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sinistra

La Cina può essere il nostro modello?

di Salvatore Bravo

Xi Jinping China defense propaganda Maoist Jonathan Bartlett illustration article 1160x653.jpgL’occidente, termine con cui si indica un’area geografica che si estende dagli Stati Uniti a Israele, sta mostrando in modo inequivocabile la “verità” del suo sistema. Si tratta di un’area geografica, in cui le differenze sociali e culturali sono quasi scomparse, al loro posto vige l’americanismo. Quest’ultimo si caratterizza per l’economicismo fanatico che tutto pone in vendita pur di incassare plusvalore. L’individualismo è il modello che impera e divora la storia e l’essere con la sua gerarchia valoriale. Il multi-nullismo è l’essenza dell’americanismo.

Il genocidio dei palestinesi si consuma in mondovisione e, e mentre tutto questo accade la chiacchiera domina e impera. Israele non è oggetto di sanzioni reali, anzi alla potenza che difende gli interessi occidentali in Medio Oriente si chiede “moderazione” con le tregue e la si invita a far passare gli aiuti umanitari. Estetica funebre che vorrebbe mascherare la sostanziale complicità dell’occidente. In questo clima di marcescente mostruosità divenuta banale e ordinaria porsi il problema dell’alternativa a un sistema che sembra invincibile ed eterno, ma in realtà è assediato da un mondo che muta velocemente, è fondamentale per riportare la speranza nel deserto della disperazione. Ci si avvia verso una rivoluzione anche in occidente, poiché le tecnologie e le risorse minerarie sono ormai in pieno possesso dei popoli non occidentali. I secoli del parassitismo e del saccheggio sono terminati o stanno terminando. La popolazione in occidente è in forte contrazione e invecchiamento; la cultura dei soli diritti individuali sta mostrando il suo vero volto, ovvero la famiglia si dilegua e con essa il futuro, restano solo individualità consumanti che dietro di sé non lasciano nessuna traccia. Non vi è cura dell’altro (famiglia in senso proprio ed esteso), per cui l’occidentale medio termina i suoi giorni depauperando ciò che lo umanizza. In questo contesto cercare e fondare l’alternativa è inevitabile.

I colonizzati sono coloro che difendono il modello americano. Sono gli atei devoti che per rafforzare il sistema si impegnano a sostenere riforme puramente estetiche che possano legittimarlo fortemente.

La lotta ai razzismi serve a celare l’ordinaria violenza di un modello capitalistico che si fonda sulla competizione e sul nichilismo del denaro. Il nuovo razzismo che emerge è fondato sulla distinzione vincenti (possessori di grandi patrimoni) e perdenti (posizioni socialmente irrilevanti). L’americanismo, come lo ha definito Costanzo Preve, è il servo che difende il padrone e contribuisce al suo potere:

Americanismo non significa assolutamente sostenere sempre servilmente tutto ciò che di volta in volta decidono di fare i governi americani. Il vero americanismo, anzi, consiste nel consigliare all’imperatore cosa dovrebbe fare per essere più amato dai sudditi, più multilaterale, meno unilaterale, e in genere più portatore di un soft power. Il vero americanista consiglia di chiudere Guantanamo, di scoraggiare il Ku Klux Klan, di eleggere al comando il numero maggiore possibile di neri, donne, gay, eccetera. Il vero americanista vuole potersi riconoscere nella potenza imperiale che occupa il suo paese con basi militari e depositi di bombe atomiche a distanza di decenni dalla fine della seconda guerra mondiale (1945) e dalla dissoluzione di ogni patto militare “comunista” (1991). Il vero americanista vuole essere suddito di un impero buono, e pertanto gli spiace che l’impero a volte sia cattivo ed esageri. Massacrando l’Iraq l’impero non ha commesso un crimine, ma un errore. L’americanista utilizza due registri linguistici e assiologici diversi, il codice del crimine e il codice dell’errore. Tutti possiamo commettere errori, che diamine! Hitler, Mussolini, i giapponesi, i comunisti, Milosevic, Mugabe, la giunta militare del Myanmar, i talebani, eccetera, hanno commesso e commettono crimini. Churchill che massacra i curdi e gli indiani, Truman che getta la bomba atomica ad Hiroshima, Bush che invade l’Iraq nel 2003, commettono solo spiacevoli errori. L’americanista accusa di anti-americanismo tutti coloro che affermano che gli USA si comportano come un impero, e non dovrebbero farlo, e comportarsi invece come un normale stato-nazione, affidando il mondo ad un equilibrio fra le potenze, senza velleità messianiche imperiali. Qui l’americanista raggiunge il massimo della cialtroneria, perché accusa di anti-americanismo paradossalmente la stessa cultura americana, che afferma a chiare lettere di essere un impero, di voler essere un impero e di voler continuare ad essere un impero, e non è affatto disposta a rinunciare a questo eccezionalismo messianico. L’americanismo, pertanto, non consiste in un variabile insieme di opinioni su questo o su quell’atto specifico degli USA, ma in un presupposto di internità illimitata a questo mondo, in cui contrattare poi le modalità di adesione specifica1”.

L’americanismo occidentale è il sintomo della decadenza. Se le identità dei popoli europei sono annichilite da decenni di colonialismo linguistico, culturale ed economico non resta che l’americanismo col suo economicismo a dare la “veste al niente” che si cela dietro la cortina ideologica dei soli diritti individuali, i quali proclamano il mercato luogo e spazio delle libertà. Il mercato è molto più di un’istituzione economica è il senso perverso dell’occidente. La libertà si compra e si vende nel mercato, essa è valore di scambio, per cui la libertà è speculare alla mercificazione. In questo clima di tramonto le tensioni non possono che acuirsi. È inevitabile in una condizione soffocante cercare un modello altro oltre i confini dell’occidente che nulla sembra poter dare in tale condizione.

La Cina con i suoi successi e con la sua politica di difesa degli interessi sovrani sembra essere “il modello” a cui ispirarsi, tanto più che essa è “potenza comunista” che ormai soverchia gli Stati Uniti. Ora il problema reale è se in Cina vige il comunismo. Per poter valutare necessitiamo di un modello oggettivo, di un paradigma anche se definito in modo parziale e il paradigma ci è dato da Marx. Comunismo è partecipazione radicale dei lavoratori alla progettualità politica ed economica. La statalizzazione di banche e grandi industrie non qualifica uno stato come comunista, ciò che lo definisce è la partecipazione e l’abbattimento di ogni oligarchia. In Cina il potere è saldamente nelle mani di una nomenclatura di uomini e di donne che usano il capitalismo per fini sociali e per aumentare la ricchezza nazionale e per soddisfare i bisogni primari e ora anche il superfluo. Tutto ciò è grandioso, tanto più che ciò è avvenuto in pochi decenni, ma non è comunismo, in quanto i lavoratori restano sudditi sorvegliati della nomenclatura. Ciò che manca, come afferma Costanzo Preve è la riflessione teoretica sulla Cina, senza tale prassi del pensiero ci si limita ad ammirare i risultati, ma non si valutano i processi e i fini:

Si afferma che in Cina è in corso una “lunga marcia verso la prosperità”. Non ne dubito. Sono d’accordo che non importa praticamente che un gatto sia rosso o nero, purché prenda i topi, ma questo saggio detto non contribuisce a chiarire la natura sociale della Cina di oggi. Si parla di diaspora cinese (Casati), di scontro sulle terre rare (Giannuli), della Cina che è oggi al centro del mondo (Ricaldone). Tutto giusto, la sola cosa che manca è una riflessione ispirata alla teoria di Marx. Ora, non dico che essa sia necessaria, anzi forse è fuorviante. Ma allora bisogna dirlo, e non dichiararsi contemporaneamente “comunisti” e ammiratori del “sorpasso” Cina-Stati Uniti. Anche Giovanni Arrighi, nel suo prezioso studio sulla successione dei cicli di accumulazione Genova-Olanda-Inghilterra-USA- Cina (Adam Smith a Pechino), dice cose molto simili, ma non si sogna neppure di parlare di modello socialista che vince contro un modello capitalistico.

