Requiem per il Plusvalore
di Leo Essen
Secondo la legge del valore-lavoro, il valore delle merci si fonda sul lavoro speso nella loro produzione. Le merci devono essere scambiate in proporzione al lavoro in esse incorporato.
Se l’operaio fannullone della fabbrica A produce un frigorifero in 12 ore, mentre l’operaio diligente della fabbrica B produce lo stesso modello di frigorifero in 6 ore, il frigorifero A avrà un valore di 12 unità, mentre il frigorifero B avrà un valore di 6 unità. Se la legge del valore incorporato regolasse sul mercato lo scambio dei beni in modo necessario e universale, il lavoratore fannullone (oppure il capitalista al suo posto) incasserebbe il doppio del lavoratore diligente. Ma ciò contrasta con ogni fatto empiricamente osservabile. Le scelte individuali dei consumatori – le loro motivazioni psicologiche, ridotte al mero calcolo di convenienza – indirizzerebbero le domande verso l’offerta della fabbrica B, costringendo la Fabbrica A a chiudere e a licenziare il fannullone e a spostare i capitali verso la fabbrica B.
Il prodotto quotidiano di un ingegnere meccanico non ha un valore uguale, ma di gran lunga superiore a quello di un semplice operaio industriale, quantunque in entrambi sia incorporato lo stesso tempo di lavoro. Come equiparare i due lavori?
Il lavoro definisce la quantità pura nella quale si esprimono i valori di grandezza. La quantità pura misurata da una bilancia è la pesantezza, mentre i chilogrammi esprimono la grandezza (il Quanto) della pesantezza di un oggetto determinato. Allo stesso modo, il lavoro esprime la quantità pura del valore, mentre i minuti e le ore ne esprimono la grandezza. Pertanto, per commisurare il lavoro dell'ingegnere a quello dell’operaio occorre trovare la quantità pura per esprimere la grandezza nella quale il primo lavoro sta in rapporto al secondo.
Questa grandezza pura, dice Böhm-Bawerk, è, secondo Marx (Capitale, I), dispendio di semplice forza-lavoro che ogni individuo possiede in media nel suo organismo fisico. La grandezza pura è lavoro medio semplice. Un lavoro complesso (come quello dell’ingegnere) vale come lavoro semplice (operaio) potenziato o piuttosto moltiplicato, cosicché una minor quantità di lavoro complesso è uguale ad una maggiore quantità di lavoro semplice.
Tuttavia, obietta Böhm-Bawerk, data la quantità pura (lavoro), e data l’unità di misura (tempo), rimane da definire la proporzione nella quale lavori effettivi qualitativamente differenti tra loro si equiparano gli uni con gli altri. Quante unità di lavoro semplice vale il lavoro di un ingegnere? e quello di un carpentiere, di un medico, di un farmacista, di un direttore di orchestra, di un dentista, di un macellaio, di un bidello, di un insegnante, di un becchino, di un manovale, di un bracciante agricolo, di un amministratore delegato?
Le varie proporzioni nelle quali differenti generi di lavori sono ridotti a lavoro semplice come loro quantità pura, dice Marx, vengono stabilite mediante un processo sociale estraneo ai produttori e quindi appaiono a questi ultimi date dalla tradizione.
Ora, dice Böhm-Bawerk, al lettore frettoloso questa spiegazione può anche apparire plausibile, ma in verità non lo è affatto. Intanto, dice, se si guarda il dato empirico, il lavoro dell’ingegnere è di qualità totalmente differente da quello dell’operaio. Se si considerano i prodotti dei due lavoratori, in essi non si trova una sostanza comune – lavoro-semplice – ma si trovano generi diversi di lavoro, e in quantità differenti. È vero, continua Böhm-Bawerk, che Marx dice che il lavoro complesso «vale» come lavoro semplice moltiplicato. Ma «valere» non è «essere», e la teoria di Marx mira alle cose stesse. Questo «valore» di cui parla Marx non è «dispendio fisico di mente e muscoli». Ogni dispendio ha una storia irriducibile. Ogni lavoratore ha caratteristiche del tutto irripetibili e uniche. Neppure due fratelli gemelli, o addirittura due cloni, possono fornire prestazioni identiche, in quanto occupano uno spazio differente. Dunque, il «valore» di cui parla Marx, non può avere, come egli pretende, una natura per così dire ontologica, ma deve avere una natura logica.
È su questa base che Böhm-Bawerk misura le contraddizioni di Marx, contraddizioni che egli interpreta non come esse sono intese da Hegel e da Marx, ovvero come contraddizioni metafisiche, ma, invece, come contraddizioni logico-formali.
Sia come sia, il tema del confronto passò alla storia come problema della «trasformazione dei valori in prezzi» o «determinazione del saggio medio di profitto». Tra il 1885, anno di pubblicazione del secondo volume del Capitale, e il 1894, anno di pubblicazione del Terzo volume, si sviluppò, dice Böhm-Bawerk, una vera gara teorica a premi intorno al tema del «saggio medio di profitto», gara che si trascinò sin quasi alle soglie della prima guerra mondiale, per poi essere totalmente oscurata da una rinascita di interesse per Hegel, soprattutto in Italia, Germania e Francia. Il tema del Plusvalore finì per essere soppiantato dal tema della reificazione. L’interesse si spostò dal Capitale ai Manoscritti del 44. Lo sfruttamento dei produttori lasciò il posto alla cosificazione. Poi la moda cambiò, e finita anche la seconda guerra mondiale, i neo-hegeliani dovettero fare largo ai nicciani. Il positivismo della II Internazionale genuit la Hegel-renaissance, che genuit la Nietzsche-Renaissance. A metà degli anni Settanta, soprattutto in Italia, quando i nicciani avevano ormai egemonizzato la scena antagonista, parlare di plusvalore era considerata un’abitudine stramba di reduci baffuti. Negli anni Ottanta e Novanta nessun nicciano sapeva più ribattere al presentatore TV che legittimava il suo compenso, 100 volte la paga di un operaio, rapportandolo agli introiti pubblicitari, oppure alla casa farmaceutica che vendeva farmaci a prezzi stratosferici, giustificandoli con presunti costi di ricerca, eccetera. Non era sufficiente dire che la ragione del più forte è sempre la migliore, o che l’economia è la continuazione della guerra combattuta con altri mezzi, perché questi motti, lo si capì troppo tardi, erano una traduzione letterale delle formule con le quali Böhm-Bawerk decostruì – questa era la sua convinzione - il Plusvalore di Marx.
