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resistenze1

È in atto una "de-globalizzazione"?

di Prabhat Patnaik*

Pignatelli ottobre 2019defMolti economisti parlano oggi di un processo di "de-globalizzazione" in atto; altri parlano del fatto che il regime neoliberista di un tempo non esiste più. Certo, nulla rimane uguale per sempre: come diceva il filosofo greco Eraclito "Non si può entrare due volte nello stesso fiume"; qualche cambiamento nell'ordine neoliberale è quindi inevitabile con il passare del tempo. Ma il punto vero è: la cornice analitica utilizzata per comprendere la realtà economica del mondo contemporaneo, al fine di cambiarla, è diventata obsoleta e quindi necessita di una seria revisione?

La "globalizzazione", va ricordato, non ha mai significato che i diversi Paesi del mondo si riunissero volontariamente per creare un ordine globale che fosse reciprocamente vantaggioso. Oggi quasi 50 Paesi del mondo sono oggetto di "sanzioni" di vario tipo; ad essi viene impedito con la forza di accedere a beni essenziali, tra cui in alcuni casi medicinali salvavita, dal mercato globale. E il numero non era molto inferiore un decennio fa, quando la "globalizzazione" era universalmente riconosciuta come in pieno svolgimento.

La "globalizzazione" ha quindi sempre avuto un significato molto diverso da quello che le viene comunemente attribuito. Significava l'avvento di una fase del capitalismo in cui il capitale, compresa soprattutto la finanza, si era globalizzato aprendo le economie alla sua circolazione illimitata; aveva così limitato la capacità dello Stato nazionale di intervenire in modi che la finanza non approvava; e questo capitale globalizzato aveva goduto dell'appoggio, nelle sue operazioni globali, soprattutto degli Stati metropolitani, e di altri Stati per difetto. Questi Stati metropolitani, in particolare gli Stati Uniti, decidevano su quali Paesi imporre sanzioni, e gli altri si allineavano.

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neronot

Sansone, i filistei e l'Europa di Breivik

di Franco «Bifo» Berardi

Grecia, Spagna, Turchia… La vittoria etno-nazionalista è irreversibile. Ma è una vittoria scritta sull’acqua

SANSONE BIFO 3L’irreversibile

Tra gli innumerevoli eventi deprimenti di questo anno 2023, quello forse più triste è la conclusione del processo costituente cileno. Talmente triste che mi pare nessuno ne voglia parlare, come se avessimo dimenticato quel che il Cile ha rappresentato nel passato lontano e in quello recente: dopo l’estallido dell’autunno 2019 avevamo (flebilmente) sperato che fosse possibile cancellare il lascito pinochettista del nazi-liberismo. Ma come ogni altro tentativo di riforma democratica, anche quello di Boric si è rivelato un fallimento. Il peso dell’eredità coloniale e del razzismo, il peso della disperazione dei marginali hanno reso ingovernabile quel processo e consegnato la vittoria al discendente politico di Pinochet.

Poi sono venute le elezioni turche in cui il progetto ultra-reazionario di restaurazione del Califfato vince sull’opposizione di un avversario che si presentava come democratico, ma poi proponeva misure di tipo razzista contro i rifugiati siriani.

Poi le elezioni greche, in cui stravince Mitsotakis, rappresentante dell’alleanza tra dittatura finanziaria europea e oligarchia locale. Tsipras paga il prezzo della delusione seguita al referendum del 2015, e con la sconfitta di DIEM25 sprofonda l’illusione di democratizzare l’Europa, come se fosse possibile democratizzare il cuore di tenebra del suprematismo razzista e colonialista.

Infine il franchismo riconquista la Spagna.

Nella primavera del 2022 il governo Sanchez siglò un accordo infame con il Marocco: un tradimento del popolo saharoui in cambio del contenimento carcerario dei migranti africani. Sperava di ingraziarsi così i nazionalisti spagnoli, e come al solito non ha funzionato.

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sinistra

Guerra e Rivoluzione” di Carlo Formenti. Appunti di lettura

di Piero Pagliani

111 1024x12911. Nel panorama delle analisi italiane sulla guerra si devono segnalare il volume di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli, “La guerra capitalista” (Mimesis), quello di Raffaele Sciortino, “Stati Uniti e Cina allo scontro globale” (Asterios) e infine quello di Carlo Formenti, in due volumi, “Guerra e rivoluzione”.

In estrema sintesi l'analisi di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli ci presenta un conflitto inquadrabile come uno scontro interimperialistico tra i debitori in declino e i creditori in ascesa, mosso dalla tendenza ineliminabile del capitalismo alla concentrazione.

Considerare, come fanno gli autori, anche il cosiddetto “socialismo di mercato con caratteristiche cinesi” come un tipo nuovo di imperialismo ha suscitato critiche e perplessità, a mio avviso legittime, tra cui quelle, pur differenti, di Sciortino e Formenti.

L'interpretazione di Brancaccio e coautori si colloca nella scia di una lettura “classico marxista” della realtà economica e sociale e anche, si potrebbe dire, “classico leninista”, dove con “classico” intendo un approccio logico che seppur ben fondato su poderose categorie fatica ad adeguarsi ai processi storici e quindi è in difficoltà a cogliere lo snodo politico della crisi.

È utile capire la natura di questo tipo di errore.

