I politici parolai nelle difficoltà dell’attuale fase
di Michele Castaldo
In calce una nota di Alessio Galluppi per noinonabbiamopatria*
Che succede nel Movimento 5 Stelle? Anticipiamo la nostra tesi, così risparmiamo al lettore pigro di scorrere l’articolo per intero e capire il nostro pensiero: succede un caos, abbondantemente previsto, quale riflesso di una parte del ceto medio che la crisi delle categorie capitalistiche italiane aveva espresso come protesta nei confronti di un ceto politico che aveva tradito le sue aspettative. Si trattava di un movimento composito, ovvero di un flusso di più interessi che si è ritrovato unito nella protesta e che di fronte alla necessità di fare proposte, ovvero di misurarsi con le leggi dell’economia, diventa strabico mentre si decompone.
Grillo, Conte, Crimi, Di Maio, Fico, e via elencando. Personaggi di pochissimo spessore come i ceti sociali che li hanno eletti, ovvero gente che chiede di cambiare il mondo attraverso un clic della tastiera.
Evitiamo di elencare in questa sede gli sproloqui e le sceneggiate di Grillo, moderno guru che si era illuso di avere il mondo ai suoi piedi piuttosto che stare, invece, alle falde di una duna sabbiosa che lo sta rendendo volatile, trasferendolo via scirocco verso il sol Levante dell’Estremo Oriente e la nuova Via della Seta cinese di questa fase.
Chi gli si opporrebbe? Un avvocato professore universitario, suggerito dai poteri che contano, preso sottobraccio e benedetto dalla Santa Sede Vaticana e messo a fare il Presidente del Consiglio prima con la Lega di Salvini, poi col Pd di Renzi e tutta quella paccottiglia di ex democristiani, di ex democratici di sinistra, di ex comunisti che sono finiti a leccare i piedi a Draghi, l’uomo della finanza, che ha studiato nelle migliori università italiane e americane e che è passato di presidenza in presidenza fino a quella di Presidente del Consiglio, per finire – c’è da dubitare? – a fare il Presidente della Repubblica italiana nata dalla Resistenza, come umile servitore dello Stato, al servizio di sua maestà il capitale. Si poteva immaginare un percorso di un ex di Rifondazione Comunista tanto veloce da fare il Ministro della Sanità e governare oltre che con Draghi anche con Berlusconi e Salvini? Succede anche questo e noi non ci scandalizziamo affatto proprio perché conosciamo la forza trituratrice del capitale e delle sue leggi.
Ricordiamo che il M5S nacque all’insegna di movimento, non partito, contro i partiti, cosa già vista, tanto che Hannah Arendt giustamente ci ricorda che « ai tempi della repubblica di Weimar ogni nuovo gruppo riteneva di non poter trovare di fronte alle masse corteggiate una legittimazione migliore della marcata ostentazione del fatto di non essere un “partito” ma un movimento » come scrive in Le origini dei totalitarismi, e il gruppo di bellimbusti del M5S non ha fatto eccezione alla tesi della scrittrice.
Non siamo alla Repubblica di Weimar perché la storia non si ripete mai uguale a sé stessa, ma l’Europa, non solo l’Italia, vive una profonda crisi della rappresentanza politica, che è sotto gli occhi di tutti. In Italia addirittura si susseguono governi retti da Presidenti del Consiglio dei ministri non solo non eletti, ma neppure candidati al Parlamento.
Ovviamente non potevano mancare gli eterni immaginifici patrioti da italiani che cercano nei valori di un passato coloniale, che non tornerà più, nuovi fasti per un futuro splendore dietro le azzurre bandiere della nazionale di Mancini. Buona fortuna!
Mettiamo i piedi sulla grigia terra, signori: ma veramente si vorrebbe dare a bere a un popolo frastornato, delirante e festaiolo al contempo che la partita nel M5S riguarderebbe lo scontro tra un comico e un avvocato?
La storia moderna attraverso le sue leggi impersonali dell’economia agisce a fisarmonica, pertanto a una fase centripeta segue un’altra centrifuga finché la forza dei suoi fattori reggono l’insieme del movimento monista del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione che va sotto il nome di modo di produzione capitalistico.
Pensare che a questa legge storica faccia eccezione la Cina, vuol dire non capire la forza e la potenza delle leggi dell’economia che si fondano sulla concorrenza delle merci e che da un certo punto in poi non tengono più conto della sovrastruttura statuale o regionale che sia.