Il libro suggerisce che l’elemento principale per connotare la Cina come “nazione sovrana di matrice prevalentemente socialista” sta nella preponderanza macroeconomica della proprietà statale e cooperativa su quella privata. Ma se è così, bisogna avere il coraggio di dire che Lassalle ha avuto ragione contro Marx. Niente in contrario, ma lo si dica. Se il socialismo è l’IRI scritto in ideogrammi cinesi va bene. Nella sua introduzione Losurdo parla di un suo viaggio in Cina (immagino omaggiato come insigne ospite straniero) e parla di benessere ovunque visibile. Ci credo, anche se di tanto in tanto leggiamo di rivolte contadine e operaie, ma anche i visitatori degli USA di un tempo dicevano questo2”.

L’intervento dello Stato nell’economia non garantisce il comunismo o forme di socialismo. Il dirigismo e la proprietà statale del suolo non è garanzia di socialismo o di comunismo, ma è una forma di capitalismo calmierato. La Cina sembra aver rinunciato ai fini ideali del comunismo: partecipazione politica, uguaglianza formale e materiale, sostegno all’associazionismo dei lavoratori a cui dovrebbero appartenere i mezzi di produzione, al posto di tali idealità politiche in Cina regna la crematistica. Uomini e donne vivono in una realtà in cui le disuguaglianze economiche sono sempre più evidenti e in cui il denaro ha un peso sempre più rilevante, pertanto è difficile ipotizzare che i cinesi possano nel tempo progettare forme di comunismo o socialismo più armoniche e coerenti con la definizione di comunismo marxiana. Se la natura umana è etica e razionale e dunque la pratica della solidarietà è ciò che umanizza, la Cina risponde a tale verità? La Cina inoltre è parte di uno sviluppo storico e produttivo assai differente rispetto all’Europa, pertanto le categorie cinesi e il suo modello non sono applicabili in Europa. La stabilità cinese è sicuramente un punto di forza della Cina, e dopo i decenni del maoismo, essa può raggiungere traguardi impensabili da un punto di vista produttivo e assediare l’occidente, o meglio le sue oligarchie, ma non è comunismo:

Sunteggerò ora brevemente il mio impegnato saggio su “Eurasia”, 1/2006. La Cina proviene da un modo di produzione asiatico, e quindi non le sono applicabili le categorie socio-politiche occidentali, che invece si sono sviluppate attraverso il processo schiavismo-feudalesimo-capitalismo fino ad oggi. Ogni sovrapposizione di categorie nate per capire la Grecia, Roma, il medioevo, lo stato assolutistico moderno, l’illuminismo, eccetera, è fuorviante. Filosoficamente parlando (p. 113), l’oggetto storico tradizionale della filosofia cinese non è mai stata la verità (teorica), ma l’armonia (pratica). Platone non è quindi sovrapponibile a Confucio. L’impostazione maoista della teoria della contraddizione (l’uno si divide sempre in due) risale a una bimillenaria tradizione anti-confuciana, prevalentemente legista e taoista. Sono in questo debitore del mio amico sinologo tedesco (orientale) Ralf Moritz. Dopo la morte di Mao, che fu certamente ostile a Confucio (pensiamo alla campagna contro Confucio-Lin Piao), il ritorno a Confucio segnala la messa al primo posto della “ricerca dell’armonia” dopo gli sconvolgimenti del trentennio 1946-1976.

Personalmente, vedo questo molto di buon occhio. Non ho mai concepito il socialismo alla Sartre (rivoluzione permanente dei gruppi-in-fusione contro il pratico-inerte in preda al parossismo della finalità-progetto), ma l’ho sempre concepito alla Lukacs (stabilizzazione di una vita quotidiana non nel senso di Bakunin, ma di Aristotele e di Hegel). Quindi non ho obiezioni. Ma non vedo perché lo sviluppo capitalistico della Cina, sia pure con la benefica presenza di un controllo statale macroeconomico che i dissidenti filo-americani incoscienti vorrebbero abolire, debba essere tout court connotato come il socialismo del XXI secolo. Se lo si vuol connotare come una benefica correzione di rotta rispetto all’estremismo di tipo staliniano e/o trotzkista sono d’accordo. Ma penso che da noi, in Italia e in Occidente, non abbia più senso ricadere nello “stato-guida”, anche solo simbolico senza più Komintern e Cominform, ma sia molto più utile riprendere una discussione sensata sul socialismo, impossibile finché questa discussione ci sarà “sequestrata” dal jet-set di sinistra tipo “Manifesto”, “Liberazione” e altri giornaletti sedimentati dalla tradizione anarcoide del Sessantotto.

 

Ma questa è un’altra storia. La vera storia3”.

Possiamo comprendere la Cina, solo se consideriamo che essa è parte di una storia che ha il suo fondamento nella proprietà del suolo che nel modo di produzione asiatico era dell’Imperatore e ora è dello stato e ciò naturalmente è il katechon a forme di individualismo proprietario senza limiti e confini:

Il modo di produzione asiatico, di cui Marx parla a lungo (cfr. K. Marx - F. Engels, India Cina Russia, Il Saggiatore, Milano 1960), comporta da un lato la proprietà dello stato dispotico sulla terra, e dall'altro l'autonomia produttiva reale delle collettività contadine subalterne. Nulla a che vedere, come si vede, con lo schiavismo antico greco-romano e con il feudalesimo occidentale europeo, due modelli storici che sono serviti a Marx per elaborare le due tipologie rispettive di modo di produzione schiavistico e feudale. La proprietà esclusiva dello stato dispotico sulla terra, unita con l'autonomia produttiva reale delle collettività prevalentemente contadine, configura un modello sociale, economico, politico e culturale assolutamente non-occidentale (nel bene e nel male, questa è un'altra questione da discutere a parte), che in forme diverse e specifiche può essere riscontrato in Cina, in India, presso gli Incas del Perù, eccetera. Questo modello, detto asiatico, non deve però essere confuso con due altri modelli anch'essi non occidentali, ma qualitativamente diversi, come quello antico-orientale (antico Egitto, antica Mesopotamia, antica Cine ed India delle prime civiltà fluviali ed idrauliche, eccetera) e come quello africano, basato sul ruolo produttivo e strutturale dei linguaggi delle famiglie allargate e della divisione del lavoro sociale fra sessi e generazioni che si organizzano entrambi autonomamente in senso culturale e politico. La Cina è stato il massimo modello storico di modo di produzione asiatico. E allora chi vuole parlare di Mao come semplice ammiratore di Stalin e nemico di Krusciov deve essere invitato, educatamente ma anche risolutamente, a prendersi un supplemento di studio4.

Il dato di fatto inaggirabile è il seguente: il forte dirigismo non comporta il socialismo. L’IRI non ha portato al socialismo in Italia. L’intervento dello stato in economia non è garanzia di socialismo, anzi spesso lo stato è stato ed è agli ordini delle oligarchie. Il denaro ha un potere infiltrante e corruttivo notevole. Coloro che detengono mezzi di produzione e denaro possono bucare i filtri e i limiti istituzionali.

Socialismo e comunismo non sono riducibili a successi materiali e a strategie di controllo dell’economia per implementare la produzione. Socialismo e comunismo con densità differenti hanno lo scopo di fondare e progettare uno stato-comunità conforme alla natura umana. Le critiche di Costanzo Preve hanno avuto lo scopo di chiarire con l’arte della definizione, che mai dovrebbe mancare a ogni filosofo di razza, il comunismo da ciò che potrebbe sembrare tale in modo da non cadere in errori che spesso hanno la loro causa nel vuoto politico dei nostri terribili anni. Resta un dato di fatto, la Cina ci insegna l’autonomia e la difesa degli interessi sovrani, pertanto anche noi europei, se riconquistiamo la nostra identità e indipendenza potremmo sviluppare un modello economico e sociale coerente con la nostra storia e con la tradizione comunista europea e, forse, se intraprendessimo tale difficile sentiero potremmo essere catalizzatori popolari di una nuova progettualità a nostra misura. Si resta colonizzati nella mente, se per sfuggire a uno stato colonialista (Stati Uniti), si cerca la soluzione in un altro stato. Liberarsi dalle tossine del colonialismo è percorso lungo e difficile. L’abitudine a dipendere è il male che ammorba l’Europa, e l’Italia, in particolare occupata da più di cento basi NATO e prona a imitare in ogni campo il mondo anglosassone e sempre pronta a distruggere la lingua, la cultura, la storia e il suo paesaggio per trasformarsi in una bieca copia del dominatore. Forse, in modo inconscio, tale atteggiamento diffuso cela il desiderio di nascondere l’umiliazione quotidiana rimuovendo la propria identità e identificandosi con i dominatori. Da questa trappola bisogna uscire.