Böhm-Bawerk, in un articolo del 1896, espone il suo argomento in modo elegante. Marx, dice, propone due teorie del valore, una nel Primo e una nel Terzo libro del Capitale. Queste due teorie sono tra di loro contraddittorie.
La dimostrazione di Böhm-Bawerk si misura con il tema del saggio medio del profitto.
Il capitale totale è diviso da Marx in due porzioni: capitale Costante e capitale Variabile. La Composizione organica del capitale è la proporzione nella quale le due porzioni di capitale formano il totale. Alla formazione del Plusvalore concorre la sola parte variabile del capitale, ovvero la porzione investita nell’acquisto della forza-lavoro. Dato un medesimo saggio di plusvalore*, una medesima velocità di rotazione e una medesima quantità di capitale totale investita, nelle diverse sfere industriali il saggio di profitto varierà a seconda della composizione organica del capitale.
La teoria del valore di Marx, dice Böhm-Bawerk, esige che capitali totali di pari grandezza, ma di differente composizione organica, producano profitti differenti. Ma nel mondo reale domina con tutta evidenza la legge secondo cui capitali di pari grandezza, qualunque sia la loro composizione organica, generano profitti uguali. Evidenza riconosciuta dallo stesso Marx nel Libro Terzo, cap. 10, dove dice che i capitalisti non traggono il plusvalore, e dunque anche il profitto, dalla loro propria sfera industriale, ma dal capitale complessivo sociale detenuto in un determinato periodo di tempo dal complesso di tutte le sfere industriali. Ogni capitale anticipato, qualunque sia la sua composizione organica, trae la percentuale di profitto che è in esso prodotta da un’aliquota 100 del capitale sociale complessivo. Tutti i capitali, dice, qualsiasi sia la loro composizione, tendono, sotto la pressione della concorrenza, ad eguagliarsi a quelli di composizione media. Il profitto incassato in una sfera industriale non coincide con il plusvalore estorto nella stessa sfera. La legge del valore non spiega più nulla. Il Capitale crolla sotto il suo peso.
A questo punto appare evidente, dice Böhm-Bawerk, che il rapporto di scambio delle singole merci non viene determinato più dai loro valori, ma dai loro prezzi di produzione. I valori si trasformano in prezzi di produzione. Valore e prezzo coincidono solo in via eccezionale, in tutti gli altri casi divergono. Dunque, conclude, o i prodotti vengono scambiati secondo il lavoro in essi incorporato, e allora il livellamento dei guadagni di capitali è impossibile, oppure il livellamento dei guadagni di capitale si verifica, e allora è impossibile che i prodotti vengano scambiati in proporzione al lavoro in essi incorporato. Nel Primo libro viene detto che le merci si scambiano in base al lavoro incorporato, nel Terzo viene detto che ciò non accade e non può accedere, e non può accadere non per caso o saltuariamente, ma in modo necessario e permanente. Le singole merci si scambiano secondo una proporzione differente da quella del lavoro in esse incorporato. Il Terzo libro smentisce il Primo. La teoria del saggio medio del profitto e dei prezzi di produzione non si concilia con la teoria del valore.
Se, alla fine, per spiegare il profitto devo tornare ai costi di produzione, chiede Böhm-Bawerk, a che serve tutto il complicato apparato della teoria del valore e del plusvalore? Non serve a nulla.
Da una parte, dice Böhm-Bawerk, nel Terzo libero, basandosi sull’esperienza empirica, Marx riconosce che è proprio la concorrenza a creare il saggio medio del profitto e la trasformazione dei puri valori del lavoro in prezzi di produzione. D’altra parte, nel Primo libro, getta questa esperienza alle ortiche, e, dice Böhm-Bawerk, sceglie una dimostrazione puramente logica, una «deduzione dialettica dell’essenza dello scambio». Marx immagina lo scambio di merci sotto la forma di un’equazione, e deduce che nelle due cose scambiate, e dunque equiparate, esista qualcosa di eguale, una sostanza comune. I prodotti reali che abbiamo tra le mani e sotto gli occhi, le differenze che li rendono unici e irripetibili, vengono così svalutate e annichilite, a favore di una sostanza comune, sostanza che non contiene nemmeno un grammo della loro effettività empiricamente tangibile; sostanza che non si può toccare e non si può apprezzare. Questo procedimento, dice Böhm-Bawerk, mi pare poco moderno.
Le risposte dei marxisti non si fecero attendere, anche se quasi tutte si trascinarono dietro la tara positivista di Böhm-Bawerk, il quale, lo si vede in modo chiaro in questa confutazione di Marx, confondeva allegramente la logica di Hegel, che è, a tutti gli effetti, una metafisica, con la logica formale. Anche quando le risposte contenevano spunti interessanti, come in Hilferding, si finì per deprecare la teoria del Plusvalore. Gli stessi Baran e Sweezy non si servirono più del concetto di Plusvalore, ma di quello di surplus. E Dobb, nella Prefazione alla riedizione del Capitale, disse che era tutto OK, escluso un piccolo difetto, e cioè il modo in cui Marx trasforma i valori in prezzi nel Terzo libro del Capitale.
Per fortuna l’errore venne corretto da Sraffa, e il marxismo riportato sul giusto binario. Senonché, sbottò giustamente Colletti, tutta la discussione iniziata da Bortkiewicz e conclusa da Sraffa è appesa al vuoto. Si voleva far credere che si possono asportare le fondamenta su cui poggia la costruzione teorica di Marx e al tempo stesso mantenere in piedi l’edificio.
Nel 1902, Hilferding, a soli 25 anni, replicò al più stimato e illustre rappresentante della scuola viennese, con un articolo - Böhm-Bawerks Marx-Kritik – pubblicato a Vienna nel 1904.
In Böhm, dice Hilferding, il rapporto tra domanda e offerta determina il prezzo, ma la grandezza del prezzo determina il rapporto tra domanda e offerta. Non esiste dunque nessun punto fermo in tutto questo disordine?
Nei fatti spiccioli non esiste alcun punto fermo, a meno che non vi venga introdotto. Ma introdotto da dove, se non esiste alcun aldilà, e tutto è un aldiqua?
