Tra Wicksell e Sraffa: l’affascinante ed inusuale eterodossia di Augusto Graziani
di Guglielmo Chiodi*
In questa nota vengono delineati alcuni tratti della eterodossia di Augusto Graziani, attraverso i percorsi da Lui seguiti nello studio di due economisti, Wicksell e Sraffa, considerati agli antipodi quanto alle loro rispettive visioni in economia. L’intento della nota è di fare emergere il fascino e la particolare eterodossia di Augusto Graziani, altamente istruttiva oggi, soprattutto per i giovani studiosi
Preambolo
Di Augusto Graziani conservo immutato e immutabile il ricordo di una persona dotata di grande umanità, generosità, e di vasta e raffinata cultura – caratteristiche che ritengo essere state fonte di ispirazione, di coinvolgimento e di forte passione per gli studi di economia di molte generazioni.
La breve narrazione contenuta in questo preambolo è soltanto preliminare e strettamente funzionale alle considerazioni che farò in seguito sulla eterodossia di Augusto Graziani.
Ancora studente di Economia alla Sapienza, mentre cercavo un libro in biblioteca, ho per caso intravisto un libro di testo che mi ha subito incuriosito, il cui titolo era Teoria economica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1967, autore Augusto Graziani.
Ad una prima sbirciata, fui subito colpito dalla diversa struttura che aveva, confrontata con analoghi libri di testo allora in uso nei primi anni del corso di Economia. Leggiucchiandolo qua e là, infatti, fui subito attratto dalla chiarezza di esposizione di alcuni argomenti, ritenuti da noi studenti di allora alquanto ostici, e dalla ricchezza delle teorie prese in considerazione. Lo adottai immediatamente come libro di testo ‘ombra’, a fianco di quello ‘ufficiale’, al tempo consigliato.
Tale adozione ‘parallela’ da parte mia, non sortì solo l’effetto di integrazione e di supporto alle conoscenze di base dell’Economia Politica, ma ebbe anche l’effetto, ben più importante, di suscitare in me ulteriori curiosità e maggiore interesse nello studio della teoria economica, nelle diverse declinazioni analitiche, e, soprattutto, nel prestare grande attenzione agli innumerevoli mutamenti che i vari modelli inevitabilmente subiscono col passare del tempo.1
La mia conoscenza personale con Augusto Graziani avvenne solo alcuni anni dopo, agli inizi degli anni ’80, poiché ebbi il privilegio e l’onore di essere invitato a far parte del gruppo di studio sulla teoria monetaria da lui diretto. L’occasione fu dovuta al fatto che in quegli anni mi stavo occupando della teoria monetaria di Wicksell, un autore al quale avevo rivolto la mia attenzione e curiosità paradossalmente attraverso Marx e Sraffa, che costituivano, invece, l’oggetto privilegiato della mia ricerca durante gli anni trascorsi all’Università di Cambridge intorno alla metà degli anni ’70.
L’ambiente nel quale mi trovavo a svolgere il mio lavoro di ricerca era assolutamente ideale. Proprio in quegli anni, infatti, Pierangelo Garegnani era Visiting a Cambridge, dove svolgeva un corso sulla teoria della distribuzione (il nucleo centrale del suo libro Il capitale nelle teorie della distribuzione, pubblicato nel 1960), e Luigi Pasinetti teneva il suo corso su Ricardo, Marx e Sraffa (il cui contenuto riproduceva alcune parti del suo libro Lezioni di teoria della produzione, pubblicato nel 1975). Si poteva, volendo, interloquire anche con Sraffa in persona che, benché sempre gentilissimo e disponibile al dialogo nella sua stanzetta presso la Marshall Library, incuteva sempre una comprensibile soggezione.
Da parte mia, mi ero soffermato ad approfondire un problema contenuto nel libro di Sraffa del 1960, Produzione di merci a mezzo di merci (PM) ed espresso dalla proposizione, alquanto criptica ai miei occhi, secondo la quale il saggio del profitto è “suscettibile di essere determinato da influenze estranee al sistema della produzione, e particolarmente dal livello dei tassi dell’interesse monetario.” Sraffa (1960), p. 43.
