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sinistra

Carlo Cafiero, il figlio del sole

di Salvatore Bravo

Carlo CafieroCarlo Cafiero (Barletta, 1º settembre 1846– Nocera inferiore 1892) ha vissuto con pienezza lo spirito di scissione, non è mai stato parte di nessun movimento in toto, ha sempre mantenuto distanza critica rispetto ad ogni appartenenza, si sentiva legato piuttosto all’umanità, ha messo la sua cultura, il suo impegno al servizio degli esseri umani. E’ la testimonianza viva, su cui si dovrebbe riflettere, che l’essere umano non è l’effetto del modo di produzione, ma vi è un’eccedenza, una resistenza al potere ed ai condizionamenti che permette la libertà critica.

Di famiglia agiata, i Cafiero erano una delle famiglie più rilevanti di Barletta e di Puglia, già avviato alla carriera diplomatica, ha il coraggio della scissione, abbandona le certezze e le agiatezze per impegnarsi politicamente a favore degli ultimi, di coloro che non hanno le parole per testimoniare e denunciare la violenza dello sfruttamento. La sua vita è stata tragica, termina i suoi giorni in manicomio, ciò malgrado la sua breve parabola vitale dimostra che la natura umana è capace di vivere l’universale fino alle estreme conseguenze. In un pianeta che è ormai un immenso mercato, in cui le istituzioni formano il consumatore e non la persona, Cafiero è un esempio vivo che vi sono possibilità imprevedibili nell’essere umano. Conobbe direttamente, forse Marx, sicuramente Engels con cui partecipò all’organizzazione dell’internazionale, ma il potere, in qualsiasi forma era per Cafiero il male del mondo, per cui si schierò con gli anarchici avvicinandoci a Bakunin conosciuto nel 1872. Lo divise dall’Internazionale e da Engels il modello di organizzazione che secondo Cafiero non doveva essere accentrato, ma libertario. Al collettivismo comunista, allo stato erogatore dei servizi predilesse il federalismo di società produttive: la libertà prima di tutto.

Nel 1877 a San Lupo nel Matese organizza un moto anarchico che non ha successo, ma sperimenta la propaganda del fatto, ovvero non si incoraggia l’insurrezione con verbosi proclami, ma con azioni effettive: gli archivi comunali furono bruciati, in quanto in essi vi erano documenti e dati che permettevano l’ingiusta tassazione. In carcere legge il Capitale di Marx, ne fa un compendio pubblicato da La Plebe, compendio che ha avuto una ventina di edizioni.

La figlia di Marx Laura Lafargue nel 1909 giudicò il lavoro di Cafiero un’ottima sintesi da diffondere tra le masse popolari. Il compendio non è pubblicato in Italia dal 1976, le ultime edizioni risalgono alla Nuova Sinistra Samonà e Savelli. pur avendo raggiunto nelle sue edizioni la tiratura notevole di centomila copie.

L’esperienza del carcere mina la sua salute mentale, comincia, così, il declino che lo porterà al manicomio. Resta un anarchico tormentato dai dubbi fino alla fine che si consuma nel manicomio di Nocera inferiore. Anche nei giorni bui della follia le sue parole non sono sconnesse, ma palesano l’appartenenza al mondo e non alle cose1:

Un giorno di primavera del 1891 gli anarchici Amilcare Cipriani e Paolo Schicchi, in un momento di libera uscita dalle prigioni del Regno, salivano al manicomio di Nocera per visitare il loro compagno Cafiero. Trovarono il malato che se ne stava, com’era sua abitudine o mania, mezzo nudo al sole. Interrogato sulla ragione di questo comportamento, Cafiero additò il sole e disse ’Quello è mio padre’. La frase non va presa come una delle tante, sconnesse e strane, uscite da un cervello infermo ma ricollegata ad un mondo di simboli che popolano, non senza coerenza, la fantasia del malato. Cafiero si sentì sempre nella sua vita un figlio del mezzogiorno, di una terra la cui unica ricchezza era il cielo. Anche certi tratti della sua personalità e del suo pensiero, trascorrenti all’immaginazione e all’astrazione, richiamavano la sua origine meridionale”

La vita difficile tra arresti, persecuzioni ed incomprensioni in famiglia sicuramente hanno contribuito alla follia di Cafiero, la quale resta un mistero, la nostra certezza è che non fu un facitore di parole, e che in pochi si rammentano di lui.

