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ilpedante

L'invasione degli ultratabù

di Il Pedante

totem e trib 17 638Ogni civiltà ha i suoi tabù, perché di ogni civiltà è il sacro. Ciò che è sacro è intoccabile, inavvicinabile, perché in origine maledetto. Scrive Pompeo Festo (De verborum significatione) che l'homo sacer è «quem populus iudicavit ob maleficium... quivis homo malus atque improbus». Tra le etimologie proposte, l'accadico sakāru rimanda appunto all'atto del bloccare, interdire, ostruire l'accesso. In una comunità di persone il sacro postula l'indiscutibile, i riferimenti invalicabili dell'identità e dei valori comuni di norma rappresentati nella sintesi di un simbolo o di una formula rituale. L'ambivalenza del sacro è prospettica: nel tracciare un confine inviolabile discrimina ciò che deve restare fuori - il tabù - da ciò che sta dentro e attorno a cui ci si deve raccogliere - il totem. Il binomio freudiano svela così i due volti del sacro: dove c'è un totem c'è un tabù, e viceversa. Se la Repubblica Italiana si rispecchia nel totem dell'antifascismo, il fascismo è un tabù. Se una chiesa fissa il suo totem nel dogma, i tabù sono l'eresia e la bestemmia che lo negano.

Non si ha notizia di civiltà senza tabù, perché il sacro soddisfa un fabbisogno spirituale che si riscontra ovunque. Sarebbe perciò sciocco credere che i tempi laici in cui viviamo si siano emancipati dal sacro e quindi dai tabù. L'errore nasce dalla confusione di sacer e sanctus, dove il secondo rimanda in modo specifico alla sacralità religiosa. Sanctus è participio passato di sancīre, attestato anche nel significato di interdire, separare, dedicare (a una divinità), accomunato a sacer da una possibile radice comune sak-. La convergenza e quasi sovrapposizione nell'uso dei due termini sembra illustrare un processo che dall'era classica a quella cristiana ha progressivamente «relegato» il sacro nelle cose ultraterrene, con il vantaggio di trattare più pragmaticamente le cose umane e della terra, di schivare cioè il rischio di sacralizzarle rendendole così inconoscibili perché inaccessibili al λόγος. Un rischio che si sarebbe confermato e si sta più che mai confermando reale.

Ben lontano dall'essere desacralizzata, la nostra è una società desantificata che nel rinunciare al santo ha trascinato il sacro nel fango della storia. Attaccando il divino nella speranza di guadagnarne una liberazione dagli «schemi», dagli «errori» e, appunto, dai tabù del passato, lo ha frantumato in tante schegge semidivine disseminando il sacro in ogni forma e in ogni dove. Da questo schianto è sorto un politeismo i cui feticci non portano più le insegne della divinità ma ne preservano l'inattaccabilità e il dogmatismo. Se l'esperimento novecentesco dell'ateismo di Stato ha colmato il vuoto del sacro religioso con il suo rimpiazzo politico mantenendo e possibilmente aumentando i corollari presidi di repressione e censura degli eterodossi, il fenomeno è letteralmente esploso negli ultimi anni in seno alle democrazie occidentali.

Svincolati dalla sorveglianza di una dottrina riconosciuta e centrale, i nodi del sacro si sono moltiplicati e hanno infestato il discorso pubblico e privato, e quindi anche il pensiero. Ai richiamati totem laici dell'antifascismo e della democrazia si sono aggiunti quelli dell'Unione Europea, Gerusalemme babelica portatrice e promettitrice di pace, dei suoi padri e profeti, de «i mercati» giusti, onnipotenti e severi, dell'internazionalizzazione di popoli e capitali in cui sciogliersi per rinascere fortificati (Gv, 24-25), dell'accoglienza di ogni diversità purché non di pensiero, del laicismo, del riscaldamento globale, della parità di generi e orientamenti sessuali e della loro moltiplicazione, di cose, persone e organizzazioni che «salvano vite», della storia non più solo patria ma di qualunque angolo di mondo purché scritta dai vincitori, del progresso che si autoavvera nella condanna acritica di tutto ciò che è trascorso. L'ultimo totem è insieme il più promettente e potente: «la scienza» e l'innovazione tecnologica in cui si celebrano non già gli strumenti, ma i fini di un'evoluzione di cui portarci all'altezza espungendo ogni incomputabile residuo di umanità.