Lo scorso ottobre in un articolo apparso su Sinistrainrete (“La caduta. Lineamenti e prospettive del prossimo futuro”) ho presentato il conflitto globale in corso, di cui l'Operazione Militare Speciale in Ucraina è la parte ad oggi più drammatica - ma l'attacco proxy e a volte diretto degli Usa alla Siria non è stato meno drammatico - come un contrasto tra due “modi di essere” nello spazio economico globale:

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machina

Diario della crisi - Dalla gestione della crisi al sistema di guerra

di Stefano Lucarelli

0e99dc 72b9bccd6cc14d81b830f9082c214be3mv2In questa decima puntata del Diario della crisi - progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi ed El Salto - Stefano Lucarelli riflette sull'inopportuno susseguirsi di crisi che, spiazzando ed eliminando le cause e dunque le possibilità d’intervenire sulle conseguenze di quelle precedenti, fanno sì che gli effetti di queste ultime si accumulino e si articolino con quelli delle prime in modo sempre più intrattabile. L'economia dell'attenzione è quindi legata alla formazione di un potere politico sempre più autoritario, che ci invita a pagare il «prezzo della libertà» (Josep Borrel) e ad accettare la creazione di circuiti economici definiti in termini strettamente geopolitici (friend-shoring) legati all'opzione della guerra come orizzonte normalizzato. Le politiche economiche, monetarie e fiscali sono di conseguenza concepite dalle attuali classi dirigenti secondo questi parametri reazionari, con assoluta indipendenza dai loro effetti nocivi sulle classi lavoratrici e povere. Nel frattempo, l'Unione Europea segue docilmente il disegno delle classi dominanti egemoniche globali, imprigionata nella propria impotenza nazionalista.

* * * *

1. Esistono dei collegamenti fra la Pandemia e il nuovo scenario militare ̶ uno scenario in cui la guerra appare sempre più vicina all’Europa, e diviene una parte via via più rilevante dell’insieme informativo che condiziona le scelte politiche, ma anche le scelte di chi subisce le politiche?

Non si tratta di una domanda oziosa se in ballo c’è la comprensione del fenomeno della crisi. Redigere un diario della crisi significa innanzitutto non arrendersi alla logica degli shock esogeni, gli eventi del tutto inattesi che non dipendono dalla responsabilità di nessuno. A tal riguardo appare molto interessante l’editoriale che Kamran Abbasi, editor in chief del British Medical Journal ha redatto il 16 Marzo 2022.

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maggiofil

Crisi bancaria negli USA: ci risiamo?

di Toni Iero

xxl mPremessa

Ci aspetta il decoupling, ossia il “disallineamento di sistema”? Quelli che si erano illusi che con la globalizzazione il mondo fosse diventato per sempre “uno” si devono ricredere perché invece corre velocemente verso il “due”, verso il West and the Rest, l’Occidente contro il Resto, come dal titolo di un del libro di Niall Ferguson. Colpa certamente della guerra russo-ucraina, ma pure degli alti tassi d’interesse della Federal Reserve che manda in default le banche e spinge il dollaro alla “de-dollarizzazione”.

Per capirci qualcosa pubblichiamo l’articolo di Toni Iero appena comparso sulla rivista bolognese “Cenerentola” (Aprile 2023, n. 262) [Giorgio Gattei].

* * * *

Il recente fallimento di Silicon Valley Bank (SVB) ha riportato alla memoria quello avvenuto nel settembre del 2008 della Lehman Brothers. Fino a che punto si tratta di episodi simili? Siamo di fronte ad un’altra tempesta finanziaria in grado di scuotere i sistemi economici mondiali? Cominciamo col dire che, in realtà, il dissesto di SVB ha origini diverse da quello che travolse la Lehman. Circa quindici anni fa, la banca d’affari americana venne messa in ginocchio dall’insolvenza dei clienti cui aveva prestato il suo denaro. Oggi la banca californiana è stata colpita dal ritiro di ingenti quantità di dollari depositati sui suoi conti correnti. Nel primo caso il problema sorse dal lato dell’attivo (prestiti), questa volta dal lato del passivo (depositi). Per chiarire, in estrema sintesi, una banca raccoglie denaro (conti correnti, depositi) e lo presta (finanziamenti alle imprese, mutui), guadagnando sulla differenza dei tassi di interesse applicati (quello su conti correnti e depositi è, usualmente, molto minore di quello sui prestiti).

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effimera

Diario della crisi | Il panico finanziario da contagio digitale

di Christian Marazzi

contatto dio e adamo2In questa nona puntata del «Diario della crisi» – progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina DeriveApprodi ed El Salto – Christian Marazzi propone un’ipotesi importante: ci troviamo di fronte a una crisi da sovrapproduzione digitale che, se da una parte si spiega a partire dagli effetti del rovesciamento delle politiche monetarie, cioè dall’aumento dei tassi d’interesse per combattere l’inflazione da profitti, dall’altra rimanda alla saturazione della domanda, non solo perché i redditi reali sono fermi o addirittura decrescono, ma anche e forse soprattutto perché la digitalizzazione ha raggiunto la soglia di assimilazione sociale e umana. Nel passaggio da una politica monetaria espansiva a una restrittiva, sostiene l’autore, la lotta politica attorno al tetto del debito pubblico americano, potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso.

* * * *

Marzo, la serpe esce dal balzo

Gillian Tett, giornalista del «Financial Times», ha vissuto in presa diretta alcune delle crisi finanziarie e bancarie più importanti degli ultimi trent’anni, come quella scoppiata in Giappone nel 1997 e 1998, a seguito della bolla immobiliare degli anni Ottanta, o quella del 2007 e 2008, la crisi finanziaria globale dei subprime e della Lehman Brothers[1]. Facendo tesoro di quelle esperienze, ha analizzato l’ondata di panico che ha incalzato le banche nel corso del mese di marzo, dalla Silicon Valley Bank a Credit Suisse, passando dalla First Republic, mettendo in evidenza una serie di caratteristiche ricorrenti, ma anche di discontinuità significative.