Note
1 Costanzo Preve, Elementi di Politicamente Corretto Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante, paragrafo XVII
2 Costanzo Preve, Lettera aperta a Domenico Losurdo, in Comunismo e Comunità, paragrafo VIII, ott. 2011
3 Ibidem paragrafo X
4 Costanzo Preve, Sul maoismo e Mao, Kelebek, paragrafo IV
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Paolo Selmi
Thursday, 21 August 2025 16:54
Carissimo Fabio,
di puttanate ne dico e scrivo tante, una più una meno... ivi comprese quelle che seguiranno qui sotto. Permettimi quindi di dissentire su quanto scrivi.

Anzi tutto, occorrerebbe quantomeno collocare quanto si afferma, circa il verificarsi di un evento PROIBITO dalla legge o addirittura dalla Legge, nel relativo contesto storico-sociale. Un conto è considerare gli scioperi dei lavoratori di inizio secolo, magari sotto l’oscurantista Zar di tutte le Russie, e un conto è considerare gli scioperi cinesi oggi. In entrambi i casi la Costituzione non prevede tale diritto, ma i contesti sono completamente diversi. Nel primo caso abbiamo Pietroburgo in subbuglio, barricate, guardie che giustiziano i manifestanti nella Domenica di sangue, LA RIVOLUZIONE.

Nel secondo caso abbiamo appurato, come dici giustamente, il "senso generale del discorso", su quello siamo d'accordo tutti. Lo sciopero non è un diritto riconosciuto, non esiste alcuna organizzazione che lo promuova, nemmeno quelle sindacali, pardon, quellA sindacalE unica, e – ANTICIPO QUANTO SOTTO RIPORTATO CIRCA IL 2024 - esistono casi sporadici, l'ordine di grandezza è millecinquecento all'anno in un Paese da un miliardo e mezzo di persone e - spero siamo d'accordo anche su questo - persino in termini assoluti in numero minore rispetto al nostro che di abitanti ne fa sessanta milioni, VENTICINQUE VOLTE MENO.

Italia, dati padronali: “Nel 2024 sono stati 1.603 gli scioperi proclamati, 981 revocati, per un totale di 622 mobilitazioni, un po' più di una e mezzo al giorno o 51 al mese. ”
https://www.ilsole24ore.com/art/scioperi-51-mese-2024-record-10-gennaio-nuova-giornata-nera-trasporti-AG2ieI2B?refresh_ce=1

Repubblica Popolare Cinese, unici dati disponibili quelli di un osservatorio di Hong Kong, operante da trent’anni e passa, tra l’altro chiuso due mesi fa definitivamente “per mancanza di fondi” (China Labour Bulletin, CLB https://clb.org.hk/):
“A total of 1,509 incidents were recorded in CLB's Strike Map in 2024, a small decrease from 2023 (1,794 incidents) but still higher than the pandemic years (2019 to 2022). Worker unrest has remained at high-pre pandemic levels. 2023 was an exceptional year, as worker unrest came roaring back on the tail end of the pandemic.”

1.603 scioperi proclamati su sessanta milioni di abitanti contro 1509 scioperi proclamati su un miliardo e mezzo di abitanti, VENTICINQUE VOLTE TANTO.

Sempre il CLB:
“In 2024, CLB recorded just four labour strikes involving over 1,000 workers, with more than 95% of reported incidents involving fewer than 100 participants. This trend has remained consistent since 2017”
ovvero
4 scioperi con oltre 1000 partecipanti
1433 scioperi con meno di 100 partecipanti
72 scioperi tra 100 e 1000 partecipanti.

Consideriamo stando larghi 100.000 partecipanti su un totale di 734.390.000 occupati (2024)
https://www.china-briefing.com/news/chinas-evolving-labor-market-2025/
Parliamo dello 0,0136% di incidenza sul totale di forza lavoro occupata.

Torniamo alla Domenica di sangue a Pietroburgo. Non è la stessa cosa. E torniamo a quanto scritto ieri notte, che colloca un fenomeno sporadico, detto anche EXTREMA RATIO, come GESTO SIMBOLICO, ISOLATO e RESO ISOLATO dal potere e dalle stesse associazioni di categoria affiliate al potere in un orizzonte essenzialmente di DI-SPERAZIONE, meglio ESA-SPERAZIONE. Seguendo un filone millenario di protesta sociale, che vede come ultima risorsa l’auto-punizione e il sacrificio INDIVIDUALE per la salvezza della COLLETTIVITÀ di riferimento. L’80% delle vertenze, ci informa sempre il CLB, ha riguardato il PAGAMENTO DEI SALARI ARRETRATI. Passa un mese, passano due, passano sei mesi... scatta il ricorso allo sciopero che procurerà punizione esemplare a chi si sacrificherà ma che, al contempo, CONSENTIRÀ AL PROBLEMA QUELLA VISIBILITÀ NELLE ALTE SFERE CHE – A QUESTO PUNTO – SI SPERA POSSA CONSENTIRE LO SBLOCCO DI UNA SITUAZIONE DIVENTATA INSOSTENIBILE.

1.509 VERTENZE MONOAZIENDALI, NON DI CATEGORIA, NON DI AREA, NON DI REGIONE, SU 180.860.000 AZIENDE PRIVATE E 187.672.000 AZIENDE IN TOTALE (2024).
https://english.www.gov.cn/archive/statistics/202411/06/content_WS672b1ea0c6d0868f4e8eca6e.html
Siamo allo 0,008% di incidenza sul totale delle aziende.

Vertenze alcune delle quali definire “sindacali”, come nel caso sotto citato dal PIME come la serrata dei padroncini di camion (società unipersonali) del 2018 contro il rincaro carburante,
https://www.asianews.it/notizie-it/Lo-sciopero-dei-camionisti-paralizza-lo-Shandong-e-lo-Shanxi-44181.html
è tirarla decisamente per i capelli. Per i fortunati in possesso di scalpo, ovviamente... ma non chiedo ai missionari del PIME di studiare Marx, ci mancherebbe. Chi ferma il lavoro sciopera, chiunque esso sia... “who am I to disagree”.

E anche in questo caso troviamo le parole di un padroncino estremamente illuminanti, rispetto a quanto ci dicevamo ieri notte: “Un autotrasportatore con base a Yantai, nello Shandong, spiega: “Stiamo lottando solo per sopravvivere. Non abbiamo pianificato gli scioperi, non c’è una leadership o un’organizzazione”.”
Il padroncino che compra una motrice scassata indebitandosi fino al collo, soffocato all’improvviso da un colosso dell’autotrasporto che monopolizza mercato e tariffe, il tutto con il plauso della sezione locale del Partito, col silenzio assenso dell’associazione di categoria aderente alla locale Confartigianato... e in tutto questo il rincaro di carburante: il colpo di grazia che rende necessario il ricorso alla protesta estrema. E CHE LEGITTIMA, CONFUCIANAMENTE PARLANDO, IL RICORSO A TALE FORMA ESTREMA DI PROTESTA. Il popolo guarda l’eroe sconfitto e plaude allo stesso. E il Partito lo sa. Punirà l’eroe SIMBOLICAMENTE, allorché l’eroe sconfitto farà autocritica (ziwo piping 自我批评), reciterà l’atto di dolore e se la caverà con tutte le attenuanti del caso. E cercherà di trovare una soluzione (tessera carburante, proletarizzazione dei padroncini all’interno della mega struttura con un contributo al pagamento delle rate arretrate dei mezzi da essi acquistati, eccetera) al casino posto dalla mano invisibile del mercato quando più che mano invisibile è mano morta in un autobus affollato... e volano schiaffi e improperi.

