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sinistra

“Follia capitale”

di Salvatore Bravo

bosch la nawe dei pazziIl valore di un autore non è consumabile come la merce, non sono in scadenza. I grandi pensatori resistono e sopravvivono alle mode, all’idolatria accademica come all’occultamento scientemente organizzato. Le idee sopravvivono ai tempi, ai commerci, come alle tempeste ideologiche. Il caso Marx è esemplificativo, il filosofo spettralmente celato dopo l’89, oggetto di un atto di rimozione collettiva in nome del capitalismo globale, oggi è invocato per darci strumenti di lettura per una realtà sempre più incomprensibile, esposta alla fatalizzazione. Non si tratta di rendere Marx un feticcio da interrogare, anzi, ma di discernere nella complessità dell’opera, vero sistema aperto, gli strumenti interpretativi ancora validi. E’ un’operazione non facile, se si considera che solo una parte minimale dell’opera marxiana ha raggiunto una forma tale da farla giudicare da Marx degna di pubblicazione.

 

L’alienazione universale

Uno degli elementi fondanti che rende Marx terribilmente attuale è il concetto di “alienazione universale”. Lo sviluppo tecnologico, la capacità produttiva sempre più elevata, comportano una alienazione esponenziale, appunto “universale”. Marx era consapevole, e specialmente osservava come il progresso tecnologico implicava un’incessante regressione dei rapporti sociali. Le tecnologie di per sé, potrebbero essere slancio verso l’uscita dalla fatica, dal lavoro coatto ed alienato, ma se esse sono inserite all’interno di una struttura sociale, le cui relazioni sono di tipo verticistico e gerarchico, divengono strumento per opprimere maggiormente gli oppressi. Le tecnologie con il loro sviluppo geometrico, incontenibile, favoriscono l’assalto del capitalismo assoluto a tutto il pianeta; il saccheggio sotto l’egida del “valore in movimento”, come definiva Marx il capitale. Forme di alienazione tradizionale si sommano a nuove forme di estraniamento. Le tecnologie sono esse stesse vendute sul mercato, sostengono la globalizzazione e la produzione dell’accumulo di capitale.

Non si educa al loro uso, ogni contesto spaziale e temporale è pervaso dallo loro presenza. L’uomo è per le tecnologie, e non le tecnologie per l’uomo. Marx aveva fatto delle tecnologie uno dei punti cardini dell’espansione-sfruttamento del capitalismo:

La maggior parte dei capitalisti (in sintonia con l’opinione personale) è convinta che le macchine producano e tende ad agire sulla base di questa convinzione. Marx la considera una concezione feticistica. Il feticismo della tecnologia è diffuso, e questo ha conseguenze importanti. Porta, per esempio, alla diffusa convinzione che debba esistere una soluzione tecnologica per ogni problema sociale o economico.1

Le tecnologie sono parte del sistema di sfruttamento ed alienazione anziché di liberazione e condivisione, anzi la rivoluzione permanente della borghesia trasforma le industrie da luogo dove le macchine sono parte della produzione, ad essere luoghi di produzione di macchine. La manipolazione è sostenuta dall’uso delle tecnologie per controllare, attivare bisogni inautentici, depredare le risorse del pianeta. Lo sviluppo delle tecnologie favorisce ed incentiva la parcellizzazione della produzione con la dislocazione e la realizzazione di catene, in loco, sempre più veloci e specializzate. L’uso delle tecnologie ha consolidato e velocizzato la lotta di classe, anzi la possibilità di accumulo di capitale mediante le tecnologie ha introdotto polarizzazioni e conflitti all’interno degli stati ed all’esterno sempre più profonde. Gli squilibri globali tra aree fortemente produttive ed aree depresse, ma sfruttate per le materie prime, a cui si unisce la polarizzazione di ricchezze per aree geografiche, ha portato allo sradicamento di popoli e culture. L’alienazione non può che definirsi “alienazione universale”, perché attraversa ogni area geografica, gruppo umano e specialmente ogni espressione della vita:

“La terza era quello che chiamavo alienazione universale. Questo concetto non è molto usato da Marx nel Capitale, ma torna spesso nei suoi primi scritti, a partire dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, per diventare motivo dominante nei Grundrisse2 .”