 

Introduzione al Capitale

L’introduzione al Compendio del Capitale ci descrive l’uomo Cafiero, ci fa intuire la sua adesione al pensiero marxiano: dinanzi allo sfruttamento, all’umiliazione dei lavoratori la sua coscienza etica non può tacere. Cafiero sente che l’altro non è a lui estraneo, ma è parte di lui, ne condivide la natura, per cui il privilegio in cui è nato, la sua cultura sono messe a disposizione dell’umanità. E’ un ‘umanista come Marx, pone al centro del suo agire il dolore dell’altro che è poi razionalizzato. Non il Marx delle formule, ma il Marx che lotta contro l’ingiustizia vuole diffondere, vuole denunciare l’insopportabile. Le formule economiche sono importanti ma hanno la funzione di dimostrare l’ingiustizia2:

Questo primo libro del Capitale, scritto originalmente in tedesco e poscia tradotto in russo e in francese, è ora brevemente compendiato in italiano nell'interesse della causa del lavoro. Lo leggano i lavoratori e lo meditino attentamente perché in esso si contiene non solamente la storia dello Sviluppo della produzione capitalista, ma eziandio il Martirologio del lavoratore. E finalmente, farò anche appello a una classe altamente interessata nel fatto della accumulazione capitalista, alla classe cioè dei piccoli proprietari. Come va che questa classe, un giorno tanto numerosa in Italia, oggi si va sempre più restringendo? La ragione è molto semplice. Perché dal 1860 l'Italia si è messa a percorrere con più alacrità il cammino, che devono necessariamente percorrere tutte le nazioni moderne; il cammino che mena all'accumulazione capitalistica, la quale ha in Inghilterra raggiunta quella forma classica, che cerca di raggiungere in Italia come in ogni altro paese moderno. Meditino i piccoli proprietari sulle pagine della storia d'Inghilterra riportate in questo libro, meditino sull'accumulazione capitalista, accresciuta in Italia dalle usurpazioni dei grandi proprietari e dalla liquidazione dei beni ecclesiastici e dei beni demaniali, scuotano il torpore che opprime loro la mente e il cuore, e si persuadano una buona volta che la loro causa è la causa dei lavoratori, perché essi saranno inevitabilmente ridotti tutti, dalla moderna accumulazione capitalista, alla trista condizione: o vendersi al governo per la pagnotta, o scomparire per sempre fra le dense file del proletariato”.

L’analisi di Cafiero non si limita allo scandalo etico, ma esprime un giudizio sul modo di produzione capitalistico, esso ha come fine il plusvalore, riproduce ed amplifica se stesso in modo esponenziale, pertanto l’accumulazione delle ricchezze si concentrano sempre più in pochi spingendo il ceto medio verso la proletarizzazione. Il processo di violenza acquisitiva è colto nelle sue dinamiche sociali. Rivolge il suo messaggio non solo ai precari, ma anche al ceto medio sconfitto dalla finanziarizzazione dell’economia.

 

Martirologio del lavoratore

Nel compendio sono riportati brani tratti dal primo libro del Capitale di Marx. I testi in genere riguardano la condizione del lavoratore, lo stato di miseria umana ed economica in cui è costretto a vivere. Si può cogliere la dicotomia limitato-illimitato . Le forze del lavoratore sono limitate, ma lo si coarta ad uno sfruttamento illimitato, poiché il mercato ed il compratore sono mossi dall’illimitato. Il sistema è attraversato da un’insanabile e terribile contraddizione che tutto divora3:

Come si vede, siamo entro limiti molto elastici e la natura stessa dello scambio delle merci non impone alcun limite alla giornata di lavoro. Il capitalista sostiene il suo diritto come compratore, quando cerca di prolungare questa giornata il più che gli è possibile e di fare di due giorni uno solo. D'altra parte la natura speciale della merce venduta esige che il suo consumo per il compratore non sia illimitato, e il lavoratore sostiene il suo diritto come venditore, quando vuole restringere la giornata di lavoro ad una durata normalmente determinata. V'ha dunque diritto contro diritto, tutti due portanti il sigillo della legge che regola gli scambi delle merci. Fra due diritti uguali chi decide?".