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maggiofil

La guerra capitalista

Francesco Pezzulli intervista a Stefano Lucarelli

In vista della serata del Maggio filosofico del prossimo Giovedì 11/05/2023 pubblichiamo di seguito un’intervista di Francesco Pezzulli a Stefano Lucarelli sul libro “La guerra capitalista”, che ha scritto insieme a Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti

39b177c3 2091 477f 9e26 124fac1992b6 xlNel testo appena pubblicato di cui sei autore insieme ad Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti (La guerra capitalista, Mimesis, 2022 https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857592336), scrivete che «la guerra capitalista è la continuazione delle lotte di classe con mezzi nuovi e più infernali». Puoi illustrarci i termini della questione e come mai giungete a questa conclusione?

Noi siamo partiti da un fatto: la cosiddetta «legge» di centralizzazione dei capitali in sempre meno mani, originariamente teorizzata da Marx, può essere verificata empiricamente. Se ci pensi si tratta di un tema che è stato sempre messo in secondo piano dagli studiosi contemporanei di Marx, ma che in realtà oggi è molto più rilevante rispetto, per esempio, alle riflessioni sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. L’analisi della centralizzazione dei capitali tutto sommato era restata sullo sfondo anche nelle analisi critiche del processo di globalizzazione diffusesi soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta. E comunque non era mai stata analizzata con gli strumenti adeguati. Oggi in effetti – come mostriamo nel libro – trova una conferma nei dati. È curioso che l’attenzione su questa «legge» tendenziale e sistemica sia stato posto, dopo la crisi globale del 2007-2008, proprio dagli analisti del mondo finanziario sulle pagine del «Financial Times» o di «The Economist», o persino dagli stessi magnati dell’Alta Finanza, coloro che – per dirla con Warren Buffet – si sentono vincitori della guerra fra le classi sociali.

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resistenze1

La fine di un'epoca

di Greg Godels - zzs-blg.blogspot.com

ups and downs economyCome mai il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization - WTO) e la Banca Mondiale, tre delle istituzioni economiche internazionali più prestigiose, prevedono un futuro nero per l'economia globale?

La Banca Mondiale, con toni lugubri, «mette in guardia sulla possibilità di un'imminente "decennio perduto" per la crescita economica».

Nel gennaio di quest'anno, la Banca Mondiale ha ridotto le sue previsioni di crescita per il 2023 all'1,7%, rispetto alla sua proiezione del 3% del giugno 2022. Per collocare questa percentuale in prospettiva, va ricordato che durante l'era della globalizzazione rampante, prima del crollo del 2007-2009, la crescita a livello mondiale era in media del 3,5% annuo. Dopo la crisi il livello medio della crescita si è attestato sul 2,8%. E dopo soli tre mesi dalla sua proiezione di gennaio, la Banca Mondiale prevede un intero decennio di aspettative di crescita ridotte. Come riferisce il Wall Street Journal: «Nel prossimo decennio occorrerà uno sforzo immane in termini di politiche collettive per riportare la crescita ai livelli medi precedenti».

Analogamente, il WTO prevede che il volume del commercio mondiale aumenterà soltanto dell'1,7% quest'anno, rispetto alla crescita media del 2,8% registrata dopo il 2008.

Facendo eco all'allarme lanciato in aprile dalla Banca Mondiale, il FMI ha annunciato le sue peggiori previsioni di crescita a medio termine dal 1990.

In altre parole, tutte e tre le principali organizzazioni internazionali hanno diffuso previsioni negative, per non dire catastrofiche, riguardo all'economia globale.

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machina

Diario della crisi - Crisi, transizione e accumulazione

Il fantasma di Elisabeth Sutherland

di Giovanni Giovannelli

0e99dc 5a24d4f3d68347b8aef25161c8a3b8aamv2In questa fase di transizione del capitalismo, che conosce la distruzione del fordismo e la finanziarizzazione dispotica dell'economia come strategia di potere assolutamente consapevole da parte delle classi dominanti, la violenza e la guerra diventano forza produttiva e vettore di produzione di plusvalore e di accumulazione di capitale. In questa ottava puntata del «Diario della crisi» - progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi e El Salto - Gianni Giovannelli riflette su come la povertà, l'espropriazione e la privazione dei diritti diventino vere e proprie leve di valorizzazione, il cui fine ultimo è quello di togliere ogni autonomia e di mettere fuori legge ogni alternativa per le classi lavoratrici e povere dell'Unione Europea e dell'intero pianeta.

Il testo è pubblicato in contemporanea su Effimera e El Salto, tradotto in spagnolo.

Fury, rage madness in a wind
sweet through America
(William Blake, America, X)

Dentro l’attuale transizione ̶ durante il passaggio, cioè, dal vecchio modo di produzione fordista all’attuale struttura economica finanziarizzata ̶ assistiamo, in sequenza, variegata ma continua, all’attuazione di scelte istituzionali e di decisioni imprenditoriali che concretano un progetto di accumulazione originaria, naturalmente aggiornato e contestualizzato, così da poter essere lo strumento con il quale il nuovo assetto capitalistico intende ottenere un dominio pieno e incontrastato, piegando alle proprie esigenze di profitto gli abitanti di ogni territorio.

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sinistra

Società del controllo, quarta rivoluzione industriale, guerra, percorsi del capitale per uscire dalla crisi

di Nicola Casale

L'articolo che segue è stato scritto come contributo al dibattito nell'ambito del movimento che si è opposto alla gestione autoritaria della pandemia, agli obblighi vaccinali e al green pass. Il suo fine è di cercare di riconnettere i fili degli accadimenti per individuarne origine e scopi. Perciò tratta in modo molto sintetico questioni che meriterebbero argomentazioni molto più diffuse.