L’empirismo moderno, sul quale poggia la scuola austriaca, era nato dall’esigenza di cercare il Vero a partire dall'esperienza. Ciò che è vero è necessariamente nella realtà effettiva, nel mondo che si offre alla percezione. Tale principio è contrapposto al Dover-essere con cui la riflessione si pavoneggia e disprezza il mondo effettivo in nome di un Aldilà. Tuttavia, l’empirismo scientifico, dice Hegel (Enciclopedia § 38), non si rende minimamente conto che, per conoscere la realtà effettiva, realtà che altrimenti apparirebbe ai suoi occhi come un grande disordine, adopera, sin da subito, le categorie metafisiche di Materia, Forza, Uno, Molteplice, eccetera, e io aggiungerei di Valore.
Che cos’è, dunque, questo valore, se non è, come pretende Marx in alcuni luoghi della sua opera – Manifesto, Per la critica, Lineamenti, Capitale – se non è la realtà effettiva stessa appiattita, omologata e ridotta ad Uno; e se, parimenti, non è, come pretende Marx in altri luoghi della sua opera – Manifesto, Per la critica, Lineamenti, Capitale – un aldilà del mondo effettivo?
Negli anni Sessanta la risposta era sotto gli occhi, bastava allungare la mano, ma ci si fece distrarre da una critica sterile al Diamat, o da una integrazione farraginosa di Freud e Marx, o di Keynes e Marx, o di Nietzsche e Marx, o di computisteria e Marx, o, addirittura, di Lacan e Marx, o di Schmitt e Marx.
Poi su tutti piombò la sentenza di Marcuse, rinvenuta in un foglio dei Grundrisse. Il lavoratore non è più produttore di valore, è un sorvegliante, e il mondo è diventato un penitenziario. Si tratta del famoso frammento sulle macchine, dove si dice che la creazione di ricchezza reale dipende meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro erogata che dalla potenza delle macchine messe in moto durante il tempo di lavoro. Il lavoro umano allora non appare più racchiuso nel processo di produzione; l’uomo si collega al processo di produzione come sorvegliante e regolatore. Il fondamento della produzione e della ricchezza non è più il lavoro compiuto dall’uomo, né il suo tempo di lavoro. Da questo momento il lavoro apparirà come una misera base a confronto della nuova base che la grande industria ha creato. Non appena il lavoro dell’uomo cessa di essere la fonte della ricchezza, il tempo di lavoro casserà di essere la sua misura.
L’archiviazione della questione del Plusvalore, e dunque dello sfruttamento, poteva considerarsi portata a termine. Poi arrivò l’anno 1967, col suo trionfo del politico, anzi, dell’autonomia del politico.
* Saggio del plusvalore: è il rapporto nel quale il plusvalore sta alla parte anticipata di capitale variabile. È identico al rapporto in cui il tempo di plus-lavoro sta al tempo di lavoro necessario. Rapporto tra lavoro retribuito e lavoro non retribuito. Il saggio del plusvalore esprime la misura dello sfruttamento.
* Lavoro necessario: la parte del tempo di lavoro che remunera i costi di riproduzione del lavoratore.
* Saggio del profitto: è il rapporto nel quale il plusvalore sta alla parte anticipata di capitale variabile + capitale costante.
* Prezzo di costo: è uguale ai mezzi di produzione consumati (capitale Costante) + la forza-lavoro impiegata (capitale variabile).
* Prezzo di produzione: è uguale al prezzo di costo + la parte di profitto medio annuo sul capitale impiegato (e non solo consumato) nella produzione della merce, che tocca alla merce stessa proporzionalmente alle sue condizioni di rotazione. Coincide con il prezzo della merce.
Comments
Esso ha la sua legittimità e valenza e dichiara esplicitamente di rifiutare il sistema matematico simultaneo come approccio e di introdurre la variabile tempo.
Perciò è una lettura completamente alternativa per lo meno alle equazioni simultanee e non confrontabile, sono linguaggi incomunicanti. Assume a priori il valore e i prezzi di produzione e di mercato che si succedono nel tempo. Esclude ogni rilevanza al problema della trasformazione e con fondamento e logica all'interno della sua visione. Allo stesso tempo non aggiunge alcun contributo alla comprensione del capitalismo e di Marx.
Nondimeno fu Marx a aprire il problema matematico della trasformazione in quegli specifici termini e a indicare pure la strada della corretta soluzione. Evidentemente gli avrebbe fatto piacere trovare una corrispondenza biunivoca, che è individuabile ma al prezzo di instaurare o meglio trovare una dualità su cui in parte ironizzò l'arguto Samuelson.
Marx stesso mise le mani avanti e in qualche modo ribadì che il valore restava fondamentale nell'analisi scientifica della dinamica capitalistica. E così è al di la di giochetti o equazioni matematiche. Che peraltro a ben vedere hanno risolto un problema che assillava Ricardo e hanno inficiato certe credenze dell'antiscienza neoclassica più che individuare falsi o apparenti errori di Marx. Curiosamente in un modo abbastanza illogico i neoricardiani abusano del nome del grande studioso, solo in una cosa in peggio gli si possono avvicinare, nelle nebbie che portano e che soprattutto a differenza del grande a cui si riferiscono hanno creato.
Naturalmente anche il modello e la visione di Marx possono essere chiariti o perfettibili su alcuni punti per esempio nel caso in esame vi è sempre qualche confusione tra stock di capitale e ammortamenti, ma sono inezie se comparate alle mitologie contrabbandate come scienza; e pertanto non si può che concordare con la prospettiva suggerita da Eros Barone.
Non è la bce a inficiare la teoria del valore lavoro e i prezzi possono sempre ricondursi ai valori. È la differente composizione organica del capitale a modificare i rapporti e essa ha rilievo pure sulla supposta legge di caduta tendenziale del profitto che in termini formali di valore può apparire logica solo che i prezzi non necessariamente si muovono proporzionalmente ai valori per quel motivo.
Ma il declino del tasso di profittp può ancora essere recuperato da un altro lato in conseguenza delle contraddizioni insanabili del capitalismo evidenziate da Marx.