 

Le forme dell’alienazione universale

Se l’alienazione universale è tollerata e spesso “non è ascoltata”, ciò accade perché viviamo l’esperienza quotidiana della tolleranza repressiva secondo la definizione di Marcuse. L’incultura dell’illimitato ha l’effetto di ridimensionare i piani di consapevolezza che si assottigliano nel chiasso dell’eccesso. Le fonti informative risultano selezionate a priori, il turismo di massa, l’utilizzo improprio delle tecnologie sono unidirezionali: sono nel segno della regressione narcisistica ed edonistica. Le domande metafisiche con cui ogni generazione è cresciuta sono congelate attraverso la manipolazione indotta della macchina dei desideri inautentici sempre operante. Nel cap. 13 del Libro I del Capitale Marx tratta dell’istruzione, afferma che gli interventi dello Stato a favore dell’istruzione, dell’alfabetizzazione sono alienanti, perché in funzione adattiva ai mutevoli bisogni del sistema mercato. In questo contesto l’alienazione universale è una presenza inquietante, ma oscura. L’ossessione per il valore in movimento ossessiona la mente e le relazioni inibendo i processi di riconoscimento ed identità già descritti da Hegel.

 

Lavoratori oggettivati ed alienati

Marx distingue tra lavoratori oggettivati che si giudicavano necessari al sistema, e lavoratori alienati, i quali si percepivano come sostituibili, oggetti interscambiabili. La meccanizzazione e la competizione unite alla gran massa di lavoratori disponibili strutturava tale autopercezione, si concretizzava nella massa di lavoratori alienati, espressione massima dell’espropriazione e dell’alienazione universale. Non si può negare che la competizione globale ha introiettato in tutti i lavoratori la mortificazione quotidiana ad essere sostituibili, incrementando il conflitto orizzontale. I lavoratori non valgono in sé, ma dipendono dal datore di lavoro in toto, ora nuovamente “padrone”. Se vi sono nuovamente i padroni, naturalmente vi sono i servi alienati del nuovo medioevo tecnocratico. Lo stesso lavoro è di per sé “alienato”, poiché se ne ha una concezione puramente quantitativa, deve servire alla sopravvivenza. Ogni problematica sulla qualità è scomparsa dal dibattito politico e culturale. Il lavoro è solo mezzo per sopravvivere. L’alienazione universale è dunque realizzata. Le tecnologie svelano la realtà del rapporto dell’uomo con l’uomo e con l’ambiente. Da questa verità che le tecnologie rivelano è necessario iniziare per un processo di consapevolezza ed emancipazione. Il futuro è dei popoli o delle plebi, a tale interrogativo le forze in campo di opposizione sono chiamate a rispondere con progettualità storicamente credibili. I popoli dell’alienazione universale non sono solo plebe, secondo la definizione di Hegel, ma sono anche pubblico: assistono alla narrazione della fine della storia senza battere ciglio, sembrano esautorati da ogni agire politico. Su questo fronte la storia è ad un bivio.

 

Il cattivo infinito

L’alienazione universale è l’altro volto dello sradicamento totale da intendersi non solo come spinta al saccheggio di interi popoli che premono sui confini dei paesi ricchi, ma sradicamento è specialmente il trionfo del pensiero unico. In ogni parte del pianeta avanza il modello della valorizzazione del capitale. La facilità della penetrazione è dovuta all’assenza di modelli alternativi, che in modo contrastivo potrebbero far cogliere le contraddizioni del capitalismo assoluto. Vi sono nazioni che sperimentano forme di socialismo come il Venezuela o la Bolivia, ma la guerra economica del capitalismo spinge tali paesi in condizioni materiali inaudite, pertanto si trasformano nei media in una sorta di esaltazione del sistema vigente. Alienazione universale è anche l’informazione, che deforma, taglia i fatti in modo ideologico esattamente come si opera sulle coscienze. Gli effetti del capitale sono invece presentati come normali effetti di un sistema politico giudicato il migliore possibile o in alcuni casi il meno peggio. E’ un’epoca di superstizione, i nuovi sacerdoti sono gli economisti che credono solo in ciò che è quantificabile, o meglio credono esista solo ciò che è quantificabile. E’ inevitabile l’affermarsi del “cattivo infinito del capitale”. Marx con linguaggio hegeliano riteneva il capitale nella sua corsa verso la valorizzazione, “cattivo infinito”, ovvero, il capitale non ha alcun fine, nessuna legge lo contiene, ma obbedisce come una divinità alla sua necessità: trasformare tutto in valorizzazione e fagocitare ogni resistenza:

”Questo è ciò che Hegel chiama “cattiva infinità”. E’ la forma di infinito che non ha termine e, come la saggezza divina, supera ogni umana comprensione. La successione dei numeri naturali è la sola forma paradigmatica: per ogni numero ne esiste una più grande. La provvista di denaro nel mondo, senza il vincolo di una base aurea, è una cattiva infinità. E’ semplicemente un insieme di numeri. Il capitalismo contemporaneo è bloccato nella cattiva infinità dell’accumulazione senza fine della crescita composta3 . “

 

Gli economisti del folle capitale

La divinità capitale non si muove autonomamente, i capitalisti non solo gli unici responsabili del valore in movimento. Nessun sistema vive e prolifica facendo riferimento ad un manipolo di privilegiati, il sistema si rafforza per la complicità silenziosa degli ambienti accademici che in linea con le leggi del capitalismo assoluto, santificano la situazione di fatto. Si utilizzano paradigmi d’analisi interni al sistema capitale, escludendo dalla loro visuale ogni confronto critico. La cattiva infinità ha trovato negli economisti il clero più fedele. Accademici fedeli al capitale, ma infedeli alle comunità come all’ambiente, non si confrontano con gli effetti del capitalismo assoluto e con i loro errori di previsione. Escludono la complessità della realtà storica, nella quale agisce il caso, ma anche la coscienza individuale e collettiva. Sono economisti incapaci di porre domande, di guardare le falle delle loro previsioni, rifiutano di vedere la sostanza della merce ed i rapporti sociali iscritti in essa. Economisti dell’astratto che potrebbero imparare dalle analisi concrete di Marx, l’intreccio che si cela dietro la merce:

Gli economisti non si sono mai confrontati con la “cattiva infinità” della crescita composta illimitata, che può culminare solo con la svalutazione e la distruzione; hanno invece lodato le virtù di una borghesia che “ha catturato il progresso storico ponendolo al servizio della ricchezza”. Evitando fermamente la domanda se le crisi siano intrinseche a tale sistema. Le crisi, dicono, sono dovute ad atti divini o della natura, o a errori e calcoli errati di esseri umani( in particolare quelli attribuibili a malaccorti interventi statali). Tutte queste cose possono mandare fuori strada la macchina, che si suppone immacolata, del capitalismo del mercato libero e infinito4 . “

 

Il cattivo infinito e l’urbanizzazione

Marx aveva pienamente analizzato le crisi ricorrenti del capitalismo, la saturazione dei mercati e la presenza di un incalcolabile accumulo di capitale da reinvestire. L’ultima crisi mondiale è stata risolta dalla Cina in possesso di un capitale infinito da valorizzare. L’azione cinese ha avuto un effetto traino per l’economia mondiale. La Cina ha investito in infrastrutture per realizzare le quali, ha importato materie prime e tecnologie. E’ stata progettata in Cina una città di 130 mln di abitanti. L’alienazione universale è tra di noi nella forma del titanismo che accentua il senso di smarrimento. Città di tale ampiezza sono la negazione di ogni relazione autentica, sono luoghi della dispersione, del cattivo infinito:

La Cina ha assorbito un’enorme quantità di lavoro avviando un enorme quantità di lavoro avviando un grande programma di investimenti in consumo produttivo nell’ambiente costruito. Un quarto del PIL è venuto dalla sola produzione di abitazioni, un altro quarto o più da investimenti infrastrutturali in autostrade, sistemi idrici, reti ferroviarie e simili. Sono state edificate intere nuove città (molte sono “città fantasma” in attesa di chi vi risieda). L’economia spaziale della nazione è più integrata, con autostrade e reti ferroviarie ad alta velocità che collegano i mercati meridionali e quelli settentrionali in modo più forte, e con lo sviluppo dell’interno in modo che sia meglio collegato alla costa5 .”