9788865480090 0 536 0 75Tra coloro che si sono opposti alla gestione autoritaria della pandemia, ai vaccini e al GP, si è fatta spazio la consapevolezza che non siamo di fronte solo alla folle distorsione di pratiche sanitarie, ma a un disegno più grande che si ripromette una revisione complessiva di tutti i caratteri della vita sociale, economica, politica, culturale, ecc.

L'aspetto che viene colto da tutti è che stiamo transitando velocemente verso una società del controllo. Una società in cui chi detiene il potere possa controllare ogni aspetto della vita di tutti i cittadini al fine di imporgli comportamenti conformi a quanto da esso deciso.

Il progetto si articola attraverso il ricorso a emergenze continue: una prima pandemia, cui altre sicuramente seguiranno, l'emergenza bellica per difendersi dall'aggressivo e disumano mostro russo e liberare il mondo dalla minaccia della dittatura comunista che s'irradia dalla Cina, l'emergenza climatica causata dall'anidride carbonica di origine antropica, l'emergenza idrica per la siccità indotta dai cambiamenti climatici, l'emergenza della crisi finanziaria ed economica, e così via. Le singole emergenze e la loro combinazione sono utilizzate per disciplinare i comportamenti individuali e sociali contrabbandando il disciplinamento come necessario per il bene comune. E sono utilizzate anche per imporre nuovi prodotti di consumo, come le terapie geniche, e nuovi prodotti che cambiano le relazioni sociali, come le tecnologie della comunicazione, la digitalizzazione, la moneta digitale.

Ognuna di queste emergenze è creata in modo artificioso.

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ilpungolorosso

La tempesta bancaria negli Stati Uniti e in Europa, e la lotta di classe

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Per favorire la lettura e la comprensione di questo testo che deve, inevitabilmente, trattare questioni ostiche e usare termini tecnici, è stata aggiunta, alla fine, una legenda. (Red.)

crisi bancaria immagineNon si era ancora placata la tempesta Credit Suisse, che si è aperta un’altra voragine, protagonista il colosso del credito tedesco e mondiale Deutsche Bank. La crisi di quest’ultima è indubbiamente legata alle modalità con le quali è avvenuta l’incorporazione di CS in UBS, su cui diremo qualcosa nel corso di questo scritto.

In ogni caso, al momento, il bank run, la corsa affannosa agli sportelli delle banche per ritirare i propri soldi prima che venga giù il diluvio, sembra essersi placata.

Negli USA, un intervento deciso e tempestivo del Tesoro, della FED e della FIDC (l’Ente che ha il compito di garantire i depositi bancari fino a 250.000 dollari) ha costruito un cordone sanitario attorno a SVB, Signature e First Republic Bank, che sembra reggere.

Nel vecchio continente, la caduta rovinosa di Credit Suisse, neutralizzata con un’operazione straordinaria dalle molte implicazioni, non ha trascinato, per adesso, altri istituti. Le Borse hanno così ripreso fiato, recuperando in parte quanto avevano perduto nei giorni del panico.

Tutto a posto, dunque? Hanno ragione coloro che, al di là dell’Atlantico, vantano la tenuta delle norme “post Lehman Brothers”? E, in Europa, coloro che, Lagarde in testa, sottolineano il controllo più stringente della vigilanza bancaria nell’UE, la forte “resilienza” degli istituti di credito europei, la loro solidità patrimoniale, il “modello differente di business” che li contraddistinguerebbe da quelli USA? In altre parole, sono giustificate le dichiarazioni ufficiali improntate allo scampato pericolo, alla capacità mostrata di soffocare per tempo ogni contagio, a dispetto delle preoccupazioni che, qua e là, trapelano fra coloro che non hanno responsabilità diretta nella gestione economica?

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sollevazione2

Crisi energetica, facciamo il punto

di Leonardo Mazzei

manca la russiaÈ bene fare il punto sui costi dell’energia, in particolare su quelli del gas e dell’elettricità. Sul tema circola infatti un’ingannevole narrazione, quella secondo cui tutto starebbe andando ormai per il meglio. Ma è davvero così? Assolutamente no.

Siamo in guerra, dunque la propaganda non deve stupirci, ma in questo campo (quello di chi la spara più grossa) l’Occidente batte la Russia dieci a uno. Moreno Pasquinelli si è già occupato del comico trionfalismo di un russofobo come Federico Rampini, che tre giorni prima dell’inizio di una grave crisi bancaria (vedi il crac di due banche americane e le enormi difficoltà di un colosso come Credit Suisse), scriveva che “l’apocalisse della crisi economica era un’allucinazione”. Un tempismo davvero fantastico! Cosa non farebbero certo scribacchini pur di dimostrare quanto sono servi!

Ma quello del bretellato Rampini è solo un caso tra tanti. Il succo del messaggio che si vorrebbe far passare è che tutto va bene, l’Occidente è forte e la guerra fa male solo all’economia russa. È all’interno di questo refrain che assume una grande importanza il discorso sull’energia. Sul tema, la propaganda dei media occidentali è martellante. I prezzi del gas stanno scendendo – essi dicono – dunque la strategia Ue-Nato sta funzionando, possiamo fare a meno della Russia e vivremo felici e contenti.

Ovviamente, la realtà è assai diversa. Vediamolo in tre punti, cercando di ristabilire altrettante verità.

 

  1. Il calo dei prezzi e il crollo dei consumi: è davvero una buona notizia?

La prima verità che va ristabilita è quella sul prezzo all’ingrosso del metano, da cui dipende in larga parte lo stesso costo dell’energia elettrica.

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noinonabbiamopatria

Sul fallimento delle banche: altro che fine della storia!

di Noi non abbiamo patria

fallimentodellebancheLa moneta non figlia valore
Rosa Luxemburg

Sono tempi complicati per chi si sforza di sostenere l’eternità del modo di produzione capitalistico, descritto come il migliore dei mondi possibili. Soprattutto per l’Occidente che, ci piaccia o no, è stato il fulcro del movimento storico e unitario dell’accumulazione mondiale combinato, seppure diseguale.