L'analisi scientifica del capitalismo di Marx comprende due piani quello essoterico che riguarda per esempio i prezzi che sono dati apparenti e quello esoterico che individua relazioni e rapporti che spiegano e danno ragione dei fenomeni occultati dall'economia volgare. I due piani sono integrati a definire un potente punto di vista unitario relativo ai comportamenti e alla dinamica complessiva del capitalismo: il non isomorfismo algebrico tra quantità di ore e prezzi non altera l'analisi scientifica di fenomeni che esigono linguaggi più articolati o sofisticati dell'algebra. J.M.Keynes che era uno statistico matematico mise in evidenza ulteriormente il problema. L'anti-scienza neoclassica per espellere le questioni cruciali e lobotomizzare è degradata nell'econometria nella finzione che sia matematica quando è tutt'altra cosa e junk mathematics.
Karl Marx è l'unico (sia per essere un genio e sia per venire dopo e aver capito i grandi A. Smith e Ricardo-che ammirava intanto che citicava per i veri errori commessi, e pure Malthus) a aver compreso e rappresentato in modo scientifico il capitalismo, l'accumulazione e il ruolo della moneta, e tutte le insanabili contraddizioni e guerre di classe connesse. Lo stesso JMK è un sottoinsieme dentro Marx nonostante gli possa dispiacere.
Come la figura di Marx è composita per la tensione morale e rivoluzionaria che lo investe fino a porsi come un profeta assoluto in competizione con Gesù Cristo, così la sua opera scientifica può essere letta e usata a diversi livelli, un capitalista intelligente potrebbe limitardi a utilizzarla per il solo scopo di capire e gestire il capitalismo.
All'altro estremo, per accontentare Franco Trondoli e i suoi slanci poetico rivoluzionari, la comprensione del significato di valore di scambio e feticismo della merce e il loro superamento sono il presupposto del passaggio a una civiltà comunista o più spirituale.
Passaggi che non sono automatici neppure in un capitalismo che abbia raggiunto una elevata accumulazione e produttività o sviluppo delle forze produttive dato che la classe dominante li ostacola e come si constata oggi preferisce anche un retrocesso. Del resto Marx stesso disse che il capitalista opta per il plusvalore relativo e non assoluto
'neomarxiste', a cominciare da quella il cui esponente più noto è Paul Sweezy, il quale, nella sua presentazione della teoria del valore-lavoro di Marx, introdusse la distinzione tra aspetti quantitativi (sbagliati) e aspetti qualitativi (giusti) di tale teoria. In effetti, gli errori e le incoerenze che da questo assunto sono poi discesi, nascono tutti dal tentativo di interpretare Marx come se fosse un economista dell’equilibrio economico. E' facile verificarlo, in una con il rovesciamento della corretta catena causale operato dalla ideologia borghese, anche rispetto alla questione della concorrenza, tacito e scontato presupposto di tutte le analisi e le teorizzazioni economiche neoclassiche. Ristabilendo anche in questo caso il corretto rapporto tra causa ed effetto, Marx dimostra invece come sia la discesa del tasso di profitto a scatenare la concorrenza, la famosa lotta tra i "fratelli massoni del capitale", e non già quest’ultima a spingere verso il basso il cosiddetto "tasso di profitto di equilibrio di lungo periodo". Di nuovo, è nell’analisi marxiana e non nell’economia neoclassica (Sraffa compreso) che il discorso prende le mosse dalla sfera della produzione dove realmente lottano i diversi capitali, mentre nell'economia neoclassica la concorrenza assume la parvenza di una mera “forma di mercato” situata nella sfera della circolazione. Del resto, la teoria economica borghese non parla mai del capitale come molteplicità conflittuale di capitali, ma soltanto di un ipotetico “Capitale” con la C maiuscola immune da contraddizioni interne ed operante come unico centro di decisione. In conclusione, solo togliendo di mezzo questi 'idola theatri' che fungono da presupposti intangibili della teoria economica borghese è possibile risolvere le incoerenze e aprire la via ad una ricerca completamente nuova, in cui non si tratta più di indagare su ciò che è sbagliato in Marx, ma si tratta finalmente di incominciare a indagare su ciò che è giusto in Marx. Il che è arduo in una congiuntura che vede perfino coloro che si dichiarano marxisti dibattere seriamente sugli 'errori’ di Marx e su che cosa vada salvato della sua analisi, scartando a priori la possibilità che Marx non abbia commesso nessuno di tali errori e che la teoria da lui elaborata regga perfettamente sia in termini di rigore concettuale che in termini di evidenza empirica.
Il “castello” marxiano crolla se si abbandona la teoria del valore-lavoro? Non si potrebbe più giustificare la rappresentazione del modo capitalistico come sistema basato sullo sfruttamento dei lavoratori? Non varrebbe più la teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto? Io propendo per non essere così catastrofico, e penso che l’analisi marxista abbia ancora molto da dire su come funziona l’economia capitalista, a patto che non la si voglia cristallizzare in tesi e teorie date una volta per tutte indipendentemente dal concreto sviluppo storico, e conseguenti sue modifiche che il capitalismo ha avuto dal XIX secolo ad oggi.
Anche sulla trasformazione dei valori in prezzi di produzione la discussione è stata ampia e mi limito a dire che se affrontata col metodo di Sraffa e Bortkiewicz non se ne esce e la soluzione di Marx appare errata. Il problema è che il sistema di Sraffa (una rivisitazione di Ricardo) non è quello di Marx. Secondo l'interpretazione del Temporal Single System Interpetation, cui aderisco, l'errore non c'è e quindi rinvio alla letteratura sull'argomento.
Quanto alla "scoperta di Marcuse", faccio le seguenti osservazioni:
Il frammento sulle macchine fa parte di un manoscritto antecedente a quelli pubblicati da Marx e quindi non può essere considerato un emendamento a uno scritto successivo. Cosa dice Marx? Dice che con lo sviluppo della tecnologia e della produttività il lavoro vivo impiegato nella produzione diviene sempre più irrilevante rispetto al lavoro morto contenuto nei mezzi di produzione (in altri termini cresce la composizione organica del capitale). Il capitale, nella sua smania di sbarazzarsi dei concorrenti, cerca di risparmiare lavoro, di ridurlo a una cifra sempre più bassa e tuttavia deve nutrirsi di lavoro sfruttato, di pluslavoro. Questa è una contraddizione insita nel modo di produzione che annuncia il suo carattere caduco, storico e la necessità di passare a rapporti di produzione nuovi, in cui il tempo di lavoro liberato dall’uso delle macchine non si traduca in disoccupazione, ma in tempo libero per le attività ricreative, culturali, artistiche ecc.
