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sinistra

2 + 2 = 5. L’emulazione socialista in URSS. Parte IV

di Paolo Selmi

Qui, qui e qui le parti I, II e III

225 I puntata html f791dd08ae94218eCari compagni,

questo lavoro è nato come paragrafo alla parte introduttiva del manuale sulla pianificazione che sto traducendo. Poi, le questioni sollevate man mano che la ricerca proseguiva erano tante e tali... che in questi mesi è diventata una piccola monografia: 150 pagine delle mie, un libro vero e proprio usando un'impaginazione editoriale. Per motivi di dimensione, difficile da gestire anche per software potenti come l'editor di sinistrainrete.info, è stata decisa una suddivisione (del tutto strumentale) in quattro puntate. Lo scopo primario di questo lavoro è stato riproporre e sviluppare alcune questioni su cui e, peggio ancora, di cui oggi nessuno parla quando si parla di socialismo e di storia sovietica. Lo scopo ultimo e, infine, l'auspicio con cui chiudo queste poche righe è che ciascuno di voi, sia singolarmente che come gruppo di lavoro e collettivo di ricerca, tragga da questi materiali, la cui traduzione è inedita nella stragrande maggioranza dei casi, spunto per ulteriori analisi, riflessioni, collegamenti, approfondimenti. Di carne al fuoco ce n'è davvero molta, per cui grazie per l'attenzione, per le osservazioni, per gli spunti che vorrete condividere, ma soprattutto...

Buona lettura!

* * * *

E dopo?

Il quadro era tutt’altro che roseo, alla fine del secondo conflitto mondiale: uno sfacelo economico mai visto nella Storia dell’uomo laddove, in aggiunta a quanto già riportato in questo stesso lavoro1, possiamo aggiungere dati più specifici relativi all’agricoltura, nella convinzione che ripeterli non sarà mai abbastanza per denunciare quanto accaduto:

Il danno, arrecato dagli occupanti fascisti all’agricoltura, fu calcolato in alcune decine di miliardi di rubli (prezzi del 1945-46). Nei territori occupati dai fascisti, prima della guerra si produceva fino al 55% dell’intero raccolto sovietico, di cui il 75% di grano, quasi il 90% di barbabietola da zucchero, il 65% di girasoli, il 45% di patate; inoltre, si produceva il 40% dell’allevamento sovietico, di cui il 65% di carne suina, il 40% di derivati del latte, ecc. Duecentomila fra trattori e macchinari agricoli, ovvero il 30% dell’intero parco macchine agricole sovietico del 1940, erano stati completamente distrutti dagli occupanti. Venticinque milioni di capi in meno rispetto al 1940, e il 40% in meno di aziende di trasformazione alimentare, completavano il quadro.2

Il tutto, peraltro, avveniva con l’aggravante diuna condizione di completa solitudine, dal punto di vista delle risorse esterne su cui contare,dovuta all’incombente guerra fredda, ai finanziamenti capestro degli istituti esteri e che, pertanto, li costringeva a fare affidamentosolo sulle proprie forze (se si eccettuano le riparazioni per i danni di guerra, su cui peraltro occorrerebbe compiere un discorso a parte).Aggiungiamo, al danno la beffa che, in tale situazione disastrata, Gran Bretagna e Francia pretendessero carne (180 mila tonnellate dal 1945 al 1952, dati FAO) e farina di frumento e mangimi (850 mila tonnellate nello stesso arco di tempo) in cambio della valuta di cui i sovietici avevano assoluto bisogno per i propri approvvigionamenti di macchinari e strumentazioni sul mercato estero, prima di togliersi da quella dipendenza tecnologica da cui poi, fortunatamente per loro, si sarebbero definitivamente liberati3. Ma su questo, oggi, si preferisce glissare.

Inoltre, per quanto paradossale potesse essere, in tale condizione disastrata erano loro a dover ricostruire e sostenere economicamente, a dover fare da “grande fratello maggiore” (lao dage老大哥) agli stessi che, dieci anni più tardi, dopo essersi fatti letteralmente ricostruire a fondo perduto, impostare e realizzare il primo piano quinquennale, arricchire di infrastrutture, tecnologie e mezzi in ogni settore, come segno di ringraziamento gli avrebbero dato il benservito. Lo stesso stava accadendo per la Germania dell’Est, per l’Austria, per gli altri Paesi dell’Est, per la Corea del Nord, per la Mongolia e per il Vietnam4. Lo stesso sarebbe accaduto più tardiper l’Egitto di Nasser (diga di Assuan ‎السد العالي, al-Sadd al-ʿĀlī , "Alta Diga"), per gli indiani di Nehru in ogni settore (ma in maniera meno appariscente che a Pechino) e, praticamente, per un verso o per l’altro, per mezzo mondo. Anche di questo nessuno parla, ovviamente.

Infine, è da sottolineare come nell’immediato occorresse riconvertire l’intero apparato industriale che era completamente sbilanciato a favore del complesso militare.Le fabbriche erano state spostate e create ex novooltre gli Urali, in Siberia, nelle Repubbliche socialiste sovietiche asiatiche, ma cosa avevano iniziato a produrre? La seguente tabella mette a confronto la dinamica della produzione industriale complessiva (indice 100 a dicembre 1940 quindi, crollata a 51 l’anno dopo e, anno dopo anno, risalita nella progressione 77-90-93 al dicembre 1944), con la dinamica dell’industria bellica, nella fattispecie aviazione, carri armati, artiglieria e munizioni, più che raddoppiata (posto a 100 il valore di dicembre 1940, 229 era il valore del dicembre 1944)5:

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In tale contesto, la destinazione d’uso della produzione industriale non poteva che essere bellica per la stragrande maggioranza (67% vs 33% nel 1942), con un inizio di riequilibrio nel 1945, come mostra questa tabella che descrive, anno dopo anno, la proporzione fra produzione bellica (prima riga) e civile (seconda riga)6:

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Oltre, quindi, a quanto già elencato a livello di problematica, c’era anche quello di una seria riconversione di un intero apparato industriale, insieme alla sua ricostruzione dalle fondamenta laddove i nazifascisti l’avevano rasa al suolo.

In tale contesto, ripristinare un’economia e una socialità distrutte, rimettere insieme i cocci e ricostruire, pezzo dopo pezzo, mattone su mattone, era tutto fuorché “produttivismo”. Determinate dinamiche, determinati processi, potevano e dovevano essere condotti a un ritmo accelerato per fare fronte alle crescenti necessità e a futuri scenari tutt’altro che rosei.In tal senso, un’emulazione socialista condotta sugli slogan stacanovisti del passato recente tornava anche utile per motivare i lavoratori nel processo di ricostruzione: un’emulazione, peraltro, dove non è estraneo neppure l’elemento patriottico, l’orgoglio di essere, nonostante tutto e tutti, nonostante i venti milioni di morti, nonostante le macerie, ancora vivi, ancora in piedi, ancora capaci di riprendersi e ricostruire:

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“ Compagni elettori! Lavoratori dell’Unione Sovietica! Lottate per una ricostruzione la più veloce possibile e per l’ulteriore sviluppo dell’economia dell’URSS”: se vogliamo, a livello iconografico, anche la scelta dell’avvitatore pneumatico richiamava, in un altro settore (quello della cantieristica, col pilone da fissare), quello del martello pneumatico che aveva segnato l’iconografia del periodo appena trascorso, in una continuità per nulla casuale.

La società, nel frattempo, cambiava radicalmente. In soli vent’anni (1939-1959) gli operai con un grado di istruzione media e superiore erano passati dall’8,2% al 38,6%, i contadini colcosiani dall’1,8% al 22,6% e i tecnici e gli impiegati dal 51,9% all’89,37.

Quello, tuttavia, non fu affatto il mutamento più radicale. Per descrivere cosa attraversò l’economia e la società sovietica un solo quarto di secolo, per proseguire poi nell’ultima sua fase di esistenza, forse nemmeno un grafico fatto bene riesce a rendere l’idea. Andiamo con ordine e cominciamo a vedere come, nel secondo dopoguerra, l’URSS diventi progressivamente un Paese urbanizzato, di cittadini, con il sorpasso città-campagna databile intorno agli anni Sessanta8:

 

1913

1940

1959

1970

1979

1987

Residenti in città (%)

18

33

48

56

62

66

Residenti in campagna (%)

82

67

52

44

38

34

 

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Già questo dovrebbe spingerci ad alcune considerazioni circa questa curva, ancora non del tutto stabilizzata negli anni Ottanta (sia pur in calo): figli di contadini inurbati, fortissima mobilità interna fra le stesse repubbliche socialiste (e relativa attenuazione di quei nazionalismi che invece, sarebbero scoppiati successivamente, fomentati da chi aveva tutto l’interesse a concludere quell’esperienza il prima possibile, con l’unica accortezza di capire soltanto chi e come avrebbe gestito l’arsenale atomico disseminato su dieci fusi orari). In un quadro di questo genere, anche la struttura economica non poteva non cambiare. Diamo, tuttavia, un ultimo dato demografico, che interessò non solo l’URSS, peraltro, ma Paesi come la DDR. Gli oltre venti milioni di morti sovietici durante la guerra furono, in gran parte, uomini. Ancora nel 1959 il rapporto uomini/donne era 45%-55%, con le donne che superavano gli uomini di 20,7 milioni di unità (1959). Nel 1987 la differenza si era leggermente ridotta a 16,7 milioni9: forse, vale la pena di sottolineare questi aspetti, su cui noi non soffermiamo abbastanza la nostra attenzione, in riferimento ai danni mostruosi provocati dai nazifascisti. Aspetti che, a livello psicologico, mossero ancora di più la società sovietica nel suo complesso, anche nelle repubbliche più arretrate da questo punto di vista (Asia e Caucaso), verso una sempre maggiore parità di genere dettata, oltre che dalla teoria, dalla necessità di avere posizioni lavorative coperte tradizionalmente dagli uomini… da chi c’era, senza pensare troppo al fatto che una donna coi pantaloni e la tuta in una società maschilista come poteva essere, per esempio, quella azero-persiana (o quella cecena), fino ad allora si era cercato – nonostante i proclami rivoluzionari – di evitarla: da allora, sparirono tutti gli alibi, e anche l’emulazione socialista acquistò un’accelerazione in questo senso.