All’inizio, mi furono di grande aiuto e supporto alcune parti sviluppate in alcuni appunti di Marx che, dopo la sua morte, trovarono posto all’interno del Libro III de Il capitale,2 la cui pubblicazione, come è noto, fu curata da Friedrich Engels. Di pari aiuto e suggestione, con mia somma sorpresa, fu tuttavia anche il libro Interesse e prezzi di Wicksell, nonostante fossi ben consapevole che quest’ultimo fosse generalmente considerato un tipico studioso ‘neoclassico’.3
In quegli anni, i dibattiti sulla teoria del capitale, a seguito della pubblicazione di PM, erano ancora alquanto vivaci. Da essi, tuttavia, emergeva e si consolidava via via sempre più un atteggiamento rigidamente ‘dualistico’, sia con riferimento a scuole di pensiero, come ad esempio Classici vs Neoclassici, che a singoli studiosi, nella versione Sraffa vs Walras, oppure nella versione Keynes 1930 vs Keynes 1936.
Simili contrapposizioni, con le dovute e ovvie precisazioni, sono perfettamente corrette e sensate, se ci si riferisce al nucleo centrale e alle coordinate principali dei paradigmi rispettivamente rappresentati in ciascun singolo caso. Ad una analisi più approfondita, tuttavia, un atteggiamento così rigidamente ‘dualistico’, come è stato appena sopra definito, può far perdere di vista, e spesso anche affossare, importanti sfumature, contorni e implicazioni che possono nascondersi tra le pieghe dei contributi degli studiosi presi in considerazione.
L’incontro con Augusto Graziani, alcuni anni più tardi, mi aiutò grandemente non solo a connettere, in un certo modo, i fili di quello strano triangolo costituito da Marx-Sraffa-Wicksell, a cui sopra ho fatto riferimento, ma soprattutto mi fornì, più in generale, spunti preziosi per una nuova e potente chiave di lettura critica nell’interpretare autori e teorie.
Non a caso ho scelto, come autori di riferimento tra i numerosi possibili, proprio Wicksell (1851-1926) e Sraffa (1898-1983), due autori, come è ben noto, considerati agli antipodi per le loro rispettive visioni in economia e che – nell’opinione di chi scrive – aiutano in modo assai efficace a illustrare la particolare eterodossia di Augusto Graziani.
Wicksell
Wicksell, matematico di formazione, entra in contatto con l’economia spinto dalla curiosità di studiare i fenomeni dell’inflazione e della deflazione. Frutto delle sue riflessioni, al riguardo, è il testo Interesse e prezzi, pubblicato nel 1898.
Wicksell è generalmente considerato un economista neoclassico (marginalista) tra i più rigorosi, e per molto tempo ciò ha indotto a leggere e interpretare anche la sua teoria monetaria con quella chiave di lettura tradizionale – si vedano, ad esempio, Patinkin (1956), che forzatamente riconduce in ultima istanza la teoria monetaria di Wicksell nell’alveo tradizionale della teoria quantitativa della moneta.4
Un’operazione analoga, per altri versi, fa anche Garegnani (1965), che, per contrasto con Keynes, ingabbia totalmente la teoria monetaria di Wicksell nell’angusto recinto del paradigma neoclassico.5
In entrambi i casi, l’impostazione di base della teoria monetaria di Wicksell viene automaticamente interpretata in chiave rigidamente monolitica, compromettendo, in tal modo, qualsiasi altro aspetto o problema da lui considerato. Wicksell, tuttavia, è stato un critico assai severo della teoria quantitativa della moneta, una teoria con radici assai lontane nel tempo e con propaggini che giungono fino ai filosofi ed economisti del ‘700 e dell’800, compresi gli economisti classici, che ne accettano i meccanismi di fondo (automatici e impersonali) e ora teoria caposaldo e cavallo di battaglia (pur in versioni edulcorate o camuffate), fermamente incastonate all’interno della teoria neoclassica tuttora dominante.