In assenza della legge del valore questo ragionamento non potrebbe essere neppure impostato. Marx qui infatti parla di un rapporto fra il lavoro vivo e il valore del capitale impiegato. Un rapporto fra valori.
Il modificarsi della composizione del capitale è la causa di tutto. Ed è anche la causa della caduta del saggio del profitto. Quindi l’argomento è successivamente sviluppato da Marx nei manoscritti del libro III in termini di legge della caduta tendenziale del saggio del profitto che ugualmente indica la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico e il suo carattere storico, transitorio. Non vedo perché si debba privilegiare uno scritto anteriore di Marx a un altro sviluppato a un maggiore livello di maturazione della sua analisi.
La fine del lavoro è un traguardo lontano e non può avvenire fintanto il capitale ha bisogno di succhiare lavoro per valorizzarsi. Quindi la fine del lavoro coinciderà con la fine del capitalismo, se l’umanità non si autodistruggerà prima.
Peraltro, un altro limite è che io svolgo un'analisi, per esempio, a commento in un articolo e poi sono costretto a riprenderla perché tale ragionamento vale anche per un altro articolo, dove lo sviluppo dei ragionamenti ritengo possa essere integrato da tale analisi, e vai di cerca, copia, incolla, ecc.
Un salto qualitativo potrebbe essere, la butto lì, l'aggiunta di una sezione "FORUM" dove un tema è sviluppato INDIPENDENTEMENTE dagli articoli pubblicati, dove gli interventi restano sempre in evidenza e reperibili, ecc. Tuttavia, mettere in piedi un forum non è semplice: occorrono moderatori, per esempio, gestori e figure che dovrebbero collaborare a titolo volontario a una struttura che, penso proprio, sia 100% volontaria (e , anzi, da questo punto di vista, MERITORIA!)
Ciao!
paolo
"Comunizzazione e teoria della forma valore".
Endnotes.com.uk
Mario M. non sono disturbi, l'analisi marxiana continua a avere la sua validità generale e il concetto di falsa attività economica se declinato in termini marxiani è una normalissima attività capitalistica per generare profitto.
Anche il calcio è diventato un mero strumento per la valorizzazione del denaro e i costi dei salari di molti giocatori anche se appaiono astronomici e dovuti al caso rientrano nel ciclo D-M-D', generano per qualcuno enormi profitti. Lo stesso vale per ogni tipo di spettacolo, tutto è mercificato e i prezzi si definiscono in rapporto al volume di marketing, moda e spesa che si riesce a veicolare verso di essi.L'accumulazione capitalistica e il progresso tecnico hanno creato una enorme produzione potenziale e effettiva ma al tempo stesso da decenni hanno "capitalisticamente" mantenuto stagnanti se non ridotto i salari dei più e il plusvalore si è accumulato nelle mani di pochissimi (probabilmente cento persone detengono quasi tutta la ricchezza mondiale) specie sotto forma di capitali finanziari che ormai sussumono e subordinano a sé l'attività reale. Sproporzionate buonuscite e remunerazioni dovrebbero semplicemente essere tassate al 96% almeno a partire dal settore pubblico. Tra l'altro comunisti o ex sedicenti tali promossero assurdi stipendi come disintegrarono le partecipazioni statali; hanno preso in giro per decenni i poveracci che li votavano senza trascurare il lavaggio del cervello.
Oggi va di moda la guerra al clima non di certo alla insostenibile accumulazione di plusvalore in poche mani da rendere problematica la realizzazione. E se si vuole questo nuovo deleterio capitalismo con l'esigenza imprescindibile del diretto intervento della banca centrale rafforza l'analisi scientifica di Marx,ma è un discorso per un'altra volta.
Di certo radicali e grillini attuali sono bande di opportunisti che mirano solo al lucro personale e a servire interessi dei potentati. Il loro abisso di ignoranza e malafede adeguato allo stato di colonia.
Per finire ha pure ragione Franco Trondini nel suggerire che il punto di vista marxista e comunista dovrebbe tradursi in forme relazionali e di studio che non ricalchino pedissequamente quelle borghesi. Invece i comunisti o sedicenti tali hanno fatto ancora peggio, unito ignoranza e sensibilità e interesse piccoloborghese, senza perdere la pretesa di insegnare agli altri che a buon diritto li hanno schifati.
sul riconoscimento del lavoro degli artisti sfondi un portone. Ovviamente, gli ottanta euro a cranio per ottantamila per un concerto rock a San Siro non rispecchiano il lavoro dell'artista, i costi di produzione in generale e il saggio medio di profitto. Le "macchine da soldi" si chiamano così perché in grado di accumulare e concentrare enormi ricchezze.
Io ti posso dire che in una società socialistica, in un modo socialistico di produzione, esiste un'omogeneità salariale per cui non andresti a prendere molto di più di quanto prenderebbe un primo o secondo livello (andando a decrescere di livello man mano che aumenta la qualifica), il quale a sua volta non prenderebbe due volte un quinto livello.
Ti dico anche di più: in Svizzera, non in Corea del Nord, sei anni fa ha fatto molto discutere un referendum per cui il divario salariale fra stipendi più ricchi e più poveri si sarebbe dovuto contenere entro le 12 volte (http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-9aa7c761-a99c-4662-9903-0e9a3257a899.html); referendum perso, per la cronaca, da chi avrebbe voluto per legge questa limitazione, ma che comunque la dice lunga sulla necessità, anche in regimi capitalistici, di contenere la dinamica salariale dei più abbienti entro certi paletti.
Torniamo all'URSS: un diplomato al conservatorio trovava in un'orchestra e riceveva il suo salario. I salari erano la voce uscita di un fondo apposito, la cui voce entrata era una quota di reddito netto (чистый доход) il cui ammontare era, come tutto, oggetto di attenta pianificazione, considerando che molte voci di spesa (la casa, l'istruzione, la sanità, per esempio) erano pressoché inesistenti. I salari erano diversi fra loro, avanzamenti, qualifica, responsabilità, erano parte di questa differenziazione, ma non come da noi.