Ai totem rispondono più numerosi i tabù: non solo «i fascismi» ma anche «i nazionalismi» e le stesse nazioni, le identità tradizionali (il colore locale è ammesso, purché vendibile), la discriminazione anche solo come distinzione di generi e genti, «odio», razzismo, sessismo, antisemitismo, omofobia, transfobia, xenofobia, islamofobia e tutte le nostalgie di un passato ontologicamente peggiore. Dal totem scientifico discendono i tabù dell'antiscientismo, di chi non si lascia cullare da «gli esperti» circolarmente espressi da «la scienza» come sistema gerarchico e finisce negli antri di «maghi» e «stregoni», della superstizione, dell'antivaccinismo, delle cure alternative e «ciarlatanesche», della critica darwiniana, delle scie chimiche, della terra piatta, cubica o dodecaedrica e di qualsiasi altro dubbio non corroborato dai media o dalle peer review. Non serve che il soggetto si affili direttamente a un tabù: basta che non si dissoci dalla sua lettera e dai suoi latori con la dovuta veemenza. Allora sarà detto revisionista, negazionista, complottista o reazionario, dato in pasto al gregge schiumante e accusato della stessa bestialità con cui lo si attacca. Non potendolo più chiamare eretico, dell'eretico subirà la sorte sociale, fin quando il sognato tramonto delle garanzie costituzionali non renderà lecita anche quella penale.

A questi tabù generali ciascuno aggiunge i propri e quelli della propria fazione, in un proliferare senza freni di caveat dialettici dove l'elaborazione verbale e concettuale diventa un campo minato, un percorso a ostacoli irto di cose da non dire, o da dire avendo reso devoto omaggio al loro contrario («premesso che personalmente», «ben lungi dal difendere» e via escusando). Si instaura così la «dittatura del politicamente corretto» denunciata e descritta da molti autori, che nell'incarcerare il discorso toglie spazio al pensiero e lo impoverisce, lo confina in un cono di luce sempre più angusto dove può solo balbettare e ridursi alla litania degli slogan e degli hashtag, fino all'afasia. Ciò che resta è un pensiero minimo e lobotomico asservito alla sua negazione, un intelletto tutto teso allo spegnimento si sé: proprio e altrui, presente, futuro e persino passato, con la pretesa di distruggere o riscrivere le testimonianze sgradite alle nuove dottrine. L'epoca presente si candida così a diventare non solo la più bigotta e fanatica, ma anche quella intellettualmente più povera, la più sterile e puerile degli ultimi secoli.

***

Nel rompere gli argini del sacro, l'eclissi del santo ne ha liberalizzato anche i sacerdoti, conoscitori e guardiani del tabù, il cui soglio vacante si è lasciato occupare da chi già occupava il trono secolare dell'economia e delle armi, dai vincitori del mondo e da chi ne accetta la legge. Ecco un'ascoltata intellettuale enunciare, con apposito test, un lungo elenco di propositiones in odore di «fascismo» per misurare l'omodossia dei lettori. Eccone un altro che nel «populismo» vede non già l'etichetta storica di un momento storico ma la colpa eterna del «fascismo eterno» formulata da un pater ecclesiae. Ecco l'analisi di un «maschilismo» che sedurrebbe le anime per «vie insidiose» e invisibili ai non iniziati. Ed ecco il giornalista di un grande giornale che, al contrario, distribuisce dispense dal tabù atavico dell'infanzia sofferente spiegando «quando è necessario mostrare la foto di un bimbo che muore». Quando? Solo in casi estremi: quelli cioè decisi da lui e dai suoi editori per attaccare i governi a sé nemici, perché lì «non può esistere il sospetto che sia un modo di speculare sui minori». Chi controlla i tabù controlla il pensiero, ne traccia i confini e l'orizzonte, alza gli argini dentro cui deve fluire per imporgli l'unico corso possibile: il proprio. Scrive Roberto Pecchioli:

Il XXI secolo, tecnologico e permissivo, ha bisogno di un sistema di potere allucinogeno: le masse devono essere convinte di godere di ampie libertà, nonché di avere grandi possibilità individuali. Un esercito di finti pezzi unici, sospinti però verso comportamenti, gusti, reazioni assolutamente comuni e previste. È il principio del soft power, che agisce per linee interne, a livello subliminale, persuasivo, per coazione a ripetere, mostrando e imponendo modelli, ottenendo senza violenza fisica comportamenti o attitudini di proprio gradimento.