La tabella seguente10 ci restituisce, invece, a un tempo l’incremento della popolazione attiva e la sua strutturazione. I dati sono frutto dell’elaborazione di due tabelle, in quanto si differenziava fra contadini colcosiani e statali. Siccome è interessante invece considerare anche non solo il numero di contadini in totale, ma anche come parte dei colcosiani sia stata, col tempo, riassorbita dagli operai agricoli statali (sovchoz), la differenziazione è stata mantenuta, ma entro la stessa tabella e lo stesso grafico che di essa è frutto:

(milioni di persone)

1940

1960

1970

1980

1985

1986

Colcosiani

29,0

21,8

16,6

13,1

12,5

12,4

Operai – agricoltura

2,7

6,9

9,4

11,6

12,2

12,1

Operai – altri settori

21,2

39,3

55,5

67,2

69,5

70,0

Impiegati

10,0

15,8

25,3

33,7

36,1

36,4

Totale occupato

62,9

83,8

106,8

125,6

130,3

130,9

Il quadro ci restituisce una popolazione attiva, lavoratrice che, in quarant’anni e nonostante i già ricordati venti milioni di morti, raddoppiava, mutando radicalmente la propria composizione sociale. I contadini diminuivano di quasi sette milioni di unità, passando da 31,7 milioni a 24,5 ma le posizioni, sostanzialmente, erano mantenute con la già ricordata sostituzione della realtà colcosiana con quella dei sovchoz. Decollavano letteralmente, invece, le altre professioni che modificavano strutturalmente l’organico della forza lavoro sovietica, come questo grafico, tratto dalla tabella precedente, rende meglio visibile:

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Quest’ultima tabella11 entra, infine, nello specifico di alcuni settori chiave:

 

1940

1960

1970

1980

1985

1986

Totale forza lavoro (%)

100

100

100

100

100

100

Industria e cantieristica

23

32

38

39

38

38

Agricoltura e silvicultura

54

39

25

20

20

19

Trasporti e comunicazioni

5

7

8

9

9

9

Commercio e distribuzione

5

6

7

8

8

8

Servizi alla persona

6

11

16

17

18

18

Pubblica amministrazione

3

2

2

2

2

2

Altri settori

4

3

4

5

5

6

Notiamo come, di fatto, il peso specifico della popolazione impiegata nei cosiddetti settori non produttivi fosse più che triplicato in meno di mezzo secolo, arrivando al 43%; un dato che, unito a una percentuale di popolazione agricola più che dimezzata, ci porta a considerare come quelli che ho riassunto come “servizi alla persona” (categoria che riassume, con buona approssimazione, quanto riportato nella tabella: “Tutela della salute, cultura fisica e assistenza sociale; istruzione e formazione; cultura e arte; scienza e forniture scientifiche”) stessero diventando il secondo settore a più alta occupazione, mentre gli “Altri settori” racchiudevano “edilizia abitativa popolare e generi vari improduttivi di servizi” come ristorazione, ecc. Il relativo grafico è abbastanza esplicito:

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Per questo, parlare di emulazione socialista senza avere, almeno un minimo, presente questo mezzo secolo e i mutamenti epocali cui si è appena accennato, è impossibile. Naturalmente, partendo dal presupposto che sia impossibile parlare di cose che non si conosconoe che, per trarre anche un giudizio minimo, tirare uno straccio di conclusione, occorrerebbe – almeno una volta – essersi trovati realmente nei panni di chi gestì, di chi eseguì, e di chi fece entrambe le cose, in uno sforzo decisamente più titanico, più immane, più incredibile, di quello celebrato vent’anni prima nelle miniere del Donbass, il lavoro di riconversione, riorganizzazione, ripianificazione, dell’attività di decine e decine di milioni di lavoratrici (che come abbiam visto rappresentavano la maggioranza della forza lavoro) e lavoratori in mansioni del tutto inedite, con obbiettivi semplicemente impensabili fra le macerie ancora fumanti eppur realizzati: nel 1950 i pochi parametri peggiori eguagliavano quelli del 1940, tutti gli altri li superavano e non di decimali; 2+2 aveva fatto non 5, ma anche 6 e 7.

Per questo, parlare di emulazione socialista nel secondo dopoguerra non poteva che partire da dove ci eravamo lasciati in tempo di pace: il modello stacanovista e il lavoro d’assalto degli udarniki, da un lato e, dall’altro, una motivazione ben più percepibile, fra i lavoratori, a fare bene e meglio, data dall’essere sopravvissuti e ancora in piedi, anzi tutto, e da vincitori, il che non guasta, e dal fatto che prima si toglievano da davanti quelle macerie, prima si sarebbe potuto tornare a una parvenza di normalità.

Eppure, anche in questo caso assistiamo progressivamente a una trasformazione. L’emulazione è sempre più vista come momento, come categoria di un ampio movimento che vede il suo fulcro in una pianificazione sempre più precisa e controllata, oltre che da un lavoro sempre più coordinato degli inventori e razionalizzatori. A ciascuno il suo, senza colpi di testa, senza iniziative personalistiche, in una gestione sempre più equilibrata che tenesse conto di tutte le varie direttrici che correvano e si sviluppavano lungo tale movimento

Questo sarebbe stato il momento per partire anche con l’altro discorso, con la “seconda gamba”:momento perso e, vista la vicenda sovietica e socialista mondiale, se non per sempre, per un altro bel pezzo ancora (a esser ottimisti). Andiamo, però, con ordine. La critica di Kantorovič12 già esposta in apertura di questo lavoro diceva, sostanzialmente: basta lavorare in emergenza; oggi, dopo due anni di lavoro su questo tema, renderei così šturmovščina(штурмовщина) per differenziarlo dal lavoro d’assalto con cui definiamo quello degli udarniki. Tuttavia, quanto denunciato valeva anche per un’esperienza, di un’attività lavorativa centrata unicamente sulla mobilitazione individuale o di squadra verso il record.

Una conduzione ordinata, armonica, efficace dei processi disegnati in fase di pianificazione su basi oggettivamente determinate e su modelli graduali di raggiungimento, non poteva sopportare – in tutti i sensi del termine – nessun tipo di “sorpresa” che non comportasse, prima o poi (più “prima” che “poi”), la classica corsa ai ripari, la classica “pezza” e pure, come accadeva solo poco tempo prima, zitti e mosca, se non si voleva far la fine dell’ex-direttore della miniera di Stachanov, e di tutti i “sabotatori”, in qualche gulag con una condanna a quindici anni.

Assistiamo quindi al progressivo trionfo, senza troppi clamori, della linea di Izotov. Invenzioni (изобретении) e razionalizzazioni (рационализации) da applicare ai processi produttivi in maniera permanente e generale, da “mettere a giro” senza forzature: in questa ricetta possiamo racchiudere l’intera concezione di emulazione socialista nell’ultimo periodo.

Un’emulazione che si fondava fu un forte senso del collettivo, a differenza del passato recente, già a partire dal soggetto protagonista. Tale fenomeno era riscontrabile persino fra gli inventori e i razionalizzatori, come ben evidenzia questo saggio, che tra l’altro ci mostra come non solo “un altro mondo sia possibile”, come ci si riempie la bocca da trent’anni senza far nulla da queste parti, ma lo sia stato per davvero proprio laddove a nessuno, neppure dei nostri (figurarsi degli altri!), interessa realmente andare a guardare, foss’anche solo per curiosità. Uno potrebbe dire, di questo fenomeno, che pure da noi ormai, e da tempo, le ricerche sono condotte per squadre, per gruppi di lavoro, universitari e privati. Si, tanto piacere… i centri di ricerca ce li avevano anche loro, e se fino a oggi han traghettato su e giù per la stazione spaziale astronauti di ogni nazionalità con un vettore, la Sojuz, che di sovietico non ha solo il nome13, da otto anni compresi gli statunitensi a botte di novanta milioni di dollari a passaggio, finché non han trovato Musk che probabilmente glieli dà a meno, ma sempre grazie a componentistica – sul suo mezzo – russa ex-sovietica14 (cosa su cui tutti in Occidente hanno glissato allegramente), proprio così male non lavoravano.

Qui si parla d’altro: di semplici lavoratori, operai, impiegati, quadri che la sera, dopo le otto ore, si ritrovavano perché credevano, per esempio, in un modo diverso, a loro avviso migliorativo, di fare un loro stampo, e su quello lavoravano, per metterlo su un loro macchinario, per far partire la loro linea, nel loro stabilimento, e fare così un loro prodotto migliore per loro stessi, ovvero tutti, compresi quelli che ora stanno leggendo queste quattro righe col sorrisino tra i denti e che se fossero stati là, in quel momento, dei benefici apportati da tale miglioria avrebbero usufruito al pari di tutti gli altri.

