limiti democratici ed ecologici, non vuole regole che limitino l’autocrazia delle imprese e del capitale; vuole invece rimuovere gli ostacoli che frenano la crescita economica e l’innovazione tecnologica (il sempre di più, appunto, la crescita quantitativa, non lo sviluppo qualitativo e sostenibile). E quindi, l’Europa “deve dimostrare di sapersi adattare a un panorama tecnologico in rapida evoluzione”. Ovvero, e di nuovo: non è l’impresa che deve adattarsi alle esigenze della società e della biosfera, come dovrebbe essere, ma società e biosfera devono adattarsi alle esigenze del capitale. In un totalitario rovesciamento del rapporto tra fini e mezzi.
E ancora Draghi: “Le risorse devono fluire verso centri di eccellenza. […] Devono essere rafforzati da forti legami tra industria e istituzioni accademiche per trasformare la ricerca in applicazioni reali” – cioè, scienza e università al servizio dell’industria e del profitto (comprese le tecnologie e le ricerche dual use). E “l’attuazione deve essere affidata a project manager esperti – non a burocrati” – ovvero e di nuovo, niente democrazia (un intralcio al capitale e all’innovazione), niente responsabilità, niente pensiero critico, ma imprenditori e project manager e la società trasformata in una fabbrica, guidata da manager. Perché il capitale come la tecnologia come gli oligarchi (altrimenti non sarebbero oligarchi) da sempre non amano la democrazia. Come a dire: lasciate fare a noi oligarchi, non immischiatevi in cose che non sapete e che non dovete sapere. Al sapere pensiamo noi con l’IA, facendovi credere di essere intelligenti, voi non dovendo vedere che proprio grazie alla IA vi stiamo invece espropriando/alienando da quel poco di sapere e di libertà cognitiva che vi avevamo lasciato. Adattatevi piuttosto con virtuosa rassegnazione alle esigenze dell’industria – che poi è quanto sosteneva già, prima del neoliberalismo, Auguste Comte, uno dei padri del positivismo, nella prima metà dell’Ottocento, auspicando, con Saint-Simon una società governata da imprenditori e banchieri. E dovete farlo in fretta, perché, sempre Draghi, il cambiamento per maggiore competitività (di nuovo: non per risolvere la crisi climatica) “richiede nuova velocità, scala e intensità. Significa concentrare le risorse dove l’impatto è maggiore. E significa ottenere risultati in mesi, non in anni”. E quindi – commento nostro – tutti noi dovremmo smettere di credere che per la transizione ecologica serva la transizione digitale, quest’ultima è infatti energivora all’ennesima potenza, quindi anti-ecologica in sé e per sé – e lo conferma implicitamente Draghi: “La capacità dei data center è destinata a triplicare nei prossimi sette anni. […] La loro domanda di elettricità in Europa aumenterà del 70 per cento entro il 2030”.
La seconda area invocata da Draghi è la regolamentazione, o detto più correttamente: la de-regolamentazione. Dice Draghi: “Tra le imprese europee, una delle richieste più chiare è una semplificazione radicale del GDPR; non solo della legge primaria ma anche delle pesanti aggiunte da parte degli Stati membri. L’addestramento dei modelli di IA richiede enormi quantità di dati pubblici dal web. Tuttavia, l’incertezza legale sul loro utilizzo crea ritardi costosi, rallentandone la diffusione in Europa. Le ricerche lo confermano: il GDPR ha aumentato il costo dei dati di circa il 20 per cento per le imprese UE rispetto ai concorrenti statunitensi. Eppure, l’unico cambiamento finora sul tavolo è un alleggerimento della tenuta dei registri e l’estensione delle deroghe per le PMI alle imprese mid-cap. Una riforma più ampia verso regole semplici e armonizzate è ancora vaga. L’AI Act è un’altra fonte di incertezza”.
Traduciamo: poiché bisogna addestrare l’IA per aumentare i profitti e la sorveglianza nel capitalismo della sorveglianza, le imprese vogliono rubarci ancora più dati, oggi costano troppo, quindi noi cittadini dobbiamo rinunciare ancora di più alla tutela della nostra privacy sempre per adattarci alle esigenze delle imprese. Ma la privacy – doveroso ricordarlo – era uno degli elementi essenziali e fondamentali per fare dell’individuo un individuo libero (e rimandiamo al magistrale Privacy di William Faulkner). Vero, ma il tecno-capitalismo – la tecno-archía con le sue oligarchie, appunto perché potere archico – non solo non ama la democrazia ma neppure la libertà (e meno che meno la libertà cognitiva), anche se dice sempre (la neolingua archica, ancora, che usa la forma più subdola di esercitare il potere, cioè togliere la libertà in nome di una promessa di libertà) di agire in nome della libertà e della vera democrazia.
Ancora Mario Draghi, ma dando una lettura deformata della realtà sociale europea: i cittadini europei “sono delusi dalla lentezza con cui si muove l’UE. Ci vedono incapaci di tenere il passo della velocità che il cambiamento assume altrove. Sono pronti ad agire, ma temono che i governi non abbiano compreso la gravità del momento. […] A volte l’inerzia viene persino presentata come rispetto dello Stato di diritto. Io credo che questa sia una forma di autocompiacimento. I concorrenti negli Stati Uniti e in Cina sono molto meno vincolati, anche quando agiscono nel rispetto della legge”. Tradotto sempre dalla neolingua: servono efficienza e velocità, non riflessione e consapevolezza; quindi facciamo come fanno USA e Cina per i nostri concorrenti, diventiamo come loro, meno vincolati dalle regole della democrazia e dello Stato di diritto, insomma più libertà per le imprese, più competizione. Che poi i cittadini europei siano delusi e crescano il rancore, il populismo, il sovranismo, il razzismo questo è vero; ma diversamente da ciò che crede Draghi questo non dipende dalla mancanza di velocità, ma da quarant’anni di neoliberalismo (di cui Draghi è stato ed è uno dei massimi ideologi) che ha imposto le sue politiche di austerità e di disuguaglianza come scelta politica. Draghi rovescia cioè il senso delle cose e della realtà (altra tecnica di potere usata dalle oligarchie e da autoritarismi, democrature, totalitarismi).
Certo Draghi non dimentica del tutto il tema ambientale e afferma che “la decarbonizzazione è il percorso migliore a lungo termine per l’Europa per raggiungere l’indipendenza energetica nonostante la mancanza di risorse naturali. Ma questo richiede investimenti molto più rapidi per far funzionare un sistema basato sulle rinnovabili: nelle reti, negli interconnettori e nella generazione pulita di base come il nucleare” – così cercando di far passare per green anche il nucleare, cosa che non è e non può essere, sempre per la contraddizione che non lo consente. Aggiungendo poi – quanto all’industria automobilistica – che “attenersi rigidamente all’obiettivo del 2035 [per le emissioni zero] potrebbe rivelarsi irrealizzabile rischia di consegnare quote di mercato ad altri, soprattutto alla Cina. Come suggerito nel [mio] Rapporto, la prossima revisione del regolamento sulle emissioni di CO₂ dovrebbe seguire un approccio tecnologicamente neutrale e fare il punto sugli sviluppi di mercato e tecnologici”. Come a dire, sosteniamo le richieste (le esigenze) dell’industria automobilistica, più importanti della salute umana e della cura della biosfera. Perché – e sembra il vecchio ricatto ecologia o lavoro – “è un’industria che ‒ non dimentichiamolo ‒ impiega oltre 13 milioni di persone lungo l’intera catena del valore”.
Ma qui ci fermiamo.