E ancora:

Ciò che chiamiamo politicamente corretto è una accattivante confezione di preconcetti basata su un unico postulato: l’uguaglianza quasi paranoica, ossessiva, superstiziosa, che diventa uniformità, gabbia inviolabile. Timoroso di se stesso, l’uomo mette a confronto la sua percezione di fatti, il proprio principio di realtà, inevitabilmente diverso dalla visione ufficiale, e censura se stesso, si considera cattivo, malvagio in quanto giudica altrimenti, e, nella maggioranza dei casi, si conforma, sino a introiettare come giusto e vero quello che il suo proprio convincimento rifiuterebbe.

I frutti del condizionamento a contrariis sono strabilianti, non ottenibili con tecniche di propaganda «positiva». Emmanuel Macron, già banchiere presso i Rotschild e misteriosamente catapultato al Ministero dell'economia nel 2014, dove fece approvare con procedura d'urgenza la legge ferocemente padronale che porta il suo nome, lo stesso Macron contro cui oggi le classi popolari francesi manifestano mettendo a ferro e fuoco il Paese, si aggiudicò le elezioni presidenziali del 2017 contro Marine Le Pen perché quest'ultima era tabù, figlia di un neofascista, dimostrando così che lo stigma sacrale si trasmette anche per via di sangue, non solo ideologica. Per lo stesso motivo qualcuno è riuscito a scrivere che non si possono criticare le idee e le iniziative politiche di George Soros senza violare il tabù dell'«antisemitismo», vantando il finanziere ungherese un'ascendenza ebraica. Associando tabù lontani si creano e si governano i «moderati», che non essendo mai tali negli atti e nelle idee si definiscono così perché abbracciano gli atti e le idee del manovratore di turno collocandosi con prevedibile diligenza tra gli «estremismi», cioè i tabù, che ha fabbricato per loro. L'intransigenza del metodo generale produce, per imitazione, parrocchie e sottogruppi ancora più intransigenti, in reciproca guerra per aggiudicarsi la palma dei «puri». Nasce così il fenomeno del «mai con», infallibile nel soffocare in culla le possibili alleanze tra dissenzienti, tutti impegnati a restringere ulteriormente il già ristretto recinto sacrale per bearsi della propria incontaminazione.

Andrebbe chiaramente detto - e qui lo diciamo - che non è possibile rendere omaggio al complicato olimpo dei totem e dei tabù contemporanei per guadagnarsi il diritto di esprimersi, e insieme esprimere un pensiero libero e originale, figuriamoci critico. Perché le minuziose mappe del sacro servono precisamente a sopprimere la libertà di pronunciare ciò che dispiace a chi ha la forza di imporle. Non si può vincere rispettando le regole degli avversari. Quando parlo del libro che ho recentemente pubblicato con Pier Paolo Dal Monte sui rischi di avere reso coercitive e indiscutibili diverse vaccinazioni per l'infanzia, mi guardo bene dal prendere le distanze dai «no vax». Non perché io lo sia o non lo sia, ma perché quel tabù serve proprio ed esclusivamente - lo ripeto: esclusivamente, mancandogli ogni fondamento analitico - a squalificare ogni posizione critica sul tema, e quindi anche ciò che ho scritto nel libro. Sicché mi sconfesserei già in partenza. Né sarebbe intelligente esercitarsi in distinzioni diffinitorie di scuola questista su quale sia il «vero» oscurantismo, il «vero» razzismo, il «vero» negazionismo o, viceversa, la «vera» Europa, il «vero» internazionalismo, il «vero» progresso e via dicendo, perché si è già visto che il sacro è postulato in ontologia, esiste proprio per mettere i cardini fondanti dell'identità al riparo dalla dialettica. Il suo essere indeclinabile è cioè sostanziale, non accidentale. L'unica strategia costruttiva è quindi quella di disconoscere i tabù vulgati, di allontanarsene e di rimuoverli dalla propria agenda per costruire un pensiero altro e ancorato ai propri, personali tabù: meglio se pochi e meglio ancora, per quanto possibile, se non inquinati dal mondo.

