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La Dialettica della natura di Engels

Tra metodo e sistema, filosofia e scienza

di Eros Barone

racheleAd ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.

Friedrich Engels, Dialettica della natura.

1. Significato e costruzione di una “dialettica della natura”

Per valutare il significato storico e teorico del modo in cui Engels ha esteso la dialettica dal campo delle scienze storico-sociali a quello delle scienze fisico-naturali occorre considerare nel suo significato complessivo la elaborazione teorica da lui sviluppata, che comprende la scienza, la dialettica e il materialismo, e individuare nel contempo lo sfondo storico-culturale di tale elaborazione. Né si può prescindere, per un verso, dai limiti storici inerenti allo stadio di sviluppo delle scienze che offrono ad Engels la base di appoggio per la sua costruzione di una “dialettica della natura” e, per un altro verso, dal fine che egli in generale attribuisce a tale dialettica, quindi alla funzione che essa svolge nella prospettiva del comunismo. Questo duplice aspetto è stato al centro dell’attenzione critica e della ricerca teoretica che, nell’àmbito del marxismo italiano, hanno contraddistinto i contributi forniti da Ludovico Geymonat e dalla sua scuola.

La feconda vitalità del pensiero di Geymonat nasce da una riflessione originale sul materialismo dialettico. Tale concezione, oltre ad occupare un posto centrale e prioritario nelle indagini svolte dal pensatore torinese sulla storia del pensiero filosofico e scientifico, chiarisce anche in quale senso si muova la stessa battaglia culturale condotta da Geymonat per affermare il valore conoscitivo della scienza e contrastare le molteplici forme di irrazionalismo e di “reazione romantica contro la scienza”.

Geymonat ha, infatti, inserito la sua riflessione nel solco del materialismo dialettico, di cui ha sottolineato la centralità e la priorità come base epistemologica e metodologica di una battaglia culturale che costituisce, da un lato, la prosecuzione delle indagini e, dall'altro, l’approfondimento delle conclusioni filosofiche di Engels e di Lenin.

In uno specifico capitolo della Storia del pensiero filosofico e scientifico Geymonat, riassumendo le critiche rivolte all'attività teorica di Engels (in buona sostanza, quella di essere un positivista e quella di essere un semplice ripetitore di Hegel), fornisce una risposta argomentata con cui, oltre a fare giustizia di un certo anti-engelsismo di maniera, 1 delinea la propria posizione filosofica. Il pensatore torinese ricorda, in primo luogo, che Engels, avendo compreso che il positivismo rappresentava nel secolo scorso l’erede diretto dell’illuminismo, di cui proseguì le più significative battaglie contro l’oscurantismo clericale e a favore del pieno riconoscimento dell’importanza teorica e pratica della scienza, ed essendo cosciente della sua importanza (non tanto quale corrente filosofica quanto) quale espressione dell’atmosfera culturale diffùsasi in Europa a séguito dei successi della ricerca scientifico-tecnica, sostenne che la classe operaia, nella quale egli ravvisava la portatrice di una nuova cultura, doveva schierarsi accanto ai positivisti e non contro di essi, pur combattendone instancabilmente gli errori filosofici e le tendenze metafisiche. Geymonat spiega, in secondo luogo, come Engels, nel portare avanti tale battaglia, abbia riscoperto l’importanza e il valore, sul piano razionale, della filosofia hegeliana.

Da queste premesse Geymonat deduce l'esigenza di ricercare la sintesi fra la ragione scientifica moderna (espressa dal positivismo) e la ragione dialettica moderna (espressa dall’idealismo), di scoprire, cioè, il nesso intimo fra le due impostazioni culturali, anziché contrapporle l’una all’altra, come fanno sia gli apologeti della scienza che i suoi denigratori: questa è la tesi, limpida e profonda come l’acqua dei laghi svizzeri, enunciata da Geymonat. 2 Il quale non dimentica, a differenza di chi gli rimprovera di oscillare tra positivismo ed hegelismo, l’insegnamento di Lenin, secondo cui, nell'epoca dell'imperialismo, la teoria marxista, diversamente dall’età precedente in cui Marx ed Engels dovettero combattere altri avversari, è caratterizzata dalla preminenza del materialismo dialettico rispetto al materialismo storico.

La stessa applicazione della teoria del rispecchiamento elaborata da Lenin al nesso struttura-sovrastrutture, ossia alla categoria-chiave del materialismo storico, conferma la preminenza del materialismo dialettico. Laddove, a proposito di quest’ultimo, è opportuno ribadire che esso (in ciò identico ad ogni altro materialismo) procede nella direzione che la filosofia medioevale indicava come ‘intentio recta’ (ossia una direzione orientata sulla realtà oggettiva, non sul soggetto conoscente). Il materialismo, pertanto, non ricorre al soggetto per costituire la conoscenza e, attraverso la conoscenza, la realtà, ma, contrapponendosi agli effetti illusori prodotti da questo modo coscienzialistico (e, in ultima analisi, idealistico) di concepire l’attività conoscitiva, si riferisce direttamente alla stessa realtà ed enuncia direttamente affermazioni su di essa. Il materialismo moderno (la cui più alta espressione, critica e rivoluzionaria, è rappresentata dalla teoria marxista) sostiene, in conclusione, che il mondo non può essere spiegato a partire dalle sensazioni e dai dati soggettivi, bensì a partire dalle strutture oggettive su cui si fonda. Di conseguenza, Engels enuncia le tre leggi della dialettica la legge della conversione della quantità in qualità e viceversa, la legge della compenetrazione degli opposti e la legge della negazione della negazione non solo come ‘leges mentis’ (leggi poste dalla mente), ma anche, e innanzitutto, come ‘leges entis’ (leggi della realtà stessa). Queste sono le tesi fondamentali del materialismo dialettico, rispetto alle quali va còlto il valore della posizione filosofica di Geymonat. Tesi che, a causa delle loro conseguenze rivoluzionarie, il pensiero borghese, da un secolo e mezzo, attacca in tutti i modi, con tutti i mezzi ed in tutti i campi del sapere; tesi che non pochi intellettuali (quale che sia la famiglia filosofica di appartenenza) combattono con tutte le armi a loro disposizione (non escluse quelle del fideismo e dell’oscurantismo); tesi che i revisionisti hanno sempre cercato di stemperare, deformare, adattare, svuotare del loro duro contenuto materialistico e privare della loro potenza dialettica.

 

2. Il metodo dialettico: da Hegel a Marx ed Engels

Ciò che Engels chiama “dialettica della natura” consiste perciò nel progetto di generalizzare, mediante un ‘uso parziale alternativo’ della logica di Hegel, quattro acquisizioni centrali della scienza a lui coeva: lo stadio di sviluppo della termodinamica e della meccanica, lo stadio di sviluppo della biologia la cui massima espressione è il darwinismo, i risultati della matematica così come si sono andati configurando nel corso dell’Ottocento e, infine, i risultati cui è giunta, grazie all’indagine di Marx, la critica dell’economia politica.

Il fine di questo progetto filosofico-scientifico è quello di contribuire a promuovere nuove forze produttive attraverso l’azione cosciente di un movimento operaio capace di confrontarsi con questa fondamentale problematica e di appropriarsi dei più avanzati sviluppi delle scienze della natura, che la società borghese ha generato. In questo senso, secondo Engels, la logica hegeliana può svolgere una preziosa funzione epistemologica e gnoseologica non solo come strumento efficace e flessibile al servizio della costruzione e della organizzazione concettuale degli apparati teorici e dei campi di ricerca indagati dalle scienze della natura, ma anche come “guida per l’azione” al servizio della prassi consapevole del “lavoratore sociale collettivo” (operai, tecnici, ricercatori e scienziati), il cui obiettivo è quello di emanciparsi dal giogo capitalistico e di socializzare le conoscenze scientifiche. Ecco perché la ripresa di un dibattito serio su Engels non può che situarsi entro un programma di ricerca e di emancipazione il cui oggetto è la “dialettica della natura” e il cui obiettivo è il comunismo: programma che Engels ha strettamente collegato con l’azione di una classe sociale organicamente interessata, dato il posto che occupa nel processo produttivo, e a sostenere il progresso scientifico-tecnico e a verificarne la fecondità in funzione dell’interesse collettivo.