Dalla California alla Svizzera importanti e solidi istituti bancari falliscono, oppure con i conti in rosso si tenta disperatamente di salvare.

Si dice che i due eventi tra loro non hanno nulla in comune, che le vicende della Silicon Valley Bank, Silvergate Bank e di fondi di investimento californiani a questi collegati e la crisi della Credit Suisse (che non è solo il secondo istituto bancario Svizzero, ma anche uno dei più importanti centri di deposito finanziari per gli investimenti di capitale in Europa) abbiano in comune solo la coincidenza dei tempi.

Intanto, scrive il Sole 24 Ore che “la serenità non si compra. Tantomeno la fiducia. Così non bastano i 300 miliardi di dollari iniettati dalla Federal Reserve nelle banche statunitensi, sommati ai 200 miliardi di liquidità arrivati sull’economia a stelle e strisce dal Conto di disponibilità del Tesoro Usa, sommati ai 50 miliardi di franchi iniettati dalla Banca centrale svizzera al Credit Suisse per ripristinare la fiducia sui mercati. Non bastano. E neppure le parole rassicuranti del presidente Biden…“. [https://www.ilsole24ore.com/art/i-tre-motivi-cui-300-miliardi-fed-non-bastano-calmare-borse-AEk0cE6C]

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micromega

Per fermare le speculazioni, le banche in crisi vanno nazionalizzate

di Enrico Grazzini

Le continue crisi bancarie e finanziarie occidentali sono causate della privatizzazione del sistema bancario e della sua tendenza alla speculazione e al profitto. Le banche dovrebbero essere nazionalizzate in caso di crisi

finanza02Perché il crollo delle banche? Le banche fanno finanza e speculano con i soldi dei risparmiatori. Per superare la crisi occorre nazionalizzare le banche in crisi e separare nettamente il credito dalla finanza.

Di fronte alla semplice ma fondamentale domanda sul perché in Occidente scoppiano continue gravi crisi bancarie e finanziarie che mettono in pericolo tutto il sistema economico capitalista, la risposta è una sola: perché il sistema bancario è ormai del tutto privatizzato e punta solo al profitto e alla speculazione. Nei cosiddetti trenta Gloriosi, dal 1945 al 1975, il sistema bancario europeo e italiano era sostanzialmente pubblico e a direzione pubblica, e le crisi bancarie si contavano sulle dita di una mano ed erano limitate e circoscritte. Non scoppiavano continue e sempre più gravi crisi sistemiche. Le banche facevano credito alle industrie nazionali. Il risparmio nazionale serviva allo sviluppo del Paese e la fuga dei capitali speculativi era proibita. Anche nei paesi anglosassoni con sistema bancario completamente privato le banche erano regolamentate come servizio pubblico: era loro impedito di entrare nel mercato finanziario. In Europa il credito – in gran parte pubblico – ha reso possibile la ricostruzione post-bellica e il miracolo economico italiano e tedesco. Lo sviluppo economico europea di allora cresceva con tassi di aumento pari a quelli cinesi. In Italia le principali banche nazionali – Comit, Credito Italiano e Banca di Roma – erano pubbliche e facevano capo all’IRI. Il credito nei Trenta Gloriosi del dopoguerra, con tutti i suoi difetti e gli scandali, era orientato allo sviluppo della produzione nazionale nell’interesse nazionale. E con la produzione cresceva l’occupazione e il benessere.

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jacobin

Cosa accade alle banche. E cosa potrebbe accadere

di Marco Bertorello, Danilo Corradi

L'intreccio tra finanza ed economia reale, la crisi del digitale, il ruolo delle banche centrali e l'incidenza dell'inflazione: analogie e differenze tra Svb e Lehman Brothers

svizzera jacobin italia 1536x560Agatha Christie in una celebre battuta sosteneva che «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Attualmente nel giallo dello stato di salute del sistema bancario globale e, di conseguenza, di quello economico-finanziario, siamo arrivati in pochi giorni già alla coincidenza. Il fallimento della Silicon Valley Bank (Svb) e il successivo crollo in borsa di Credit Suisse richiamano immediatamente il crack di Lehmann Brothers, cioè il fallimento bancario che accese la crisi finanziaria globale del 2008. A distanza di quindici anni, come di riflesso, il ricordo e le paure tornano a quella vicenda, quando le autorità statunitensi non intervennero, lasciando fallire l’istituto. L’automatismo è in parte giustificato, se si considerano le fragilità dell’attuale sistema finanziario e l’importanza del fattore fiducia, ma ad alcune analogie corrispondono anche differenze importanti che restituiscono un quadro complesso ed estremamente dinamico.

 

Sarà una nuova Lehman?

Molti analisti hanno messo in luce le differenze, rassicurando ed escludendo che il fallimento di Svp sia l’inizio di una nuova crisi sistemica. Questa visione indubbiamente poggia su alcuni elementi di verità.

Dopo la crisi del 2008 i meccanismi precauzionali sono aumentati. I vari accordi quadro raggiunti a Basilea svolgono una funzione di deterrenza richiedendo alle banche maggiore capitalizzazione e liquidità. L’Europa, nel tempo, si è dotata di sistemi di controllo più rigidi.

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effimera

Diario della Crisi | Do you remember Lehman Brothers?