Comments

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Valentino
Sunday, 16 December 2018 14:53
Marine Le Pen sarebbe stata penalizzata dai tabù ?!? L'antisemitismo , il nazionalismo , l'omofobia o il razzismo sarebbero tabù ?!?
Ma il nome di questo sito , "sinistrainrete" , e' un errore o e' volutamente depistante ? A che servirebbe poi ? Mah...
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GIOVANNI DAVIDE LOCI
Saturday, 15 December 2018 10:48
l'autore , anzichè associare umberto eco a michela murgia, dovrebbe provare un pò a leggerselo, in modo da acquisire delle nozioni che vadano un pò oltre la prima metà del secolo. e pure studiate male dato che marx ed hegel sono copmpletamente assenti, come si nota dallla visione passiva, da paziente medico un pò sotto la media, che l'autore riserva alcorpo sociale
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Mario M
Saturday, 15 December 2018 07:52
......
Voce Muta: Andrà tutto avanti così, oppure quale sarà il futuro della scienza?

Erwin Chargaff: Per la scienza le cose non vanno bene. Il nostro tipo di scien­za non avrà più lunga vita, almeno a mio avviso. Passeranno, direi, meno di cento anni.

VM: Qualcosa d’altro ne prenderà il posto?

EC: In realtà, la scienza - al pari dell’arte, della letteratura, della musica, e così via - non ha mai occupato nel nostro mondo un posto vero e proprio. Ma le altre attività intellettuali non si sono sviluppate come la scienza al punto di diventare occupazioni di massa. In questo momento tutto sembra un’assurdità; ma sembrerà meno assurdo ai pochi superstiti dai quali, immagino, sarà abitata in futuro la Terra e che si nutriranno di formiche radioattive.

VM: Non sai che la fine del tempo è venuta, che lo spazio è stato eliminato, che non esiste più un hic et nunc, un futuro?

EC: Lo so. Ma pensavo che le domande si riferissero al passato, e un passato c’è sempre. Quanto al mio tempo, vorrei dire che il mondo era divenuto troppo complicato per gli uomini che lo abitavano. La vita umana non ha perduto il suo valore a causa delle grandi conquiste della biologia: la verità è che questi due processi hanno proceduto parallelamente: ogni volta che su una rivista scientifica leggevo la relazione di un lavoro interessante, il giornale riportava contemporaneamente la notizia di un assassinio raccapricciante. Una società, che aveva i mezzi per visitare la Luna, non riusciva a preservare l’umanità dai suoi stessi componenti e andava in frantumi nel medesimo tempo in cui faceva irruzione nell’universo. Essa guastava la vita del suo stesso ambiente, mentre formulava ipotesi sulla vita su Marte. Sono convinto che anche i dinosauri avevano i loro comitati di sicurezza, non meno efficienti dei nostri.

VM: Vorresti dire che le scienze sono la causa del declino?

EC: Ho smesso di distinguere tra causa e sintomo. La putrefazione segue alla maturità come la notte al giorno.

VM: In principio era il verbo, e alla fine è il silenzio. L’interrogatorio è aggiornato.

(Erwin Chargaff, Il Fuoco di Eraclito)
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Mario Galati
Friday, 14 December 2018 19:22
Adesso mi toccherà abiurare dinanzi al Tribunale della Santa Inquisizione - Giudice Monocratico Ernesto09.
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Ernesto09
Friday, 14 December 2018 13:37
Quoting Mario Galati:

Non serve a nulla, invece, lanciare anatemi, perché ciò confermerebbe soltanto quanto sostenuto dall'autore circa la sussistenza di una ideologia del politicamente corretto che impone dogmi indiscutibili e reazioni irriflessive automatiche.
E questo fenomeno esiste. .


Quindi per Mario Galati il rifiuto del nazionalismo , del razzismo , dell'antisemitismo , dell'omofobia ecc.ecc. non devono essere dogmi . Si possono tranquillamente rivalutare .. Siamo messi bene..
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Mario M
Friday, 14 December 2018 10:37
"L'ultimo totem è insieme il più promettente e potente: «la scienza»"

Sono d'accordo. Si è creata anche una casta di chierici e officianti che rientra nella cosiddetta "comunità scientifica", dove si fa entrare chi è funzionale a precisi obiettivi. Così abbiamo un Roberto Burioni che parla e straparla dei vaccini sui media nazionali, con un linguaggio anche sgangherato, senza contraddittorio; mentre medici e ricercatori come Roberto Gava, e tanti altri non hanno diritto di replica.