Uno di essi, per esempio, era nato il 10 novembre 1919 in una famiglia contadina, numerosa (12 figli, di cui solo 8 sarebbero sopravvissuti ai primi anni di vita), di un piccolo villaggio degli Altaj, con un’istruzione media (nove anni di scuola dell’obbligo) e un ulteriore periodo di formazione durante la sua leva militare nell’Armata Rossa: una leva iniziata nel 1938 e che sarebbe durata, come per altri milioni di connazionali (sopravvissuti), quasi un decennio.Lì aveva concluso la scuola di meccanico e carrista e si era già distinto come inventore, lavorando di fresa e tornio per creare o apportare migliorie a elementi meccanici del sistema di tiro o di movimento dei carri, notato e premiato peraltro da un certo generale Georgij Konstantinovič Žukov (1896-1974). L’inizio della II Guerra mondiale lo vide, con il grado di sergente maggiore, alla guida del suo carro armato, condurre operazioni belliche contro i nazifascisti fino all’incidente che avrebbe rivoluzionato la sua vita, e la vita di un intero pianeta: gravemente ferito a Brjansk (31 agosto 1941), fu quindi ospedalizzato a El’ce nella regione di Orlov. Ancora a letto, in convalescenza, un tarlo non lo abbandonava:

In ospedale io era come se rivivessi tutto quanto era accaduto nei mesi di guerra. Ancora, e nuovamente ancora, tornavo ai quei tragici giorni dove uscimmo dall’accerchiamento. Davanti agli occhi avevo sempre i miei compagni morti. Di notte, nel sonno, spesso sentivo ancora le scariche di mitraglia, e mi svegliavo di sobbalzo. Nell’edificio regnava il silenzio, interrotto soltanto dai gemiti dei feriti. Sdraiato, con gli occhi sbarrati, continuavo a pensare: perché nel nostro esercito ci sono così poche armi automatiche, leggere, a ripetizione rapida e senza problemi?15

Il resto della storia è noto.Quell’uomo, roso dai tormenti in un letto di ospedale, si chiamava Michele figlio di Timoteo Kalašnikov (1919-2013): uno che, con ancora nella mente le grida dei propri compagni uccisi dai nazifascisti e nel corpo il dolore fisico delle gravi ferite riportate, era giunto alla conclusione che “occorreva ideare e costruire un fucile mitragliatore semplice e affidabile ( простой и надежный), al punto che qualsiasi laboratorio artigianale (кустарная мастерская)fosse in grado di farne”16; uno che, partendo da zero, si era messo a lavorare su tubi cilindrici, molloni, scanalature, calci e meccanismi di scatto per realizzare “uno strumento per difendere il proprio Paese e il proprio popolo” (инструмент защиты своей страны, своего народа17).

Quel prototipo, nato da disegni su fogli di fortuna e raccogliendo racconti ed esperienze di reduci in un letto di ospedale, poi studiando da autodidatta la poca manualistica a disposizione, quindi costruendolocon la collaborazione dell’intera officina di riparazione di Matai (operai e direzione, ancora una volta emulazione socialista) dove era stato destinato dopo la convalescenza, prese poi il nome, una volta serializzato, di fucile Automatico di Kalašnikov da 7,62 mm – modello anno 1947 (AK-47) «7,62-мм автомат Калашникова образца 1947 г. (АК-47)».

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Torniamo ai nostri inventori e razionalizzatori. Nel secondo dopoguerra assistiamo non solo a un accento sempre più forte su tale movimento come fattore decisivo per una maggiore produttività e, pertanto, per una risoluzione di problematiche legate al completamento e al superamento dei piani senza fare ricorso alle leve della mobilitazione generale e del lavoro d’assalto, ma anche a una sensibile mutazione in senso collettivistico del fenomeno stesso.

Se fra 1918 e il 1925, il 98% delle invenzioni nel Paese era stata frutto di singoli inventori e solo il 2% di collettivi di fabbrica, già nel 1951-1956 le proporzioni si erano ribaltate con l’83% sul totale delle invenzioni a opera dei collettivi e solo il 17% ad appannaggio di singoli inventori. Degno di nota è anche il fatto che, la maggioranza delle proposte a opera dei razionalizzatori e inventori in questo periodo (oltre il 60%), sia diretta allo sviluppo dei settori chiave dell’industria. Alla fine degli anni Cinquanta, il movimento dei razionalizzatori e degli inventori era diventato autenticamente di massa, con oltre due milioni di partecipanti. […] Del carattere di massa della creatività artistica testimonia anche il peso specifico degli inventori e razionalizzatori in incremento sul totale dei lavoratori industriali: se nel 1950 tale indicatore era attestato al 3,9%, nel 1960 era già cresciuto al 10,9%18.

Circa le dimensioni di massa del fenomeno, esse erano poi cresciute notevolmente fino a che, nel 1982, i partecipanti al movimento erano divenuti 108,4 milioni19 pari, nel 1983, al 94% dell’intera forza lavoro20. Ciascuno col suo contributo, in termini sia di lavoro, che di migliorie continue allo stesso, aveva portato, nel 1981, a produrre in meno di un mese quanto prodotto in URSS nell’intero 1940 (14,6 volte la produzione del 1940, per la precisione), a equivalere la produzione annuale all’intera produzione mondiale del 1950 e alla produzione dell’intera Europa Occidentale del 198121.

Tali successi erano celebrati, nelle pubblicazioni didattiche, con la visualizzazione grafica di tali numeri laddove, per esempio, si riportava la quota percentuale di crescita della produzione industriale dovuta alla maggior produttività del lavoro dal primo all’undicesimo piano quinquennale22:

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Non solo, tuttavia. Dal punto di vista didattico importante era formare a una visione il più possibile completa del gigantesco complesso produttivo di cui, i lavoratori stessi, erano i padroni. Ecco, quindi, altri tipi di lucidi con questo tipo di funzione dove, per esempio, si illustrava il “prezzo di un minuto” (цена минуты): ogni minuto, nel Paese erano prodotti “articoli industriali per oltre 1,2 milioni di rubli, oltre 280 t di acciaio, 871 m3 di gas naturale, 1400 t di carbone”23, ecc. In altre pagine, invece, era fornita la formula per il calcolo dell’incremento della produttività: dato un aumento di produzione del 5% in un arco di tempo dato e, contestualmente, un aumento della forza lavoro dell’1%, il calcolo era: 100 – (1/5 x 100) = 80%24.

Tuttavia, non era neppure questo l’argomento principale su cui, secondo i dirigenti, doveva essere condotta l’emulazione. Man mano che le funzioni vitali del sistema erano ripristinate, che il motore dell’economia era messo in moto e rodato, che tutti i settori “prendevano il giro giusto” e l’assetto complessivo si stabilizzava, l’accento si spostava gradualmente, ma radicalmente, non tanto sul quanto si produceva ma – anzitutto – sul come si produceva, anche per una semplice conta del prodotto finito. Questo portò, negli ultimi anni, a cambiare totalmente il significato stesso dell’emulazione socialista nell’ambito produttivo. Andiamoperò con ordine. L’idea è sostanzialmente racchiusa nelle prime pagine di un manuale dell’epoca dedicato all’argomento:

L’aumento di prodotto finito si ottiene, in pratica, secondo due vie. La prima, estensiva (экстенсивный), è la costruzione di un sempre maggior numero di fabbriche e stabilimenti sulle basi tecnologiche preesistenti, creare un maggior numero di posti di lavoro, coinvolgere nella produzione un numero sempre maggiore di persone. Si impiega ampiamente nelle prime fasi dell’edificazione socialista. Attualmente, però, quando ogni anno la crescita di risorse lavorative a disposizione diminuisce e aumentano le spese di estrazione e distribuzione di materie prime, un particolare significato assume la seconda via di sviluppo economico, intensiva (интенсивный), ovvero il raggiungimento di risultati finali alti grazie a un un impiego più razionale delle risorse materiali e lavorative sulla base dell’accelerazione del progresso tecnologico.

Il compito è tutt’altro che semplice, e richiede la mobilitazione delle forze di tutti i lavoratori.

L’uomo sovietico (Советский человек) deve aver ben chiare le vie e le possibilità per accelerare l’intensificazione della produzione. Per questo gli agitatori (агитаторы) e gli informatori politici (политинформаторы) sono chiamati, nel concreto della vita di ogni giorno dei collettivi operai, con esempi semplici e comprensibili, a spiegare che impiegare fattori intensivi di crescita e incrementare l’efficienza e la qualità del lavoro (повышать эффективность и качество работы)25 significa:

ridurre il tempo di lavoro necessario per la produzione, con ogni mezzo, aumentare la produttività del lavoro;

migliorare la qualità della produzione, costantemente, aumentare il suo livello tecnologico, la sua affidabilità e la sua durata nel tempo26;

preservare il bene comune, raggiungere un livello sempre maggiore di impiego razionale della tecnica a disposizione, delle materie prime, dei semilavorati, del carburante, dell’energia elettrica, rafforzando il risparmio27;

rafforzare la disciplina e l’organizzazione nella produzione.

È proprio su queste direttrici che devono essere concentrati gli sforzi principali degli emulatori e, di conseguenza, anche gli argomenti principali delle riunioni di ciascun collettivo di lavoratori, al fine di mobilitare tutti sul completamento con successo degli obbiettivi dell’undicesima pjatiletka. Produrre di più, meglio e con minori costi: a questo deve chiamare i cittadini sovietici l’agitatore, anzitutto col proprio esempio, poi con le parole, per coinvolgerli e convincerli a lavorare bene. La parte più difficile del lavoro delle organizzazioni di partito e dei collettivi di agitatori consiste nel far sorgere e sviluppare, nei lavoratori, la cura e la parsimonia verso le risorse materiali. Come ha detto il compagno L. I. Brežnev al XXVI Congresso, Compagni, attualmente siamo in grado di risolvere problemi sempre maggiori e complessi. Tuttavia, il succo della politica economica sta divenendo una faccenda apparentemente semplice e che ci riguarda quotidianamente: saper rapportarsi al bene comune in maniera parsimoniosa, saper impiegare pienamente, in tutte le sue possibilità, ciò che abbiamo a disposizione.

L’economia deve economizzare: questa è l’esigenza del tempo attuale”28.

L’economia deve saper economizzare, far tesoro di ciò che ha, senza sprecarlo, senza buttarlo via. Pertanto, altre sessioni di formazione sia dei quadri che dei lavoratori, erano tese a sviluppare il risparmio energetico. Come la precedente, anche le immagini che seguono sono diapositive, o diafil’my (диафильмы), tratte da lezioni create per introdurre l’argomento a studenti e lavoratori. Il metodo classico era quello di creare grafici di comprensione e sensibilizzazione immediata, con numeri che restassero impressi anche dopo la visione e fossero oggetto di commento e discussione anche dopo:

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L’immagine mostrava come, dati i miliardi di rubli spesi per materie prime, carburante, energia prodotta, risparmiare l’1% di tali risorse avrebbe provocato, in termini di crescita del reddito nazionale, 3,6 miliardi di rubli in più nel 1970, 4,9 nel 1975, 6 nel 1980 e oltre 7 nel 198529.