Un musicista, un attore teatrale, o cinematografico, erano tuttavia parte organica di tale sistema economico integrato, non erano "parassiti", in quanto la loro funzione sociale era riconosciuta e, per dirla tutta, ampiamente gratificata. Ancora nel 2004, girando per S. Pietroburgo, mi meravigliavo di vedere quanti teatri ancora attivi vi fossero rispetto, per esempio alle nostre metropoli.
Sull'ultima parte del tuo intervento, relativa al lavoro "improduttivo" creato dalla burocrazia, anche qui sfondi un portone. La vuoi tutta? Oggi una manifestazione pubblica anche a costo zero finisce facilmente sotto di mille euro tra ambulanza (obbligatoria) vigili del fuoco (obbligatori), piano di sicurezza (vidimato da un ingegnere, anch'esso spesso obbligatorio), domande e marche da bollo: in alcuni casi la necessità è oggettiva, in altri è uno spreco inutile di risorse, in tutti rappresenta un FORTE disincentivo ai tentativi, da parte di una comunità, di uscire dalla logica del quartiere-dormitorio o zona-dormitorio o città-dormitorio. D'altronde, al potere fa comodo creare monadi: divide et impera.
Un caro saluto
Paolo
Il valore spesso è soggetto a improvvisi ribaltamenti, annullamenti, esaltazioni, perché soggetto al mutare rapido delle tecnologie, delle mode, delle sensibilità, della cultura; e io non riesco ad associarlo al lavoro in modo vincolante. Il lavoro è prima di tutto un modo di estrinsecarsi della persona, fin dai primi anni come ci ha ricordato la Montessori. Sul lavoro ho trovato illuminanti le riflessioni di Silvio Ceccato nel libro La Mente Vista da un Cibernetico, una specie di sintesi di Un Tecnico fra i Filosofi-Come non Filosofare.
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A volte tra coristi, orchestrali, solisti ecc arriviamo quasi a un centinaio di persone che si esibiscono; se si vuole rappresentare un'opera ci si deve preparare per tante ore; e poi il risultato si esaurisce in due o tre serate: e come si può pagare questo lavoro costoso e raffinato? Però osservo anche che certe star raccolgono centinaia di migliaia di spettatori paganti, per una musica spesso pompata dai media, di poco valore artistico e di poco costo monetario. Ma come si sono stabiliti questi valori economici? quale è stato il ruolo dell'informazione? della in-cultura? Ma forse c'è anche da rimproverare all'altra parte un certo snobismo, l’adesione a stanchi e noiosi rituali e cliché, una mancanza di ricerca di nuove forme di spettacolo.
Ascolto continuamente Philip Glass, che racconta anche: quando al suo primo concerto di musica che considerava "sua" (fine anni 60) c'erano solo sei spettatori, inclusa la madre (per campare faceva l'idraulico, l'uomo di fatica, il tassista...); ma ora è il compositore vivente maggiormente rappresentato nei teatri d'opera. Cosa è successo nel frattempo? è cambiata la sua musica? è maturato artisticamente? sono cambiati gli spettatori? la cultura? i valori?... ma lui ha sempre dedicato lo stesso impegno al suo lavoro.
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Fra tasse dirette e indirette paghiamo oltre il 50% del nostro reddito, sembrerebbe quindi di vivere in un paese socialista; ma buona parte di questo fiume di denaro, oltre a coprire i pregressi interessi sul debito, va ad alimentare una burocrazia asfissiante e paralizzante (un medico mi diceva che in ospedale una parte consistente del tempo viene dedicata alla compilazione della modulistica, la stessa cosa mi ripeteva un insegnate, osservo pure che l’organizzazione di feste o spettacoli nei paesi all'aperto coinvolge una massa di persone per i controlli e la sicurezza che sono ridicoli). Mi chiedo quale senso dare al plusvalore in questa falsa attività economica. Si dirà che sono eccezioni, disturbi, casi particolari di un sistema regolato (come l’attrito nei piani inclinati di Galileo) dall’analisi scientifica marxiana, eventualmente integrata da Sraffa. Mah… ho idea che la valutazione vada rovesciata, che l’analisi marxiana è oggi un caso particolare, che ha perso di generalità.
Non è minimamente quello il problema e la soluzione indicata da Marx e poi presentata in modo corretto da Bortkiewicz andrebbe già più che bene, il fatto che il processo trasformativo lasci inalterata o meno la grandezza del plusvalore è secondario.
Il problema se se ne vuole individuare uno è legato al fatto che in termini di un modellino puramente matematico si può arrivare ai prezzi senza considerare i valori. Ma Marx nonostante fosse consapevole di tale problema (e sostanzialmente "essotericamente" utilizzi sempre i prezzi) mantiene l'esigenza che i costi e prezzi siano spiegati dal valore, altrimenti perderebbero un senso nell'analisi.
Ciò è logico perché la sua analisi scientifica e unitaria della dinamica del capitalismo non è un problema di isomorfismo matematico.
un errata e un PS
a pagare a 180 gg sono i debitori, mi è uscito creditori.
Sul lavoro volontario: i subbotniki, i lavoratori del sabato, gli udarniki, gli "assaltatori" letteralmente coloro che portano lo "udar", il colpo, l'assalto, nascono come forme di mobilitazione. Ma l'idea di "fare di più", senza collegarla a una remunerazione, è buona a prescindere dal fatto che l'apparato produttivo sia in sofferenza o meno. Ora, non si può pretendere che siano tutti prestatori di manodopera o servizi gratuiti per una giusta causa senza chiedere nulla, anche se si può iniziare a ragionare e a far ragionare sul fatto che, se si vive in una comunità e non siamo tutte monadi chiuse nei propri divani, è bello, oltre che giusto, contribuire alla stessa, ciascuno nelle proprie capacità e possibilità. E questo sarebbe davvero un buon passo in avanti.
Dovendo invece, sempre, per forza "monetizzare" tutto, anche l'idea della banca del tempo, ovvero quella di scambiarsi reciprocamente dal basso prestazioni e servizi diversi, sulla base di un equivalente comune e di un ente terzo che tiene i conti della situazione di ciascuno, anche se non mi entusiasma può essere un inizio per attivare una certa mentalità. Faccio lezioni di matematica gratuitamente, acquisisco "credito" per chiamare un idraulico a cambiarmi i rubinetti il quale, così facendo, anche se non ha figli che han bisogno di lezioni di matematica, acquisisce "credito" per sistemarsi la schiena da un fisioterapista, il quale accumula credito da un orologiaio che vuole imparare a suonare la chitarra presso un maestro di musica che ha figli che han bisogno di lezioni di matematica... e così via. Poi, magari, una volta che cominciamo a guardarci tutti in faccia, capiamo che questo meccanismo è superfluo, che possiamo partecipare all'organizzazione di una festa di paese, fare un turno a una mensa, aiutare a chiudere una strada, a suonare a un evento, a pulire un bosco, ecc. senza chiedere nulla... ma questa è un'altra storia.
