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La scuola nella pratica confezione apri e chiudi

di Maurizio Disoteo

Forse Draghi e i suoi ministri sono stati impressionati dalle “pratiche confezioni apri e chiudi” decantante dalla pubblicità di marche di caffè, di formaggi e di surgelati. Almeno a questo fa pensare la disinvoltura, al limite del cinismo, con cui il governo ha annunciato il provvedimento per cui al raggiungimento dei 250 casi di Covid su 100.000 abitanti le scuole passeranno automaticamente in didattica a distanza, con provvedimento però non governativo ma del presidente della Regione.

Non è stato precisato se, quando i contagi dovessero calare, le scuole potranno riprendere la modalità in presenza. E’ chiaro soltanto che un tale provvedimento rischia di creare un continuo apri e chiudi devastante per alunni, personale e per la didattica. Provvedimento annunciato tra l’altro, in una conferenza stampa dei ministri Gelmini e Speranza, senza la presenza del responsabile dell’istruzione Bianchi, forse ancora affaccendato a sognare illusori prolungamenti dell’anno scolastico, come se avessimo la garanzia che a giugno la situazione pandemica sarà sotto controllo.

Purtroppo si deve ammettere che, con l’arrivo delle nuove varianti, che sembrano colpire massicciamente i giovani, la situazione è difficile e ancora una volta il passaggio alla didattica a distanza avviene nel quadro della scelta ricattatoria tra scuola e salute. Tuttavia, se siamo arrivati a questo punto, è perché sia il governo Conte, nell’ultima parte della sua travagliata vita, sia il multicolore esecutivo Draghi hanno puntato tutto sui vaccini e nulla sulla prevenzione, totalmente ignorata.

In realtà le scuole non vivono in condizioni veramente diverse da quelle del settembre 2019, quando la pandemia non c’era, La composizione numerica delle classi non è diminuita perché non ci sono abbastanza insegnanti per farlo, gli edifici presentano lo stesso tasso di affollamento poiché si è fantasticato  – grazie alla “commissione Bianchi” – su lezioni nei cinema, nei musei e nei parchi, invece di reperire spazi realmente adatti a far scuola; il tracciamento dei casi positivi non esiste, nelle scuole non c’è alcun presidio sanitario che possa orientarne le scelte.

Insomma, al disastro si è arrivati perché non si sono voluti adottare i provvedimenti invocati dai sindacati della scuola, dal movimento degli studenti e dai genitori.

Inoltre si deve anche tenere conto che la vita dei giovani si compone di molti aspetti sociali diversi. La scuola è un luogo decisivo di aggregazione sociale e affettiva, dove però i contatti avvengono, in linea di principio, in forma regolata da norme sanitarie che gli insegnanti fanno rispettare.

La mancanza di uno spazio sociale così importante può provocare, da parte dei giovani, una maggiore ricerca di aggregazione fuori dalla scuola, dove non ci sono controlli. Una ricerca di socialità, di aggregazione, di divertimento è assolutamente comprensibile in giovani che da un anno sono soggetti a pesanti restrizioni individuali mentre per le attività “produttive” e commerciali tutto è possibile, con i danni che abbiamo tragicamente verificato.

I governi, per consentire i profitti padronali hanno rovesciato tutte le responsabilità sui comportamenti individuali dei cittadini, con scelte che non potevano che fallire. Inoltre non è realistico chiedere ai cittadini, e segnatamente a degli adolescenti, di essere rigidamente responsabili quando i poteri pubblici non lo sono.

Così i giovani da un anno trascinano una vita innaturale tra farlock-down, grottesche dichiarazioni di zone multicolore che hanno dimostrato essere solo una presa in giro e ludibrio pubblico per comportamenti non giustificabili, ma certamente comprensibili. E nel caotico delirio produttivistico, la scuola e le attività culturali sono le prime a essere penalizzate.

Peraltro, anche la scelta di affidarsi completamente ai vaccini riflette una chiara impostazione di politica economica, perché consente di continuare la produzione, che invece potrebbe essere intralciata da serie misure preventive, come un vero confinamento.

Purtroppo per il nostro governo, l’esperienza di vari altri paesi dimostra che confinamenti seri, duri, tempestivi e poco prolungati e l’attento tracciamento dei casi, portano a risultati di eradicamento del virus e a un minore stress della popolazione.

Anche l’esperienza italiana testimonia questo dato poiché nella scorsa primavera, quando almeno qualche attività economica fu sospesa, si ottennero dei risultati ben superiori a quelli di questa “seconda ondata” che continua da sei mesi e ancora peggiora tra il disagio e l’angoscia di tutti.

I provvedimenti parziali adottati in Italia, ormai troppo prolungati, affaticano psicologicamente i cittadini, favoriscono comportamenti irresponsabili e infine, dal punto di vista sanitario, provocano l’endemizzazione del virus e il proliferare di nuove varianti che potrebbero anche dimostrarsi resistenti ai vaccini.

Infine, non sono probabilmente nemmeno positivi per l’economia, nonostante le stupide e testarde insistenze della Confindustria per tenere aperto tutto, a cui Draghi è evidentemente molto sensibile.

A livello più generale, delegare ancora una volta alle regioni le chiusure delle scuole, potrebbe condurre a possibili decisioni poco responsabili da parte delle stesse. I contagi si trovano se si vanno a cercare, e basarsi solo su un calcolo puramente quantitativo, cioè il rapporto 250/100.000 potrebbe suggerire a qualcuno di praticare meno tamponi per non raggiungere tale limite. Purtroppo situazioni poco chiare sul conteggio dei casi si sono già verificate.

Peraltro, sul senso di responsabilità e sull’efficienza decisionale delle regioni è legittimo nutrire più di un dubbio, se per esempio si pensa alla Lombardia, che proprio in relazione al tema scuola, non solo non fa prevenzione, ma non ha nemmeno ancora avviato le vaccinazioni degli insegnanti.

Pensiamo anche alla Puglia, dove il presidente Emiliano ha inventato la scuola “à la carte”, scaricando sui singoli genitori la responsabilità di decidere se mandare a scuola i figli o tenerli a casa, abdicando al ruolo – che gli competerebbe – di tutela della salute pubblica e di orientamento sanitario e civile. O al rapsodico De Luca, che un giorno vuole aprire tutto e il giorno dopo chiudere più di tutto.

Ma si potrebbe continuare con molti esempi da altre regioni. Quello che è certo è così non si va lontano.

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