Per essere più chiari e fugare ogni dubbio diciamo che oggi l’Asia non è un’isola felice come la vorrebbe presentare il saggista molto prolifico di origine indiana Parag Khanna, che titola uno dei suoi saggi Il secolo asiatico? E non a caso mette il punto interrogativo. Perché oggi l’Asia è un pullulare di una economia che sta scalando vette impensabili fino a poco tempo fa. Se però questa è per certi aspetti la sua forza, perché è capace di fare concorrenza in tutti i settori e sfidare le vecchie economie occidentali, presenta l’altra faccia della medaglia che è il suo tallone d’Achille proprio perché lo stesso principio che vale nei confronti degli occidentali vale anche all’interno dell’Asia stessa; cioè di quelle leggi di mercato che ne fanno un continente in subbuglio.
Questa premessa la facciamo per inquadrare meglio quello che scrive Massimo Giannini sul giornale La Stampa di Torino, notoriamente di proprietà della famiglia Agnelli e a giusta ragione, perciò, lo indichiamo come la voce del padrone, senza che l’autore se ne abbia.
Il lettore ci perdonerà se riportiamo ampi stralci del suo editoriale di domenica 4 luglio che è indicativo di un certo clima che pervade non tanto la politica, negli ambienti che contano nessuno se ne importa, ma pervade l’economia europea, che è sottoposta a stress commerciale e finanziario da Ovest e da Est e che combattuta, rischia di fare la fine del vaso di coccio fra i vasi di ghisa.
Il Giannini cerca di volare alto proprio perché le cose tra Grillo e Conte o del M5S sono ritenute liti da cortile e lui invece vuole richiamare l’attenzione sui problemi veri ed enormi che è chiamata ad affrontare l’economia europea, di cui l’Italia è parte fortemente in causa, con e dopo la pandemia.
Seguiamo il suo ragionamento facendo fatica a espungere quel che non serve proprio perché si tratta di uno scritto molto interessante:
« […] anche stavolta, in cima a una settimana che per l’Italia è importante soprattutto per la qualificazione degli azzurri di Mancini alla semifinale di Wembley, conviene alzare lo sguardo al Grande Mondo. Dove accadono cose realmente “epocali”, se solo sappiamo coglierne il significato».
Già qui ci sarebbe materiale in abbondanza perché si fa la differenza tra i due livelli, quello del popolo, o popolino, e quello degli ambienti che contano. Dove indica di guardare il direttore guarito da Covid-19? Non verso il « pacchiano Re Lear pentastellato, ma verso una scala valori abissalmente diversa, verso il kolossal di Piazza Tienanmen con il quale il Partito comunista cinese ha celebrato i suoi 100 anni », una celebrazione, aggiunge « che è stata tanto imponente quanto inquietante ».
Certo che inquieta un paese delle dimensioni della Cina che in soli 40 anni ha fatto passi da gigante e non solo si è messo al pari con l’Occidente, ma è divenuto un agguerrito concorrente produttivo e commerciale a ogni livello perfino dove l’Occidente vantava primati storici come nelle moderne tecnologie.
Ma per Giannini la Cina è inquietante per più motivi, non ultimo perché « Xi Jinping, che nella stessa “giacca” di Mao Tse Tung parla per un’ora dal palco impavesato di falce e martello, è già Storia ». Si noti la esse maiuscola a significare non le solite storielle all’italiana, ma la storia vera, quella che stravolge gli equilibri mondiali di un’epoca. Cosa stravolge ancora il nostro direttore, il discorso del presidente del paese più popolato al mondo e con una economia che è cresciuta per oltre 40 anni senza sosta a ritmi vertiginosi, che tuona:
« Il popolo cinese non permetterà ad alcuna forza straniera di intimidirlo, prevaricarlo, soggiogarlo, renderlo schiavo. Chiunque volesse cercare di farlo verserebbe il suo sangue contro una muraglia d’acciaio forgiata da un miliardo e quattrocento milioni di cinesi ».
E giustamente l’editorialista annota che « La Cina non è la Corea del Nord, e Xi non è un Kim Jong-un qualsiasi ». Come dire: signori qui la questione è seria, va bene la distrazione intorno alla nazionale di Mancini quale circenses da offrire al popolo, ma ancora stiamo a perdere tempo intorno a Grillo, Conte, Crimi, Fico e compagnia bella? Diamoci una svegliata! Perché « la Repubblica Popolare ha dato lezioni al mondo. Mentre Trump boicottava le mascherine e tagliava i fondi all’Oms, il governo cinese investiva 2 mila miliardi di dollari in sanità, imponeva il lockdown a 800 milioni di persone e ne tracciava 10 milioni in tre settimane ». Un vero e proprio osanna per la Cina (sul suo comunismo vedremo più avanti), e prosegue: « Dopo la Guerra Fredda la Cina valeva il 2% del Pil mondiale, oggi è esplosa al 16% ».