Augusto Graziani è tra i pochi a cogliere, invece, il carattere dirompente (se non addirittura ‘rivoluzionario’, mi permetto di aggiungere qui io) del colpo d’ala teorico compiuto da Wicksell nel rappresentare un aspetto cruciale del capitalismo: il ruolo svolto dalle banche nell’esercizio del credito, assolutamente essenziale per avviare i processi di produzione delle merci. Fa ciò, accantonando del tutto la visione marginalista della teoria della produzione e della distribuzione presente in Wicksell, che pur contiene, tuttavia, lucidi indizi di critica.6
L’intera impalcatura dello schema teorico monetario messo a punto da Wicksell si pone in netto contrasto e in alternativa radicale a qualsiasi altro schema teorico del tempo per fornire una spiegazione dei processi inflazionistici e deflazionistici. A tale scopo, egli costruisce un sistema immaginario, poiché del tutto privo della moneta: un sistema di puro credito. È ‘immaginario’, né più e né meno di come è immaginario il Sistema tipo di Sraffa in PM, ma che in entrambi i casi hanno la funzione di fare emergere chiaramente dalla realtà caratteristiche che diversamente non potrebbero essere rilevate con altrettanta chiarezza e con pari rigore.
Dallo schema risulta evidente come all’esercizio del credito sia indissolubilmente legato, da un lato, il potere (assolutamente discrezionale) che il sistema bancario esercita sul prezzo del credito per il tramite del saggio monetario dell’interesse, dall’altro, il potere che gli imprenditori possono esercitare nel decidere cosa e quanto produrre. La politica messa in atto dalla Banca centrale al riguardo diventa cruciale nel mettere in moto, nel rallentare o nel fermare i processi cumulativi di inflazione o di deflazione.
Un’eco importante dell’impostazione wickselliana in ambito monetario si ritrova in lavori importanti di due suoi allievi, Lindahl (1939) e Myrdal (1939) – lavori che sono stati sfortunatamente sommersi dall’uragano keynesiano di quegli anni e che per alcuni aspetti si pongono fuori dal paradigma economico tradizionale.7 A partire dall’analisi monetaria di Wicksell, Lindahl estende e approfondisce, in un quadro più ampio e articolato, gli effetti della politica monetaria sui prezzi e sulla distribuzione.8 Myrdal analizza in senso critico ma altamente costruttivo la nozione wickselliana di ‘equilibrio monetario’. Entrambi i lavori meriterebbero d’essere ripresi al giorno d’oggi, in quanto contenenti interessanti riflessioni e spunti assai preziosi, soprattutto nel paludoso campo della macroeconomia contemporanea.
Nello schema monetario wickselliano, viene a cadere – e Wicksell dà giusta enfasi a tale circostanza – il semplicistico (ma ideologicamente ben connotato) meccanismo secondo il quale le ‘libere forze’ di mercato metterebbero in equilibrio l’offerta di risparmio totale con la domanda di investimento totale per il tramite del saggio dell’interesse.
Il particolare atteggiamento metodologico di Augusto Graziani – a parere di chi scrive – consiste nello studiare un autore o un paradigma in modo trasversale, cioè ritagliando opportunamente, con precisione chirurgica, l’essenziale e il funzionale di quegli aspetti di teoria o di modello che possano essere utili per comprendere meglio i meccanismi cruciali di funzionamento del capitalismo. Tale lavoro non è affatto così ovvio, come potrebbe sembrare di primo acchito. Richiede, invece, una sensibilità di prospettiva e un’assenza assoluta di pregiudizi scientifici che è alquanto rara, soprattutto tra gli studiosi di discipline sociali.
Tale atteggiamento, unitamente alla semplicità e al rigore, si riscontra in tutti i suoi scritti, ad esempio nel testo La teoria monetaria della produzione, un testo pubblicato trent’anni or sono (ora sfortunatamente fuori commercio), ma che meriterebbe di essere ristampato e riletto come un vero e proprio ‘classico’ – un testo che contiene, tra l’altro, un’esposizione assolutamente magistrale delle principali teorie monetarie.9
L’atteggiamento trasversale di Augusto Graziani si ritrova, ovviamente, anche negli scritti riguardanti Wicksell, il cui modello di puro credito viene tenuto debitamente distinto e non affatto confuso col nucleo del paradigma tipicamente neoclassico. In modo analogo, questo stesso atteggiamento metodologico si ritrova, non sorprendentemente, nel modo in cui porta alla dovuta attenzione alcune considerazioni ‘monetarie’ di Keynes contenute nel Trattato della moneta, quest’ultimo interamente ‘contaminato’, non a caso, dall’intero impianto di base di Interesse e prezzi di Wicksell.