L’edificazione edilizia in Cina ha trainato l’economia mondiale, risolvendo la crisi, esattamente come Napoleone III, il quale superò la crisi economica del 1848 e i rischio della Rivoluzione con la riedificazione di Parigi. La sovraccumulazione del capitale con l’urbanizzazione ha un costo, specie nella contemporaneità a livello ambientale ed inoltre favorisce l’indebitamento degli eventuali compratori: tutto purché il capitale sopravviva. La soluzione spaziale del capitale non valuta la variabile della qualità di vita, delle relazioni, della vita anonima e spersonalizzata in città sorte in modo artificiale, senza storia, senza identità. L’urbanizzazione divoratrice è l’immagine più vera e violenta del capitalismo assoluto che divora in modo insaziabile spazi naturali per nullificarli. L’essere del capitale è la nullificazione delle coscienze come degli ambienti, al suo passaggio non resta che un’umanità alienata.

 

L’anti-valore

Nell’analisi di Marx il capitale ”valore in movimento” ha nel suo ventre la sua antitesi: l’anti-valore. Quest’ultimo consiste nel rallentamento del processo di valorizzazione, nell’accumulo di capitale senza valorizzazione. La relazione valore anti-valore usata da Marx per spiegare la logica del capitale, ed il fondo oscuro che si porta con sé, è di natura eraclitea da un punto di vista semantico:

“In Marx il valore esiste solo in rapporto all’anti-valore. Può suonare una formulazione strana, ma i fisici di oggi si basano sulla relazione tra materia e antimateria per interpretare processi fisici fondamentali. Marx cita spesso parallelismi fra i suoi quadri concettuali e quelli delle scienze naturali.6

L’anti-valore per Marx è anche una speranza di lotta, un limite contro cui il capitale potrebbe scontrarsi, non solo nella forma del rallentamento inevitabile, delle pause della valorizzazione, ma anche nella resistenza delle comunità con coscienza politica che si sottraggono alla legge gravitazionale della valorizzazione universale. Sono presenti, oggi, in modo puntiforme sul pianeta comunità resistenti che praticano modelli di vita che si sottraggono al consumo smodato, per adottare pratiche virtuose e rispettose delle coscienze come dell’ambiente. Sono micro sperimentazioni che minacciano il capitale, il quale in modo sempre più palese ha trasformato l’utopia della ricchezza e dell’edonismo senza limiti in distopia planetaria:

L’anti-valore definisce quindi un campo attivo di lotta anticapitalistica. I boicotaggi dei consumatori, anche se hanno successo di rado, sono un segno di questo tipo di politica, ma tutti i movimenti contro il consumo vistoso o addirittura compensativo costituiscono una minaccia politica alla realizzazione. I capitalisti devono organizzarsi per contrastare questa minaccia, ma l’esistenza di molte lotte in corso nella e intorno alla politica della realizzazione è innegabile.7

Marx nei suoi scritti pensò alla rivoluzione, al passaggio al comunismo, secondo modalità contestuali alla storia ed alle condizioni materiali delle nazioni. Lezione non indifferente per noi, poiché tali movimenti diffusi di resistenza potrebbero arginare il cattivo infinito, attraverso il radicamento nella comunità del territorio. La storia non è terminata, l’uscita dalla preistoria per entrare nella storia, potrebbe realizzarsi, ora, in questi decenni, in cui tutto sembra fatalmente perduto. L’anti-valore è una risposta al “Non c’è alternativa” della Thatcher con cui si voleva e si vuole rifondare la natura umana nei termini di animale consumante in sostituzione dello zoon politikon.


Note
1 David Harvey, Marx e la follia del capitale, Feltrinelli, Milano, pag.115
2 Ibidem pag. 194
3 Ibidem. Pag. 174
4 Ibidem. Pag 175
5 Ibidem pag. 184
6 Ibidem pag. 81
7 Ibidem pag. 84

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