Esiste la comunità scientifica così come esiste la comunità dei pittori, musicisti. Tutti possiamo dipingere o suonare uno strumento, come tutti possiamo esercitare la scienza, perché è un metodo. Invece la casta decide chi ne fa parte e chi no; e così il padre della biologia molecolare, il vero scopritore della struttura del DNA, Erwin Chargaff, non è conosciuto al grande pubblico (consiglio il suo libro, Il Fuoco di Eraclito, paragonabile ai Dialoghi di Galileo); e così uno dei più grandi scienziati italiani, Luigi Di Bella, viene trattato come un ciarlatano (il figlio Adolfo ha scritto un libro sulla vita del padre: Il Poeta della Scienza. Vita del Professore Luigi Di Bella)
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MorenoD57
Thursday, 13 December 2018 13:28
Interessante… secondo l’autore , i fascismi , i nazionalismi , le identità tradizionali , le distinzioni di genere , razzismo, sessismo, antisemitismo, omofobia e xenofobia .. sarebbero Tabù … Ma quali Tabù ?!?! Sono stati discussi , studiati e spiegati in decine e decine di testi ormai diventati anche dei classici .. Sono stati decostruiti e mostrati per quello che realmente sono : menzogne epistemologiche , propaganda di estrema destra , discriminazioni , reificazioni , schifezze di estrema destra che servono per disciplinare , dividere , controllare , sfruttare .
Poi come si fa a commentare i soliti topos antisemiti e neofascisti di questo articolo , che neanche i Protocolli dei Savi di Sion… ? La Gerusalemme “babelica” che mischia i popoli , controlla i mercati , Soros che controlla il mondo ( un conto criticare il sionismo politico , come progetto politico intrinsecamente razzista , un altro fare propaganda antiebraica con argomenti da bar , complottisti e razzisti … antiebraismo per altro che alimenta , e su cui fa leva , lo stesso sionismo di Israele ) . Poi … ca va sans dire … Marine Le Pen vittima dei tabu’ di cui sopra ..
Articolo veramente becero , talmente ignorante e di estrema destra , che non andrebbe nemmeno commentato .. se non giusto per mostrare disappunto .
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Mario Galati
Thursday, 13 December 2018 11:51
A me questo discorso sul sacro e il santo, i totem e i tabù, sembra abbastanza banale. Si tratta semplicemente della definizione dei rapporti di forza egemonici sovrastrutturali, della parte consensuale dell'egemonia. In fondo, dopo aver manifestato una critica alla società attuale negatrice della dimensione comunitaria (tradizionale) e appiattita sulla dimensione individualistica, consumistica mercantile, sulla tutela delle cosiddette differenze, la conclusione dell'autore è totalmente individualistica, di tipo illuministico-razionalista, se non post-moderno, e, perciò, perfettamente in linea con i tempi. Non è una conclusione di tipo storico-sociale.
Oltre lo scontato schema sociologico-formale premesso, ciò che conta è individuare il contenuto del discorso dell'autore, come fa Eros Barone.
Non serve a nulla, invece, lanciare anatemi, perché ciò confermerebbe soltanto quanto sostenuto dall'autore circa la sussistenza di una ideologia del politicamente corretto che impone dogmi indiscutibili e reazioni irriflessive automatiche.
E questo fenomeno esiste.
Se Sinistra in Rete ci fa conoscere certe posizioni è un pregio, non un difetto.
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Paolo Selmi
Thursday, 13 December 2018 11:26
Caro Eros,

grazie mille del contributo che coglie in maniera evidente la contraddizione principale di questo pezzo che, sotto mentite e dotte spoglie, spaccia quel bel vento di tramontana reazionario che ormai soffia ovunque. E che porta, sul piano logico formale, ad altre contraddizioni:
- Ogni società ha IL suo totem e i suoi tabù, tranne
- la società attuale NON ha il suo totem ma ha i suoi (PLURALE) mini-totem (il che è palesemente falso, perché contraddice il primo principio espresso)
- TUTTI i mini-totem e i mini-tabù sono equipollenti, ovvero non valgono nulla per la mente “illuminata” (il che contraddice il pistolotto che corre in parallelo sul modernismo, sui bolscevichi e su quant’altro, tutti “colpevoli” di avere abolito il totem religioso, anzi, la loro presunta azione dovrebbe essere progressiva…)
- Perché c’è un “potere” subdolo (e qui la parte che dovrebbe attrarre i sinistrorsi nella trappola), tipo spectre e protocolli vari, criptico, non ufficiale, transnazionale, a cui solo la mente illuminata dalla vera luce è in grado di opporsi - e qui andiamo a visioni metafisiche per certi versi, ma molto “terrene”, come hai ben evidenziato sul tabù INNOMINATO).