L’atteggiamento metodologico trasversale, così come è qui delineato (e che comprende anche un altro importante aspetto di eterodossia, che sarà illustrato poco più avanti), non deve assolutamente confondersi (né quanto meno identificarsi) con una sorta di ‘anarchismo’ o, peggio ancora, di ‘qualunquismo’ politico. Al contrario, la vera forza alla base dall’eterodossia di Augusto Graziani, qui in discussione, consiste proprio nell’esistenza di un ‘punto fermo’ di prospettiva (analogamente alla presenza del ‘punto fisso’ nel teorema di Brouwer). Esso si sostanzia in una solida ‘visione del mondo’, sottesa in ogni sua considerazione, che esprime sempre, in modo esplicito o implicito, una inequivocabile critica al capitalismo, e a quelle teorie e a quei modelli che verso di esso sono indulgenti o addirittura apologetici.10
L’altro aspetto della eterodossia di Augusto Graziani, al quale poco sopra ho fatto riferimento (e parimenti importante come quello già messo in evidenza), è la grande attenzione che egli riserva alla storia: non solo alla storia del pensiero economico, ma anche alla storia nella sua accezione più ampia. La storia degli eventi e la storia delle idee così come si sono prodotte ed evolute nel tempo sono indissolubilmente intrecciate tra loro poiché hanno la medesima origine. Esse fanno parte integrante, implicita o esplicita, dell’analisi condotta da Augusto Graziani. Non ne sono appendice, né parte staccata da essa. Un esempio magistrale di ciò è dato dall’intervista sulla teoria monetaria di Wicksell che alcuni anni fa Augusto Graziani ha rilasciato a Cristina Marcuzzo per la RAI. È un capolavoro assoluto di come egli riesca a presentare il nucleo essenziale della teoria monetaria di Wicksell incastonata nella storia, nel senso sopra inteso. È una lezione magistrale di chiarezza, di sintesi e di completezza, al tempo stesso.
Si è avuta la fortuna di ascoltare e di vedere tale intervista nel recente Convegno “L’insegnamento di Augusto Graziani tra teoria e politica economica – a dieci anni dalla scomparsa”, tenuto il 9 e il 10 Maggio 2024 presso l’Università del Sannio, grazie alla gentile concessione della RAI (che ne ha l’esclusiva) e, soprattutto, grazie agli Organizzatori e al Comitato scientifico del Convegno, che hanno avuto l’eccellente idea di inserirla nel ricco programma.
L’intervista su Wicksell andrebbe almeno trascritta, pubblicata e fatta ampiamente circolare, soprattutto tra i giovani studiosi, come raffinato esempio di come si può (e si dovrebbe) affrontare lo studio di un autore o di una teoria in un contesto ben più ampio di quello circoscritto al modello puramente analitico e asettico da qualsiasi ‘contaminazione’ storica. Ciò che dall’intervista sprigiona di continuo è una visione caleidoscopica della teoria monetaria di Wicksell e di tutte quelle teorie monetarie alle quali l’Intervistato fa riferimento – un’intervista assai ricca e articolata, e densamente piena di suggestioni.
Sraffa
Lo spazio dedicato da Augusto Graziani a Sraffa – l’altro studioso che, con Wicksell, è qui preso come riferimento per illustrare la sua originale eterodossia – è per la verità pressoché risibile, se confrontato con lo spazio ricoperto da altri studiosi nei suoi numerosi scritti.
Cionondimeno, mi azzarderei ad affermare, forse con un pizzico di esagerazione che ritengo tuttavia necessaria, che le riflessioni da Lui prodotte su Sraffa, se ampiamente sviluppate, potrebbero dar vita a una moltitudine di saggi interessanti.11
Mi riferisco alle sole sette pagine di cui è composto il suo saggio La visione del processo capitalistico secondo Piero Sraffa, Graziani (1986), nel quale assume, come si avrà modo di argomentare, lo stesso atteggiamento metodologico già considerato in precedenza.