 

La tecnologia contro l’’essere umano

Le tecnologie, l’automazione ripongono la loro teleologia nelle scelte dell’essere umano, possono essere usate contro l’umanità ed a favore dell’accumulo di pochi oppure come ipotizzava Marx a favore dell’umanità con il general intellect. Cafiero riporta un brano di Marx in cui le tecnologie divengono parte del dispositivo di controllo e sfruttamento. Marx non ha mai utilizzato il termine Capitale o capitalismo, ma modo di produzione capitalistico, come ha fatto osservare Costanzo Preve, in quanto il modo di produzione capitalistico diviene il dispositivo aninimo ed impalpabile che si installa negli esseri umani, cerca di sostituire la natura umana con una nuova natura orientata in ogni agire e relazione all’economicismo ed allo sfruttamento. Cafiero, non a caso, riporta un brano in cui l’essere umano è solo l’appendice del sistema, e dunque da ciò si può trarre la conclusione che la storia debba terminare con il modo di produzione capitalistico per il sistema capitale4:

«La manifattura rivoluziona da cima a fondo il modo di lavoro individuale e attacca nella sua radice la forza lavoro. Essa storpia il lavoratore, essa fa di lui qualche cosa di mostruoso, attivando lo sviluppo fittizio della sua abilità di dettaglio e sacrificando una grande quantità di disposizioni e d'istinti produttori, nella stessa guisa che, negli Stati della Plata, si immola un toro per avere la sua pelle ed il suo sego.» «Non è solamente il lavoro che è diviso, suddiviso e ripartito fra diversi individui, è l'individuo stesso che è sminuzzato e trasformato in molla automatica in una operazione esclusiva, di guisa che si trova realizzata la favola assurda di Menenio Agrippa, rappresentante un uomo come frammento del suo proprio corpo. Stewart chiama gli operai delle manifatture automi viventi impiegati nei dettagli di un'opera.»"

 

Una nuova servitù della gleba

L’operaio vive in modo completo, per tutti, la negazione della natura umana. L’artigiano e il lavoratore nella manifattura usavano i loro strumenti di lavoro, per cui erano attivi verso di essi, controllavano le fasi della realizzazione del prodotto, mentre nel modo di produzione capitalistico il lavoratore è il servo della macchina, è in una posizione di passività totale. E’ un’appendice della produzione, del mercato, del plusvalore, è “niente” nelle mani di un potere anonimo5:

«Nella manifattura e nel mestiere, l'operaio si serve del suo istrumento; nella fabbrica, egli serve la macchina. Là, il movimento dell'istrumento di lavoro parte da lui; qui, egli non fa che seguirlo. Nella manifattura gli operai formano tante membra d'un meccanismo vivente. Nella fabbrica, essi sono incorporati ad un meccanismo morto, che esiste indipendentemente da loro. La facilità stessa del lavoro diventa una tortura, nel senso che la macchina non libera l'operaio dal lavoro, ma spoglia il lavoro del suo interesse. Il mezzo di lavoro, convertito in automa, si drizza innanzi all'operaio, durante il processo del lavoro, sotto forma di capitale, di lavoro morto, che domina e inghiotte la sua forza vivente.»"

Cafiero è sicuramente un caso di coscienza infelice della borghesia, nella contemporaneità tali casi sono divenuti rari, poiché il modo di produzione capitalistico marca le differenze reddituali, ma omologa i costumi, i pensieri, i comportamenti. La natura dell’essere umano resta il pensiero con le sue potenzialità, pertanto la storia è esposta all’imprevedibilità, e uomini come Cafiero sono un esempio vivente dello spirito di scissione.


Note
1 Carlo Masini Carlo Cafiero Rizzoli 1974 pag. 11
2 Ibidem pag. 5
3 Ibidem pp. 11 12
4 Ibidem pag. 18
5 Ibidem pag. 24

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