TABU’ non è qualsiasi assunto che, persino in una società come la nostra che vorremmo “liquida”, “post-moderna”, piena di “narrazioni” o “story-telling” che dir si voglia. Il tabù è un qualcosa di MOLTO più forte, la cui analisi è da maneggiare con estrema cautela. Il tabù è, inoltre, espressione di un rapporto spesso sessista e, in ultima analisi, di CLASSE. Scomodiamo il buon De Martino e la sua “Terra del rimorso”, anche perché il nostro non lo fa. E poi perché offre una rappresentazione diversa di una terra a me cara. La donna sfruttata, oggetto millenario di violenza, sottomissione, “morsa” dalla tarantola, rompe il tabù, rompe tutti i tabù. Per una notte soltanto, il 29 giugno, per la precisione, a Galatina, per essere ancora più precisi (la realtà poi era un po’ più “elastica” sulle date e sui luoghi). E, in virtù, de “Lu Santu Paulu meu te le tarante, ca pizzichi le fimmine ‘n miezzo all’anche”, la valvola di sfogo del potere patriarcale e reazionario faceva il suo sporco lavoro: il potenziale deviante era contenuto, fatto sfogare, rientrava, nel “nero del lutto di sempre”, come diceva il buon Gaetano. Mutatis mutandis, c’è chi ha scritto libri sul carnevale, come Lotman e Uspenskij, piuttosto che Bachtin su Rabelais e il buffone che diventa re (e torna buffone). Vogliamo andare avanti? Il tabù “puro e impuro” nelle società patriarcali arcaiche: anche qui, una lettura di classe non faticherà molto a vedere, nella riproposizione e riproduzione dello stesso in tutte le sfere della vita naturale e sociale, uno strumento di dominio sulla donna, colpevole una volta al mese di impurità e segregata ai margini della vita sociale dalla pubertà fino alla morte (visto che si cita il Libro, basta dare una scorsa al Levitico e alle sue prescrizioni per rendersene conto). Non esiste solo la lettura di Mircea Eliade sullo sciamanesimo, senza nulla togliere alla cultura enciclopedica dello studioso rumeno: tanto è vero, che nelle suo Sciamanesimo e tecniche dell’estasi, manca quasi in toto il ruolo delle donne sciamano, oggetto di possessione da parte dello spirito che le visita (e quindi “colpevoli” di non agire “attivamente” ma “passivamente”, a differenza dei colleghi maschi che, in genere, “viaggiano” nei mondi degli antenati, non sono da loro “visitati”, quindi declassate). Ere geologiche fa, in facoltà ci appassionavamo alle letture che smontavano, pezzo per pezzo, la costruzione ideologica del potere borghese e leggevano, in ciascuna delle sue componenti, il perpetuarsi di meccanismi di dominanza sulle classi subordinate. La lezione sui mizuko giapponesi, i bimbi mai nati, e il loro culto come mezzo di repressione sulle donne giapponesi che abortiscono (e, va da se, su quelle che non lo fanno), mi ricordo ancora che ci aveva impressionato tutti. Perché la legge lo consente, ma la lettura di classe dei rituali imposti, per tutta la vita, a queste donne per “placare” gli spiriti inquieti dei loro bimbi mai nati, le incatenano di fatto a una condizione di subordinazione, che si riflette quotidianamente nei rapporti socioeconomici che le coinvolgono, nel lavoro e nella carica che andranno a ricoprire, con maggiore incidenza sulle donne delle classi subordinate e con la loro, di fatto, connivenza passiva (perché il tabù è talmente forte e loro lo vivono talmente in prima persona da non potersi opporre a esso). Ancora oggi, cittadini giapponesi da millenni sono discriminati per il loro cognome che ne tradisce l'origine coreana o cinese. Storicamente confinati a lavori "impuri" come il macellaio, oggi faticano a uscire da questo tabù impostogli.