Con grande maestria, infatti, Egli riesce a ritagliare, dell’intero percorso scientifico seguito da Sraffa, alcuni elementi essenziali che gli servono a dimostrare almeno due tesi alquanto robuste: 1) la ricerca di Sraffa è lineare ed omogenea negli obiettivi da perseguire, a partire dagli anni ’20 e fino alla pubblicazione nel 1960 di PM; 2) il nocciolo essenziale del contributo di Sraffa risiede nell’aver offerto, in un quadro concettuale rigoroso, un punto di vista alternativo del capitalismo, basato sulla marcata asimmetria dei poteri decisionali sulla produzione e sulla distribuzione, e ciò in evidente contrasto con la teoria neoclassica tradizionale, che contempla invece imprenditori e consumatori equipotenti le cui decisioni sono rese compatibili, in ultima istanza, dal mercato.
È estremamente interessante, oltreché istruttivo, ripercorrere, seppur brevemente, le linee di ragionamento seguite da Augusto Graziani per illustrare le due tesi sopra indicate.
Egli parte dal ben noto saggio di Sraffa del 1925, collocandolo, innanzitutto, nell’ambiente scientifico e accademico del tempo, dominato dal pensiero economico neoclassico e – per usare le parole di Augusto Graziani – con “ogni risonanza del pensiero marxista” ormai del tutto spenta, Graziani (1986), p. 189.
Del saggio del 1925, egli evidenzia con enfasi l’aspetto riguardante la decisa e forte opposizione alla teoria marginalista della distribuzione che nasce dalla critica di Sraffa alle curve marshalliane di costo variabile, tralasciando, invece, l’altro aspetto, strettamente connesso, riguardante la coerenza logica. Augusto Graziani definisce la proposta di Sraffa “palesemente rivoluzionaria” poiché “metteva in dubbio l’equità della distribuzione attuata dal mercato […] e riportava nell’ambito dell’analisi economica […] le classi sociali, il conflitto, e, perché no?, lo sfruttamento”, Graziani (1986), p. 190.
Benché la ‘versione’ inglese del saggio del 1925, pubblicata nel 1926, venga considerata da Augusto Graziani “una deviazione emersa da discussioni locali, magari con lo stesso Keynes”, ibidem, p. 191 – da intendersi come una deviazione dal percorso critico seguito fino allora da Sraffa – egli tuttavia considera la dura e acida recensione critica di Sraffa (1932) al libro di von Hayek (1931) come la ripresa di un percoso intrapreso col saggio del 1925.
A tale riguardo, Augusto Graziani descrive sinteticamente e con efficacia il clima scientifico dell’Inghilterra di quegli anni, caratterizzato da un dinamismo alquanto pronunciato in ambito economico, frutto di una ibridazione di culture economiche diverse, provenienti da vari paesi del continente europeo. Se, grazie a Lionel Robbins, alla London School of Economics si faceva larga strada l’equilibrio economico generale di Walras, nella Cambridge di Keynes e di Robertson grande spazio veniva invece dato, tra gli altri, a Schumpeter, von Mises, L. A. Hahn, Knapp e Wicksell. “Le idee che Keynes e Robertson andavano sviluppando in quegli anni – scrive Augusto Graziani – erano a dir poco eterodosse”, Graziani (1986), p. 192; e “sebbene non possa parlarsi di alcuna inclinazione marxista, tuttavia un vago sapore di marxismo è difficilmente negabile”, ibidem.12
In effetti, a giudicare dai tre aspetti principali che Augusto Graziani mette in risalto delle idee coltivate da Keynes e Robertson nella Cambridge degli anni ’30, l’ultima citazione riportata trova piena giustificazione. Il primo aspetto riguarda la separazione tra lavoro e mezzi di produzione, con il conseguente potere degli imprenditori di fissare il livello di produzione nonché quantità e qualità di beni; il secondo riguarda la possibilità degli imprenditori di accedere al credito bancario, sicché la moneta cessa di poter essere considerata soltanto come intermediario degli scambi; il terzo aspetto è relativo alla spiegazione del movimento dei prezzi monetari, non più riconducibile alla quantità di moneta in circolazione, così come propugnato dalla teoria quantitativa della moneta.
Questi tre aspetti, che evocano immediatamente i nomi di Marx e di Wicksell, costituiscono, secondo Augusto Graziani, le coordinate principali alle quali Sraffa fa riferimento nella sua recensione al libro di von Hayek, dalla quale recensione emerge chiaramente una feroce critica alla ferma convinzione di von Hayek secondo la quale, nel lungo periodo, il mercato sarebbe in grado di rendere compatibili le azioni e le intenzioni degli imprenditori e dei consumatori. Ciò che Sraffa evidenzia nella sua recensione, invece, è proprio il potere di cui dispongono gli imprenditori, che è unilaterale e irreversibile nelle decisioni.