Parimenti, la “dialettica della natura” di Engels è costruita a partire dall’assunto secondo cui è possibile liberare la scienza dalla sussunzione al capitale e dalla congenita anarchia che è propria di quest’ultimo, trasformando la scienza nella leva potente di una regolazione razionale del ricambio organico della specie umana con la natura. Così, la “dialettica della natura” di Engels esprime un progetto egemonico che si contrappone alla ideologia e alla pratica della scienza e degli scienziati come ‘corpo chiuso e separato’ rispetto alle forze vive della società, e tende a promuovere una peculiare razionalità che, se non è ancora in atto, risponde tuttavia ad una profonda esigenza della nostra epoca.

Il metodo dialettico che Marx ed Engels utilizzano è tratto dalla Scienza della logica di Hegel. 3 Essi utilizzano criticamente tale metodo come un linguaggio che permette loro, in primo luogo, di interpretare i risultati delle scienze in termini di movimenti tra concetti; in secondo luogo, di cogliere le differenze qualitative del materiale analizzato dalle singole scienze e delle relative pratiche scientifiche; in terzo luogo, di definire il senso di tali differenze qualitative in rapporto alle diverse pratiche scientifiche; in quarto luogo, di dedurre dagli interventi dialettici sulle scienze quel nucleo generatore dei rapporti conoscitivi e sociali che è il rapporto tra la teoria e la prassi.

È allora evidente che, se la ‘deduzione’, in quanto ‘pars construens’, ha un carattere sistematico, poiché le pratiche scientifiche tendono a isolare sezioni della realtà per poi procedere alla loro articolazione concettuale, gli interventi dialettici adempiono invece la funzione di ‘pars destruens’, poiché pongono in risalto le discrasie interne di tale articolazione. A tale proposito, un esempio paradigmatico della individuazione di tali discrasie o, per dirla con Engels, di mancata corrispondenza tra le forme materiali di movimento, è fornito dalla polemica scientifico-culturale che Engels conduce contro Dühring e la sua ‘imago mundi’ meccanicistica.

In questo quadro critico-analitico Engels inserisce anche la distinzione, entro il pensiero di Hegel, tra sistema e metodo, mostrando come la trama del pensiero di Dühring contenga implicitamente elementi della logica concettuale di Hegel, dai quali Engels intende differenziare la propria posizione. Questa emerge chiaramente in virtù del senso nuovo che egli attribuisce al termine ‘dialettica’, laddove il ristabilimento della mancata corrispondenza tra le forme materiali di movimento richiede la generalizzazione teorica della storia delle esperienze non solo pratiche, ma anche logiche, dell’umanità nel suo millenario cammino. Perciò, la dialettica intesa nella sua nuova accezione come la ‘pars destruens’ del metodo di indagine, fa sì dei risultati raggiunti dalle scienze un suo presupposto, ma permette anche di individuare potenzialità scientifiche e cognitive non ancora attuate, istituendo una feconda tensione tra la logica dell’essere e la logica del possibile, che è isomorfa a quella che si manifesta in seno alla prassi sociale.

Da questo punto di vista bifocale, va detto che la tensione con la pratica scientifica non è creata, ma soltanto ‘mostrata’ dalla dialettica all’interno di un processo in cui questa si pone come il risultato e, insieme, come la prefigurazione di uno sviluppo. Se le potenzialità scientifiche non si realizzano, se quindi gli scienziati non riconoscono che l’autonomia della loro funzione sociale non li esime dalla necessità di collocare se stessi e i propri strumenti di lavoro in una prospettiva storica che tenga conto delle molteplici crisi intrecciate nella crisi generale della società capitalistica (da quella economica a quella culturale, da quella che attanaglia la democrazia borghese a quella educativa, da quella internazionale a quella ecologica, senza dimenticare la specificità della crisi epistemologica che coinvolge gli stessi scienziati); allora essi rinunciano ad esercitare un ruolo attivo nell’orientare lo sviluppo sociale, delegando al potere capitalistico la prerogativa di decidere sul loro stesso operato scientifico.

Del resto, è proprio qui che va individuato il nesso tra gli interventi dialettici nel campo delle scienze naturali e la critica marxiana dell’economia politica, laddove è proprio quest’ultima che rende possibile ad Engels il progetto di ‘pensare’ le scienze, estendendo l’analisi dialettica oltre i confini della critica dell’economia politica. Certo, come rilevava Marx, «altra cosa è arrivare a portare per mezzo della critica una scienza al punto di poterla esporre dialetticamente ed altra applicare un sistema di logica astratto e bell’e pronto a presentimenti per l’appunto di tale sistema». 4 Lo sforzo di Engels si concentra, allora, sulla elaborazione di una visione del mondo materialistica contraddistinta dalla centralità della categoria di totalità e animata dalla consapevolezza che tale centralità nasce da un bisogno insopprimibile della mente umana. 5 Engels riconosce quale importante contributo di Hegel l’aver coniugato il carattere sistematicamente critico del suo metodo (la ‘pars destruens’) con la elaborazione di un sistema enciclopedico; tuttavia, egli non nasconde in nessun modo che, all’interno di una costruzione idealistica della totalità dei concetti, l’opposizione tra la ‘chiusura’, che è propria del sistema, e l’‘apertura’, che invece caratterizza il metodo, non può essere superata.

 

3. Il rapporto tra Engels ed Hegel: un uso critico delle categorie logiche alla luce del materialismo dialettico

Illuminante, in merito al rapporto tra la scienza e la filosofia, è già la celebre lettera a Marx del 14 luglio 1858, in cui Engels dichiara quali siano i due interessi fondamentali che muovono la sua ricerca. L’estensore della lettera pone in primo piano, come aveva fatto Hegel nei suoi scritti, l’universo della vita. Engels cita le scoperte di grande interesse che erano state fatte di recente nel campo della fisiologia e dell’anatomia comparata, soggiungendo: «Sono molto curioso di sapere se il vecchio [cioè Hegel] ne ha avuto sentore. Certo è che, se avesse da scrivere oggi una filosofia della natura, i materiali gli si accumulerebbero intorno da tutte le parti.»

Engels alludeva, in particolare, alla scoperta «delle cellule delle piante ad opera di Schleiden, negli animali ad opera di Schwann [...]. Tutto è cellula. La cellula è l’essere in sé di Hegel e nel nuovo sviluppo si svolge esattamente attraverso il processo indicato da Hegel, finché non se ne sviluppi ‘l’idea’, l’organismo di volta in volta perfetto».

Ponendosi da questo angolo di osservazione, Engels vede nella dialettica la forma adeguata di rappresentazione di uno sviluppo in qualche modo orientato e stabilisce una correlazione tra tale sviluppo e i risultati della scienza fisica, con un particolare riferimento alla termodinamica: «Un altro risultato che avrebbe rallegrato il vecchio Hegel è, nella fisica, la correlazione delle forze e la legge secondo cui, in determinate condizioni, il movimento meccanico, ossia la forza meccanica (per esempio attraverso lo sfregamento) si trasforma in calore, il calore in luce, la luce in affinità chimica, l’affinità chimica... in elettricità e questa in magnetismo [...]. È stato dimostrato che... queste forze trapassano l’una nell’altra in rapporti quantitativi assolutamente determinati, di modo che, per esempio, una data quantità di una forza, per esempio, di elettricità, corrisponde ad una data quantità di ogni altra [...]. Così la stupida teoria del calore latente è accantonata. Ma non è questa una stupenda dimostrazione della maniera in cui le determinazioni della riflessione si risolvono l’una nell’altra?». 6

In tal modo Engels coglie un’analogia, che condizionerà tutta la sua ricerca, tra il progetto di costruire le diverse tecniche di trasformazione operanti nei diversi campi della scienza e le hegeliane determinazioni della riflessione. 7 «Certo è – prosegue Engels – che studiando fisiologia comparata si arriva ad uno sdegnoso disprezzo per la concezione idealistica che pone l’uomo al di sopra degli altri animali. Ad ogni passo si batte il naso nella più completa concordanza di struttura con gli altri mammiferi; nei tratti fondamentali la concordanza si estende a tutti gli altri vertebrati e perfino più confusamente agli insetti, ai crostacei, alle tenie ecc. L’idea di Hegel del salto qualitativo nella serie quantitativa anche qui va benissimo. Da ultimo, per gli infusori d’infima specie, si arriva alla forma primitiva, alla cellula semplice che vive di vita autonoma, che però a sua volta non si distingue in nulla di percettibile dalla pianta di infimo ordine [...] e dai germi di grado più elevato di sviluppo fino all’uovo umano e agli spermatozoi inclusive ed ha la stessa configurazione delle cellule indipendenti nel corpo vivente.» 8

In tal modo, Engels inquadra le scoperte scientifiche post-hegeliane alla luce dei concetti tratti dalla logica di Hegel e questa gli fornisce il linguaggio teorico di base con cui procedere a tale inquadramento. È a questo punto che Engels, nella sua reinterpretazione della Scienza della logica di Hegel, assume i giudizi dell’essere, della riflessione, della necessità e del concetto come altrettanti momenti della storia sperimentale della specie umana, laddove l’ultimo di tali giudizi rappresenta il risultato più generale di tutte le pratiche scientifiche poste in atto nell’àmbito di tale storia.