Questi sono i numeri. Se in virtù di tali “zero virgola zero” sul totale, meglio per rispetto di quei centomila lavoratori salariati, padroncini, autonomi e relativa prole, è nostro dovere internazionalistico solidarizzare e ragionare in termini “abramitici”, ovvero calarci nel ruolo del Patriarca di tutte e tre le confessioni del Libro e iniziare il mercanteggiamento coll’Inquilino del piano di sopra perché, in quel di Tall el-Hammam, “Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città” (Gen. 18,20-33), ridotto al termine del tiramolla a “10 giusti” (Grande Abramo! Numero uno, neanche mia moglie al mercato...), allora ammetto pubblicamente di aver detto la prima puttanata e i cinesi scioperano!

Ma non solo. Se dobbiamo ragionare oltre che in termini abramitici anche “karmici”, ovvero, come ci spiegava a lezione il nostro allora professore di Religioni e Filosofie dell’India Gian Giuseppe Filippi, anche il karma che ho prodotto seccando una zanzara stanotte impatta direttamente non solo sul muro (appena imbiancato, ovviamente...), ma anche sul Dharma o Kosmos come lo chiameremmo a queste latitudini, ammetto anche qui la mia cazzata fotonica e gli scioperi di questi centomila cinesi influiscono sul livello salariale degli altri 734 milioni e 290 mila lavoratori, oltre che sul benessere materiale di un miliardo e cinquecento milioni di cittadini della Repubblica Popolare Cinese: pertanto faccio autocritica, anzi “ziwo piping”, per la doppia puttanata, recupero un bel cappello di carta a forma conica allungata da mettermi sul capo, e sguardo a terra mi rimetto alla clemenza della corte.

Altrimenti, quanto aggiunto oggi conferma quanto scritto ieri e l’altro ieri, anzi inquadra numericamente, confermandola, un’analisi che sino a ieri era sviluppata su binari sociali, antropologici, ideologico-culturali.

Ti assicuro infine che la base teorica non è nulla di trascendentale... se ho passato io quegli esami chiunque li può superare: anzi, mi spiace solo che a parte Venezia e Napoli non sia insegnata né alle superiori, né tanto meno all'Università dove gli Istituti Confucio hanno portato i loro corsi di lingua, ma si guardano bene dal portare il resto, se non a piccole dosi e, soprattutto, assolutamente non in chiave "scomoda" allo stesso potere che tali Istituti finanzia (comprensibilmente del resto! La colpa non è dei cinesi, ma delle Università italiane: ne parlava già oltre dieci anni fa il mio prof di Cinese Classico di quando avevo i capelli: https://ilmanifesto.it/il-rischio-degli-istituti-confucio e ciò emerge anche in questo botta e risposta accademico di cinque anni più tardi:
https://www.inchiestaonline.it/osservatorio-internazionale/i-testi-del-dibattito-su-gli-istituti-confucio-la-cina-e-noi/ )

In questo, e con questo, ringrazio le due settimane di ferie grazie a cui son riuscito a staccarmi dalla SVO per leggere e guardare anche altro, tra cui questo “sorso di gioventù” in tre tappe, riguardante un percorso ventennale di studio, di volontariato con la comunità cinese e di lavoro di mediazione culturale, culminato illo tempore con un dottorato di ricerca su Mao, svolto quando ormai per vivere correvo dietro otto ore al giorno ai container (e straordinari mancia) e andato a sbattere, subito dopo l’“eccellente” riportato a verbale, direttamente col muso sul sigillo di un quaranta piedi finito in visita doganale che mi ha richiamato all’ordine (oltre a farmi cadere qualche dente per l’impatto), e ringrazio ovviamente anche te per avermi dato modo di fare questo doppio carpiato in una mia vita precedente. Che non rimpiango, ma nemmeno critico. “Не жалею, не зову, не плачу” (Esenin)

Paolo Selmi
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Fabio Rontini
Thursday, 21 August 2025 19:01
Ooh! questo sarebbe, in effetti, un argomento: quando una quantità di qualcosa si approssima molto allo zero, possiamo tranquillamente affermare che ci troviamo in una situazione di assenza di questo qualcosa.

Quindi se questi dati fossero veri, i cinesi non sciopererebbero praticamente mai... se questi dati fossero veri.

Ma come tu stesso affermi queste statistiche provengono da un'unica fonte, questa mitica CLB.

Peccato che basta continuare un attimo le ricerche su internet per trovare vari esempi di notizie dalle fonti più disparate (e dalle più disparate tendenze politiche), che tendono, se non definitivamente a falsificare questi dati, certamente ad indebolirli. Ecco degli esempi:

https://www.panorama.it/attualita/economia/foxconn-fabbrica-iphone-rivolta-lavoratori
https://pmli.it/foxconnapplecina.htm
https://contropiano.org/news/aggiornamenti-in-breve/esteri/2022/11/25/gli-scontri-alla-foxconn-di-zhengzhou-e-dintorni-0154710

L'ultimo articolo è interessante perchè fornisce un esempio di scontro il cui risultato (anche se non intenzionalmente ricercato) è stato un aumento, almeno temporaneo, delle retribuzioni.

La conclusione dell'articolo pare proprio riferirsi ai dati che tu riporti:

"Da ultimo, non so chi abbia usato per primo l’espressione “un caso raro/unico di resistenza in Cina”, ma è diventato subito un luogo comune sui giornali.

Fortunatamente non è così. Di vertenze e lotte se ne documentano a centinaia ogni anno, ben sapendo che riusciamo ad avere informazioni solo su una frazione di quanto accade sul terreno."

Insomma, in definitiva, apprezzo le tue argomentazioni e ti ringrazio ancora per lo scambio, ma mi permetto di dubitare delle tue conclusioni.

Un saluto e un abbraccio e... alla prossima.

Fabio
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Paolo Selmi
Friday, 22 August 2025 02:27
Mah il CLB in realtà era una ONG chiaramente antigovernativa, il fondatore alla fine collaborava con RADIO FREE ASIA che è una creatura degli USA
https://www.minjian-danganguan.org/s/china-unofficial/item/3768
quindi avrebbe avuto tutto l'interesse a GONFIARE i casi, ad aumentare i numeri. E non è riuscita ad andare oltre quelli riportati.

Se leggi l'articolo in inglese trovi che in trent'anni il lavoro antigovernativo di questa organizzazione è stato molto approfondito, serio e capillare. Al punto che i suoi dati sono stati riferimento costante per la saggistica sull'argomento, oltre che materiale di consultazione in loco (qui la voce nel catalogo dell'università di Napoli)
https://catalogo.share-cat.unina.it/sharecat/resource?uri=UNINA9910895537403321&v=l&dcnr=5

il 12 giugno, quando la notizia della improvvisa chiusura di tutto, sito pagine instagram eccetera di punto in bianco, ha fatto il giro del mondo, i siti antigovernativi emanazione degli USA avevano già fatto i mirror dei file raccolti in trent'anni:
https://www.minjian-danganguan.org/s/china-unofficial/item/3768

interessante, tra l'altro, il report sul 2024 con relative cartine (questo solo in cinese)
https://att.laborinfocn5.com/articles/67471

Come mai han chiuso i battenti di punto in bianco? HKG non è più zona franca. E la Cina ha deciso di fare un giro di vite.

Personalmente mi aveva colpito, da quando sono uscito dall'aeroporto di Shanghai, discretamente, ma efficacemente, me come tutti gli automobilisti, ero flessciato ed eravamo flescciati ogni cinque minuti. All'inizio pensavo fosse una multa che si era beccato il primo fornitore che ci era venuto a prendere, a me in quanto interprete e a chi mi aveva assunto per questa dieci giorni che ci ha portato da Shanghai a Pechino passando per Ningbo, Changzhou, Nanjing, Changsha, Shenzhen, Zibo e altri mirabolanti luoghi del miracolo economico cinese...

Poi lo stesso padrone cinese ci ha spiegato che era "tutto normale" e ti ci abitui a essere flessciato, ai controlli di passaporto ovunque, anche nella stazione più sperduta (e a tutti, nel caso degli autoctoni al loro hukou 户口, passaporto interno), ai riconoscimenti facciali non solo in ingresso e in uscita, ma anche random per strada con telecamere apposite.