Il fallimento della banca dell’innovazione e l’enigma delle grandi dimissioni

di Christian Marazzi

Wall streetIl recente fallimento della Silicon Valley Bank, la «banca dell’economia globale dell’innovazione», squaderna questioni e domande decisive. In questa nuova puntata del «Diario della crisi», Christian Marazzi spiega in modo illuminante che cosa sta accadendo e la posta in palio, analizzando il ruolo della banca centrale, l’effetto dell’aumento dei tassi di interesse sui Titoli di Stato, il possibile precipitare degli investimenti delle start-up di tecnologia climatica legati alla Svb. In un contesto in cui, negli ultimi anni, i salari sono cresciuti più lentamente dell’inflazione e i salari reali aggregati sono di fatto diminuiti, l’autore spiega come il problema di fondo della politica della Fed sia il suo essere monetarista, tutta incentrata cioè sull’offerta di moneta, e non, come dovrebbe essere, sull’andamento della domanda di moneta. Sotto le politiche della Fed, dunque, sembra riaffacciarsi l’enigmatico spettro dei comportamenti del lavoro vivo e delle «grandi dimissioni».

* * * *

Non solo start-up

A un primo livello d’analisi, il fallimento della Silicon Valley Bank (la «banca dell’economia globale dell’innovazione») appare come una tipica crisi da bank run, da corsa agli sportelli causata dal panico dei depositanti, per lo più «startupper» nel settore digitale, per recuperare quanta più possibile liquidità da una banca, la loro, sull’orlo del crac. «Per capire – scrive Paolo Mastrolilli su «la Repubblica» di domenica 12 marzo, riassumendo la narrazione generale – bisogna partire dall’origine della crisi. Prima del Covid, alla fine del 2019, i depositi presso la Svb erano triplicati, da 62 a 189 miliardi di dollari, grazie all’esplosione delle start-up tecnologiche.

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ilpungolorosso

Sul fallimento della Silicon Valley Bank, annessi e connessi…

di Michael Roberts

wall street 4847634 340 1Pubblichiamo qui di seguito un articolo di Michael Roberts sul fallimento della Silicon Valley Bank [ne abbiamo ricevuto la traduzione da Antonio Pagliarone, che ringraziamo – n. (*)], che evidenzia alcuni dei problemi di fondo legati a questa ennesima crisi bancaria. Commentando le dichiarazioni ufficiali di vari esponenti dell’establishment finanziario e istituzionale a vario titolo implicati nell’affaire (dichiarazioni quasi tutte tese a minimizzare l’accaduto e illustrarne il preteso carattere circoscritto), Roberts si chiede: il crollo di SVB è davvero un caso singolo?

I fatti hanno già fornito una prima risposta. Il crollo di SVB, infatti, ha trascinato con sé, in contemporanea, Silvergate, e si è poi esteso alla newyorchese Signature Bank e all’ex filiale inglese di SVB, “comprata” dal gigante britannico HSBC al prezzo di saldo di una sterlina, una volta constatato il suo fallimento virtuale.

Ad accompagnare questi fallimenti, una scia di pesanti tonfi in Borsa e di difficoltà finanziarie ha colpito First Republic Bank, Western Alliance, Charles Schwab e altri istituti, sia americani che europei.

A leggere i commenti più o meno ufficiali della stampa specializzata e degli “addetti ai lavori”, con alcune sporadiche eccezioni, sembra di ritornare indietro nel tempo. È tutto un susseguirsi di “rassicurazioni” sulla “ben maggiore solidità” delle banche attuali rispetto a quelle del big crash del 2008, sulla dimensione “di nicchia” del business di SVB, per questo incapace di innescare problemi di carattere sistemico e così via.

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effimera

Diario della crisi | Guerra e moneta

di Maurizio Lazzarato

dollaro 1200x500Il quinto appuntamento del Diario della crisi – progetto nato dalla collaborazione di «Effimera», «Machina» ed «El Salto» – è dedicato alla questione della guerra. A occuparsene è Maurizio Lazzarato, con un testo che costituisce l’introduzione al suo nuovo volume di prossima pubblicazione per DeriveApprodi: Guerra e moneta. Imperialismo del dollaro, neoliberalismo, rotture rivoluzionarie. L’autore, a partire dai limiti della riflessione e delle ipotesi del pensiero critico sul tema, analizza quello che lui definisce «imperialismo del dollaro», spiazzando decisamente il campo rispetto all’identificazione tra capitalismo e neoliberalismo. Il testo, offrendo una lettura in chiave genealogica e di prospettiva della guerra in corso, aggredisce l’attualità senza scadere nelle convulsioni della cronaca; al contempo, presenta diversi spunti di discussione attorno a cui allargare e approfondire il dibattito sulla crisi contemporanea

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* La guerra (e tutte le sue variazioni, guerra di classe, di razza, di sesso, neocoloniale ecc.) è il regime di verità del capitalismo.

* Il capitalismo non si può in nessun caso identificare con il neoliberalismo. Il misfatto di confondere i due è stato operato per primo da Michel Foucault, creando una catastrofica confusione teorica e politica nel pensiero critico che non ha fatto che aggravarsi con il passare del tempo. Il capitalismo si è sbarazzato della governamentalità neoliberale, come un secolo primo aveva fatto con il liberalismo classico, a cui ha preferito, per difendere gli interessi delle classi proprietarie, populismi, nuovi fascismi, guerre civili e da ultimo la guerra.

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labottegadelbarbieri

Dietro ed oltre la guerra in Ukraina

di Giorgio Ferrari

Ad un anno esatto dallo scoppio della guerra in Ucraina Giorgio Ferrari scrive un articolo che è la prosecuzione di Comparazione tra due guerre: l’annullamento della dialettica e l’inversione della storia.  Si tratta di un ragionamento su cosa si cela (anche) dietro questa
guerra, ma soprattutto è un ragionamento sull’Occidente, la sua costruzione e i suoi valori

Immagine1 1okjLe argomentazioni svolte precedentemente (Comparazioni tra due guerre - L’annullamento della dialettica e l’inversione della storia)i, per quanto circoscritte ad una analisi comparata tra gli avvenimenti che precedettero la II guerra mondiale e quelli che hanno portato all’attuale guerra in Ucraina, forniscono già un esempio della presunzione e del manicheismo di cui è pervaso il pensiero dominante.