 

4. Il rapporto tra la filosofia e la scienza e la critica del meccanicismo

Il punto di vista dialettico consiste essenzialmente nell’affermare la possibilità del nesso sistematico, cioè della continua estensione della convertibilità delle forme di movimento e del processo, sottostante a tale convertibilità, della loro produzione/appropriazione umana. Ma, a sua volta, il punto di vista dialettico richiede una nuova impostazione del rapporto tra la scienza e la filosofia che consenta di sfuggire al tradizionale dilemma entro cui viene solitamente rinchiusa tale questione: o un’identificazione, in seguito alla quale la filosofia si risolve progressivamente nelle singole scienze, sino a scomparire; o una separazione tale che, mentre le scienze specifiche si occupano di acquisire le conoscenze particolari, la filosofia viene vista come una ‘sintesi’ di queste conoscenze, sintesi cui spetta il compito di generalizzare i risultati già raggiunti in sede scientifica. Laddove è da osservare che né l’una né l’altra soluzione appaiono adeguate dal punto di vista del materialismo dialettico.

Per risolvere correttamente tale questione occorre quindi chiarire, in via preliminare, il significato profondo della critica del meccanicismo avanzata da Engels. Orbene, in prima approssimazione, il meccanicismo scientifico può essere definito come la tesi secondo cui tutti i fenomeni della natura debbono essere spiegati con le semplici leggi della meccanica, ragione per cui questa acquisterebbe uno ‘status’ privilegiato fra le altre scienze, in quanto sarebbe essa a fornire a tutte i princìpi di spiegazione. Su questo terreno, la formulazione classica della concezione deterministica della scienza è contenuta in un celebre passo di Laplace. 9

Engels, nella Dialettica della natura, polemizza energicamente contro tale concezione: «Un’altra opposizione in cui è impigliata la metafisica è quella di casualità e necessità. Che cosa può essere in contraddizione più acuta di queste due determinazioni del pensiero? Com’è possibile che l’una e l’altra si identifichino, che il casuale sia necessario e il necessario a sua volta casuale? Il senso comune, e con esso la grande maggioranza degli scienziati, tratta necessità e casualità come due determinazioni che si escludono l’un l’altra una volta per tutte. Una cosa, un rapporto, un processo, o è casuale o è necessario, ma non l’una e l’altra cosa insieme. [...] Contro ciò scende in campo il determinismo, trasferitosi dal materialismo francese nelle scienze, che cerca di farla finita con la casualità, negandola in linea generale. Secondo tale concezione nella natura impera solo la semplice necessità diretta [...]. Anche con questa specie di necessità non usciamo fuori dalla concezione teologica della natura. Se noi chiamiamo ciò, con Agostino e Calvino, l’eterno consiglio di Dio, o, con i turchi, il Kismet, oppure se lo chiamiamo invece necessità, la cosa non cambia davvero per la scienza» 10 Per converso, la teoria darwiniana – puntualizza Engels - «dev’essere dimostrata come la prova pratica della concezione hegeliana dell’interna connessione di necessità e casualità». 11

Proprio per superare questa dicotomia tra casualità e necessità, Engels chiama in causa la categoria di ‘azione reciproca’. «Azione reciproca è la prima cosa che ci si presenta – egli sottolinea - se noi consideriamo la materia che si muove nel suo insieme, dal punto di vista della scienza naturale di oggi. Vediamo una serie di forme di movimento, movimento meccanico, calore, luce, elettricità, magnetismo, combinazione e dissociazione chimica, passaggi di stato d’aggregazione, vita organica, che, fatta, oggi ancora, eccezione per la vita organica, si trasformano tutti l’uno nell’altro, si condizionano reciprocamente, sono qui causa, là effetto, e sono tali che la somma totale del movimento in tutte le forme che mutano rimane la stessa [...]. Solo partendo da questa azione mutua universale noi perveniamo al reale nesso causale. Per comprendere i singoli fenomeni noi dobbiamo strapparli dalla connessione generale, studiarli isolatamente, e allora i movimenti che si avvicendano appaiono l’uno come causa, l’altro come effetto». 12

 

5. La centralità della categoria di azione reciproca

La forma di movimento è dunque un risultato delle pratiche scientifiche e questo risultato è assunto, nella esposizione dialettica delineata da Engels, come punto di partenza. Non per nulla sia nell’Antidühring sia nella Dialettica della natura la critica della metafisica (che è, in certo modo, parallela a quella marxiana dei classici dell’economia politica) ha per oggetto la meccanica classica. Gli aspetti metafisici che, a giudizio di Engels, risultano ìnsiti nella meccanica classica, sono in sostanza riconducibili ad una sostituzione di determinazioni connesse alla categoria di azione reciproca con determinazioni riconducibili ad assoluti inerziali, che rinviano in ultima analisi ad impulsi esterni.

Il bersaglio polemico è pertanto Newton, al quale Engels rivolge l’obiezione circa la spinta esterna: « Se l’attrazione battezzata pomposamente da Newton gravitazione universale era concepita come proprietà intrinseca della materia, da dove proveniva mai l’inspiegata forza (centrifuga) tangenziale che al principio aveva dato inizio alle orbite dei pianeti? Come erano sorte le infinite specie delle piante e degli animali?». 13 Ma Newton non è in grado di spiegare la genesi del movimento anche quando la ricerca entro la materia, poiché conosce una sola forma di movimento. Il nocciolo della dialettica è invece l’idea della convertibilità delle forme di movimento (cardine dello stesso progetto di ricerca engelsiano), da cui scaturisce la determinazione dell’idea di materia come rappresentazione astratta di tale trasformabilità.

Per comprendere effettivamente ciò che Engels intende, si deve allora tener presente la categoria di azione reciproca quale gli era offerta, per un verso, dalla logica hegeliana (laddove, a tale proposito, sarà utile rammentare che anche per Marx la scoperta delle “forme generali della dialettica” doveva essere attribuita ad Hegel) e, per un altro verso, l’idea-base della indistruttibilità della forza ricavata dalla Meccanica del calore di J. R. Mayer. 14

Nonostante l’indirizzo antimaterialistico che questo studioso seguiva, sulla questione del rapporto tra calore e movimento meccanico la spiegazione da lui fornita si basava per intero sul concetto di azione reciproca. Il principio della conservazione della forza viva, già noto a Leibniz, veniva perciò esteso al calore e, di conseguenza, il concetto di gravità, che aveva ingenerato nei successori di Newton l’illusione che fosse possibile produrre movimento senza consumo di forza, veniva ridimensionato. La gravità risultava essere solo la causa dell’accelerazione della forza, ma non la causa del movimento, e in tal modo veniva salvaguardato il principio classico, sotteso a questa utilizzazione della categoria di azione reciproca e connesso alla categoria correlativa di indistruttibilità, secondo cui “ex nihilo nihil fit”.

Già nell’Antidühring Engels aveva richiamato il testo di Mayer, ponendo al centro di esso la categoria hegeliana dell’azione reciproca quale categoria atta a definire il carattere dialettico dell’idea-base del Mayer secondo cui il movimento virtuale può risolversi in varie forme e modi. Il calore latente, in determinate circostanze, ben lungi dallo sparire, assume, per esempio, la forma di tensione molecolare. Dunque, non vi è creazione dal nulla né passaggio al nulla, ma solo trasformazione in effetti equivalenti. D’altronde, il rifiuto del nulla era già stato espresso nella critica di Marx ed Engels alla logica hegeliana, la quale ultima rispecchia, sotto questo profilo, la visione ideologica che la società capitalistica ha di se stessa: visione che è tutta fondata sulla nozione teologica della creazione ‘ex nihilo’. In questo modello le funzioni dell’organismo umano che «sono essenzialmente dispendio di cervello, nervi, muscoli, organi sensoriali umani», 15 cioè forza-lavoro, scompaiono in quanto causa materiale effettiva della produzione della ricchezza, e l’accrescimento di questa, realizzato nella forma del capitale, appare come autoproduzione ed autoaccrescimento del tutto indipendenti dalla forza che li produce. Come è noto, Marx era arrivato a questa critica dell’uso hegeliano del concetto di ‘nulla’ attraverso il suo rapporto con Feuerbach. 16 E se questi aveva rivendicato la priorità del sensibile, Marx, dal canto suo, gli aveva replicato, come è parimenti noto, che il sensibile stesso è il risultato di un processo di appropriazione umana della natura che si realizza attraverso il lavoro.