I grafici successivi della stessa lezione spiegavano come risparmiare, pertanto, l’1% di carburante, valesse una quantità enorme di risorse, ovvero “13 miliardi di kw/h, 6 milioni di tonnellate di petrolio, 4,4 miliardi di metri cubi di gas, 7,2 milioni di tonnellate di carbone”30. La lezione, quindi, proseguiva spiegando come la “nuova” linea, tanto nuova poi non lo fosse, ma si trattasse in realtà di una tendenza da consolidare e rafforzare: ponendo infatti sempre a 1, questa volta reddito nazionale, estrazione di carburante, e quantità di legname prodotto nel 1940, il 1960 mostrava una crescita rispettivamente di 4,4 volte, 2,9 volte e 2,2 volte, mentre il 1980 mostrava una forbice ancora più ampia con 14,1, 8,0 e 3,6 volte31:

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Il ragionamento di questa serie di diapositive si concludeva, infine, evidenziando come – sintomo di una nuova sensibilità verso tale tematica – l’impiego razionale delle risorse avrebbe contribuito a risparmiare non solo forza lavoro, risorse materiali e finanziarie, ma anche il patrimonio naturale del Paese, argomento affatto scontato solo qualche decennio prima32.

Notiamo, per inciso, come i compagni sovietici, fossero avanti anni luce, e non è un’esagerazione, visto che la tematica ambientale oggi, a quasi quarant’anni di distanza da allora, nel cosiddetto “mondo libero” non va oltre campanelli d’allarme che servono più a scaricare la coscienza di chi li suona che a cambiare non un 1%, ma una virgola del modo di produzione e consumo vigente. Il totem del “libero mercato” (a proposito, mondo libero, libero mercato, quanto abuso di questo aggettivo…) impedisce, di fatto, una valutazione complessiva di impatto ambientale di qualsiasi misura di green economy intrapresa. Cosa accadrebbe se tutto il mondo andasse a litio, per esempio? Che impatto avrebbe sulle miniere a cielo aperto della Repubblica democratica (sic!) del Congo? E sulla costruzione di centrali elettriche (a questo punto assolutamente non rinnovabili a meno di nuclearizzare il mondo, e forse anche in quel caso occorrerebbe “rabboccare” con un po’ di carbone e petrolio) per sostenere una domanda di energia elettrica cresciuta esponenzialmente? Alla fine, tutto si riduce a buttar via quattro soldi pubblici, meglio, farli defluire nelle tasche degli amici degli amici, creare artificialmente un po’ di domanda con qualche legge ad hoc, e continuare a recuperare con la mano destra in fase di acquisto, ovvero di realizzazione della merce, quel che lo stesso capitalista non è riuscito ad arraffare con la mano sinistra in fase di espropriazione del plusvalore durante il processo lavorativo, dovendo concedere a tutti quel salario da fame o quel reddito minimo che dia loro la parvenza di “libertà”, “la vostra scelta libera” quando si va a comprare qualcosa o, semplicemente, al circo: Panem et circenses... E che i ghiacci continuino a sciogliersi, chi se ne importa... anzi! Alla fin fine, facile che creino un bel ciclo di domanda/offerta/pluslavoro/plusprofitto da qualche altra parte, da non perdere assolutamente! Le vie del capitale sono infinite...

Notiamo, nel merito, come l’emulazione socialista fosse sempre più concepita come un movimento anzitutto informato, consapevole, quindi disciplinatoe armonizzato rispetto al piano di produzione complessivo, attento nella propria azione a non alterare equilibri sia economici che relazionali33, dentro e fuori ciascun collettivo di produzione, dalla squadra al reparto, dall’azienda al Paese intero: un movimento che avrebbe portato, pertanto, a competere su parametri completamente diversi da quelli di mezzo secolo prima.

La tabella che segue, per esempio, era da compilare a cura di ciascun lavoratore (“rendiconto individuale” лицевой счёт) con descrizioni, cifre e risultati dettagliati, in base a tre parametri: 1. Risparmio di risorse materiali; 2. Risparmio di tempo lavorato; 3. Risparmio dovuto al miglioramento della qualità produttiva (e riduzione sprechi e scarti)34:

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La nuova direzione dell’emulazione socialista, cui abbiamo appena accennato, si muoveva su binari realmente, anch’essi, innovativi, proponendo un percorso decisamente più coerente alle esigenze di una società composta da un numero sempre maggiore di elementi, tanto diversificati, quanto interdipendenti fra loro e posti lungo architetture, ingegnerizzazioni economiche e sociali, ancora troppo empiriche, troppo fragili, troppo poco consolidate. Tuttavia, l’intuizione era corretta; era l’unica, peraltro, possibile in un modo socialistico di produzione, che aveva abolito per sempre lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e che, anzi, lavorava per una sua sempre più completa e totale liberazione dalle catene di un’alienazione stratificata nei secoli e che faceva fatica, come certo sporco mai pulito, a venir via.

I compagni sovietici non potevano certo immaginare che, dieci anni più tardi, il capitalismo con caratteristiche cinesi, ammantato di “socialismo”, avrebbe gordianamente risolto il problema lasciato aperto dal massacro di Piazza Tian’anmen (天安门广场):

- lasciando intatto, a monte, quel “coro di salmodianti, truppa di alleluianti” che era rimasta l’unica costante di staliniana memoria (e necessaria, in quanto qualità tipica di tutti i leccapiedi, per restare a galla in un partito dove le teste saltano per molto poco)e

- cambiando tutto, a valle, e in peggio (sin da quando, nel luglio 2001, persino i padroni erano potuti entrare, come membri effettivi e facendo attivamente lobby dai gradi più bassi fino ai vertici35, nel partito un tempo degli “operai e contadini”, dove addirittura fanatici inquisitori facevano il pedigree a un intero popolo e mettevano in croce uno solo perché un cugino dello zio era stato un “contadino ricco” 富农, о кулак che dir si voglia).

Eraun cambiamento radicale effettuato:

- reintroducendo, anzitutto, il modo capitalistico di produzionee sostituendolo a quello socialistico; una cosa seria, fatta bene, come qualsiasi capitale grondante “dalla testa ai piedi, da tutti i pori, sangue e sporcizia” (von Kopf bis Zeh, aus allen Poren, blut und schmutztriefend)36, ivi inclusi, nella fase iniziale, lavoro minorile, immigrati irregolari appena giunti dalle campagne e sfruttati ben oltre le otto ore al giorno, fabbriche di giocattoli che andavano, ogni tanto, a fuoco con gli operai dentro, tutto quanto potesse servire per un’accumulazione originaria degna di questo nome (e successivi sviluppi, borse valori, conti nei paradisi fiscali off shore, ecc.);

- mantenendo la “disciplina sul lavoro” (magari chiamandola ancora, per qualche tempo, quanto basta, “disciplina socialista”) e creando, così, un mostro di controllo sociale inedito: ovvero, ora che ci sarebbe stato bisogno di sindacati a fare il loro mestiere, visto che era stato restaurato il conflitto capitale-lavoro... no,loro continuavano a fare da cinghia di trasmissione e megafono di proclami ufficiali che non ascoltava più nessuno, che eran mantenuti apposta per questo; gli altri, testa bassa e rigare dritto, che al primo sgarro c’era fuori una fila di milioni di contadini tutti ansiosi di diventare ex-contadini e portare a casa un po’ di moneta; l’importante era che i nuovi padroni non si lamentassero;

- infischiandosene di concetti come risparmio energetico, qualità del prodotto, o del lavoro, o del processo produttivo, tanto il capitalista straniero guardava le decine di migliaia di capi di abbigliamento stipate in un quaranta piedi ottenute a prezzi che neanche i cinesi delle confezioni stipate negli scantinati dietro casa riuscivano a fare: fa niente se al primo lavaggio cambiavano di taglia o stingevano anche a trenta gradi, quando l’obbiettivo era – in ultima analisi – tornare allo stesso negozio due mesi più tardi, o anche prima. Per inciso ancora oggi, che i cinesi prima potenza al mondo si son portati a casa – continuando con il metodo di cui ai punti uno e due di questo elenco – produzioni a intensità di capitale decisamente più elevate e redditizie in termini di saggio di profitto, questo discorso vale non solo per le produzioni a bassa intensità di capitale che anche i nuovi padroni delle ferriere hanno spostato (ma non è imperialismo... ci mancherebbe!), subappaltato,delocalizzato, in Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan, Indonesia, Malesia, Etiopia e via discorrendo, né più né meno degli imperialisti coi baffi, monocolo e cilindro nostrani, in situazioni dove possono permettersi il lusso di avere percentuali di scarto del TRENTA PERCENTO. Paradossalmente, tale discorso vale anche per le loro ultime produzioni “ad alto valore aggiunto”, quelle dove dovrebbe predominare una maggiore qualità di cui al punto due (disciplina e giù la testa) e al primo smartphone che torna indietro e che il codice di tracciabilità porta al tuo tavolo di lavoro, quella è la porta. La qualità scadente, in tal caso, è MOLTO più a monte: si chiama “obsolescenza programmata”, fatta da materiali scadenti, da schede elettroniche che vanno in tilt, da una stessa concezione costruttiva fatta per durare quello che deve durare e distruggersi al primo urto37.