C’è un solo aggressore, la Russia, ed un solo aggredito, l’Ucraina; quest’ultima è la vittima, l’altra è il carnefice. Di più non è consentito dire, pena l’iscrizione tra i seguaci di Putin con tutte le dannazioni conseguenti che in questi mesi sono state utilizzate dalla stragrande maggioranza degli organi di informazione, i quali hanno fornito un’informazione monotonica sullo svolgimento del conflitto con descrizioni raccapriccianti della barbarie russa.

Sono talmente tanti ed estremi i giudizi nei confronti della Russia, che si è superato un punto di non ritorno per cui viene da chiedersi se sarà mai possibile, un domani, ripristinare una qualche relazione con questo paese; se, insomma, non sia questo dell’Occidente, un atteggiamento risolutivo volto a precludere una qualsivoglia soluzione del conflitto che non sia la capitolazione della Russia e/o la sua disgregazione.

 

Lo scontro di civiltà

Il secolo scorso, improvvidamente definito “breve” da Hobsbwan, non sembra avere una fine. L’ultimo suo lascito, quello del 1989, grava ancora sul presente nonostante i numerosi tentativi di esorcizzarlo.

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neronot

Abbiamo perso?

di Franco «Bifo» Berardi

Anche se gruppi di umani sopravviveranno, l’umanità non può sopravvivere. Una riflessione sulla sconfitta in compagnia di Amitav Ghosh, Swimmers e il documentario Rai su Lotta Continua

BIFO LC 1Nei giorni di Lutzerath, mentre qualche migliaia di ragazzine e ragazzini col cappuccio di lana calato sulle orecchie giocava a nascondino con la polizia dello Stato tedesco per impedire l’apertura di una miniera di carbone, ho visto Lotta Continua il documentario Rai di Tony Saccucci.

È pieno di immagini straordinarie sulle lotte Fiat, e offre prospettive diverse, anche contraddittorie, sulla storia di quella organizzazione e sul panorama sociale degli anni successivi al ’68.

Voglio precisare che non ho partecipato all’esperienza di Lotta Continua, perché dal 1967 mi riconoscevo nelle posizione di Potere Operaio, ma voglio anche precisare che fin da quegli anni mi sentivo spesso più vicino allo spontaneismo di Lotta Continua che al severo tardo-leninismo che dopo l’autunno del ‘69 prese il sopravvento in Potere Operaio.

Tra le tante cose interessanti mi ha colpito una frase di Vicky Franzinetti: “Noi abbiamo perso, e chi perde ha un debito immenso verso le generazioni successive.”

Mi ha fatto pensare, mi sta facendo pensare.

“Abbiamo perso.” Frase problematica. Avremmo potuto vincere? E come avremmo potuto vincere? Trasformandoci in forza politica parlamentare (tentativo peraltro compiuto e fallito) o prendendo le armi in centomila fino al bagno di sangue? O forse avviando un processo di secessione pacifica di un’intera generazione? Più o meno le abbiamo tentate tutte, queste strade, e nessuna era all’altezza del problema.

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effimera

Diario della crisi | Appunti per una critica del diritto prossimo venturo

di Gianni Giovannelli

1943 sciopero 3 virIn questo secondo appuntamento del Diario della crisi – rubrica nata dalla collaborazione tra Effimera, Machina e il periodico El Salto – Gianni Giovannelli analizza la crisi del diritto. L’autore sostiene che non si tratta di una generica stretta repressiva limitata al diritto penale, bensì di una trasformazione più complessiva delle norme ordinamentali, civili, amministrative, lavoristiche, marittime, militari, interstatuali. Soprattutto in una situazione di approfondimento della crisi, viene mostrato come le differenti forme di dissenso diventino immediatamente criminali. Perciò analizzare le trasformazioni del diritto è un importante angolo prospettico attraverso cui ripensare le armi della critica.

Fu un linguaggio del dispotismo
e della tirannia il dire che la sola
regola della legislazione è la volontà
del legislatore.
Gaetano Filangieri
(La scienza della legislazione, I, III
Napoli, Raimondi, 1780)

Costituisce un dato di fatto, oggettivo e incontestabile, che siano in corso mutamenti profondi nella legislazione italiana e che questi mutamenti trovino un puntuale riscontro anche negli altri territori del pianeta, perfino a prescindere dalle diverse strutture politico-istituzionali. Non si tratta di una generica stretta repressiva limitata al diritto penale, come un esame soltanto superficiale potrebbe indurre a credere; la trasformazione – di questo si tratta come ogni giorno appare sempre più evidente – si estende all’insieme complessivo delle norme ordinamentali, civili, amministrative, lavoristiche, marittime, militari, interstatuali.

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altraparola

L’età delle catastrofi

di Roberto Finelli

durer 3Un’epoca della modernità s’è evidentemente conclusa. Il capitalismo è infatti divenuto capitalismo universale. Ma pandemia e guerra stanno lì a dimostrare quanto la sua modernità, che almeno dal XVI° sec. ha significato crescita progressiva della ricchezza e allargamento dei beni primari a masse sempre più estese della popolazione, si sia venuta ormai estenuandosi.