Non so come potranno esser fatte statistiche di questo tipo da quest'anno in avanti, sinceramente. CLB era un'organizzazione di cinesi dissidenti, filoamericani, traditori, chiamiamoli come vogliamo, ma cinesi. E riusciva a recuperare capillarmente dati offrendo servizi a livello nazionale di tutela legale e non. Utilizzando il porto franco di HKG. che oggi è sempre meno porto franco, non tanto per il riciclaggio di RMB in USD e viceversa attraverso gli HKD... quello c'è sempre e le lavanderie centrifugano che è un piacere, quanto per chi cercava in questa isoletta un punto d'appoggio privilegiato per operare sul territorio della RPC stando dentro ma stando fuori al contempo.

Tra l'altro nella pagina cinese si vedono numeri anche in calo nel corso del decennio e anche dopo la parentesi pandemica:
https://media.laborinfocn6.com/u9Gepfwk3A1emKouCVfGGKrsX1TyB02uI5G-u1jIj9s=

Il che non avrà fatto sicuramente piacere al sopravvissuto a Tian An Men, alle patrie galere e alla TBC ivi contratta, nonché fondatore del CLB.

Ecco perché a logica i dati che forniscono e che sono capillari circa l'intero continente cinese appaiono realistici. Anzi, se posso calcare la mano con una serrata di padroncini, e calchiamola che non fa male...

boh... chi vivrà vedrà...
un abbraccio e grazie di questo approfondimento, passo e chiudo anch'io...
paolo selmi
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Paolo Selmi
Thursday, 21 August 2025 01:09
La differenza, caro Fabio, è CHE IL DIRITTO DI SCIOPERO E' STATO TOLTO DALLA COSTITUZIONE DEL 1982 E MAI PIU' RIMESSO.

In lingue occidentali, cfr. la tesi di dottorato di YU Tianjiao, "Right to Strike: A Comparison of Canadian and Chinese Law", (LLM Thesis, Dalhousie University, 1998) [unpublished].
https://digitalcommons.schulichlaw.dal.ca/llm_theses/64/

Giusto per avere un quadro normativo. I cinesi la lotta di classe la facevano già prima del PCC, sotto l'Imperatore, quindi durante la Repubblica di Cina e, a questo punto, DURANTE il PCC... CONTRO lo stesso: cito dal primo degli articoli citati:
"Gli scioperi hanno nuovamente esposto il ruolo dello Stato-Partito “Comunista” Cinese nel mantenere l’iper-sfruttamento dei lavoratori da parte della borghesia cinese. Inoltre, ci hanno dato un assaggio di una nuova fase della lotta di classe."
e dal secondo: "Boom di scioperi in Cina, ma i sindacati cinesi non c’entrano"

Ora, per aiutarti a capire come questi dati sconnessi possano servire a chi li cerca per "individuare segni" dalla sinistra a sinistra del PCC alla destra del PIME (pontificio istituto missioni estere) IN UNA STRUTTURA IDEOLOGICAMENTE CONFUCIANA, LADDOVE "I SINDACATI" (NÉ TANTOMENO IL PARTITO) C'ENTRANO, E CHE DAL 1982 HA TOLTO IL DIRITTO DI SCIOPERO ANCHE DALLA COSTITUZIONE, occorre fare un passo indietro.

Ti potrà essere d'aiuto La storia di QIU JU, 秋菊打官司, di ZHANG Yimou 张艺谋 (1992).

Il rapporto CONFUCIANO fra POPOLO e POTERE è sostanzialmente identico a un secolo prima. Vale per tutto l'EO confuciano, quindi CINA, COREA, GIAPPONE, VIETNAM.

Il buon Mencio 孟子 duemila anni fa, con indubbiamente un po' più di palle dei sindacati attuali del Paese di Mezzo, parla chiaramente di
王之不王
https://ctext.org/mengzi/liang-hui-wang-i/zhs
ovvero di 王 WANG, re,
che ZHI 之
non BU 不
WANG 王 e qui caro Fabio possiamo tradurre come cavolo vogliamo, perché è lo stesso segno del tramite tra Cielo, Uomo (popolo) e Terra che prima indica un NOME (RE). Il cinese classico è una lingua posizionale assai più del moderno, quindi abbiamo sintagmi nominali e verbali a frotte solo cambiando di posizione ai segni.

un wang che non wanga.
Un re che non è re.
Un re che non è degno di essere re.
Un re che non fa il re.
Un re che non fa il suo dovere di re.

Attenzione, non un re che non regna perché anche i cinesi saranno confuciani ma non per questo si bevono tutto il paternalismo confuciano solo perché così deve essere... anzi! Quindi, "un re che non regna" sta cippa. Ci sono re che regnano ma regnano fregandosene altamente del popolo. Per esempio. C'è un re, c'è un re, che non vuol vedere... ma che non scende dal trono (ciao Augusto dovunque tu sia).

Ora "wangare", e non vangare, per un cinese assume CONNOTATI BEN PRECISI. DA MILLENNI. Caro Wang, tu stai li a fare da tramite eccetera eccetera MA A ME, POPOLO, DEVI FARE STAR BENE. Anche noi in giurisprudenza abbiamo una connotazione di diligenza "Come un buon padre di famiglia". E ma non c'è scritto da nessuna parte... no, caro mio, interviene il "buon padre di famiglia" a inchiodarti alle tue responsabilità. E a darti torto in un processo.

IL CONFUCIANESIMO È UN PATERNALISMO ORGANIZZATO DA PRECISI DIRITTI E DOVERI DEL PADRE-PADRONE-PRINCIPIO INDISCUSSO DI AUTORITÀ-RAPPRESENTANTE DI TIAN (天 cielo) IN TERRA.

Il padre-padrone deve voler bene al suo popolo, deve volere il bene del suo popolo (imperatore), dei suoi contadini (nobile feudale), dei suoi operai (padrone della fabbrica toyotista...ohibò, ecco perché la FIAT ha provato per anni a portare il toyotismo in Italia ma oltre al sistema qualità e al just in time non è andata... mentre per il KAIZEN 改善 non è riuscita a fare di più che un'operazione di facciata).

OBBLIGAZIONI FORTI. MORALMENTE COGENTI E SENZA BISOGNO DI LEGGI (vecchia diatriba tra Scuola Confuciana e Scuola della Legge riassumibile nella formula, "ma ci vuole una legge perché tu debba assistere me genitore anziano ad alzarmi dal letto o a passarmi il pappagallo e pulirmi?" e pomo della discordia fra visione U-ccidentale e cinese del Diritto... ma non ci dilunghiamo).

Ripassati un po' di cartoni del secolo scorso, giapponesi, intrisi di confucianesimo, anche quando tratti da BILDUNGROMAN esotici, ovvero ottocentesco-europei, come Heidi, Libro Cuore, Dagli Appennini alle Ande, e produzioni autoctone, come le saghe dei LORO super-eroi... dai lottatori mascherati ai cyborg, e capirai che quando l'eroe, il protagonista, tra una musica strappalacrime (bach va benissimo), dice "DEVO farlo" mentre tutti dicono nonfarlononfarlo fra fiumi di lagrime, allora introietti subito il senso confuciano del DOVERE fare qualcosa. Senza che nessuno parli. Senza nessuna legge.

La furbata è stata riportare questo schema nelle CINQUE RELAZIONI 五倫 (anche allora come oggi i cinesi al potere amano la numerologia negli slogan)
padre-figlio
marito-moglie
fratello maggiore-fratello minore
amico maggiore-amico minore, in Giappone ancora oggi senpai 先輩 e kohai 後輩, maggiore e minore a scuola, sul lavoro, nella vita... cfr. DOI Takeo, "Anatomia della dipendenza" 甘えの構造, Amae no kōzō https://www.aseq.it/giappone/34468-anatomia-della-dipendenza.html )
imperatore-popolo

La superfurbata fu, nel secolo scorso, aggiungere anche: padrone-operai.