- favorendo su scala di massa lo sviluppo di una mentalità più borghese dei borghesi occidentali, tramite la stessa, micidiale, associazione di principi etici confuciani applicati allo “spirito del capitalismo”… con buona pace di Weber; in altre parole, “aprendo le gabbie” come valvola di sfogo per il malcontento popolare; “Ti lamenti? Fai andare le mani, cerca gli agganci giusti e farai carriera e tanti soldi, basta che porti rispetto e non pesti i piedi a chi è sopra di te (le scarpe si fanno con discrezione, così come le pugnalate, sempre alle spalle, mai a viso aperto)”... ma qualcuno avrebbe il coraggio di chiamarla “emulazione socialista con caratteristiche cinesi”

- producendo, producendo e ancora producendo: più lavoro prendi da fuori, più soldi fai; capitalisti privati, capitalisti statali che deviano i proventi delle commesse estere sui loro conti alle isole Cayman o Bermuda, la logica è sempre quella: produci, accumula profitto, reinvesti, espanditi, paga un po’ di mazzette ai funzionari del partito, cooptali, coinvolgili, assumi i loro figli e dagli un vitalizio per star otto ore davanti a un PC a non far danni, così da “ungere bene gli ingranaggi” dei permessi e dei vincoli al credito, e vai avanti così;

- il piano… ah, si, il piano, quella foglia di fico per continuare a far fare al “mercato” (ovvero la variante di “capitalismo” politicamente corretta da usare oltremuraglia) quel che vuole:chiamando con quel nome quella che, tutt’al più, potrebbe essere considerata una programmazione economica degna del peggior CIPE, seguendo col ditino la linea di qualche grafico che va in su (ma di quelli facili, mica da sbagliare!) ancora nelle colonne vuote (ma quelle vicine, per carità!), creando qualche obbiettivo macroeconomico e “stando larghi”; così diciamo di “pianificare” ancora e mettiamo a tacere tutte quelle malelingue che non hanno altro di meglio da pensare che farsi i fatti degli altri; poi, quest’anno (2020) non facciamolo neppure dando la colpa al Covid-19 (ma in URSS, abbiam visto, il piano l’han fatto quando ancora le macerie fumavano e le pompe tiravano fuori l’acqua dalle miniere allagate dai nazisti come regalo d’addio… sottigliezze!) e spalmiamo i nostri obbiettivi su 5-10-25 anni, un bel 2050 e non ne parliamo più: un bel “piano” come li fa la UE, la FAO, l’OMS, entro il tot faremo x, e più avanti è, meglio è.

No, i compagni sovietici non potevano certo immaginare tutto questo...

Torniamo all’emulazione socialista, a quell’emulazione su cui, nel bene e nel male, vale la pena di lavorare. In particolare, nel secondo dopoguerra si sottolineava come l’azione di emulazione dovesse essere improntata a tre fattori determinanti, fondamentali, fissati da Lenin oltre mezzo secolo prima e recuperati negli ultimi trent’anni di storia sovietica. Uno di essi in particolare, glasnost’, “trasparenza”, divenne noto in Occidente – a sproposito, perché agli occhi di noi profani sembrava tutta farina del suo sacco – come parola d’ordine gorbacioviana, quando invece era ripetuta da decenni (al pari di tutte le altre parole rese note dall’ultimo segretario del PCUS).

D’altronde, riscaldare una minestra già fatta, con pochi ingredienti decontestualizzati, ma già ben radicati nelle orecchie del proprio popolo, “ingredienti contenitore”, che potenzialmente esprimono, significano un concetto ma anche altri, magari contemporaneamente, e sfruttare questa potenziale ambivalenza per condurre una battaglia, in questo caso per lo smantellamento dall’interno del PCUS, e poi dell’URSS, in altri casi per restaurare appieno il capitalismo, leggi Repubblica Popolare Cinese, è stato un motivo conduttore della classe politica – non solo sovietica – degli ultimi cinquant’anni. Oltre duemila anni fa fonti bene informate ci riportano come Confucio sbottasse, di fronte a un vaso comune chiamato impropriamente “vaso rituale”: “Un vaso da notte che passa per un vaso rituale… che razza di vaso rituale è? Che razza di vaso rituale è?38” Siamo sempre lì, alla “rettificazione dei nomi”39 (zhengming正名): una delle attività, da sempre, più “scomode” per il potere costituito che si sente dire che fa il furbetto e che, in genere, non manca di “ricompensare” tale attività dispensando mazzate a destra e a manca.

Per questo, prima di leggere qualcosa su questi tre fattori, è utile soffermarsi ancora un attimo su questo punto, ovvero su come sia stato possibile far fesso il proprio popolo chiamando vaso rituale il vaso da notte fino a lasciarlo con un palmo di naso di fronte al fatto compiuto. Introduce e sviluppa il tema una “parabola” che gira spesso, nella letteratura economica cinese contemporanea:

Tanto tempo fa, in un villaggio i cavalli erano le bestie da soma più utilizzate. Erano però piuttosto pigri nel lavoro, la loro efficienza era bassa. Il capo villaggio aveva notato che le zebre, impiegate nel villaggio vicino, erano invece molto laboriose, così pensò subito di sostituire nel proprio villaggio i cavalli con le zebre, ma si scontrò con l’opposizione della maggioranza del villaggio, che diceva: “Abbiamo vissuto sempre insieme ai nostri cavalli, di generazione in generazione, per quale motivo ora tu li vuoi cambiare?” Incontrando una tale resistenza, al capo villaggio non restò che ricorrere a uno stratagemma: aspettò la notte e, dopo che gli abitanti del villaggio si furono addormentati, prese in gran segreto della vernice bianca e pitturò i dorsi dei cavalli con numerose strisce. La mattina seguente, gli abitanti scoprirono che i cavalli erano diventati zebre, così corsero dal capo villaggio a chiedere spiegazioni. Il capo villaggio disse: “Non li ho cambiati con le zebre, ho solo pensato che fosse divertente e ho pitturato sui loro dorsi delle strisce bianche, se non mi credete andateli a vedere da vicino, e ve ne accorgerete anche voi.” Gli abitanti del villaggio andarono a vedere da vicino e, in effetti, era come aveva detto il loro capo: i cavalli erano sempre gli stessi di prima, non erano cambiati per davvero, non c’era nulla quindi di cui preoccuparsi. Le notti seguenti, il capo villaggio andò avanti a pitturare tutti i cavalli come zebre finché, gradualmente, gli abitanti del villaggio si abituarono a considerare cavalli e zebre alla stessa stregua. A quel punto, il capo villaggio colse la palla al balzo e sostituì per davvero i cavalli pitturati a strisce bianche con le zebre. Un giorno se ne accorsero anche gli abitanti del villaggio ma, dal momento che le zebre lavoravano molto meglio dei cavalli e i vantaggi erano molteplici, tutti accettarono con gioia il cambiamento40.

È una storiella, quella raccontata spesso e volentieri da Zhang Weiying (张维迎), uno dei maggiori economisti del partito se-dicente comunista, nonché uno deiprincipali artefici della restaurazione del capitalismo in Cina, che si presta a molteplici letture, sul rapporto fra dominanti e dominati in un paese cosiddetto socialista, su una mancanza di trasparenza che perdura tutt’ora, COVID-19 docet, sul modo socialistico di produzione visto unicamente e strumentalmente come manica di lazzaroni statali e parastatali che guardano il soffitto e rubano lo stipendio. Tuttavia, oltre a far riflettere chi ancora mantiene certe posizioni esegetichesolo perché vede un po’ di rosso o sente qualche parola d’ordine che lo ringalluzzisce, riducendo l’analisi politica di un fenomeno – quale è quello cui si è appena accennato – a mero tifo da stadio, dovrebbe fa venire in mente altre considerazioni, che riguardano direttamente casa nostra: per esempio, quella del più grande partito comunista d’Occidente che riuscì ad autodistruggersi senza darlo a vedere alla maggior parte dei suoi militanti, prima “comunisti”, poi “pidiessini” e, infine, talmente “democratici” da cancellare l’Articolo 18 di quello Statuto dei Lavoratori che i loro padri avevano sputato sangue per portare a casa; ma questa, appunto, è un’altra storia, solo per dire che raccontare a noi queste storielle è come andare a insegnare a rubare a casa del ladro41.

Torniamo, quindi, alle tre parole d’ordinedell’emulazione socialista, elaborate quando questi giochetti non erano per nulla di moda, anzi, e scopriamole dalla vivida penna di Vladimir Ilič (grassetto mio):

Non ci resta che organizzare l’emulazione, ovvero garantire trasparenza (glasnost’ гласность), che darebbe la possibilità a tutte le comunità facenti parte dello Stato di sapere come realmente è avvenuto lo sviluppo economico nei diversi luoghi del Paese; in secondo luogo, garantire comparabilità dei risultati (сравнимость результатов) del movimento per il socialismo fra due diversi spazi di socialità; garantire, in terzo luogo, la possibilità di ripetere praticamente l’esperienza (возможность практического повторения опыта) da una comunità ad altre, garantire la possibilità di scambiare quelle risorse, sia materiali che umane, che si sono rivelate da parte delle migliori forze in campo sia economico che amministrativo42.

Occorreva quindi trasparenza per evitare imbrogli o, per usare un eufemismo, “coni d’ombra”, insieme alla possibilità di mettere a confronto i vari risultati partendo da basi comuni e, non da ultimo, la stesura di procedure utili a ripetere tali risultati nel tempo e in luoghi e situazioni diverse. Lo sforzo di razionalizzazione e ottimizzazione era enorme, considerando come si era lavorato fino a quel momento.

C’era solo un problema: a lungo andare, con questo tipo questo approccio e limitandosi solo a questo, non si va molto lontano, foss’anche solo dal punto di vista lessicale.Gianni Rodari lo affronta scherzosamente ne La guerra dei poeti (con molte rime in ‘or’)43: poeti un po’ cialtroni, che si affrontano con composizioni a colpi di rime baciate sempre identiche finché le stesse parole, usate e abusate, come tante saponette si consumano e loro rimangono senza.Come nel caso della rima “cuor-amor”, lo stesso logorio delle parole, usura vera e propria di lessico sempre uguale a sé stesso, stereotipato, ripetuto meccanicamente, può avvenire anche in altri ambiti laddove, per esempio, la vitalità sociale ed economica del lavoro umano è succube di regolamenti burocratici e astratti e obbiettivi tanto generici, quanto amorfi, pur suddivisimetodicamente per qualifica professionale.