La sostituzione del concetto di forma di movimento al concetto di forza appare allora, giusta l’osservazione di Geymonat, come una critica delle basi meccanicistiche della scienza del tempo di Engels e come un procedere oltre di esse. 17 La forza svolge infatti il suo ruolo specifico entro il concetto di ‘forma di movimento’, che comprende anche quello di energia. 18 Giova quindi sottolineare che, siccome la categoria portante è quella di forma di movimento in rapporto alla materialità del mondo, le soluzioni contro cui Engels si batte sono quelle che affermano l’indipendenza sostanziale dei diversi livelli della materialità. Perciò, l’idea filosofica racchiusa entro il concetto di forma di movimento anticipa gli esiti di quella crisi del meccanicismo che già Maxwell aveva avvertito. 19

Si può inoltre osservare che il concetto di forma di movimento è strettamente connesso a quello di ‘trasformazione’. E qui è marcata la vicinanza dei modelli logici del Capitale, ove viene usato il concetto di metamorfosi delle forme. In effetti, sia nella logica del Capitale sia nell’interpretazione generale delle scienze della natura che Engels tratteggia, all’idea di un’energia che si trasforma fa riscontro l’idea della sua conservazione. Pertanto, a giudizio di Engels, il tema della conservazione dell’energia «rende necessaria una revisione di tutte le concezioni tradizionali». 20

Del resto, Engels aveva già prospettato questo tema in un passo famoso dell’Antidühring concernente due diversi concetti di libertà presenti nel testo oggetto della sua critica, il primo dei quali è di tipo meccanicistico in quanto correlativo, come media tra la conoscenza e l’istinto, ad una specie di parallelogramma delle forze risultante, per un verso, dalla razionalità e, per un altro verso, dalle deviazioni irrazionali, mentre il secondo corrisponde alla tendenza a collocarsi entro la natura per conoscerne le leggi, talché la libertà risulta tanto maggiore quanto più il contenuto di necessità viene trasposto nel giudizio. 21

 

6. Causalità, azione reciproca e sviluppo ineguale

A questo punto, è opportuno chiedersi quale sia il significato che assume, nell’ottica di Engels, la categoria di azione reciproca come base dialettica e principio esplicativo della stessa causalità. La risposta comporta un minimo di chiarificazione del ruolo che il determinismo svolgeva nell’àmbito della fisica classica. La teoria newtoniana partiva, infatti, dal riconoscimento della inessenzialità, sul piano gnoseologico, degli strumenti di osservazione, che si riteneva non influissero in alcun modo sul comportamento dell’oggetto sottoposto ad analisi. Questa astrazione dagli strumenti di osservazione, e in generale dall’ambiente circostante, può essere definita affermando che la meccanica classica ha come oggetto tipico di studio dei sistemi che, nelle loro linee basilari, si comportano come sistemi isolati. Ma vi è anche un’altra astrazione che caratterizza la fisica classica, ed è quella di poter accrescere a piacimento la precisione di un’osservazione. Sennonché questa seconda astrazione della fisica classica, nel momento stesso in cui afferma la possibilità di considerare contemporaneamente i diversi aspetti del processo che viene esaminato, risulta strettamente collegata al presupposto dell’indipendenza di tale processo dalle condizioni di osservazione. Accade così che queste astrazioni da cui muove la meccanica classica portano a concepire lo stato di movimento di un sistema fisico come qualcosa non solo di assoluto, ma anche di definitivo, ossia di non suscettibile di ulteriore analisi. Il determinismo laplaciano è, per l’appunto, l’elevazione delle suddette astrazioni a paradigma epistemologico.

Perciò, in forza della stretta connessione esistente tra il determinismo, da una parte, e il carattere assoluto e definitivo della descrizione dei fenomeni, dall’altra, il materialismo dialettico nella sua critica al determinismo laplaciano non poteva risparmiare anche quei caratteri di assolutezza e definitività. L’elaborazione della categoria di azione reciproca ha proprio la funzione di porre in evidenza sia il carattere problematico del criterio di rigida isolabilità dei fenomeni sia il carattere processuale, e quindi storico, dell’approfondimento della conoscenza scientifica. Orbene, queste formulazioni elaborate da Engels, che saranno poi riprese e approfondite da Lenin, 22 sono apparse a molti astratte e incoerenti. Si è voluto vedere in esse una contraddizione tra la conoscenza come riflesso e la conoscenza come processo, la quale invece non ha ragione di sussistere, poiché i due tipi di analisi sono relativi a stadi differenti dell’attività conoscitiva. Si è anche asserito che un simile modo di ragionare porterebbe alla negazione dello stesso materialismo, poiché una coerente applicazione della dialettica condurrebbe a sostenere che la materia è, e nello stesso tempo non è, dando così alla propria teoria una base alquanto fragile. 23 Ma anche altre obiezioni che vengono rivolte al materialismo dialettico mostrano la loro debolezza. Ad esempio, è debole l’obiezione che, date le leggi dialettiche, divengano inammissibili princìpi di invarianza. Altrettanto deboli sono le obiezioni mosse alla dialettica come metalinguaggio dei giudizi di necessità, laddove la prima obiezione è stata formulata da Jacques Monod, 24 mentre la seconda obiezione è stata avanzata da Mario Bunge. 25 In entrambi i casi questi critici antidialettici, fra i quali va ricordato in Italia Lucio Colletti, non hanno fatto alcuno sforzo né per individuare e comprendere ciò che di importante e di nuovo è presente nella elaborazione di Engels, né tampoco per storicizzare le tesi di Marx o di Engels. 26

In realtà, queste critiche sono prive di oggetto, giacché non corrispondono all’autentico significato delle posizioni di Engels e di Lenin. In questo senso, la categoria di azione reciproca, su cui si fonda il metodo dialettico, svolge la funzione, che è tipica della scienza, di descrivere, spiegare e prevedere i fenomeni, i quali si presentano distinti tra di loro e, nel contempo, interdipendenti gli uni dagli altri. Ciò è confermato, tra l’altro, dagli stessi sviluppi della fisica odierna con la centralità epistemologica ed euristica che ha assunto in essa la categoria di azione reciproca. La meccanica quantistica, nella sua interpretazione prevalente, si basa infatti sull’affermazione che il micro-oggetto si manifesta nell’interazione con lo strumento di osservazione e di misura.

Sennonché riprendere da Hegel la categoria di azione reciproca svolgendola a partire da quella di connessione permette di risolvere il circolo vizioso che si viene a creare in virtù di una interpretazione antidialettica e pre-hegeliana del tipo: uno dei due elementi è causa dell’altro, ma l’altro a sua volta reagisce sul primo. In realtà, se si leggono con attenzione i testi di Engels, il guadagno dialettico dovuto a Hegel è considerevole. Per converso, a dimostrazione del fatto che parlare di un uso critico delle categorie hegeliane da parte di Engels non è una litote per sottacere la sua stretta dipendenza filosofica dal maestro, sono individuabili degli aspetti che, rispetto alla dialettica hegeliana, si situano in un campo teorico del tutto nuovo.

È stato Valentino Gerratana a rilevare in un articolo particolarmente interessante che l’interazione intesa nell’accezione della dialettica materialistica, esplicando la sua azione all’interno della totalità sociale tra «forze ineguali», la cui efficacia è quindi variabile, «si differenzia profondamente dalla categoria hegeliana dell’azione reciproca». 27 Di conseguenza, ciò che Engels ricerca e che Lenin svilupperà, è la subordinazione della figura dialettica dell’azione reciproca, arricchita da Hegel in quanto ricompresa come un caso specifico della connessione, a quella di sviluppo ineguale sia tra le forze in presenza sia di ciascuna forza in presenza all’interno di un processo, laddove questo è un chiaro esempio di figura non hegeliana della dialettica. Ancor più nettamente ed estensivamente, a partire da questo prezioso concetto dello sviluppo ineguale ci si può domandare, in funzione delle congiunture storiche, quali rapporti esistano tra la legge di corrispondenza – ricambio organico, forze produttive, rapporti di produzione, Stato – e quella di sviluppo ineguale.