Potremmo definire “età delle catastrofi” il periodo storico nel quale l’umanità si accinge ad entrare, o meglio nel quale è già entrata a partire dalla globalizzazione dell’economia neoliberale che s’è iniziata storicamente con l’implosione dell’Unione Sovietica e la diffusione dell’economia a dominanza di capitale all’intero pianeta. Nel giro di trent’anni il neoliberismo, vale a dire il capitalismo come espansione illimitata del capitale, nella sua forma di capitale produttivo, capitale finanziario e capitale commerciale, ha mostrato dopo un decennio di diffusione e sviluppo, tutti i suoi intrinseci limiti, per proporsi, nell’orizzonte di un passaggio egemonico dagli Stati Uniti alla Cina, come sintesi di tre catastrofi che sempre più si apprestano e stanno per attraversare e devastare la vita del XXI° secolo.

Tale nuova età delle catastrofi si configura attraverso la compresenza del suo agire su tre livelli distinguibili ma pure riconducibili a facce di una stessa realtà.

    1. La catastrofe ecologica.
    2. La catastrofe geo-politica.
    3. La catastrofe antropologica della mente.

 

1. La catastrofe ecologica

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badialetringali

Il patto suicida

Lettere al futuro n. 8

di Marino Badiale

21072019 6 Motivi Che Spingono Una Persona Al Suicidio1. Il patto sociale nelle società premoderne e nella modernità.

In questo scritto espongo alcune riflessioni sulla situazione dello “spirito del tempo”. Il punto di partenza è la convinzione che la società attuale sia indirizzata verso un rovinoso crollo di civiltà, che sarà causato dal concorrere di una serie di crisi concomitanti, fra le quali la più significativa in questo momento è la crisi climatica. Ho argomentato tale mia convinzione in interventi passati [1] e non mi soffermerò su di essa in questo scritto, che è piuttosto dedicato ad esaminare le conseguenze di questa situazione sul piano della cultura e delle ideologie.

Il punto di partenza è una considerazione del tutto generale (e piuttosto banale): in ogni società umana che presenti un gruppo sociale dominante e uno o più gruppi sociali subalterni, esiste una qualche forma di “patto sociale”, non sempre chiaramente esplicitato, per il quale i ceti subalterni accettano il dominio dei ceti dominanti. Nessun dominio stabile può basarsi esclusivamente sulla forza bruta, ma deve prevedere un momento nel quale le istanze dei ceti subalterni sono considerate e almeno parzialmente soddisfatte; ovviamente questo avviene entro limiti ben precisi, compatibilmente cioè con la perpetuazione del potere e dei privilegi dei ceti dominanti [2]. Naturalmente, niente garantisce che il patto sociale funzioni: può succedere che i ceti dominanti falliscano nel tener fede al patto, per incapacità propria o per cause di forza maggiore (disastri naturali, sconfitte militari). Ma in tal caso il loro dominio è messo seriamente in pericolo, e se non viene ripristinato e reso storicamente efficace un patto sociale soddisfacente, i ceti dominanti vengono abbattuti e sostituiti da altri ceti dominanti.

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cumpanis

Il fascismo del XXI Secolo

di Fulvio Bellini*

IMMAGINE ARTICOLO BELLINILa struttura in crisi: lo Stato in mano alla sola borghesia

In svariati passaggi delle opere di Karl Marx si parla di struttura e sovrastruttura, e in premessa del presente articolo, si desidera ricordare che questi concetti sono attuali, che abbracciano ideologie e politica, e che spiegano il titolo di questo scritto. Come noto, la descrizione sintetica ma limpida di struttura e sovrastruttura il filosofo di Treviri ce la pone nella prefazione del testo Per la critica dell’economia politica del 1859: “Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolare relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale e a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale di vita sociale, politica e intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Ad un certo stadio di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con le esistenti relazioni di produzione o – ciò esprime meramente la stessa cosa in termini legali – con le relazioni di proprietà nel cui tessuto esse hanno operato sin allora. Da forme di sviluppo delle forze produttive, queste relazioni diventano altrettanti impedimenti per le stesse. A quel punto inizia un’era di rivoluzione sociale. I cambiamenti nella base economica portano prima o dopo alla trasformazione dell’intera immensa sovrastruttura”.

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lantidiplomatico

'Dalla Quarta Rivoluzione industriale' al 'Grande Reset'

Il pensiero di Karl Schwab e la crisi del capitalismo

di Leonardo Sinigaglia

720x410c50ihbnjhuygfcdseNegli ultimi due anni si può dire che Karl Schwab abbia per molti sostituito la figura di George Soros come personificazione di ogni tendenza negativa, o percepita come tale, del nostro mondo. Dal’inizio dell pandemia del Covid-19, Schwab, con le sue idee sull’occasione propizia per un “Grande Reset”, è diventato nelle ricostruzioni dei più critici nei confronti delle politiche pandemiche nientemeno che il “regista” di ciò che si stava sviluppando sotto i nostri occhi.

Questa visione regala a Schwab gradi di potere e autorevolezza che forse non gli appartengono, e si concentra sulla descrizione dell’economista tedesco come il vertice di un gruppo di “incappucciati” dediti alla dominazione globale e alla creazione di un futuro distopico. Ma chi è Klaus Schwab? E in che relazione sono le sue analisi e le sue proposte col nostro mondo e coi suoi processi?

La figura di Schwab è ovviamente connessa all’organizzazione da lui fondata, il World Economic Forum. Anch’essa sconosciuta ai più prima del 2020, la sua natura ancora una volta è ricondotta a qualcosa di ‘occulto’, una setta di individui estremamente potenti dediti al perseguimento dell’orizzonte “transumano”.

Ma cos’è veramente il WEF, al di là di preoccupazioni e ricostruzioni più o meno veritiere, è lo stesso Schwab a dirlo, e in maniera brutalmente onesta: “[...] the international organization for public-private cooperation”[1], ossia “l’organizzazione internazionale per le cooperazione fra soggetti pubblici e privati”.