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Coordinamenta2

“La salute e un par de scarpe nove”

di Elisabetta Teghil

scarpe nuove… Quanno c’è ‘a salute c’è tutto
Basta ‘a salute e un par de scarpe nove
Poi girà tutto er monno
E m’accompagno da me

Tanto pe’ cantà- (E.Petrolini 1932) Nino Manfredi 1970

La lucidità di pensiero è stata destabilizzata da un virus, il Covid-19. Improvvisamente (quasi) tutti e tutte tre mesi fa, sinistra di classe compresa, sono stati colti/e dalla paura della malattia e del contagio. Il <qui si muore> è stata la risposta secca e anche violenta a qualsiasi tentativo di analisi e di riflessione sulla propaganda terroristica e sul controllo asfissiante messo in atto dal sistema di potere a cui non si è mai accompagnata, guarda caso, nessuna indagine degna di questo nome sulle cause reali e sulle ragioni della propagazione del virus soprattutto in Lombardia. C’è in ballo la salute, la salute è la cosa più importante è stato il refrain di questi mesi.

Ma che cos’è la salute? Cosa significa essere in salute, mantenersi in salute? La salute fisica e mentale, poi, sono inscindibili e sono il risultato dell’equilibrio del nostro essere. Non stiamo qui ad indagare posizionamenti e teorie, ci perderemmo nei meandri di una discussione senza fine ma sicuramente la salute non è legata ad una specifica malattia piuttosto dipende dalla qualità della vita e anche della morte in quella che sembra una contraddizione ma non lo è. E la qualità della vita proprio perché non dipende dalla presenza o dall’assenza della malattia non è altro che il rapporto intercorrente tra i nostri desideri e la possibilità di realizzarli, tra il nostro senso della vita e la rispondenza reale che a questo senso viene data.

Altrimenti perché ci sarebbe chi è disposto a giocarsi la vita per un ideale politico o a rischiarla per un traguardo che sia il raggiungimento di una cima inesplorata o la trasvolata dell’Atlantico o, molto più semplicemente, a indebitarsi per comprarsi una casa sapendo che molto probabilmente dovrà sfiancarsi di lavoro e mangiare come insegna la saggezza popolare “pane e cipolle”?

Pensate veramente che abbia avuto importanza la salute nuda e cruda per chi si è fatto/a ammazzare nelle piazze e nelle lotte per una vita che valesse la pena di essere vissuta? o per chi ha passato lunghissimi anni in carcere, per chi ha fatto il partigiano/a in montagna o semplicemente i picchetti alle quattro di mattina nel gelo dell’inverno?

Tra l’altro la propaganda mediatica terrorizzando le persone rispetto ad una singola malattia ha fatto di colpo dimenticare che si muore tutti i giorni, con numeri altissimi, continuamente, di cancro e di infarto, di malattie cardiovascolari e ictus, di tranquillanti e di ansiolitici… per quello che mangiamo e per quello che beviamo, per i luoghi che abitiamo, per il lavoro che facciamo, perché dobbiamo essere sempre efficienti e disponibili… e per questo ci dobbiamo imbottire di farmaci con lauti guadagni per le case farmaceutiche e per il business sanitario.

Raramente la distanza tra il concetto di salute propagandato dalla filiera sanitario-scientifica e la possibilità di salute reale delle persone è stata così grande.

La scienza, la ricerca scientifica, la medicina, come qualsiasi altra cosa non sono neutre, non sono asettiche e nemmeno imparziali. Possono essere piegate a seconda delle esigenze a questo o a quel risultato, possono essere usate per questo o quell’obiettivo e addirittura il tipo di ricerca effettuato è dovuto a questo o quell’interesse, a questo o quell’indirizzo di mercato. Le potenzialità insite nella scienza come strumento di controllo, indirizzo e uso delle coscienze e dei corpi e come volano economico, di mercato, di sfruttamento e di profitto sono state da subito chiare alla borghesia fino ad arrivare allo scientismo attuale vero e proprio pilastro dell’organizzazione di potere. Si aprono qui scenari inquietanti sull’uso e la manipolazione delle menti e dei corpi, sulla trasformazione stessa degli esseri umani e della terra, sulla creazione di individui addomesticati e ubbidienti. Di questo ormai sono consapevoli in molti/e.