Tornando ora alla dialettica della natura, si può affermare che la differenza tra la logica hegeliana del concetto e quella engelsiana delle forme di movimento sta tutta qui. La prima riflette già la struttura del mondo; la seconda si proietta sulla prassi futura a partire dai risultati teorici ricavati dalla prassi passata. Come Engels sottolinea, anche se l’essere preesiste alla sua unità o pensabilità, esso «è in generale una questione aperta a partire da quel limite oltre il quale cessa il nostro orizzonte visivo. L’unità reale del mondo consiste nella sua materialità e questa è dimostrata non da alcune frasi cabalistiche, ma da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali». 28

È chiaro che la dimostrazione può scaturire soltanto dall’ampliamento delle conoscenze scientifiche, ragione per cui «un’esposizione adeguata, esauriente, scientifica di questo nesso, la costruzione di un’immagine concettuale esatta del sistema del mondo i cui viviamo resta impossibile per noi come per ogni altra epoca [...]. Gli uomini si trovano quindi davanti a questa contraddizione, da un parte di aver da conoscere in modo esauriente il sistema del mondo in tutti i suoi nessi, dall’altra, sia per la propria natura che per la natura del sistema del mondo, di non poter mai assolvere compiutamente questo compito. Ma questa contraddizione non è ìnsita solo nella natura dei due fattori, mondo e uomo, ma è anche la leva principale di tutto il progresso intellettuale e si risolve giornalmente e continuamente nell’infinito sviluppo progressivo dell’umanità, precisamente come certi problemi matematici trovano la loro soluzione in una serie infinita o in una frazione continua». 29

Il punto di vista dialettico consiste allora essenzialmente nel presupporre la possibilità del nesso sistematico, cioè della continua estensione, entro il processo storico, dell’appropriazione umana della convertibilità delle forme di movimento, fermo restando, tuttavia, che le trasformazioni implicano anche un sistema di relazioni e di invarianze. Rimane perciò un punto fermo che l’ipotesi secondo la quale tutti i livelli della materia sono trasmutabili (talché la trasformabilità si configura come un modello atto ad orientare un programma di ricerca) è il centro di gravitazione del materialismo engelsiano. Del resto, è proprio in questo senso che Engels afferma che il momento della ricerca e della prova è il momento necessario per giungere alle “determinazioni del concetto”, ossia al “giudizio di necessità”.

 

7. Forme e limiti del processo conoscitivo

È significativo che, per superare la prima crisi del meccanicismo ottocentesco, Engels ritenga di dover prendere in considerazione le forme del conoscere articolandole nei termini del linguaggio dialettico hegeliano. La dialettica, che nell’accezione più ristretta è lo studio delle forme di movimento del pensiero, ovvero delle forme e dei limiti del processo conoscitivo, comprende pertanto il giudizio dell’essere, che è «la forma più semplice del giudizio, con il quale si esprime una proprietà generale di un singolo oggetto con un’affermazione ed una negazione» 30; il giudizio della riflessione «con il quale si espone una determinazione di rapporti, una relazione del soggetto» 31; il giudizio della necessità «nel quale si esprime la determinazione essenziale del soggetto» 32; il giudizio del concetto «con il quale si esprime in quale misura il soggetto corrisponda alla sua natura generale, o, come dice Hegel, al suo concetto». 33

Attraverso una lettura critica del linguaggio hegeliano Engels conferisce a queste determinazioni concettuali un nuovo significato. Non a caso l’esempio di cui si serve è tratto proprio dall’àmbito delle forme di movimento. Di conseguenza, i giudizi dell’essere sono quelli che constatano i fatti, come l’accensione tramite sfregamento. Essi possono essere formulati in questi termini: l’attrito è una sorgente di calore (giudizio che, per l’appunto, è una constatazione di fatto). Affinché si possa passare alla forma del giudizio universale di riflessione occorreva la scoperta scientifica del Mayer, ragione per cui il giudizio assume la forma seguente: «ogni movimento meccanico si può trasformare in calore per mezzo dell’attrito» 34. Questo giudizio della riflessione, che evoca un’azione reciproca anche se resta legato alla esperienza del soggetto, può assumere, sottoposto alle opportune delimitazioni, la forma unitaria del giudizio di necessità e del giudizio del concetto: «ogni forma di movimento, date certe condizioni determinate caso per caso, può ed è anzi obbligata a trasformarsi in ogni altra forma di movimento, giudizio del concetto e precisamente apodittico, forma semplice del giudizio in generale.» 35 La progressione dei giudizi conduce dunque alla forma generale del giudizio del concetto ed in questa forma essa «ci si presenta qui come sviluppo della nostra conoscenza teorica della natura del movimento in generale». 36

L’uso critico della logica di Hegel nei termini di un linguaggio che permette di ripensare l’evoluzione della scienza è qui evidente. A proposito del giudizio di necessità che potrebbe sembrare schiacciato sul giudizio del concetto, Engels precisa che la determinazione della necessità è per lui il risultato del processo di trasformazione della natura compiuto dall’uomo, in quanto tale processo delimita il campo delle osservazioni. L’idea di Engels è che «l’empirismo dell’osservazione non può mai da solo dimostrare in modo soddisfacente la necessità. Post hoc, ma non propter hoc […]. La dimostrazione della necessità sta però nell’attività umana, nell’esperimento, nel lavoro; se io posso fare il post hoc, allora esso si identifica con il propter hoc». 37

 

8. Il rapporto tra i concetti di negazione dialettica, di salto e di soluzione delle contraddizioni

Nello studio delle leggi fondamentali della dialettica non si insisterà mai abbastanza sul fatto che la ‘separazione’ rispetto alla società e alle altre branche del sapere, intervenuta nella figura sociale dello scienziato a causa della divisione capitalistica del lavoro, è ciò che spinge Engels ad utilizzare in modo nuovo la logica di Hegel. Questa rielaborazione della logica hegeliana può essere esemplificata riflettendo sulla differenza tra i concetti di salto, negazione dialettica e soluzione delle contraddizioni. In effetti, questi concetti sono tutti relativi ad uno stesso processo, e precisamente al processo di trasformazione di questo o quell’oggetto in un altro. Tuttavia, anche se sono relativi ad uno stesso processo, essi ne rispecchiano lati diversi. Il concetto di “soluzione delle contraddizioni”, ad esempio, indica che la trasformazione di una cosa in un’altra avviene come risultato della lotta degli opposti, della loro conversione reciproca e della soppressione di un’unità contraddittoria. Il concetto di “salto” significa che questo processo avviene mediante la conversione della quantità in qualità. Il concetto di “negazione dialettica” (ovvero di “negazione della negazione”) rispecchia il fatto che la trasformazione di una cosa in un’altra avviene sopprimendo in questa cosa ciò che non corrisponde alle mutate condizioni di esistenza, conservando e sviluppando nel nuovo fenomeno, che sorge sulla base della negazione del vecchio, ciò che vi è di positivo, ciò che corrisponde alle nuove condizioni e alle nuove tendenze di sviluppo. Orbene, a differenza del concetto di “soluzione delle contraddizioni”, il quale, evocando la soppressione di questa o quella unità contraddittoria, pone l’accento sulla finità dell’essere, il concetto di “negazione dialettica”, evocando la liquidazione di questo o quell’oggetto, di questo o quello stato qualitativo, pone l’accento sull’infinità dell’essere. Inoltre, a differenza del concetto di “salto”, che evoca il momento della soluzione di continuità nell’esistenza di questo o quell’oggetto, di questo o quello stato qualitativo, il concetto di negazione dialettica esprime il momento della continuità dell’essere, il momento della connessione fra ciò che viene negato e ciò che nega. 38

Nel corso della negazione dialettica di alcuni fenomeni o stati qualitativi da parte di altri giunge il momento in cui i fenomeni o gli stati qualitativi, che sorgono ‘ex novo’, ripetono questa o quella tappa già percorsa. Si tratta di una ripetizione parziale, che investe non l’essenza, ma la forma del fenomeno o dello stato qualitativo. Come tale, essa è stata già individuata da Engels, il quale nell’Antidühring e nella Dialettica della natura ne fornisce numerose esemplificazioni tratte sia dalle scienze naturali che dalle scienze sociali. Ma è stato Lenin colui che, analizzando la negazione della negazione, ha parlato non di un ritorno reale al passato, ma di un “presunto ritorno”, per cui il fenomeno o lo stato qualitativo che sorge ‘ex novo’ ripete la tappa già percorsa ad un livello nuovo, più alto. 39 La ripetizione del passato nel corso della negazione di alcuni oggetti o di alcuni stati qualitativi da parte di altri non è un fenomeno casuale, ma una legge universale di sviluppo. In conclusione, un tratto specifico della legge della negazione della negazione è la ripetizione del passato su una base nuova, per dirla con Lenin “il presunto ritorno al vecchio”. Donde consegue necessariamente che, se il ritorno indietro e la ripetizione del passato costituiscono una legge universale di sviluppo, quest’ultimo non può essere rettilineo: è uno sviluppo a spirale.