Sicché l’uomo della strada che per caso sta prendendo fiato dall’ubriacatura della nazionale di Mancini si chiede: ma non sarà per caso che il furbacchione Grillo è andato all’Ambasciata cinese proprio perché attratto dalla potenza in ascesa di quel paese piuttosto che attardarsi a rimorchio di un paese come gli Usa a cui il saggista italiano Massimo Gaggi ha dedicato un libro dal titolo Crack America? Non sarà altrettanto per caso che la figura grigia di Conte ispirato dai poteri forti occidentali ed europeisti, guardi a Ovest, proprio a quell’America dalla salda alleanza storica delle democrazie occidentali? Ecco i termini della questione: un movimento nuovo, con tutte le caratteristiche tipiche dei nuovi movimenti di apprendista stregone e di dilettante allo sbaraglio, messo di fronte alla realtà si scompagina e rifluisce verso quei poli economici, politici, culturali, storici e geografici.
Veniamo ora al “vero” punto in questione, alla cosiddetta discriminante storica tra l’Occidente “civilizzato” e democratico e l’Oriente e il resto del mondo poco o per nulla democratici inclini alle dittature tanto di destra quanto di sinistra, quando non addirittura di islamisti terroristi ecc.
Il Giannini, proprio in quanto voce del padrone mette in guardia e scrive: « È in testa », la Cina, « alle classifiche del commercio, è il più grande fabbricante e il secondo importatore di beni. È prima nelle costruzioni navali, nei pannelli solari e nelle pale eoliche. È il maggior mercato per automobili, computer e smartphon. Possiede 226 sui 500 calcolatori più veloci del pianeta (il doppio dell’America). » E ancora prosegue: «All’ombra dei colossi pubblici sta formando una nuova middle-class, nell’Hiegh-Tech sta sfornando giganti privati come Alibaba e Ant Group di Jack Ma o la Tencent di Pony Ma ». *
Ma che roba è questa? Andiamo al sodo, non sciacquiamo le parole, sembra voler dire il direttore: « “comunismo imperiale” (Lucio Caracciolo) o “mercatismo leninista” (Nicholas Kristof) ». Lui scioglie « pragmaticamente », un termine molto in voga in questo periodo, la questione, scrivendo: « Qualunque cosa sia, cresce, e funziona rispetto agli obiettivi che ha ». E siamo però al punto, alla discriminante storica tra l’Occidente civilizzato e il resto del mondo: « (ma) non c’è democrazia. E questo, per l’Occidente, è invece il primo dei problemi. Ecco perché l’anatema di Xi a Tienanmen atterrisce ». Ecco la questione: non solo non più schiavi, ma con le stesse armi che noi occidentali abbiamo sollecitato, quelle dell’estrazione del plusvalore, oggi siamo minacciati di essere schiacciati con l’uso della forza da ex vassalli. C’è uno stravolgimento storico, non c’è più religione.
Noi non ci esaltiamo per i risultati della Cina perché magari starebbero lastricando la strada al comunismo, una fantasia che lasciamo ai nostalgici di un tempo. Lo stesso Losurdo, se in vita, sarebbe costretto ad aggiornare la sua analisi. Mentre al signor Giannini vorremmo dire che la storia ha leggi proprie e solo la stupidità dell’atomismo occidentale poteva pensare di dominare in eterno il pianeta fino a portarlo alla distruzione. Diversamente, il modo di produzione capitalistico sorto in Occidente attraverso varie ondate tutte caratterizzate da oppressione e dominio criminale, fino ad arrivare alla rivoluzione industriale e al conseguente colonialismo e imperialismo, ha evocato spiriti che a un certo punto non solo non gli è stato possibile controllare, ma che gli si stanno rivoltando contro. Si tratta di una legge storica che si sta realizzando in ogni angolo della terra e i vecchi imperi tremano. Non a caso Giannini ha il coraggio del vile e usa il termine « atterrisce », perché se una potenza come gli Usa fu sconfitta negli anni settanta del secolo scorso da un piccolo paese come il Vietnam, figurarsi una Cina con un miliardo e quattrocento milioni di persone incattivite contro l’Occidente cosa sarebbe in grado di compiere.