Questi sono, a mio avviso, i tabù: NON QUALSIASI ASSUNTO che vada contro un altro assunto (definito per comodo “totem”) e che a sua volta può essere accusato di essere “totem” a cui opporre un altro “tabù” per dire tutto e dire niente, per dire che gli estremi opposti si elidono, anzi, non esistono, e perpetuare – di fatto – lo status quo. I veri tabù sono quelli che non si nominano. Tanto è vero, che il quello della proprietà privata, tipico della società capitalistica globalizzata e globalizzante del terzo millennio, non è nemmeno nominato: nominarlo, sarebbe già infrangerlo e chi tocca i fili, in genere, si scotta. Mentre certa stampa è libera di titolare sull’immigrazione, ministri di esternare e reprimere come se non si trattasse di uomini, ma di sottospecie antropomorfe.

Fa comodo risalire all’accadico per le etimologie, e fa altrettanto comodo parlare di “tabù” e “totem” completamente decontestualizzandone l’impiego, con la pretesa però che continuino a significare quello che significavano nel contesto di origine. Operazione intellettualmente disonesta e, aggiungo, non casuale.

Un caro saluto.
Paolo
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Lorenzo
Thursday, 13 December 2018 01:16
Quoting Eros Barone:
l'unico tabù che non viene citato, e di cui ovviamente non viene messa in discussione la legittimità, è quello concernente la proprietà privata.


Eh no, ce n'è un secondo ben più pervasivo e ripugnante: il totem umanista, quello attinente all'attribuzione di valore intrinseco alla vita e alla dignità umana.
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Eros Barone
Wednesday, 12 December 2018 22:59
Per liquidare il ciarpame reazionario e fascista che si tenta di spacciare in questo articolo a proposito del rapporto tra i vari tabù e il "sacro", il "santo", i "no vax", l'"antifascismo e la democrazia" ecc. ecc., basta osservare che l'unico tabù che non viene citato, e di cui ovviamente non viene messa in discussione la legittimità, è quello concernente la proprietà privata. Sennonché qui si tratta della vera e, in apparenza, inestirpabile radice di tutti i tabù che caratterizzano la nostra società. Infatti, è l’esistenza stessa della proprietà privata che determina l’ineluttabilità della sua violazione e quindi della sua difesa. Un giorno sarà ineluttabile anche il suo superamento, ma per ora è la sua difesa che diventa un elemento produttivo tra altri. Vale la pena, allora, di citare un libretto intitolato “Elogio del crimine”, Edizioni Nottetempo, basato su un testo di Marx e commentato da Andrea Camilleri, noto scrittore di romanzi ‘gialli’. In questa società il crimine produce diritto e casseforti, giudici e scassinatori, sbirri e letteratura, ‘hardware’ e ‘software’; alimenta la produzione di merci e servizi, assorbe manodopera in esubero del ciclo industriale, produce valore aggiunto e quindi fa aumentare il sacro PIL. I fautori della “sicurezza”, da Salvini a Minniti, non dovrebbero lamentarsi: il crimine è progresso. Riporto, pertanto, a beneficio e (spero) risarcimento dei lettori di questo mefitico articolo sui tabù (veicolante una forma di apologia indiretta del sistema, come tutti gli ideologemi e i mitemi che escono dall'utero sporco dell'ideologia fascista), uno dei passi più brillanti, caustici e paradossali che siano mai usciti dalla penna di Karl Marx: un passo tratto dal cosiddetto quarto libro del “Capitale”, intitolato “Teorie sul plusvalore”, impegnato, si badi, a satireggiare uno dei più volgari luoghi comuni dell’economia politica borghese, ossia “la concezione apologetica della produttività di tutte le occupazioni”:
«Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici.
Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo “La colpa” del Müllner e “I masnadieri” dello Schiller, ma anche l’“Edipo” [di Sofocle] e il “Riccardo III” [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione […].
Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? Il Mandeville, nella sua “Fable of the Bees” (1705), aveva già mostrato la produttività di tutte le possibili occupazioni ecc., e soprattutto la tendenza di tutta questa argomentazione: “Ciò che in questo mondo chiamiamo il male, tanto quello morale quanto quello naturale, è il grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida base, la vita e il sostegno di tutti i mestieri e di tutte le occupazioni senza eccezione […]; è in esso che dobbiamo cercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze; e […] nel momento in cui il male venisse a mancare, la società sarebbe necessariamente devastata se non interamente dissolta”. Sennonché il Mandeville era, naturalmente, infinitamente più audace e più onesto degli apologeti filistei della società borghese.»
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Francesco Zucconi
Wednesday, 12 December 2018 21:45
Ottimo lavoro! In questo contesto la
lettura dell'opera di un Gue'non
può essere molto istruttiva!
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