 

9. L’importanza del calcolo infinitesimale

Se l’articolazione differenziale di queste determinazioni dialettiche pone in risalto l’autonomia teoretica del materialismo dialettico rispetto alla matrice hegeliana e la capacità di conferire ulteriori affinamenti ai tre princìpi della dialettica, diverso sembra essere il discorso circa il ricorso alla logica di Hegel quale strumento dell’approccio engelsiano alla scienza, laddove quest’ultima è intesa come punto di passaggio dallo ‘in sé’ al ‘per noi’. Infatti, una delle condizioni che giustificano questo approccio alla scienza consiste, come si è visto, 40 nell’esclusione del nulla hegeliano. Come mai allora Engels, sia nell’Antidühring sia nella Dialettica della natura, seguita ad usare il concetto del nulla? Sennonché anche in questo caso giova ribadire che il termine hegeliano della negazione della negazione viene utilizzato come un sintagma che veicola contenuti nuovi. Nel caso specifico il contenuto è offerto da una nuova interpretazione della matematica superiore e soprattutto dal calcolo infinitesimale, che lo stesso Hegel aveva analizzato e ritradotto nella logica qualitativa del concetto. 41

Da questo punto di vista, il carattere generale delle leggi dialettiche, che Engels riafferma in un tardo scritto Sui prototipi dell’infinito matematico nel mondo reale, è l’espressione sintetica del nesso che sussiste tra le forme di movimento, in quanto siano trasformate tra loro o dalla prassi umana o dal gioco degli elementi naturali. D’altra parte, è opportuno precisare che la tensione, la quale è propria della prassi scientifica, tra linguaggi superiori, caratterizzati da alti livelli di astrazione, e linguaggi inferiori, che vengono usati nell’osservazione empirica, non disconosce la specificità di questi ultimi, ma ne rivela la incompletezza e quindi i limiti di verità. Tale scarto dà luogo ad un progressivo elevamento dei giudizi di necessità ai giudizi del concetto, spingendo così l’osservazione empirica verso il modello astratto della negazione della negazione, che ha la sua espressione pura nell’apparato concettuale del calcolo infinitesimale. Il contenuto nuovo, di cui si è detto, è allora per Engels particolarmente importante perché in esso «l’aspetto dimostrativo passa decisamente in secondo piano di fronte alle molteplici applicazioni del metodo a nuovi campi di indagine». 42 Si tratta dunque di un tipo di negazione che deve essere costruita per ottenere la rappresentazione di quella trasformazione a cui la scienza conduce le diverse forme di energia.

Questa è l’esemplificazione che Engels fornisce: «Io ho, per esempio, in un problema determinato due grandezze variabili, x e y, delle quali l’una non può variare senza che insieme varii l’altra, in un rapporto determinato dalle circostanze. Io derivo x e y, cioè suppongo che x e y siano così infinitamente piccole che scompaiono di fronte ad ogni grandezza reale, per piccola che essa sia, e che di x e y non resti che il loro rapporto reciproco, senza più nessuna, per così dire, delle circostanze materiali, un rapporto quantitativo senza nessuna quantità dy/dx, il rapporto delle due derivate di x e di y è dunque 0/0, ma posto 0/0 come l’espressione di y/x [...] Ora io continuo a calcolare con queste formule, tratto dx e dy come grandezze reali, anche se sottoposte a certe leggi eccezionali e ad un certo punto nego la negazione cioè integro la formula differenziale, al posto di dx e di dy, ottengo di nuovo le grandezze reali x e y ma non mi trovo di nuovo al punto in cui ero al principio». 43

Nel calcolo lo 0 assume il significato e la funzione di rappresentare la pura relazione e la pura trasformazione. Mette conto, a questo riguardo, di rammentare ciò che Hegel aveva osservato sull’argomento. Egli aveva svalutato il pensiero matematico come calcolare privo di concetto, talché su questo punto Engels esprime il suo disaccordo: «Quanto Hegel dice [...] sull’assenza di pensiero nell’aritmetica non è giusto». 44 D’altra parte, Hegel, sia nella sezione seconda sia nella sezione terza della “logica della quantità” aveva sottolineato che «dal punto di vista filosofico l’infinito matematico [...] è importante per questo che, nel fatto, vi sta in fondo il concetto del vero infinito, e ch’esso sta molto al di sopra del cosiddetto infinito metafisico, in base al quale si muovono le obiezioni contro il primo». 45

 

10. Friedrich Engels: un contemporaneo del presente e del futuro

Concludendo, se da un lato può sembrare che una via più accessibile e meno problematica per difendere e riproporre l’attualità del materialismo dialettico sia quella di seguire l’itinerario epistemologico, importante ma in qualche misura riduttivo, tracciato da Ludovico Geymonat e dalla sua scuola, 46 da un altro lato occorre riaffermare che la validità dell’eurisi engelsiana esige nella fase attuale una ripresa più profonda della direttrice di ricerca che caratterizza la Dialettica della natura, al centro della quale non può che situarsi la consapevolezza della crisi della società capitalistica, di cui la crisi epistemologica è un aspetto. Engels ha visto che le fasi induttive e quelle deduttive della scienza si condizionano reciprocamente e che entrambe costituiscono la premessa di un programma di ricerca avente come obiettivo lo sviluppo delle forze produttive. Egli ha anche còlto implicitamente quel limite della sussunzione dei giudizi del concetto ai giudizi di necessità che ha fatto correre alla meccanica quantistica, attraverso la subordinazione della prassi microfisica al programma tecnologico, le peggiori avventure idealistiche. Ma quella di Engels era un’analisi complessiva della crisi di direzione del capitalismo sullo sviluppo delle forze produttive (analisi valida ancor oggi).

Da questo punto di vista, che i critici radicali del materialismo dialettico non hanno minimamente còlto, va detto che Engels ha elaborato i lineamenti fondamentali di una “dialettica della natura” contestando una società fortemente curvata nella direzione dello sviluppo industriale – e quindi nella direzione della meccanica e della termodinamica - e definendo un modello di sviluppo della ricerca scientifico-tecnica incentrato sul controllo delle fonti di energia e orientato verso la chimica e la biologia come basi di un possibile sviluppo dell’agricoltura. Sfuggirebbe, infatti, il significato più profondo della Dialettica della natura, se non si tenesse conto del fatto che Marx ed Engels hanno impostato il problema della trasformazione sociale della natura confrontandosi con gli sviluppi teorico-pratici più avanzati della rivoluzione scientifica dell’Ottocento e definendo, attraverso un’attenta selezione di tali sviluppi, le condizioni per determinare mediante la pianificazione, quanto meno a livello tendenziale, modalità e forme di una composizione tecnica equilibrata delle diverse branche della produzione, in alternativa a quella «’cieca media’ che, lungi dall’essere un difetto formale, è anzi la forma adeguata di un modo di produzione, nel quale la regola si può far valere soltanto come legge della media della sregolatezza, operante, per l’appunto, alla cieca». 47

Engels ha quindi dato vita ad un orientamento di ricerca proiettato sulla totalità dei fenomeni, orientamento che è con ogni evidenza quanto mai rilevante per una concezione del mondo che aspiri ad essere, nel senso gramsciano, “totalitaria”. 48 Una mera critica delle filosofie esistenti e una postulazione volontaristica dell’azione rivoluzionaria si rivelerebbero senza alcun dubbio insufficienti e rimarrebbero fini a se stessi, se fossero incapaci di spiegare la connessione sistematica da cui la singola azione politica ricava il suo significato rivoluzionario. E però Engels ha offerto i lineamenti fondamentali di uno schema sistematico, in base al quale si può concepire una prospettiva pratica di cambiamento sociale. Spesso si tratta solo di una semplice indicazione per un problema che va ancora risolto. È questo il caso della questione ecologica, per la cui corretta impostazione la “dialettica della natura” svolge un ruolo di cruciale importanza. Il prossimo anno cadrà il secondo centenario della nascita di Friedrich Engels. In questa sede si è cercato, quale modesto contributo alla sua celebrazione, di esporre ed argomentare, concentrando l’indagine sulla Dialettica della natura, alcune delle molte ragioni che fanno del suo autore un contemporaneo del nostro presente e del nostro futuro.