E, allora, come può essere che invece di scatenare reazioni forti e lucide, invece di aprire nelle persone scenari di consapevolezza con azioni adeguate, perfino la sinistra di classe si sia fatta chiudere in casa, abbia indossato inutili mascherine, abbia assunto il distanziamento sociale, abbia barattato la necessità di agire politicamente con l’ubbidienza alle disposizioni del così detto lockdown? La mancata reazione fattiva ai provvedimenti polizieschi e al controllo sociale serrato ha contribuito non poco a confermare nei cittadini la sensazione della necessità di queste modalità e ha messo le premesse perché queste stesse modalità possano essere usate in futuro per qualsiasi altra occasione si inventi il sistema di potere. Ingenerando oltre tutto nella gente uno spaesamento dovuto alla percezione netta che il malessere che la attraversava fosse alla fin fine un problema personale di incapacità di adattamento.

Non ce la giochiamo forse ogni giorno la salute nuda e cruda per un paio di occhiali da sole, per un telefonino, per un lavoro? Detta così, in maniera secca, può essere un’affermazione destabilizzante, ma forse che non sappiamo come funziona questa società, non sappiamo che ogni giorno barattiamo la nostra salute per le illusioni che ci propina un modello economico che invece tesse trame contro di noi? Che ci farà morire alla prossima qualsivoglia occasione che non occorre che sia tremenda o emergenziale ma che costituisce la norma della nostra vita? non lo sappiamo questo, cioè che noi la salute la perdiamo ogni giorno? Il castello messo insieme sul Covid-19 è una grande mistificazione e non perché le persone non siano morte, quelle sono morte davvero, ma è una mistificazione che un virus ci faccia morire di più di quello che ci succede tutti i giorni.

La società neoliberista della democrazia riformista, del politicamente corretto, dello scientismo si è impossessata anche della morte. Il marketing della morte decide quando serve che alcune morti siano esaltate come nelle immagini delle file di camion con le bare che lasciano il cimitero di Bergamo e quando siano silenziate come i morti di cancro nelle zone industriali. Decide a tavolino il concetto di morte cerebrale e si arroga il diritto di decretare quando e come un essere umano può essere giudicato morto per poter avere organi di ricambio a suo piacimento. E lo decreta per legge. E’ lo Stato etico, quello che decide per noi quando e come ci possiamo divertire o lavorare, dormire o mangiare, studiare o sognare, spaventarci e chiuderci in casa o uscire e vedere gli amici, ma non tutti, un po’ alla volta, quello che decide se ci dobbiamo mettere le mascherine o no. Quello che decide quando, come e se possiamo vivere o morire.

E come per la salute, raramente la distanza tra democrazia reale e democrazia formale è stata così grande. Quasi ovunque, nei paesi <democratici avanzati>, esecutivi di fragile legittimità governano da anni senza e spesso contro il consenso popolare. Il potere esecutivo si è reso autonomo dalla società imponendole in una cieca marcia forzata neoliberista e neoconservatrice, “riforme” sociali regressive e misure normative e poliziesche sempre più repressive.

L’arretramento della <democrazia> è sconvolgente, in nome di uno stato di emergenza dichiarato a piacimento si procede alla demolizione sistematica dell’ordine costituzionale. Governare per mezzo di ordinanze e decisioni dall’alto è diventata pratica normale dell’esecutivo con la metodica operazione di frantumare ogni giorno attribuzioni e competenze di altri rami del potere e con l’apertura della strada di una sorta di<legalizzazione> di questo modo di operare. Le protezioni che, di norma, in una società così detta democratica controllano l’uso arbitrario del potere coercitivo dello Stato sono saltate. Si assiste così ad una riconfigurazione della sovranità che rinnega perfino i principi fondatori del liberalismo classico. Nella teoria liberal-democratica, lo stato di emergenza, il<potere prerogativo> di chi governa, nella terminologia di Locke,è un’eccezione destinata a salvare la norma fondamentale, cioè esattamente l’ordine costituzionale. In uno stato di allerta permanente, l’eccezione diventa la regola così ci ritroviamo da anni ormai l’esercito nelle strade perché avrebbe dovuto proteggerci da non meglio identificati attacchi terroristici o combattere lo sciacallaggio nelle zone terremotate, ci ritroviamo le città e i territori cosparsi di telecamere per la così detta sicurezza contro ultras, facinorosi, malfattori, stupratori… ”avremmo dovuto riprenderci la notte e invece ci siamo ritrovate sole con le telecamere” ha scritto tempo fa molto lucidamente una compagna femminista in occasione dello stupro e del femminicidio di Desirée Mariottini. E così ora nel frangente del Covid-19 avremmo dovuto riprenderci il senso della vita e invece ci siamo ritrovati/e da soli/e con una accelerazione fortissima del controllo, della repressione e dell’addomesticamento.