L'ARMONIA (lo HE qui sopra) non ha bisogno di leggi. E' come lo sgurz di kamikazen ultima notte a Milano, o ce l'hai o non ce l'hai. E in CINA, GIAPPONE, VIETNAM, COREA o ce l'hai o ce l'hai. PUNTO. Togliamo dieci anni di Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e poi tutto è tornato nell'alveo. Se ne era accorto Mao con la sua ultima campagna Contro Lin (Biao) Contro Con(fucio) 批林批孔, pī Lín pī Kǒng 1972-1974. Un po' di folklore e soprattutto tutti contro Lin Biao. Che avevan messo per primo non a caso...

ATTENZIONE: I CINESI AVEVANO E HANNO LA PROVA DEL NOVE, O DEL CUOCO... CHI HA IL MESTOLO IN MANO È LÌ PERCHÉ CE LO HA MESSO IL CIELO tian 天: SE NON FA IL SUO DOVERE, TRA UN GOZZOVIGLIO E L'ALTRO CONCESSOGLI PERCHÉ NOBLESSE OBLIGE (bello fare il re...), PERDE IL MANDATO CELESTE, TIANMING 天命 A GOVERNARE.
Questo vale per il potere di oggi, di ieri, di sempre. Furbi i nipponici han detto... vabbeh ma da noi non vale perché il Tennō 天皇, l’imperatore, lett. Il sovrano celeste... è figlio della dea Amaterasu-Ōmikami 天照大御神... punto set partita e il vostro mandato celeste variabile noi ce l’abbiamo da quando esiste il mondo, tiè!

Le dinastie cinesi, invece, al primo SEGNO (terremoto, siccità, carestie, eclissi di sole, di luna, festival di Sanremo eccetera) CHE MANDAVA IN PAPPA L’ORDINE CELESTE cominciavano a farsela in mano. In buona compagnia, peraltro. Cfr. a queste latitudini: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.” E il Magnificat stesso.

UNO SCIOPERO, IN QUESTO SENSO, IN UN PAESE DOVE GLI SCIOPERI NON ESISTONO, NON SONO PREVISTI NELLA COSTITUZIONE E SONO VISTI COME ATTI DI INSUBORDINAZIONE EXTRA SINDACATO UNICO, FA RUMORE. MA COME SIMBOLO DI UN POTERE CHE NON STA FACENDO QUEL CHE DEVE, DI UN WANG ZHI BU WANG, NON COME SCIOPERO IN SÉ.

Questa breve premessa per tornare a QIU JU. Come mille anni addietro, una contadina subisce un’ingiustizia da parte del funzionario di partito locale. Da lì, inizia un’epopea al grado superiore fino non al Segretario, non esageriamo, ma due o tre gradi più in giù. E il finale, ovviamente, non te lo dico: bravissima Gong Li, anche se la adoro in Vivere e in Sorgo Rosso... qui, imbruttita volutamente, lei non incinta a interpretare una donna incinta, la adoro ancora di più. Non per niente la chiamavano la Anna Magnani cinese.

QIU JU sa che ogni grado che salta della gerarchia COMMETTE UN ILLECITO. Fa una cosa che NON DEVE fare. Una cosa che ha UN PREZZO. Ancora solo qualche secolo fa, il contadino che subiva un ingiustizia dal funzionario locale e saliva di grado in grado fino a piazzarsi davanti alla Reggia imperiale, SAPEVA CHE NON SAREBBE USCITO VIVO DA QUELLA VICENDA. MA, ALLO STESSO TEMPO, CHE L’IMPERATORE AVREBBE DOVUTO LEGGERE LE SUE RIMOSTRANZE! E allora per il funzionario locale sarebbero stati cazzi, come si può dire a mezzanotte dopo aver chiuso anche oggi la situazione sulla SVO.

DIMENTICAVO, GIUSTO PER COMPLICARCI ULTERIORMENTE LA VITA... abbiamo la VIA BUDDHISTA AL CONFLITTO. Il riferimento va al monaco che si brucia vivo in posizione del loto mezzo secolo fa a HOCHIMINH quando ancora si chiamava Saigon. Ma non solo. Massimo Raveri scrisse illo tempore, edito dalla Marsilio, IL CORPO E IL PARADISO. Lo portammo all’esame esattamente un anno dopo la sua uscita con lui che lo spiegava a lezione. Sviluppava in quel testo un tema già presente in ITINERARI NEL SACRO, ovvero quello dello Sokushinbutsu 即身仏, Buddha nel proprio stesso corpo. E da buon antropologo, come De Martino nella Terra del ri-morso, forniva a tale fenomeno una spiegazione sociale. Che nel caso del Buddhismo si rifaceva al millenarismo che periodicamente affiorava come Tempo della Fine della Legge, ovvero del mondo, laddove questi monaci si automummificavano, ovvero si ADDORMENTAVANO per risvegliarsi, un po’ giù di chili, per tenere la porta a tutti i fedeli e portarli alla Liberazione.

Ora immaginatevi un funzionario confuciano, o di Partito, alle prese con una Medjugorie di massa dove tutti i fedeli accorrono gridando al miracolo. Peggio di Pane amore e fantasia con la banconota frutto del miracolo di Sant’Antonio! La Fine della Legge, per i sinici Mòfǎ 末法 che in giapponese si legge Mappō... e son stracazzi per il Potere costituito. Perché la FINE viene prima del DECADIMENTO, della DEGRADAZIONE... e torniamo al Mandato Celeste. In una parola... “non va mica bene”...

Mossa miope, quella del partito al governo in Cina di togliere il diritto di sciopero dalla Costituzione. In Giappone, per esempio, lo hanno RITUALIZZATO. Ogni primavera i sindacati organizzano lo Shuntō (春闘), l’offensiva di primavera, per l’appunto: un po’ di scioperi, guardate i numeri, avete visto di cosa siamo capaci, il padrone allora allunga il bonus che ha già pronto e tutti tornano amici come prima più di prima, verso il KAIZEN che porterà alla ennesima scatola di tonno elettrica da rifilarci con tanto di incentivi statali.

Bastava una cosa così, e tutti, sindacati cinesi compresi, salvavano la faccia. Anzi, dimostravano che la lotta paga eccetera eccetera. Niente di tutto questo.

LO SCIOPERO QUINDI RESTA UN’EXTREMA RATIO A CUI UNA DETERMINATA CATEGORIA, ESASPERATA DA UN’INGIUSTIZIA NON RICOMPONIBILE ALTRIMENTI (ESISTONO ANCHE LÌ LE COMMISSIONI DI ARBITRATO... MA SE DAN RAGIONE AI PADRONI! OVVERO, NON FANNO CONFUCIANAMENTE IL LORO DOVERE) RICORRE PER PORRE SOTTO I RIFLETTORI IL PROPRIO “CASO”.

NULLA A CHE VEDERE CON IL RINNOVO DEL CCNL O, PEGGIO ANCORA (nella loro ottica “armonica”) CON LA PARTENZA DAI LORO PORTI DI STRUMENTAZIONI ELETTRONICHE E RADAR PER I SISTEMI DI PUNTAMENTO E ARMAMENTO ISRAELIANI. QUESTO LO FANNO I NOSTRI COMPAGNI DI GENOVA E TRIESTE BLOCCANDO LE NAVI AI PORTI, E GRAZIE ANCORA A LORO DI ESISTERE!

Noto infine che ci rendiamo conto che il confucianesimo distribuisce “moderato benessere”, come lo chiama Xi, al popolo. Si, finché la bicicletta gira. Anche da noi mezzo secolo fa era così. Anche in Giappone, dove i comunisti ne han passate di cotte e di crude. Da noi poi c’era Fanfani e non Xi: anzi, spero di non aver dato malsane idee per un prossimo libro da portare all’esame di Economie comparate intitolato “Confucianesimo e dottrina sociale della Chiesa”...