Note
1 Circa l’anti-engelsismo e/o l’antimarxismo di maniera è divertente, oltre che istruttivo, ascoltare uno dei il diretti interessati. Scrive Engels in una lettera a Eduard Bernestein del 23 aprile 1883: «Il pezzo del cattivo E[ngels] che ha corrotto il buon M[arx] dal 1844 si è alternato innumerevoli volte con l’altro di Ahriman-M[arx], che ha allontanato Ormuzd-E[ngels] dalla strada della virtù». Debbo questo gustoso riferimento epistolare alla cortesia dei bibliotecari dell’Istituto di Studi sul Capitalismo di Genova, i quali mi hanno messo a disposizione un fascicolo a circolazione interna, ma di prossima pubblicazione per le edizioni Lotta Comunista, con la traduzione in italiano delle lettere di Engels tratte dal vol. 36 della MEW (periodo compreso tra l’aprile del 1883 e il dicembre del 1887).
2 Cfr. Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano 1970-1972, vol. V, pp. 332-371.
3 G. W. F. Hegel, La scienza della logica, a cura di A. Moni, rev. della trad. e nota introd. di C. Cesa, 2 voll., Laterza, Roma-Bari 1968. Si vedano segnatamente, in quanto inerenti ai nuclei tematici del presente scritto, le acutissime note di lettura sui concetti di causa, effetto ed interazione apposte da Lenin a questo magnum opus hegeliano nei Quaderni filosofici, a cura di I. Ambrogio (cfr. V. I. Lenin, Opere complete, vol. XXXVIII, Editori Riuniti, Roma 1969, pp. 148-153).
4 Carteggio Marx-Engels, vol. III, Edizioni Rinascita, Roma, 1951, p. 166.
5 Si veda quanto scrive Engels a proposito del sistema e del metodo di Hegel nel magistrale saggio su Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca (cfr. Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1969, in particolare alle pp. 1106-1111).
6 Carteggio Marx-Engels cit., vol. III, p. 220.
7 Già Kant nella Critica della Ragion Pura (Analitica dei princìpi. Anfibolia dei concetti della riflessione) aveva definito la “riflessione trascendentale” come quell’attività che «ha per oggetto i concetti di identità-diversità, di concordanza-posizione, di interno-esterno, di materia-forma, che per l’appunto forniscono il fondamento di ogni possibile confronto tra le rappresentazioni». Il carattere attivo della ‘Reflexion’, che porta alla luce la vera natura di ciò su cui indaga e perciò in qualche modo produce tale natura, sarà uno dei punti fondamentali dell’idealismo assoluto di Hegel.
8 Carteggio Marx-Engels cit., pp. 220-221.
9 «Dovremmo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato antecedente e come la causa dello stato che viene a seguirlo. Un’intelligenza che conoscesse tutte le forze che agiscono in natura ad un data istante, nonché le posizioni occupate in quell’istante da tutte le cose dell’universo, sarebbe in grado di comprendere in un’unica formula i moti dei corpi più grandi altrettanto come dei più leggeri atomi del mondo, purché il suo intelletto fosse sufficientemente capace di sottoporre ad analisi tutti i dati; per essa nulla sarebbe incerto, il futuro come il passato sarebbero presenti ai suoi occhi» (cfr. A. Laplace, Théorie analytique des probabilités, Courcier, Paris 1812, Prefazione).
10 Engels, Dialettica della natura cit., pp. 228-229.
11 Ibidem, pp. 313-314.
12 Ibidem., pp. 240-241.
13 Engels, Dialettica della natura cit., pp. 41-42.
14 Si veda nella traduzione italiana dell’ing. Giacinto Berruti il volume Meccanica del calore. Raccolta degli scritti di J. R. v. Mayer, Tipografia Nazionale di Bottero Luigi, Torino 1869. Ho tratto questo riferimento bibliografico ed alcuni preziosi spunti interpretativi dal denso saggio di N. Badaloni, Sulla dialettica della natura di Engels e sull’attualità di una dialettica materialistica, pubblicato negli «Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», a. XVII, 1976, pp. 7-65. Si tratta di una ricerca che spicca come un ‘hapax legómenon’ nella scarna bibliografia dei contributi offerti dal marxismo di indirizzo storicistico in tema di dialettica materialistica.
15 Marx, Il capitale, trad. di D. Cantimori, vol. I, 1, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 76.
16 Cfr. Zur Kritik der Hegelschen Philosophie (Per la critica della filosofia hegeliana), 1839. Lo scritto, che segna il distacco del giovane pensatore bavarese dalla filosofia del maestro, è compreso, insieme con le «Tesi provvisorie per una riforma della filosofia», in L. Feuerbach, Princìpi della filosofia dell’avvenire, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1948. In esso si trova una profonda spiegazione logico-teoretica della genesi del nulla hegeliano, che va ricercata nel dualismo tra genere e individuo: il genere è indifferenza verso l’individuo singolo, il quale però può esserne cosciente, e superare la propria immediatezza raggiungendo la conoscenza del genere nella indifferenza del nulla.
17 Cfr. la nota 1 del presente articolo.
18 «Non abbiamo così più solo le due forme semplici fondamentali dell’attrazione e della repulsione, ma tutta una serie di forme subordinate, nelle quali si sviluppa il processo del movimento universale che si intreccia e si svolge nell’opposizione di quelle due forme fondamentali. Non è però affatto il nostro intelletto soltanto, che racchiude tutte queste forme nell’unica espressione di movimento. Al contrario: esse stesse dimostrano in concreto di non essere altro che forme di uno stesso identico movimento, trasformandosi le une nelle altre in opportune condizioni» (Engels, Dialettica della natura cit., p. 93).
19 Per la posizione critica di Maxwell rispetto al meccanicismo si veda il capitolo sesto del vol. V di L. Geymonat, op. cit., dedicato al grande fisico e matematico scozzese, in particolare alle pp. 175-178.
20 Engels, Dialettica della natura cit., p. 161.
21 «Alla soglia dell’umanità sta la scoperta della trasformazione del movimento meccanico in calore, la produzione del lavoro per sfregamento; a conclusione dello sviluppo che si è avuto sinora sta la scoperta della trasformazione del calore in movimento meccanico, in macchina a vapore. E malgrado la gigantesca rivoluzione liberatrice, non ancora compiuta per metà, che la macchina a vapore opera nel mondo sociale, è tuttavia fuori dubbio che la produzione del fuoco per sfregamento ha avuto sul mondo un’azione liberatrice superiore a quella della macchina a vapore. Infatti, la produzione del fuoco diede all’uomo per la prima volta il dominio di una forza naturale e con ciò lo separò definitivamente dal regno degli animali. La macchina a vapore non farà mai compiere allo sviluppo dell’umanità un salto così imponente, per quanto essa possa anche essere per noi rappresentativa di tutte quelle poderose forze produttive che si appoggiano ad essa e solo con l’aiuto delle quali si rende possibile una situazione sociale in cui non ci siano più differenze di classi, preoccupazioni per i mezzi di sussistenza degli individui, e in cui per la prima volta possa parlarsi di una vera libertà umana, di un’esistenza in armonia con le leggi naturali conosciute. Ma quanto sia ancora giovane tutta la storia dell’uomo e quanto sarebbe ridicolo il voler attribuire alle nostre vedute odierne una qualche validità assoluta, appare dal semplice fatto che tutta la storia passata si può caratterizzare come storia dell’intervallo di tempo che passa dalla scoperta pratica del movimento meccanico in calore a quella della trasformazione del calore in movimento meccanico» (Engels, Antidühring, Editori Riuniti, Roma 1968, pp. 121-122).
22 Il rinvio d’obbligo è ovviamente quello ai due testi fondamentali in cui Lenin ha espresso il suo contributo allo sviluppo teoretico del materialismo dialettico: Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria e i già citati Quaderni filosofici. Ma per quanto riguarda l’applicazione della dialettica materialistica nel vivo delle questioni strategiche, politiche e organizzative affrontate dal grande rivoluzionario russo è tutta la sua azione, documentata nei 45 volumi delle Opere complete, che va studiata.