Nel commentare la dura critica di Sraffa (nella forma e nella sostanza) a von Hayek, Augusto Graziani scrive: “sono gli imprenditori che, avendo il dominio dei flussi monetari e la disponibilità dei mezzi di produzione, fissano le quantità prodotte di ogni merce, al di fuori di qualsiasi pretesa di sovranità del consumatore”, Graziani (1986), p. 194.
La recensione del 1932 al libro di von Hayek, pertanto, può essere vista come un anello di congiunzione e di continuità del percorso di critica della teoria neoclassica intrapreso da Sraffa nel saggio del 1925 e approdato a PM, definito da Augusto Graziani “un piccolo gioiello”, ibidem, p. 190.
All’indomani della pubblicazione di PM, venne scatenato, giustamente, un turbinio di critiche nei confronti della teoria neoclassica della produzione e della distribuzione. Le controversie che sorsero, tuttavia, erano per lo più concentrate su questioni, pur importanti, di coerenza formale (per esempio: il ritorno delle tecniche, la funzione di produzione, la nozione di ‘capitale’). Un’eco di tali controversie era ancora sentita e viva anche intorno alla metà degli anni ’80.
Augusto Graziani, tuttavia, deconcentrò l’attenzione da quegli aspetti di teoria, pur cruciali, per rivolgere invece l’attenzione anche ad altri aspetti, parimenti importanti, ma che venivano tralasciati in quanto ritenuti, forse, di ‘contorno’, e quindi non essenziali.
L’insuperabile analisi di Marx sulle nozioni di ‘potere’ e di ‘sfruttamento’ (entrambe mal si prestano a esser ‘misurate’ secondo i canoni tradizionali della matematica) costituisce lo sfondo principale delle acute riflessioni di Augusto Graziani, disseminate in molti suoi scritti, soprattutto in quelli riguardanti Wicksell e Sraffa, in parte qui considerati. Quelle nozioni sono altamente significative e indispensabili per un’appropriata rappresentazione e interpretazione del capitalismo, soprattutto di quello contemporaneo. Esse consentono altresì, al quadro analitico imperfetto fornito dagli economisti classici prima, e a quello rigoroso fornito da Sraffa poi, di offrire una chiave di lettura genuinamente alternativa a quella offerta dal dominante paradigma neoclassico.13
In tale contesto, il merito di Augusto Graziani, nel breve ma denso saggio su Sraffa qua riferito, è di aver acceso i fari su una prospettiva critica diversa, che riconducesse il lungo percorso intellettuale di Sraffa ad una dimensione sociale e politica, assai difficilmente percepibile nell’intricata giungla delle interminabili controversie sulla ‘teoria del capitale’ che si sono sviluppate intorno a PM.
Nota conclusiva
Il tratto dominante della eterodossia di Augusto Graziani, qui brevemente delineata con riferimento a Wicksell e a Sraffa, sembra essere – nell’opinione di chi scrive – la testimonianza di una modalità di ricerca nel campo economico libera da qualsiasi pregiudizio scientifico, sia nei confronti di studiosi che di teorie. Ciò non implica, tuttavia, il non possedere una precisa ‘visione del mondo’, anzi vuol proprio dire che per conoscere il mondo, e per contribuire a farlo funzionare in accordo con quella visione, occorre la massima disponibilità all’ascolto e una conoscenza approfondita del contesto storico nel quale si intende operare.
In margine a un Convegno di alcuni anni or sono, nel commentare un paper che faceva riferimento ad Augusto Graziani, ho affermato: ‘come ci ha insegnato Augusto Graziani’. Nella sua replica, lo stesso Augusto Graziani mi ha corretto affermando di non aver mai avuto intenzione di ‘insegnare’ alcunché a nessuno. A distanza di tempo, riflettendo su quella sua replica, mi sono convinto che come ‘professore’ Egli in realtà professasse qualcosa, e questo ‘qualcosa’ è forse proprio la sua alta testimonianza e la sua elevata postura culturale.