Sistemate le attrazioni fatali dei personaggi Grillo e Conte, capi di un movimento privo di midollo osseo, cerchiamo di ragionare su cosa sta andando incontro l’Italia, l’Europa e il resto del mondo, come cerca di fare Giannini; ovviamente dalla sponda opposta, cioè non in nome del padrone delle ferriere e della difesa di un sistema sociale che mostra la corda, ma stando dalla parte degli oppressi e sfruttati di tutto il mondo, ponendoci lo stesso suo vecchio interrogativo « stando dalle parti di Lenin »: che fare? E qui bisogna essere oltremodo chiari, perché il rischio è quello di essere trascinati, intruppati o impappinati senza una bussola segnante come punto di riferimento il materialismo storico. Tant’è che Giannini non va per il sottile e alla domanda di Lenin scrive: « Possiamo consegnarci spontaneamente a Pechino, come i gialloverdi italiani hanno provato a fare tra il 2018 e il 2019, scorrazzando felici e irresponsabili sulla Via della Seta. Oppure possiamo provare a resistere, con l’approccio pragmatico del Segretario di Stato americano Antony Blinken riconoscendo che per noi la Cina è una e trina: avversario, rivale, partner ». E siamo alla solita italietta bella e furbetta, un poco di qua, un poco di là e un poco altrove. Ma quando i nodi vengono al pettine la furbizia vale poco, si rivela una moneta fasulla.
Proprio perché cerchiamo di interpretare il sentimento e le necessità storiche di chi ha da perdere solo le proprie catene, non dobbiamo fare i furbi perché non ci è consentito un atteggiamento ambiguo neppure nei confronti della Cina d’oggi che è cosa ben diversa da quella del 1949 e del 1966, ovvero alla conclusione della guerra civile, alla conquista dell’indipendenza e al tentativo ideale del maoismo di uno sviluppo armonico in comunità tra città e campagna. Ad essi è seguito poi il “pragmatismo” di Deng Xiaoping con l’accelerazione verso l’economia di mercato, cioè lo sviluppo e l’accelerazione della produzione di plusvalore per accumulare capitali e investire, per rincorrere e mettersi al passo con l’Occidente. Bisogna evitare perciò da un lato di credere alla befana, ovvero che la Cina d’oggi sia la stessa del tentativo ideale del maoismo. Che abbia raggiunto risultati esaltanti, per così dire, in modo olistico-asiatico piuttosto che in modo atomistico-occidentale, nulla toglie al prodotto finito: accumulazione capitalistica e sfida a tutto campo nei confronti di tutti gli altri concorrenti mondiali sul mercato. Che insieme a tutta l’Asia – anche quella prossima ai nostri confini – la Cina rappresenta un concorrente feroce e aggressivo per l’Occidente, è fuori discussione.
Pertanto chi guarda alla Cina d’oggi, rivestendo ruoli di responsabilità politica e frequentando le alte sfere del potere economico, diciamolo senza ipocrisia, non lo fa per nostalgia, ma perché rappresenta o intende rappresentare gli interessi di quei settori legati alle nuove tecnologie. Il Beppe Grillo è questo. Diversamente stanno le cose per quei poveri nostalgici marxisti che vogliono ancora credere al comunismo cinese, come la persona stolta vuole credere in dio. Mettiamo un punto fermo: la Cina aveva da compiere un percorso, lo ha fatto fino in fondo e sta per entrare in una fase di possibile implosione al proprio interno: l’azione repressiva nei confronti di Hong Kong ha il sapore dell’avvertimento di chi parla al figlio perché nuora intenda: le leggi dell’economia sono implacabili e non ammettono distrazioni. Pertanto il pugno di ferro mostrato da Xi può essere letto anche verso il proprio interno, come dire: se ci compattiamo come popolo siamo un miliardo e quattrocentomilioni di cinesi, altrimenti siamo alla mercé della disgregazione e in balia delle onde malefiche del mercato.
Ora però con tutto il rispetto che pur si deve a un direttore di giornale importante, di un gruppo economico storicamente importante, come si fa a ipotizzare un mondo diviso in sfere di influenza con una linea tracciata a Taiwan che divide Oriente e Occidente come fu per il Muro di Berlino? Ma è mai possibile riferirsi sempre al passato di fronte alle difficoltà del presente, pensando sempre che la storia possa ripetersi allo stesso modo?