Ciao
paolo
Dopo aver letto questa castroneria non ho proseguito nella lettura dell'articolo.
L'autore non ha la minima idea che il valore è dato dal lavoro "socialmente" necessario, non dalle ore effettivamente incorporate in ogni singola merce. E l'autore non sa che nel lavoro socialmente necessario, per Marx, vi entrano pure le aspettative di efficienza; non bisogna considerare sempre e soltanto il lavoro effettivo necessario dato in un certo momento.
Non ho intenzione di perdere tempo.
ciao e complimenti! Aspetto solo che cresca un po' la bambina, così la mozione passa a stragrande maggioranza in famiglia e prima o poi un salto al MITO (e a TO!), che avevo già in mente di fare, lo facciamo per davvero e magari veniamo a sentirvi!
Nel trovare una risposta convincente alla tua obiezione, in una società complessa come la nostra, mi è venuto in mente l'incipit di Anna Karenina, mi perdoni quindi da lassù il buon Lev Nikolaevič: "Tutte le famiglie felici sono simili l'una all'altra, ogni famiglia infelice lo è a modo suo (Все счастливые семьи похожи друг на друга, каждая несчастливая семья несчастлива по-своему )".
In altre parole, in un modo capitalistico di produzione, dove la ricchezza si produce, per l'appunto, secondo la legge fondamentale che lo governa, che è il profitto e l'appropriazione dello stesso da parte del capitalista, chi gode (la tolstojana "famiglia felice"), ovvero il capitalista, gode in maniera abbastanza simile a prescindere dal fatto che produca parti auto o importi magliette dalla Cina con la sua etichetta e il prezzo già in euro. Chi soffre (la "famiglia infelice"), soffre ciascuno alla sua maniera: c'è lo sfruttato classico, che timbra il cartellino, lavora sotto CCNL, c'è lo sfruttato con contratto "atipico" (il 41.5 dei giovani italiani nel 2016), c'è lo sfruttato "lumpenizzato", laddove il lavoro è talmente scarso che per mantenere il minimo vitale lo sfruttato ricorre a pratiche illegali e/o diviene (facile) preda della criminalità organizzata. 50, 500, 5000 sfumature di sfruttamento, in queste due classi che esistono, a prescindere dal fatto che chi ne fa parte ne sia cosciente o meno.
Molto grossolanamente, la rivoluzione copernicana di Marx consiste nel dire: tu operaio cosa produci? Macchine. Quante ne escono per tirare fuori il tuo stipendio? Duecento. In quanto le produci? In quindici giorni. Bene, dal sedicesimo in avanti ingrassi il padrone. In genere, il saggio di sfruttamento è metà della fetta della torta, a cui poi togli i debiti del padrone, i creditori che pagano a 180 giorni, quelli che non pagano, ecc. Ma il gruzzolo resta, e non un gruzzolo da poco. Al di sotto, infatti, il padrone fa altro. Che è quello che è successo, per esempio, nelle nostre manifatture tessili negli anni Novanta. Il problema non era "starci dentro", il problema era che facendo fare 50.000 pezzi di abbigliamento in Cina anziché in Italia (in gran parte ai cinesi di qui, peraltro), il margine di profitto del terzista aumentava. Peraltro, la fase successiva è stata ritornare a farlo in Italia: "perché rischiare che il container non arrivi in tempo per la stagione perché il capitalista cinese promette promette e poi non mantiene e non posso neppure fare nulla da qui, neanche portare a casa una penale, e mi rimangono 50.000 magliette sul gobbo? Meglio Prato e Castel Volturno, dove tra cinesi e bengalesi i pezzi li porto a casa lo stesso e non rischio nulla"... a proposito di "ogni famiglia infelice lo è a modo suo"...
Passiamo ora al caso dell'artista professionista (teorico, perché in realtà il miliardario è una macchina di soldi che ragiona su altre logiche e la maggior parte lo fa come secondo lavoro, il primo è, in genere, dipendente). Lui vende un prodotto, frutto del suo lavoro di artista: ha il suo minimo vitale, oltre il quale non può scendere, un saggio medio di profitto, dato dal fatto che se vende di più nessuno lo chiama e se vende di meno si dà la zappa sui piedi da solo, o gliela danno i suoi colleghi perché ammazza il mercato. I soldi che gli danno, tuttavia, non vengono dal cielo, ma... e torniamo sempre al punto di partenza, dalla produzione.
Accenno velocissimamente perché in fase di timbratura.
Ora, si dà il caso che sia nel direttivo della proloco del mio paese. Facciamo il Jazz Festival e ti vogliamo invitare: chiediamo il patrocinio al comune che li recupera dai soldi che chiede a tutti i cittadini come entrate fiscali e che riceve dallo Stato (nella stessa medesima maniera, ma a livello di fiscalità generale), un po' vengono dalle offerte (frutto del lavoro anch'esse). Totale, la tua serata la paghiamo, direttamente o indirettamente, con il nostro lavoro. Ed è questa la funzione sociale dell'artista. In URSS era salariato e la sua dignità era pari, se non maggiore, a seconda del livello in cui si collocava, a quella di un impiegato o di un quadro aziendale. Al punto che, se un operaio voleva vedere il figlio "andare avanti", e il figlio era abbastanza capace da essere ammesso, faceva i tripli salti mortali per fargli frequentare il conservatorio, con un sorriso a trentasei denti.
Sul lavoro volontario, infine, ovvero sulla prestazione di lavoro senza compenso, Lenin aveva inventato i subbotniki, i sabati comunisti. Le due cose non sono in contraddizione fra loro, ma qui altro che sforare...
scappo al timbro.
Complimenti ancora e
buona settimana!
paolo
Semplicemente: se si afferma la validità "quantitativa" della teoria del valore- lavoro di Marx, si deve poter risolvere il problema cui accenno sopra. Non mi paiono soddisfacenti le varie soluzioni proposte dagli studiosi, compresa quella di Sraffa, perciò propendo per una validità della teoria solo nei suoi termini per così dire "qualitativi".