Ne è un esempio il testo ufficiale del già citato documento Sull’emulazione socialista in tutta l’Unione per il pieno completamento degli obbiettivi del XII Piano quinquennale (1986), laddove elenca uno a uno gli obbiettivi dell’emulazione per ciascun livello dell’organigramma lavorativo:

- operai, colcosiani, collettivi e squadre: incremento della progettazione e produzione di prodotti della massima qualità, risparmio e parsimonia, impiego efficace dei materiali, dei macchinari e della strumentazione, partecipazione attiva all’introduzione di nuove tecniche e tecnologie, alla creatività tecnica, all’osservanza rigorosa della disciplina sul lavoro, nell’impiego delle tecnologie e in produzione;

- ingegneri e tecnici specializzati: accelerazione dell’impiego in produzione delle conquiste del progresso tecnico-ingegneristico, del perfezionamento di tecniche e tecnologie, dell’organizzazione del lavoro e della produzione, della diminuzione delle quote di lavoro fisico e di consumo di materie prime per prodotto finito, del supporto ingegneristico per completare piano e obblighi socialisti assegnati ai collettivi, creazione di condizioni di lavoro sicure e salutari;

- collettivi di uffici, kolchoz, sovchoz, cantieri edili e altre unità operative e aziende: raggiungimento nel proprio settore di competenza della massima produttività del lavoro, incremento di produzione della massima qualità, risparmio delle risorse materiali ed energetiche, raggiungimento di un buon ritmo di produzione, disciplina nell’applicazione della tecnologia, contrazione del tempo di lavoro perso, crescita delle dotazioni dei fondi produttivi, completamento di obbiettivi di piano e obblighi socialisti, elaborazione e introduzione di tecniche e tecnologie, invenzioni e razionalizzazioni avanzate e a bassi consumi, aumento complessivo di scorte e ammassi di produzione agricola e di allevamento, dei beni di consumo, rispetto delle scadenze cantieristiche previste, sicurezza sul lavoro, miglioramento delle condizioni di produzione, abitative e culturali dei lavoratori;

- collettivi delle organizzazioni scientifiche di ricerca, ingegneristiche e di sviluppo tecnologico: creazione di tecnologie di nuova generazione, di processi e progetti ad alta efficacia tecnologica, di sementi e razze di bestiame con un’alta resa di prodotto in agricoltura e in allevamento, raggiungimento in queste sfere di posizioni avanzate a livello mondiale, riduzione dei tempi di ingegnerizzazione e messa in produzione su scala di tali invenzioni;

- lavoratori amministrativi delle città, distretti, province, regioni, repubbliche: risoluzione integrata di problemi economici e sociali, realizzazione di programmi regionali tecnico-scientifici, impiego efficiente del potenziale produttivo e scientifico, dei terreni, delle risorse lavorative, materiali e ottenute da riciclo (materie prime seconde вторичные ресурсы), perfezionamento della costruzione di fondi, ampliamento della produzione e incremento della qualità delle merci di consumo popolare, incremento della produzione, miglioramento del commercio, nonché di tutti i tipi di servizi alla popolazione come quello alla persona, i trasporti e la sanità, miglioramento dei piani urbanistici per tutti i centri abitati44.

A ciascuno il suo e tutto perfettamente incastonato, si direbbe, a parole. Piccolo problema: condurre l’emulazione su tematiche così generiche e ripetitive può andar bene per riempire un foglio di A4 di raccomandazioni o, peggio ancora, far figurare spuntate come fatte azioni di riscontro a uso e consumo di procedure burocratiche di controllo, salvandosi la coscienza con il classico “io l’avevo scritto” o “qui figura tutto a posto”: tipico atteggiamento di dirigenti menefreghisti e buoni solo a ingrossare le fila di quel “coro di salmodianti” e “truppa di alleluianti” che costituiva la maggioranza dei quadri di partito da Stalin ai giorni nostri.

Manca, tuttavia, completamente il dato di base, ovvero la parola di chi e, soprattutto, a chi è chiamato a essere il protagonista di tali norme di condotta:in altre parole, io ti posso dire cosa devi e cosa non devi fare, ma se non ti coinvolgo nel processo partecipativo, anzi tutto, e decisionale, successivamente, tutto quanto ti cercherò di far fare sarà sempre vissuto come un’imposizione dall’alto e, in quanto tale, farai il possibile per disattenderla (assenteismo) o, peggio ancora, trovare la scorciatoia (corruzione, concussione, favoreggiamento, falso ideologico)per ricavare lo stesso o, possibilmente, un maggior vantaggio con il minimo di impegno possibile e senza che io me ne accorga, sull’aria del “Così fan tutti”.

Abbiamo già visto come i cinesi del dopo-Mao, col suo comunismo da caserma, tornando al capitalismo e aprendo le gabbie al “protagonismo” di un’intera nuova classe in formazione, sia pur lungo i binari del bastone e della carota di partito avessero, di fatto, girato intornoal problema. Anzi, il problema non esisteva più, puntando progressivamente all’egemonia del mercato globalizzato facendo finta di costruire il socialismo con un modello autoritario, “singaporiano”, di capitalismo.

Torniamo quindi all’URSS poco prima che un uomo con la voglia sulla fronte e una ben peggiore nelle proprie intenzioni, dando corpo a una cricca di burocrati futuri oligarchi, reinstaurasse il capitalismo a quelle latitudini. Come abbiam constatato, tutto sommato, economicamente parlando aldilà del muro le cose non andavano poi così male: anzi, tutti gli indicatori economici mostravano numeri e proporzioni di una crescita davvero impressionante, rispetto a mezzo secolo prima soltanto. Tuttavia, abbiam visto anche che, più di così, non sarebbero potute andare avanti con lo stesso passo;avrebbero dovuto “scalare di una marcia” a meno di una forte iniezione di tecnologia, che infatti tutti aspettavano come la manna dal cielo. Il motivo più semplice è che un conto è incrementare dell’1% su un PIL vacca magra e un conto è incrementare dell’1% su un PIL vacca grassa, che raggiunge già il primo mese dell’anno i numeri di quando era vacca magra. Anche per questo, queste percentuali lasciano il senso che trovano. La riproduzione ampliata, necessaria, indispensabile per fornire beni e servizi “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro” senza che quel “ciascuno” debba preoccuparsi personalmente e totalmente della propria sussistenza, deve assumere nuove forme: forme socialiste, per l’appunto.

Non è una questione di indottrinamento, ma di acquisizione di concetti condivisi tramite partecipazione attiva agli stessi processi di relazione e trasformazione sociale ed economica.In parole povere, la cosa funziona se sono io il primo a essere convinto, perché ci metto l’anima, ci butto il sangue ogni giorno, perché faccio mia, mi approprio della mansione o della cura di un particolare bene affidatomi, della giustezza di un dato comportamento sociale, o modo di lavorare, o concezione di un bene di consumo o servizio, alla luce di un interesse collettivo ai cui frutti io, la mia squadra, il mio collettivo, diamo in maniera consapevole e tangibile un contributo determinante e socialmente riconosciuto e gratificato, quando raggiungiamo un risultato che neppure noi ci aspettavamo all’inizio di poter raggiungere.

Un risultato che, alla luce del totaler mensch marxiano e dell’identità fra produttore e consumatore a un livello superiore, non deve coincidere per forza con uno zero virgola in più su una percentuale anonima. Anzi! Se è vero che le nozze non si fanno coi fichi secchi, è vero anche che ogni giorno non è un pranzo di nozze: che ogni giorno è dato dalla sua quotidianità, dalla sua routine, dalla sveglia che suona all’ultima luce che si spegne prima di andare a letto. Ed è lì che bisogna intervenire, nei giorni apparentemente più umili, eppure più importanti, quando una persona esclusa, diciamo pure espropriata, da qualsiasi processo decisionale nelle sfere sopra elencate, pur avendo tutto, pur non mancandogli nulla, comincia a guardare altrove;e butta l’occhio nell’erba del vicino, ovvero nel feticcio di ciò che ancora non possiede come caposaldo di una sua nuova costruzione di senso; un oggetto che può essere sia un bene materiale che l’uscita in balera del sabato sera, e che pian piano si appropria di tutti gli spazi, impoverendo progressivamente un essere umano sempre più alienato, divenendo così l’unico senso a quelle otto ore in cui – in teoria – egli lavora na sebja: per sé stesso, perché c’è il socialismo, perché lui è il padrone dei mezzi di produzione, ecc., ma in realtà “gli occhi guardavano voi / ma sognavan gli eroi, le armi e la biglia”…

La fantasia, certo, deve correre “verso la prateria, fra la Via Emilia e il West”, ma non in contraddizione antagonistica alla vita di tutti i giorni. Questo va bene, anzi, è il leitmotiv della società dei consumi per creare quell’insoddisfazione generale che genera artificialmente l’aumento di domanda richiesto dal capitale per fregare con la mano destra quel che concede con la mano sinistra sotto forma di salario. Ma non va bene se sei tu il padrone della baracca. La fantasia, la creatività, devono servire per farla funzionare meglio. Oggi si comincia a parlare, del processo di unificazione fra le due germanie come Anschluß, “annessione” di quella dell’Ovest su quella dell’Est. Era ora: tale annessione, tuttavia, era iniziata già quando quel muro era ben su, quando la parte dell’Est rinunciò a combattere quella battaglia cui si è accennato anche in questo breve lavoro sull’emulazione, quella del “superare senza raggiungere”, intesa non più come “ma sì... mi concentro su quattro o cinque temi e su questi do la paga a tutti”, bensì come processo di costruzione condivisa di una struttura economica e sociale funzionante e funzionale alla creazione di una società dove l’obbiettivo sia la soddisfazione immediata dei bisogni sociali – e fin qui ci ripetiamo – ma anche dove gli stessi bisogni sociali stessi siano definiti in maniera partecipata e condivisa, dal basso, dai produttori stessi, e questo non ce lo può avere nessun modo di produzione che non sia socialistico, per un semplice motivo: perché i padroni della baracca siamo noi e siamo noi che possiamo e dobbiamo disporne secondo quelle direttrici, e non altre.