Che dire, in conclusione...
1. i cinesi non scioperano, se intendiamo “sciopero” la stessa cosa che esiste da noi, sancita dalla Costituzione e normata per diritto. Per il resto protestano, eccome, da millenni. Anche astenendosi dal lavoro e picchettando, in casi estremi. Casi dove il sindacato cinghia di trasmissione del Partito si chiama fuori e dove in gioco c’è la loro patente a punti di buon cittadino modello. Quindi, casi più che motivati di malcostume, ingiustizia, eccetera. Ne abbiamo accennato inquadrandoli in quelli che sono i LORO e non i NOSTRI binari, per quello che quattro pagine dattiloscritte e una palpebra che all’una di notte anche oggi comincia a calare possano concedere. Dove poi alla HE, 和 armonia, si sostituisce il TIANXIA DALUAN 天下大乱, IL “GRANDE DISORDINE SOTTO IL CIELO”,il potere interviene reprimendo chi “eccede” nel protestare. In genere prima che la situazione degeneri.

2. non solo non esiste un rapporto DIRETTO, CAUSALE fra QUESTI scioperi, che infatti puntano ad altro come abbiam visto, e la politica salariale delle aziende pubbliche e private cinesi, piuttosto che le politiche sociali del governo di Pechino, ma la costruzione di una società di “moderato benessere” al suo interno si muove secondo canoni di REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA tipicamente capitalistico-padronali. Coi padroni promossi ad “avanguardie” e quadri dirigenti del Partito, coi loro diritti-doveri confuciani verso i “collaboratori” (così ora ci chiamano qui, non “cari dipendenti”, ma “cari collaboratori”, lì no... ) qualcosa bisogna pure allungargliela. Più Avvocato Agnelli che Adriano Olivetti. Più “mi scusi, sire… non mi vorrà dire che Lei è… scusi il termine sa… Comunista?” che “革命不是请客吃饭”(la rivoluzione non è un pranzo di gala, lett. non è “invitare ospiti a mangiare”) . A ciascuno il suo.

Paolo Selmi
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Fabio Rontini
Thursday, 21 August 2025 12:16
Caro Paolo,

ti ringrazio per la lezione di cultura cinese, ma non puoi sperare di convincermi che i cinesi non fanno scioperi perchè siccome nella costituzione cinese non è previsto il diritto di sciopero, o perchè avviene in un contesto culturale e legislativo diverso dal nostro, allora il loro incrociare le braccia e rifiutare il lavoro non può essere chiamato "sciopero".

Sarebbe come dire che qui in Europa fino a quando non è stato conquistato il diritto di sciopero nessuno scioperava, che è una totale assurdità, prima che una manifestazione di pensiero idealistico estremo, per cui sono i concetti (o le culture) che creano la realtà.

Ugualmente poco convincente è che non ci siano correlazioni causali tra i loro scioperi (o "insubordinazioni a Confucio") e gli aumenti salariali; che significherebbe che gli aumenti sono avvenuti (e sono avvenuti, per fortuna i fatti hanno la testa dura) per bontà dei padroni, o ci sarebbero stati ugualmente, e nella stessa misura, anche se i lavoratori non avessero scioperato (come in effetti hanno fatto). Tutto può essere ma non possiamo dimostrarlo, e tenderei ad escluderlo.

Ps.
Ma non era più facile dire "va bene, ho detto una puttanata, ma ciò non inficia il senso generale del discorso", (come in effetti è, anzi la presenza di scioperi avvalora la tesi che la Cina sia un paese capitalista), in fondo sono solo dei commenti scritti al volo...
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Paolo Selmi
Thursday, 21 August 2025 16:53
ti rispondo sopra altrimenti riduco ancora la larghezza di ogni riga. arrivo...
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AlsOb
Tuesday, 19 August 2025 10:12
In realtà la Cina sembrerebbe avere studiato con attenzione il modello di accumulazione marxiano kaleckiano instaurato dalla DC e Mattioli, poi demolito dai due incapaci e maggiordomi dell'internazionalismo terzomondista Ciampi e Prodi.
Preve presenta alcune intuizioni interessanti per essere tra i pochissimi a scorgere la deriva fascista della sinistra e le conseguenze del modello neoliberale fascista.
Ma non disponeva delle conoscenze né della capacità di capire fondamenti di economia e finanza, perciò non è molto attendibile su temi collegati.
Arrighi con astuzia mosse una critica alla equivoca versione immaginifica e da propaganda di Smith, evidenziando scientificamente aspetti più concreti e significativi per impostare uno sviluppo economico. Ma nulla che non sia compreso nella lettura di Smith e dei classici da parte di Marx, che infatti è il maggiore e probabilmente unico serio teorico dei mercati.
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Fabio Rontini
Monday, 18 August 2025 12:32
"Ora, il problema reale è se in Cina vige il comunismo."
No, il problema reale è se la Cina sia un paese socialista.
Il comunismo è una prospettiva che riguarda l'umanità nel suo complesso, non un singolo paese.
In realtà si è discusso, anzi, se il socialismo fosse possibile in un solo paese oppure no, ma nessun pensatore marxista serio ha mai preso in considerazione l'ipotesi che il comunismo potesse essere realizzato in un solo paese.

"il forte dirigismo non comporta il socialismo"
No, ma il governo fondato sulle assemblee popolari (soviet) sì!
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Paolo Selmi
Wednesday, 20 August 2025 01:49
Concordo appieno, caro Fabio, e aggiungo a quanto noti e alla sagace notazione di AlsOb sul "modello di accumulazione marxiano kaleckiano instaurato dalla DC e Mattioli, poi demolito dai due incapaci e maggiordomi dell'internazionalismo terzomondista Ciampi e Prodi" un'osservazione che prometto cercherò di contenere in pochissime righe, anche perché ho appena finito il punto di oggi e son cotto.

Il capitalismo prevede, e altro non può fare, una regolamentazione del proprio modo di produzione. Una programmazione. Non lo dico io ma Barca padre nel suo dizionario di economia politica, un libretto che ha ormai mezzo secolo ma che è molto utile ancora oggi. E lo dice in riferimento proprio al nostro governo di centrosinistra.

Non ha a disposizione TUTTE le leve economiche, quali per esempio un'economia a proprietà interamente sociale dei mezzi di produzione. Non le opera e non è in grado di ragionare su TUTTE le interconnessioni fra le stesse. Non possiede e non determina tutti i passaggi della catena di produzione di valore. Né tantomeno è in grado di pianificare, a cascata, prezzo e redistribuzione degli utili (che i sovietici continuano a chiamare per comodità pribyl' ma che non è più profitto capitalistico).

E non può, pertanto, pianificare alcunché. Non mi dilungo ulteriormente, è ormai da decenni che ci lavoro (due, non tantissimi, ma nemmeno pochi), anche se ultimamente più che rivedere il mio lavoro sui sindacati sovietici nella sua pubblicazione a puntate non sto facendo... quando finirà la SVO, riprenderò da dove mi sono interrotto.

Non mi dilungo anche perché manco farlo apposta ho commentato su un pezzo di Andrea Genovese sull'IA e la sua possibilità di impiego nella ottimizzazione di quel processo distributivo che per comodità possiamo chiamare "mercato":
https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/31047-andrea-genovese-l-ia-puo-sostituire-i-mercati-una-risposta-socialista-di-mercato-a-carlo-l-cordasco.html

Forse per reazione a questa guerra mi sono lasciato andare a una visione di come potrebbe essere questo socialismo dove proprietà sociale e pianificazione siano supportate da questa iniezione di technè moderna.

Poi però, senza contrapporre, ma come "seconda gamba", ho messo anthropos. L'uomo. Me ne sto rendendo conto rileggendo e in parte riscrivendo questo lavoro sui sindacati sovietici. La libertà è partecipazione, aveva ragione Gaber. E non c'è partecipazione senza lotta. Conflitto. Chiamiamolo come vogliamo, me lo insegnavano durante la "formazione" non i marxisti-leninisti fuori dall'Università, ma la Caritas diocesana in un corso sulla "gestione del conflitto" che mi ricordo ancora prima di sbattermi in un centro di prima accoglienza per richiedenti asilo: tipico caso di disfasia fra mezzi, strumenti, e fini. Anche se tutti quei discorsi sulle "parole tossiche" eccetera me li ricordo ancora.

Lotta, conflitto inscindibili dalla partecipazione. certo. basta uscire in cortile o partecipare, mo' ci siamo, a un'assemblea di condominio. O discutere al lavoro.