E' il testo di presentazione di un film sul metodo Montessori, ora in proiezione in alcune sale di Torino. Mi sono sempre trovato a disagio con alcuni concetti cardine della teoria marxiana: il valore-lavoro e la suddivisione della società in classi. Ho l'impressione che con questi concetti si ingabbia la storia e la società, ci si preclude la comprensione dell'uomo e della società, si irrigidisce l'azione, si limita la capacità di intervento. Se osservo me stesso, mi vedo svolgere delle attività per cui vengo pagato, ma che ritengo poco utili se non dannose, sia come prodotto finale, sia come processo tecnico specifico (analisi dei fenomeni aeroelastici); al contrario, svolgo altre attività, con lo stesso impegno e dedizione di tempo, per cui invece io devo pagare, (canto in un coro polifonico di buon livello, che si esibisce in rassegne prestigiose come MITO), ma che invece ritengo utili alla comunità. Penso si sostenga che è il capitalismo che stabilisce ciò che viene remunerato e ciò che invece non lo è, che il capitalismo trasforma il lavoro e lo aliena dall'uomo come persona... Non so, ma mi sembra che insistendo sul furto che il capitalista effettua sottraendo il plusvalore al lavoratore si peggiori la situazione, e ancora di più se la società viene divisa in due classi in lotta fra loro. I valori sono incredibilmente mutevoli: pensate a van Gogh che non riusciva a vendere i suoi quadri, e ora solo un miliardario se li può permettere, pensate a come dal nulla e in pochi anni si sono imposti gli imperatori di internet, che hanno creato fortune. In questi fenomeni dove collochiamo il plusvalore e le classi?
Le categorie di valore e plusvalore rappresentano strutture scientifiche fondamentali in Marx e per la comprensione della dinamica del capitalismo di cui ha una coerente visione unitaria come modo di produzione e forma storico sociale e antropologica evolutiva, pertanto anche le troppo marcate distinzioni tra aspetti quantitativi e qualitativi sono devianti.
L'approccio iniziale esoterico di Marx vuole evidenziare i rapporti dinamici e unitari del capitalismo e della sua descrizione che non si limita all'economia volgare e a rapporti cosali o fenomenici essoterici.
Il cosiddetto problema della trasformazione era ben noto a Marx (come detto da Eros Barone il libro terxo occupa tale posizione solo per il piano organico dell'opera scelto da Marx, che vuole partire dalla parte esoterica) e Marx stesso indicò la soluzione. Il punto non è tanto che non vi è un isomorfismo immediato matematico tra valori e prezzi ma la soluzione può ritenersi ridondante dato che tecnicamente e in modo formale più veloce si possono avere i prezzi senza far intervenire i valori.
Le obiezioni di Bohm Bawerk hanno un fondamento ma strettamente logico formale, fanno perdere di vista il ruolo delle categorie scientifiche all'interno di una completa visione e descrizione del funzionamento del capitalismo. La risposta di Hilferding soffre del fatto che egli credeva ancora a quell'isomorfismo matematico tra valori e prezzi.
La rappresentazione fenomenica che Marx dà del capitalismo è sostanzialmente tutta in termini di prezzi e è a tutt'oggi la più realistica e adeguata, si pensi al ruolo del denaro, resta l'unico che lo abbia compreso. Ciò in forza delle categorie scientifiche usate come valore, plusvalore, valore di scambio e lavoro docialmente necessario (che come altri hanno detto mette fuori mercato chi non si adegui), che permettono una analisi e studio che va oltre il feticismo dei rapporti cosali e dell'economia volgare.
Il fatto che comunisti o sedicenti tali abbiano abbandonato Marx per adottare la mistificazione ideologica e anti-scientifica neoclassica, che presenta infinite irriducibili aporie, è pura follia e insanità mentale.
Gli sviluppi futuri di questo “stato di cose” appaiono fin da ora “catastrofici”, proprio per quella caduta del saggio di profitto che di nuovo si affaccia sulla scena internazionale e che si sta caratterizzando attraverso ulteriori e incisive trasformazioni sia dell’industria tecnologica vera e propria, sia per ciò che riguarda la maggior parte dei processi produttivi in tutti i settori manifatturieri.
E sono proprio, ancora, gli stessi economisti borghesi a considerare insufficiente – in termini di una continuità del processo di accumulazione del capitale – qualsiasi prospettiva di “sviluppo” del sistema economico oggi dominante senza che essa sia accompagnata da innovazioni o modificazioni tecnologiche che rendono esuberante la vivente forza-lavoro. Quindi, se con l’aumento dell'impiego di capitale per ogni singolo lavoratore, dovuto alla introduzione di impianti e tecnologie avanzate, la produttività dei lavoratori (in diminuzione!) non aumenta incessantemente, sono guai per la competitività sui mercati. I quali, in realtà o potenzialmente, sono già ingolfati di merci (per lo più inutili o dannose, a parte quelle “militari”!) che cercano compratori solvibili nonostante masse umane a centinaia di milioni di individui, siano in condizioni di estrema miseria e fame.
Dunque, mentre il rapporto capitale/lavoro cresce a vista d’occhio, la borghesia internazionale si
abbandona ai giochi d’azzardo finanziari e alle speculazioni di ogni tipo. Ovvero là dove non si “produce” alcun plusvalore ma soltanto l’illusione – rovinosa, come è accaduto e accadrà – di un denaro che di per sé. autonomamente, genererebbe più denaro!
Siamo nel pieno delle più paradossali contraddizioni capitalistiche. Il progresso scientifico, applicato all’industria, consentirebbe potenzialmente la produzione di maggiori quantità di beni e servizi “utili” per tutti, riducendo enormemente i tempi di lavoro da distribuirsi fra ogni membro della società. Le catene della schiavitù imposte dal lavoro salariato per fornire profitto al capitale si spezzerebbero definitivamente. E questo spiega perché la borghesia, quando si parla di un superamento del modo di produzione e distribuzione capitalista, è pronta ad imbracciare manganelli e gas lacrimogeni, per ora, e domani ben altro… Democrazia “popolare” o dittatura elitaria, è il capitale che comanda. Fino a quando?
- Davide