In tale ottica, i numeri in crescita o più o meno plasticume in un bene di consumo per ridurne i costi di produzione, sono elementi da valutare in base a quel criterio, e non ad altri, per cui ormai il paragone con l’Ovest non è neppure non solo inopportuno, ma impossibile. Sarebbe come paragonare un pasticcino appena uscito dal forno a una gomma americana, un vino fatto in casa all’alcol etilico aromatizzato del peggior cartone, una sigaretta appena arrotolata a quella con dentro anche i topi morti pur di far spessore. Ecco che, allora, l’emulazione socialista, consente e favorisce una marcia in più lungo questa direttrice: perché sono io a decidere se mettere sul pasticcino una ciliegina o lasciarlo così, piuttosto che sono io a decidere quando è il momento buono di imbottigliare e che viti piantare per migliorare la qualità del mio prodotto, piuttosto che son sempre io a decidere con quale tabacco soddisfare il vizio o passare dalla carta da filtro al fornello di una pipa. Fuor di metafora, se un dettaglio di un bene di consumo, per esempio la leva di avanzamento di una pellicola fotografica, che insieme riarma l’otturatore per lo scatto successivo, la comincio a costruire di plastica, perché costa meno della stessa in metallo, ma mi rendo conto che a furia di colpi di pollice si usura molto più in fretta, smussando progressivamente gli ingranaggi finché, un bel giorno, ti rimane in mano… e cominciano ad arrivare segnalazioni da consumatori-produttori singoli e associati, cosa faccio? A: vado avanti perché il calcolo economico parla di un bilancio sostenibile e in attivo; B: ritorno alla leva di metallo, senza se e senza ma; C: ritorno alla leva di metallo finché non trovo una soluzione migliore (per esempio, lavorando su diversi sistemi di leva o sviluppando stampi con filettature per femmine metalliche da incastrare e assicurando, in tal modo, una maggior resistenza delle parti in attrito. In prospettiva, col minor costo di produzione ammortizzo studio e costi di messa in opera per le migliorie apportate, producendo un prodotto di qualità e sempre più ottimizzato per l’uso che è chiamato a soddisfare.

Invece, questo socialismo a una gamba sola, ridotto a produttivismo sia pur sotto una raffinata architettura di metodologie tese a razionalizzare e ottimizzare tutti gli schemi e i processi produttivi, nella speranza che l’automatizzazione progressiva dell’intero processo di pianificazione-produzione-distribuzione-realizzazione di beni e servizi facesse il resto, lasciava completamente sguarnito il campo di battaglia per quanto riguardava la ricerca di senso nell’attività di ciascuno, nella sua capacità di vedere, nelle proprie attività e relazioni anzi tutto come uomo, prima ancora che come lavoratore e come utente, un nesso che le univa direttamente e le collegava al percorso della liberazione, della crescita di sé stessi e del proprio collettivo. Il discorso sul totaler mensch marxiano, sia pur diversamente declinato ma comunque riconducibile a tale matrice, era stato appena abbozzato. Lo stesso poteva dirsi di un’eventuale armonizzazione, se non proprio identificazione come nel modello ottimale già esaminato, del ruolo produttore-consumatore, laddove il lavoratore era ancora a un livello embrionale di coinvolgimento.

In cosa avrebbe dovuto dire, allora, il lavoratore, che il suo fosse realmente rabota na sebja, lavoro per sé stessi? Ora la risposta ce l’avrebbe, a occhi chiusi e con tutte e due le mani sul fuoco: senza guardare il salario, nell’abitazione garantita, e a prezzi calmierati, nella sanità gratuita, nell’istruzione gratuita fino ai suoi più elevati gradi, nei campi scuola per i figli, nelle pensioni per i propri genitori, nell’assistenza sociale a ogni livello, nell’accesso alla cultura, sotto ogni sua forma, a prezzi stracciati, quando non del tutto gratuito, a partire dai biglietti dei musei e degli spettacoli teatrali, fino all’acquisto di libri e materiale artistico. Il problema è sempre lo stesso: te ne accorgi oggi che non le hai, certe cose. All’epoca, ti sembravano garantite. Per sempre. Dimenticandoti il sangue sputato dai tuoi nonni e dai tuoi genitori per conquistarle. E allora ti potevi permettere di farlo, il minchione. Ti sembrava di potertelo permettere. Te lo lasciavano fare. Volevano che tu continuassi a farlo, per continuare nei loro porci comodi col tuo plauso. E quando ti trovi con un pugno di mosche in mano, è troppo tardi. E ti mordi i gomiti, ma è troppo tardi. E pensi solo a restare a galla, ad attaccarti a qualche tronco, mentre il resto va alla deriva, mentre la fabbrica dove lavoravi chiude, mentre il tuo titolo di studio diventa carta straccia e devi arrabattarti a fare quel che capita, per portare a casa quattro soldi vigliacchi. Che non bastano neppure a fare le quattro riparazioni che servono per tenere in esercizio riscaldamento, elettricità, acqua e fogne nel tuo condominio. Sempre più cadente, sempre più fatiscente, man mano che scoppia qualche tubo, si toglie lo strato di intonaco sulle scale, si rompe l’ascensore, vien su odore di fogna dai cessi. Tutto vero.

È vero però anche che, se in quegli anni, ai giovani, a tutti i giovani sovietici, fosse stato dato un motivo, oltre che una possibilità, di partecipazione al progetto socialista di liberazione dell’uomo da tutte le sue catene, di valorizzazione del proprio ruolo di produttore-consumatore, inquadrato in una crescita sociale complessiva verso traguardi sempre più elevati di progresso e benessere, quest’ultimo inteso – finalmente – come indice condiviso dato dalla sommatoria di tutti gli indicatori economici, sociali e culturali che riassumessero accesso a beni e servizi, qualità della vita, grado di coinvolgimento e partecipazione a tutti i processi decisionali relativi alla vita di ogni giorno, ma anche a tutte le grandi scelte a livello locale, regionale, nazionale, allora avrebbero visto i jeans e le calze di nylon, i cioccolatini Raffaello e e gli assoli su scala pentatonica con chitarra elettrica distorta, in modo molto, molto, molto diverso. Con la stessa sufficienza con cui posso guardare al nuovo ballo caraibico di moda, più che altro per le ballerine che compaiono nei video, ma senza per questo farne un simbolo, un’icona, in opposizione radicale, antagonistica alla decapitazione di “Giuseppi Conti” e dei vari capi populisti e borghesi che oggi affollano il palcoscenico politico e che, da decenni ormai, dettano le regole del teatrino o, meglio, dell’avanspettacolo che quotidianamente si rappresenta sopra di esso. L’esatto opposto di quello che accadde allora.

È in tale ottica che il compositore e pianista jazz Dave Brubeck, in una tournée in Polonia nel 1958 pilotata dalla CIA, poteva dire: “What you brought wasn’t just jazz. It was the Grand Canyon. It was America.”45Trent’anni prima di un concerto, a Mosca, in cui un gruppo di cialtronidi nome Skorpions rincoglioniva definitivamente una marea di giovani, troppo inconsapevoli sia di ciò che avevano e di cui disponevano, sia di ciò che (non) avrebbero trovato aldilà del muro di menzogne che intorno a loro si stava costruendo, ben più alto e impenetrabile di quello fisico che separava le due Berlino. Davvero, in tali condizioni, l’Anschluß della Germania dell’Ovest verso quella dell’Est, si era consumata ben prima della caduta del muro. In tali condizioni, qualsiasi discorso di emulazione socialista, monco ormai della seconda gamba di cui ormai abbiamo tratteggiato le linee generali , ma su cui davvero occorrerebbe concentrare una quantità enorme di lavoro sia di ricerca che di elaborazione, agli occhi di questi giovani non poteva che lasciare il tempo che trovava. E non era un problema solo di emulazione.

Stesso discorso, infatti,sarebbe dovuto valere anche anche per i cosiddetti “obblighi socialisti”: non dovevano essere ridotti a criteri di un concorso a premi per chi fa più il mulo, ma inseriti in un contesto dove partire dal basso, dal collettivo stesso, per definire obbiettivi concreti da unire, da armonizzare all’interesse generale, in grado di accelerare determinati processi CONDIVISI di trasformazione sociale ed economica. L’intuizione era buona.In una risoluzione “brežneviana” del CC del PCUS, dal titolo “Sull’ulteriore miglioramento dell’organizzazione dell’emulazione socialista” si sottolineava:

Gli obblighi socialisti dei collettivi devono essere definiti basandosi sugli obbiettivi e compiti delle varie aziende e settori, fissati per un dato periodo pianificato di sviluppo produttivo, facendo tesoro di singole proposte di operai, colcosiani, tecnici e impiegati, espressione della loro esperienza e capacità di iniziativa, di modo da portare tutti i lavoratori a sviluppare nel lavoro tutta la loro creatività e migliorare la loro capacità di impiego delle risorse e potenzialità a disposizione46.

Queste erano le intenzioni… per giungere poi al classico mulo attaccato alla macina con la carota davanti e il bastone dietro, purtroppo. Si partiva con l’analisi del piano corrente, con l’individuazione di obbiettivi maggiori da raggiungere, si elaboravano i contropiani atti a tale superamento e, infine, si definivano gli “obblighi socialisti”, ovvero i passi necessari alla mobilitazione di risorse aggiuntive utili a realizzare i contropiani e a conseguire i relativi premi e incentivi morali e materiali dai fondi destinati all’emulazione socialista47.

Cosa c’entrano, nello specifico, questi passaggi con l’emulazione socialista cui abbiamo accennato in queste pagine? Cosa c’entra con essa il solito, perché ripetuto a ogni piè sospinto, consunto dal tempo, appello a produrre di più e meglio e con maggiorparsimonia e oculatezza nella spesa? C’entra… perché, mi scuso se lo ripeto alla nausea,ridurre tutto il discorso a questo soltanto, sminuisce miseramente una leva potenzialmente formidabile di crescita e consolidamento di un modo di produzione realmente alternativo, perché in grado di incidere realmente, concretamente, sulle coscienze di milioni di lavoratori, portandoli a crescere umanamente, ancor prima che professionalmente, per tutta una serie di riparametrazioni dei propri sistemi valoriali in funzione di una costante avanzata collettiva, di tutti e nell’interesse di tutti, CON TUTTO QUELLO CHE CONCERNE IL PASSAGGIO EPOCALE DATO DA UN MUTAMENTO COSÌ IMPORTANTE E RADICALE DI MENTALITÀ, DI STILE DI LAVORO E DI VITA, A PARTIRE DALLA STESSA COMPARTECIPAZIONE DEMOCRATICA ALLA VITA SOCIALE E ALLO STESSO PROCESSO DECISIONALE.