23 A tale proposito, Engels dissolve questa seconda obiezione precisando, con acume critico e teoretico pari alla consueta chiarezza espositiva, quanto segue: «N.B. – La materia come tale è una pura creazione del pensiero, e una astrazione.. Noi non teniamo conto delle differenze qualitative delle cose, nel raccoglierle insieme come corporalmente esistenti sotto il concetto di materia. La materia come tale, a differenza delle materie determinate, esistenti, non ha perciò alcuna esistenza sensibile. Quando la scienza naturale si mette a ricercare la materia unitaria come tale, si sforza di ridurre le differenze qualitative a sole differenze quantitative di composizione di particelle elementari identiche, essa agisce proprio come se desiderasse di vedere invece di ciliegie, mele, pere, la frutta come tale, invece di gatti, cani, pecore ecc. il mammifero come tale, il gas come tale, il metallo come tale, il minerale come tale, la combinazione chimica in quanto tale, il movimento in quanto tale. [...] Come già Hegel ha dimostrato (Enciclopedia, I, p. 199) questa concezione, questo “punto di vista matematico unilaterale”, dal quale la materia viene vista come solo quantitativamente determinabile, ma originariamente uguale qualitativamente, “non è altro che il punto di vista” del materialismo francese del XVIII secolo. È addirittura un ritorno indietro a Pitagora, il quale ultimo già concepiva il numero, la determinazione quantitativa, come l’essenza delle cose» (Engels, Dialettica della natura, pp. 261-262).
24 J. Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale, Mondatori, Milano 1969. Un’analisi materialistica esemplare dell’impostazione sottesa a questa ideologia della scienza (e ad altre moderne ideologie della scienza) è quella svolta da L. Althusser in Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati, De Donato, Bari 1976.
25 M. Bunge, Method,Model and Matter, Dordrecht 1973 (citato da Badaloni, op. cit., p. 61).
26 Il tardo Engels in una serie di lettere, e segnatamente nella lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890 (cfr. Karl Marx–Friedrich Engels, Opere Complete, vol. 48, Lettere 1888-1890, Editori Riuniti, Roma, 1991), tornerà su questo problema sostenendo, nella sua critica delle interpretazioni marxiste improntate ad un economicismo unicausale, che la categoria dialettica che assume un peso preponderante nell’articolazione delle diverse istanze della totalità ‘base-sovrastrutture-prassi’ è quella di azione reciproca (della base sulle sovrastrutture e sulla prassi, e viceversa).
27 V. Gerratana, Ricerche di storia del marxismo, Editori Riuniti, Roma 1972. Si veda, in particolare, il cap. VII, Problemi teorici del “capitalismo di transizione”, e, al suo interno, il paragrafo 2, Base e sovrastruttura nei processi di transizione, in cui l’autore pone in luce, per l’appunto, il carattere non hegeliano del concetto di “sviluppo ineguale” (p. 278).
28 Engels, Antidühring cit., p. 49.
29 Ibidem, p. 42.
30 Engels, Dialettica della natura cit., p. 233.
31 Ibidem, p. 233.
32 Ibidem, p. 234
33 Ibidem, p. 234.
34 Ibidem, p. 234.
35 Ibidem, pp. 2345-235.
36 Ibidem, p. 235.
37 Engels, Dialettica della natura cit., p. 239.
38 Cfr. il par. 3 (La legge della negazione della negazione) del cap. VII (Le leggi fondamentali della dialettica) del libro di A. Sceptulin, La filosofia marxista-leninista, Edizioni Progress, Mosca 1977, pp. 214-220. Si tratta di un’esposizione chiara e sintetica sia di tutto il sistema delle categorie del materialismo dialettico e storico, sia dei singoli problemi teorici e metodologici, esaminati alla luce delle acquisizioni delle scienze naturali e sociali moderne.
39 Cfr. i Quaderni filosofici in V. I. Lenin, Opere complete, vol. XXXVIII, Editori Riuniti, Roma 1969, pp. 205-206, ove la legge della negazione della negazione viene alquanto relativizzata, poiché occupa solo il 14° posto nella definizione dei sedici “elementi della dialettica”.
40 Cfr. il paragrafo 5 del presente articolo.
41 Cfr. R. Bodei, Sistema ed epoca in Hegel, il Mulino, Bologna 1975, pp. 227 sgg. L’autore cita opportunamente una lettera di Engels a F. A. Lange del 29 marzo 1865: «Non posso non fare un’osservazione sul vecchio Hegel, al quale Lei nega la più profonda conoscenza nel campo della matematica e delle scienze naturali. Hegel sapeva tanta matematica che nessuno dei suoi scolari fu in grado di pubblicare i numerosi manoscritti del suo lascito. L’unica persona, a quanto ne so, che capisce abbastanza di matematica e di filosofia per poterli pubblicare, è Marx». In realtà, Hegel si era dedicato con passione allo studio della matematica fin dai primi tempi del soggiorno jenense (1801-1807). Popper fa dell’ironia su questo studio, ritenendo che le affermazioni di Hegel su di esso siano frutto di millanteria, il che è falso (cfr. K. R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma 1973-1974, vol. II, p. 43). Il calcolo infinitesimale, nei suoi più recenti sviluppi, conteneva per Hegel implicitamente sia il concetto di “vero infinito”, sia il modello astratto del processo mediante il quale la massa delle variazioni minime si risolve in “rapporti” e costituisce lo sviluppo dell’esperienza verso il concetto. Dall’ampiezza della trattazione che riserva a questo tema nella Scienza della logica si può vedere quale importanza centrale avesse per Hegel il calcolo infinitesimale, e come sia quindi incongruo considerare queste parti dell’opera come un semplice ‘excursus’. Che il tema in parola rivesta una grande importanza nella storia del pensiero dell’età moderna e contemporanea è comprovato, peraltro, dal costante interesse che ha riscosso nell’àmbito delle concezioni dialettiche, da quella idealistica di Hegel a quelle materialistiche di Marx, di Engels, di Lenin e di studiosi di orientamento marxista, fra i quali va citato lo stesso Ludovico Geymonat, autore di un volume, Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale, Bollati Boringhieri, Torino 2008, ove sono raccolte le lezioni che questo studioso tenne dal 1946 al 1949 per il corso di Storia delle matematiche all’Università di Torino.
42 Engels, Antidühring cit., p. 143.
43 Ibidem, p. 146.
44 Engels, Dialettica della natura cit., p. 267.
45 Hegel, La scienza della logica cit., vol. I, p. 286.
46 Si vedano i significativi contributi offerti in questa direzione dal volume di E. Bellone, L. Geymonat, G. Giorello e S. Tagliagambe, Attualità del materialismo dialettico, Editori Riuniti, Roma 1978, e dal «Quaderno di Critica marxista», n. 6, Sul marxismo e le scienze, 1972. Si tratta di testimonianze pregevoli della vitalità e della fecondità della ricerca marxista da cui oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, è d’uopo ripartire realizzando quel “presunto ritorno al vecchio” che per Lenin è uno dei significati della dialettica materialistica.
47 K. Marx, Il capitale, Editori Riuniti, Roma 1967, trad. di D. Cantimori, Libro I, Prima sezione, Merce e denaro, cap. terzo, Il denaro ossia la circolazione delle merci, p. 135. La ‘cieca media’ è quella che si realizza nel rapporto tra il prezzo e il valore delle merci: un problema destinato ad ulteriori e importanti sviluppi.
48 «Solo un sistema di ideologie totalitario riflette razionalmente la contraddizione della struttura e rappresenta l’esistenza delle condizioni oggettive per il rovesciamento della prassi. Se si forma un gruppo sociale omogeneo al 100% per l’ideologia, ciò significa che esistono al 100% le premesse per questo rovesciamento, cioè che il “razionale” è reale attuosamente e attualmente» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 2007, Quaderno 8, p. 1051).

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AlsOb
Thursday, 10 October 2019 19:30
Affresco esteso e appassionato tuttavia Marx e il scientifico studio del capitalismo non necessitano della aggiunta della dialettica. Il metodo, il punto di vista di Marx e il materialismo storico sono completi e e rappresentano un avanzamento scientifico senza dialettica.
Importante il ricordo e recupero di L. Geymonat anche se il valore della parola dialettica appare in lui personalistico e scelto in rapporto agli usi e orizzone linguistico a lui familiare. Probabilmente oggi userebbe una qualche espressione differente per affermare la sua visione e convinzione.
Non sembra che la sua posizione fosse contro un generico irrazionalismo ma una preoccupazione di vedere far dipendere in alcuni casi lo sviluppo di nuove teorie e paradigmi della scienza da momenti intuitivi e creativi a carattere individuale da non far vedere la concreta tensione e processo che si verifica nella loro accumulazione. Il valore dialettica voleva anche metaforicamente dare un'idea di quel processo.
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