Yalta, da cui nacque molti anni dopo il muro di Berlino, successe a una disastrosa guerra che predisponeva il mondo intero verso un rilancio straordinario del modo di produzione e dell’accumulazione capitalistica. Sicché parlare oggi di una ipotesi del genere è privo di senso.
L’attuale crisi è completamente diversa da tutte le altre e non può avere perciò lo stesso epilogo. E questo lo sanno bene tutti i centri-studi, compresi quelli che stanno dietro al giornale La Stampa.
Ora la presunzione dell’uomo occidentale consiste nel fatto di non riconoscere nell’attuale modo di produzione un meccanismo impersonale che lo sta portando alla rovina. Ma la stessa presunzione è divenuta asiatica fino al punto di pensare di sottrarsi alle leggi impersonali del mercato per affrontare la più grave crisi della storia umana come comunità patriottica cinese nei confronti sia dell’Occidente che degli altri paesi asiatici, in corsa verso l’Africa per impossessarsi di materie prime in modo particolare per le nuove tecnologie.
Causa la crisi priva di sbocchi vanno maturando tanti patriottismi patetici alla Meloni o alla Le Pen con lo sguardo rivolto all’indietro, ai bei tempi coloniali andati, mentre si cacano sotto degli immigrati; oppure quelli alla Orban che pensa di fermare il mondo e i suoi processi materiali; oppure l’ipotetico polo europeo alleato degli Usa; o il trumpismo che pensa di ritornare alla vecchia America protezionistica mentre è costretto a cavalcare una rivolta di ceto medio addirittura contro la Casa Bianca.. Insomma la confusione regna totale.
Ora, da una parte all’altra del globo risuonano squilli di tromba e colpi di cannone a salve: da una parte Biden che dice « L’America è tornata » solo a distanza di un anno dalle rivolte per l’uccisione di G. Floyd, mentre muoiono 150 persone in due giorni con armi da fuoco. Dall’altra parte del mondo Xi Jnping, tronfio per i risultati cui è arrivata la Cina, spara ad alzo zero contro ipotetici nemici esterni che « verserebbero il loro sangue contro una muraglia d’acciaio forgiata da un miliardo e quattrocento milioni di cinesi », proprio mentre al proprio interno comincia a svilupparsi una certa apatia contro il produttivismo del lavoro condensato nel 996, lavorare dalle 9 del mattino alle nove di sera per 6 giorni a settimana.
C’è un aspetto nella storia moderna che non viene preso in considerazione e riguarda la guerra di liberazione nazionale anticoloniale e antimperialista che è questo: tutte le guerre di liberazione nazionale, all’insegna del comunismo, tanto di piccoli paesi, come Cuba o il Vietnam, tanto di grandi e grandissimi paesi, come per esempio la Cina, si caratterizzavano come guerre in difesa del suolo contro lo straniero, con una base sociale prevalentemente contadina., non a caso marciavano sotto il simbolo della falce e del martello. Diversamente che nei paesi islamici dove la difesa del suolo significava difendere per sfruttarlo in proprio, il sottosuolo, da Bakù in poi, ha avuto un segno diverso, come la rivoluzione iraniana o la strenua resistenza afgana.
Quanto alla « muraglia d’acciaio » di cui parla Xi Jnping, nutriamo più di un dubbio, perché per favorire il processo di industrializzazione di quell’immenso paese sono stati sacrificati centinaia di milioni di contadini e la stessa agricoltura ha subito il processo dell’industrializzazione. E riteniamo molto improbabile che i dipendenti di Alibaba, tanto per citare una industria a caso della Logistica, oggi centrale nella concorrenza globale dei mercati, possano vivere lo stesso spirito dei contadini dell’inizio del secolo scorso contro lo straniero, perché lo straniero ce l’hanno in patria e non perché gliel’abbiano detto i marxisti. Ecco perché diciamo che Xi Jnping fa la voce grossa ma gli tremano le gambe.
Pertanto non ci impressionano né la manifestazione di piazza Tienanmen né le parole di un vecchio democratico che parla per dover di rito. Siamo più portati a pensare, guardando i dati dell’economia mondiale, che tanto Biden che Xi mostrano i muscoli mentre gli tremano le gambe.
Allora bisogna avere il coraggio, che manca ai più, di dire che di fronte all’umanità ci sono due solo due ipotesi: un Terzo conflitto mondiale, oppure una sorte di surplace dove aumenta il caos e l’insieme del modo di produzione si avvia verso la catastrofe.