Ripenso alla leva leninista. quattrocentomila operai - vado a memoria dalla Storia dell'URSS del Boffa - durante la NEP che prima presero la tessera e poi, formati, con sempre maggiori responsabilità, furono promossi a quadri, dirigenti sindacali e di partito.

Ripensare alla leva leninista significa ripensare all'incanalare, al confluire del conflitto individuale o di gruppi ristretti all'interno di un conflitto di classe che - come riscopro ogni volta che riprendo l'intervento di Tomskij che ho tradotto quasi integralmente e approfondito con altri materiali tradotti - non è banale, non è ideologizzato in stilemi prefissati al Congresso tal dei tali, ma nasce NEL e SUL luogo di lavoro. UN LUOGO DI LAVORO DOVE GLI OPERAI POTEVANO - E DOVEVANO!!! ALTRIMENTI TOMSKIJ SI INCAZZAVA!!! - SCIOPERARE NON SOLO CONTRO I PADRONI PRIVATI DELLA NEP, MA ANCHE LO STATO SE LE COMMISSIONI PARITETICHE, LE RKK, NON RIUSCIVANO A RISOLVERE DIALETTICAMENTE, SINTETICAMENTE, IL CONFLITTO SPECIFICO.

In Cina gli operai non scioperano. Punto. Il sindacato non fa lotta di classe. L'armonia 和 confuciana deve regnare sovrana. insieme a una sana dose di paternalismo, sempre confuciano. Il che implica dei doveri e dei doveri mica da ridere. In Cina ho visitato per lavoro solo ditte private, e ditte di un certo spessore, con ancora dell'ultima l'immagine di questa "selva" di bracci robotizzati a sedici snodi in fase di collaudo all'ultimo piano dello stabile che ancora popolano i miei incubi... ebbene, fabbriche pulitissime, anche quelle che trattano materie plastiche con estrusioni, forni, scarti eccetera. E ovunque, DAZIBAO del Partito e del Sindacato che incitano alla SICUREZZA SUL LAVORO. Il che significa che a quelle latitudini è una cosa che si prende MOLTO sul serio. E per ogni incidente teste saltano e non per un giudice del lavoro che fa il suo dovere, ma molto ma molto prima.

Questo e, a scanso di equivoci, un miliardo e mezzo di persone che lungi da me dare consigli su come dirigere sulla strada del socialismo, anzi, massimo rispetto, giusto come doverosa premessa.

Ciò detto, aggiungo anche che non siamo nati ieri. Che qualcosa ne abbiam masticato per un secolo anche noi. E senza dare dei revisionisti a Brezhnev per poi fare pochi anni dopo una virata, pardon, "riforme", che hanno restaurato il modo capitalistico di produzione in una maniera che gli "incentivi economici" brezhneviani a confronto sono briciole. BRICIOLE!

Al punto che se oggi dobbiamo studiare un modello dove in vent'anni i prezzi globalmente anziché aumentare diminuiscono perché il valore di scambio vede sempre meno manodopera coinvolta nella produzione grazie al progresso scientifico tecnologico e la variabile indipendente del valore restan sempre le ore lavorate per produrlo, non è che se ci guardiamo intorno oggi vediamo esempi che funzionano ancora così. ma sono i cinesi stessi i primi a dire che non ragionano così, e che il loro è un "socialismo con caratteristiche cinesi". badate, badiamo: non una TRANSIZIONE AL SOCIALISMO, ma un SOCIALISMO.

E qui, per quello che possono valere le divergenze di quattro gatti italiani con cento milioni di iscritti al PCC (milioni dei quali padroni a tutti gli effetti), l'unico ragionamento che mi viene in mente, all'una e mezza di notte è: se devo fare un capitalismo tipo centrosinistra italiano di mezzo secolo fa e chiamarlo socialismo con caratteristiche italiane, allora diciamocelo, si vive bene lo stesso.

Se invece parliamo di un centrosinistra italiano di mezzo secolo fa come FASE di un processo di TRANSIZIONE AL SOCIALISMO, di una NEP italiana, dove però il socialismo non sarà scavare buche e riempire buche, ma detenere saldamente il controllo di tutte le matrici input-output, dei processi distributivi, della definizione del valore complessivo prodotto e di ciascun suo articolo, singolo pezzo, della ripartizione della ricchezza sociale nella sfera dei servizi (sanità, assistenza, cultura, educazione, trasporti, ecc.) della ridefinizione stessa dei beni di consumo da produrre in base a un valore d'uso concordato da assemblee di produttori che sono però anche consumatori al contempo, laddove non è più l'offerta che veicola la domanda (Barca - padre) ma è il produttore-consumatore che decide coscientemente, in un sistema dove è completamente abolito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, cosa e come e quanto e in quanto tempo produrre. Pianificare. Il socialismo è calcolo, Lenin.

Noi poi italiani abbiamo un problema in più. Non è che se facciamo un buco in terra troviamo gas, petrolio, terre rare, terre meno rare. Quindi dovremo ragionare, e non poco, sull'equilibrio economico fra importazioni di materie prime ed esportazioni di prodotto finito, come abbiam sempre fatto. col vantaggio che i dollari con cui pagheremo i fornitori (perché nel frattempo la rivoluzione mondiale potrebbe anche non essere ancora avvenuta...) saranno quelli che lo Stato, gestore del commercio estero, incasserà dai propri prodotti esportati. Quindi una quota ingente di prodotti da esportare, il made in italy, e con il cui plusprofitto (altro che dumping... l'esatto opposto, una volta che i prezzi saranno pianificati, saranno inferiori a quelli attuali, ma solo per la distribuzione interna) investire nuovamente nei meccanismi economici e sociali, nei rapporti di produzione interni.

Lo faceva anche l'URSS, che nel bilancio del COMECON dava decisamente più di quanto riceveva. E faceva una diga di Assuan con scadenze tali di pagamento tali che gli egiziani, alla fine dell'URSS, dovevano ancora finire di pagare. E non han più pagato... noi non siamo l'URSS, ma possiamo sicuramente COOPERARE e COSTRUIRE, ovvero continuare a esportare non solo ferrari e borse griffate, ma anche CHIAVI A STELLA! Siamo cinture nere di cantieristica nel mondo. Vinciamo appalti ovunque, e non solo perché allunghiamo mazzette, ma perché i nostri ponti, le nostre gallerie, ALL'ESTERO, tengono. Perché abbiamo fior fiore di architetti. Perché quando vogliamo siamo bravi e ce lo riconoscono ovunque. Perché le nostre migliori teste sono nate... ohibò, dal conflitto. NON DAI "SISTEMI DI CREDITO SOCIALE"!

E anche se non produciamo milioni di saggi all'anno, uno pseudo-fotocopia dell'altro, motivo per cui ogni volta che vedo nominato questo come indicatore assoluto, mi vien da piangere, abbiamo ottime teste che lavorano per produrre anche solo venti pagine in un anno... ma che in quell'anno di ricerche portano il sapere umano a un grado in più di asticella. Triangolando saperi vecchi e nuovi come altri non sono abituati a fare, meglio, a pensare. E magari questi cervelli in questo Paese futuro invece di scappare via si sentirebbero finalmente valorizzati, avrebbero finalmente una loro collocazione SENSATA. ovvero provvista di SENSO. Voglio trovare un senso a questa vita e questa vita un senso ce l'ha. qui. non a Washington o a Londra o a Tokyo o a Shanghai dove mi coprono di soldi. Qui. Dove la mia scienza è al servizio di sessanta milioni di connazionali che mi vedono per strada, mi ringraziano per quello che faccio, mi chiedono consigli per i loro figli, gli stessi che vedo nelle scuole che visito, e che a differenza di quando ero ragazzo hanno altri miti: non calciatori e veline, ma scienziati, cosmonauti, ingegneri, poeti, artisti, medici, insegnanti, operai specializzati alla gestione di quattro linee automatizzate completamente, falegnami in grado di lavorare il legno massiccio, e via discorrendo.

Si son fatte quasi le due... come al solito non son riuscito a mantenere quel che mi ero ripromesso, chiedo scusa. Mechtat' ne vredno, dicono i russi. Sognare non è reato.

Un abbraccio a tutti
paolo selmi
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