Per questo è necessario ripartire dai fondamentali, come si usa dire nel gioco del calcio. Il neoliberismo ha patriarcalizzato la società tutta, ha fagocitato nei suoi meccanismi ogni momento del nostro vivere, non abbiamo più spazio o tempo che ci appartenga realmente come per noi donne nel lavoro riproduttivo e di cura e spazio e tempo sono scanditi dal dominio. La capacità di capire cosa ci fa star bene e cosa ci fa star male nel dipanarsi della nostra esistenza vuol dire recuperare la politicità del privato, concetto che invece ormai viene rimbalzato come uno spot pubblicitario, mercificato e privato di qualsiasi contenuto reale, e renderci conto che qualsiasi mutamento e trasformazione sociale trasformeranno anche il nostro essere. La mancanza di socialità, il distanziamento, lo smart working, le mascherine, la cultura del sospetto e della diffidenza, la paura, l’affidamento e la delega sulle nostre scelte e sulle nostre modalità di vivere a chi detiene il potere ci trasformeranno in qualcosa di altro, perché il privato è politico e il sociale è il privato.

E’ accaduto un fatto devastante, l’essere umano-merce è senza “coscienza per sé”, è coscienza del capitale che opera per il suo tramite. Dominio reale del capitale oggi significa assoggettamento della coscienza individuale ai programmi di comportamento neoliberisti. Il capitalismo è metabolismo sociale e investe tutti i rapporti sociali e pertanto l’alienazione della coscienza individuale è generale e la si recupera con la rimozione di quei rapporti sociali di produzione che l’hanno generata. Le persone vengono programmate secondo i rapporti di riproduzione neoliberisti e così il dramma sociale è la riproduzione automatica, inconscia della programmazione fatta per loro dal capitale. E’ questa catena che va spezzata e si può spezzare solo ponendo le proprie pratiche politiche e personali fuori e contro questa società.

Riaffermare la nostra autonomia e autodeterminazione sottraendoci a questi valori mortiferi tutti i giorni e in tutti i momenti della nostra quotidianità dovrebbe diventare esercizio del nostro vivere trasmissibile così anche ad altre e altri: rompere l’assuefazione al controllo, ribaltare la colpevolizzazione in cui ci vogliono invischiare, recuperare la capacità di indignarci, rifiutare il feticcio della legalità, promuovere la criticità verso la meritocrazia, la gerarchia, l’autorità, smascherare l’uso improprio e di parte di parole come responsabilità, bene collettivo, solidarietà, unità di intenti…che vengono usate dal potere per sottomettere le singolarità ai suoi scopi e fini, esercitare il coraggio di esprimere apertamente la propria opinione.

Lo stato di emergenza permette allo Stato di trascendere la società e di imporre la sua autonomia dittatoriale. Avendo così acquisito il monopolio dell’azione e della decisione politica, lo Stato, incarnato da coloro che decidono dell’emergenza, diventa veramente sovrano e gode di poteri illimitati. La sua vera essenza si disvela quindi in situazioni di urgenza quando sceglie il nemico e decide di combatterlo. Quindi l’emergenza diventa fondamento ontologico dello Stato. Inoltre presentando l’emergenza non come un tempo e uno spazio circoscritti, ma come proveniente da una minaccia di cui non si conoscono veramente i contorni si fa in modo che il futuro sia un tempo senza certezze affidato alle decisioni e alla discrezionalità del sovrano di turno presentato come detentore della tutela e della protezione. Dovremmo rinunciare alla libertà per “proteggere” la nostra vita e andare a comprarci un paio di scarpe nuove.

Si va verso la monopolizzazione del vivente, accompagnata da un sequestro della vita reale da parte di chi pretende di tirarne le fila.

Tutto questo con l’esaltazione del moralismo che rigetta e rimuove il materialismo nell’analisi del mondo sociale ed economico. Si assiste ad un rivolgimento simbolico fondato sulla naturalizzazione degli schemi del pensiero neoliberale in conformità con il modello nord americano accettata con rassegnazione come sbocco obbligato quando non viene celebrata con entusiasmo gregario. Questo potere, come quello nazista, vuole basare il suo dominio sull’assenza di controparte, tutte le forme diverse e singolari sono eresie e perciò destinate a scomparire. Siamo tutti nella condizione di schiavi ai quali, se viene fatta salva la vita, contraggono un debito indissolubile. E’ questo il cortocircuito che dobbiamo scardinare. Dobbiamo smettere di pensare con la testa del nemico.

 

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