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*Ceto medio e non solo
di Alessio Galluppi per noinonabbiamopatria
Un ceto medio, secondo la categoria americana per fasce di reddito, scomposto e gettato nel caos ma su un tracciato o solco già arato dalla economia. Da ricordare che dietro il giullare Grillo c’era un Casaleggio padre, un imprenditore cresciuto nel solco delle necessità della grande Olivetti (una multinazionale di altissimo livello e con una propensione alla finanziarizzazione). Olivetti era una BIG tra le big Americane, capace di contendere la supremazia sui personal computer e sui server potenti ma poco ingombranti ancora ad IBM. In quegli anni Apple, Xerox, Hevlet Packard, Compaq Digital erano comprimari nel mercato dei personal computer e server dipartimentali. Fu capace di stringere una alleanza industriale strategica con AT&T, il colosso delle telecomunicazioni USA e della moderna tecnologia informatica nei suoi Bells Laboratories al pari dei laboratori DARPA (Pentagono).
Fu capace di penetrare il mercato cinese più di IBM, soprattutto soppiantando l’offerta IBM per i grossi calcolatori e main frame dati dotati di vecchie tecnologie e linguaggi di programmazione obsoleti, con la sua offerta di piccoli server dipartimentali, con potenza di calcolo superiore agli IBM e basati su sistemi operativi moderni e linguaggi di programmazione evoluti (quella tecnologia, che già Olivetti adottava negli anni ‘80 e primi anni ‘90 basata sul sistema operativo Unix e linguaggi di programmazione quali C e C++, è ancora oggi ampiamente in uso nei moderni data center del mondo cloud ed internet e nello sviluppo dei sistemi digital).
Insomma un capitalismo italiano neo consociativo con i suoi lavoratori, in competizione con l’America ma in parte alleata ad essa che già agiva sul mercato cinese nelle prime fasi del denghismo.
Il progetto industriale fallì, ma rimasero agenti i processi finanziari: da Omnitel a Vodafone, da TIM a Telecom Italia, la corrente finanziaria Olivettiana, di De Benedetti e dei suoi finanziatori impersonali è rimasta sul campo spingendo verso solchi “alternativi” e solo relativamente in competizione con l’atlantismo tout court del capitalismo italiano. TIM si espandeva in America Latina e in Brasile sotto la direzione della finanza ex “olivettiana” nei primi anni 2000. E così Telecom Italia verso l’America del sud, l’Est e la Russia.
Il problema è che il giullare Grillo lo era prima e lo è adesso, ma la guida finanziaria di prima ha decisamente minori spazi per proseguire la “vecchia strategia” capitalista che Olivetti incarnava avendo meno margini di manovra (sarà che la morte di Casaleggio capita proprio per la difficoltà oggettiva di quella spinta economica, e che dalla sua morte il “giullare” ha sempre più le sembianze del “pagliaccio”).
Comunque lo stesso Biden è costretto ad una politica “America First” sopratutto in agricoltura. Ma già la guerra commerciale di Trump aveva fatto crollare le esportazioni dell’agro business locale (semi di soia, mais e maiali) e verso la Cina di almeno l’84%. Ora il bidenismo nazionalista non potrà che far peggiorare la cosa, dove lo sviluppo delle farm USA si sono dedicate per l’export, sulla monocoltura prevalente di mais e semi di soia, foraggi per gli allevamenti intensivi. Ora i contadini americani, moderni imprenditori capitalisti, non potranno dismettere il capitale tecnico, rimangono indebitati, rimangono mantenuti col finanziamento del governo federale, ed il protezionismo di Biden li vedrà ancor più scendere il loro export in discesa, con un mercato domestico che de tutto il mais ed i semi di soia in sovrapproduzione che ce fà? I segna numeri per la tombola.
non ho il piacere di conoscerla, e francamente neanche molto desiderio a farlo. Lei però mi consenta - direbbe uno che guitto non si è mai ritenuto - si nasconde nell'anonimato mentre Maradona io con lui (ovviamente in sedicesima) siamo noti.
Si, ho celebrato Diego Armando Maradona come asse assoluto del calcio, fin qui in compagnia di grandi intenditori e appassionati di calcio, ma l'ho celebrato anche e forse soprattutto come uomo ribelle e sfrontato contro un potere che gli avrebbe steso tappeti d'oro pur di averlo ai suoi piedi. Ma Maradona era fatto di un'altra pasta, di un altro mondo, lontano anni luce dal mondo di un Platinì, giusto per usare un termine di paragone tra un "guitto" ribelle e un venduto leccaculo. Tutto qua, egregio signore.
Michele Castaldo