Da parte nostra, in un ipotetico (al momento, periodo ipotetico dell’irrealtà) assalto al cielo vittorioso, parlare di emulazione socialista ormai capiamo come, dopo questa galoppata non troppo convenzionale lungo settant’anni di vita di milioni di compagne e compagni sovietici, significhi ancheriprendere proprio quel cammino interrotto in URSS ben prima della guerra, affinché il primo luogo per la creazione di quel totaler mensch che rappresenta il nostro obbiettivo sia, paradossalmente ma non troppo, proprio quel lavoro per sé (работа на себя) che costituisce il fulcro del lavoro nel modo socialistico di produzione, ancor prima che dell’emulazione; un lavoro tanto liberato dallo sfruttamento padronale quanto non alienato, inteso quindi né alla maniera egoistico-egocentrico-individualistica occidentale e, neppure, alla maniera clanistica, tipica del capitalismo con caratteristiche neoconfuciane attualmente in voga in Estremo Oriente: IN ENTRAMBI I CASI, PERALTRO, con sempre più preoccupanti riflessi sciovinisti atti a deviare su altri canali, i soliti canali, il malcontento e le contraddizioni sociali.

Come abbiam già visto, era già stato Lenin a porre l’accento sul “pieno benessere e libero sviluppo onnilaterale di tutti i membri della società”. Tali parole riecheggiavano anche nel corso del XXVII Congresso del PCUS:

Il potenziale produttivo e spirituale creato nel Paese, i compiti di accelerazione del suo sviluppo socioeconomico, rendono possibile e necessario un sostanziale movimento in avanti fino al raggiungimento del «pieno benessere e libero sviluppo onnilaterale di tutti i membri della società» (V. I. Lenin).

Il PCUS si pone il compito di innalzare il grado di benessere dei sovietici a un livello qualitativamente nuovo, fornendo gradi e strutture di consumo di beni materiali, sociali e culturali, che rispondano il più possibile agli obbiettivi formativi di una personalità sviluppata armonicamente e ricca spiritualmente, oltre che di formazione delle condizioni necessarie per un pieno svelamento delle capacità e dei talenti dei sovietici nell’interesse della società48.

Anche qui, parole importantissime e bellissime, per i significato che racchiudono, divenute foglie di fico, belle dichiarazioni d’intento, di cui quei criminali lastricarono la strada che condusse il popolo sovietico all’inferno, al punto di non ritorno, alla tragedia attuale. Meglio allora fare un passo indietro e dire, con le parole di Jurij Vladimirovič Andropov, tratte dalla relazione al Plenum del CC del PCUS del 15 giugno 1983, parole ormai dimenticate, ma che allora fecero scalpore proprio per questo passaggio (grassetto mio):

Compagni! La strategia del partito nel perfezionamento del socialismo maturo deve basarsi sulle solide fondamenta teoriche del marxismo-leninismo. Fin qui, ci siamo. Ma se dobbiamo dirla tutta, noi fino ad ora non abbiamo studiato adeguatamente la società in cui viviamo e lavoriamo, non ne abbiamo individuato appieno le leggi, i parametri entro cui si muove, soprattutto economici. Per questo ora siam costretti a muoverci, come dire, empiricamente, secondo un metodo del tutto irrazionale di prove e errori49.

Un passaggio che fu subito interpretato come: “noi non conosciamo la società in cui viviamo” e strumentalizzato da chi venne dopo, e aveva tutto l’interesse per farlo, come “basta, abbiam fallito, chiudiamo baracca”. In realtà, questo discorso prende di mira un modo di ragionare del partito che era ancora supponente, come i discorsi di certa gente, di conoscere la realtà perché “così sta scritto” da qualche parte oppure, peggio ancora, burocratico-opportunista perché “non di mia competenza”, oppure “fatti i fatti tuoi e campi cent’anni”, corollario del coro di salmodianti di cui sopra. Il passo successivo sarebbe stato, dopo questa presa d’atto, la messa in moto non dello smantellamento mantenendo e consolidando posizioni che avrebbero accompagnato, nella restaurazione del capitalismo, il passaggio della figura del burocrate a quella di oligarca e funzionario della nuova struttura a esso soggiacente, ma di meccanismi rigenerativi che promuovessero la partecipazione secondo binari peraltro già individuati, come già visto, ma che avrebbero senz’altro compromesso posizioni più o meno consolidate di privilegio e di potere. Fece il resto l’inganno di cui sopra, persino ai cosiddetti “partiti fratelli”50, oltre che una Costituzione tanto fresca di riforma (1977), quanto debole nello sviluppo di anticorpi contro gli stessi poteri che avrebbe dovuto semplicemente normare e che da essa avrebbero dovuto, altrettanto semplicemente, essere modellati: per esempio, e per una volta facciamoci i complimenti, i nostri Padri costituenti non avevano previsto Gorbacëv, D’Alema, Renzi, recentemente Putin e altri cialtroni a venire, ma avevano previsto che ci sarebbero potuti essere, così come ce ne era appena stato uno che aveva tenuto in pugno l’Italia per vent’anni. E avevano preso tutte le misure per cui non ci dovessero più essere, per cui uno che si fosse comportato in quella maniera, senza superare positivamente tutti i passaggi del caso, e più passaggi, a più livelli, distanziati nel tempo, sarebbe stato semplicemente un despota, un tiranno, un dittatore. Lì, invece, bastò, sei mesi dopo un referendum che aveva visto la stragrande maggioranza del popolo sovietico esprimersi per il mantenimento dell’URSS, una firma su un pezzo di carta, per mettere fine con un decreto di scioglimento a quello per cui avevano vissuto ed erano morti milioni di cittadini sovietici. Ljudi kak ljudi… avrebbe sempre concluso uno sconsolato Woland, in gita a Mosca mezzo secolo più tardi.

Notiamo, infine, come concettualmente gli approcci fossero radicalmente diversi, fra RPC e URSS:i primi si stavano muovendo verso la restaurazione del capitalismo, i secondi verso il “miglioramento del socialismo maturo” (совершенствование развитого социализма), come disse Andropov nel suo intervento: né la proprietà sociale dei mezzi di produzione, né i meccanismi di pianificazione erano minimamente messi in discussione. Tuttavia, questo andare a spanne, a tentoni nel buio, era qualcosa che li accomunava. Anche i cinesi, infatti, come stavano “tastando le pietre per passare il fiume” (摸着石头,过河). E qui incontriamo un’altra differenza: mentre Andropov sottolinea con estremo disappunto quell “empiricamente, secondo un metodo del tutto irrazionale di prove e errori (эмпирически, весьма нерациональным способом проб и ошибок)”, perché il presupposto di un modo socialistico di produzione è il piano, ma se io faccio un piano e un secondo dopo devo riscriverlo, e non nelle virgole, giustamente sottolineo che c’è qualcosa che non va nel mio modo di pianificare, i cinesi andavano sasso dopo sasso che era un piacere, senza farsi troppe domande, tenendo a bada un popolo che, dieci anni più tardi, avrebbe ben presto dimenticato i carri armati e le repressioni di fronte alle gabbie aperte alla vita di prima, per la precisione, all’arricchimento “per i migliori, che avrebbero indicato la strada agli altri”. Ma questa è un’altra storia.

Tornando all’URSS, non solo Andropov e il PCUS stesso, nella figura dei suoi quadri, non conoscevano la società in cui vivevano. Neppure i sovietici stessi avevano un quadro completo di quanto stava accadendo nel loro Paese, delle loro conquiste, di quanto avrebbero perso dopo, quando ormai il potere, saldamente in mano agli oligarchi, avrebbe impedito qualsiasi forma di ritorno al passato. Nikolaj Kulikov e Andrej Kurejčik, nella loro rivisitazione cinematografica (Movimento verso l’alto, Dviženie vverch, 2017) della vittoria sovietica sugli statunitensi 51-50 alla finale di pallacanestro delle Olimpiadi di Monaco (09-10/09/1972), inseriscono questo dialogo fra Modestas Paulauskas, il campione lettone rappresentato come il ribelle, l’anticomunista (con una formidabile “licenza poetica” rispetto al vero Modestas, che fu – ed è – tutto fuorché quanto descritto nel film), e Sergej Belov, la leggenda del basket sovietico nonché komsorg (комсорг organizzatore del komsomol) della squadra e autore di 20 punti in quella partita. È chiaro l’intento degli Autoridi parlare all’oggi, inserendo questo elemento. Modestas non riconosce l’URSS come sua Patria (“La mia Patria non è la tua”) e chiede a Sergej di non partire con il solito pistolotto nazionalistico (l’allenatore aveva appena annunciato di abbandonarli, alla vigilia della finale con gli USA, lasciandoli al loro destino). Sergej replica dicendo che anche la sua, di Patria, non è quella di Modestas e gli elenca, come sua patria, la famiglia, la squadra, i compagni. Al che Modestas sbotta… “I compagni!” e, fra l’ironico e il sarcastico, gli chiede di quali compagni stesse parlando, provocando una reazione inaspettata e che gli sarebbe rimasta impressa a lungo. Vale la pena di riportare questo scambio di battute. 51:

Belov: “Loro [i compagni] sono ottimi, io invece sono compagno alla mia maniera. Ascolta, capisco tutto. A tutti è venuto lo stesso pensiero. Là ci son più soldi e… la palla “rimbalza meglio”. E le ginocchia me le sistemerebbero in una settimana. Ma io i miei non li abbandonerei mai”.

Paulauskas: È da tanto che son diventati “i tuoi”?

Belov: Da tanto. L’ho capito solo ora52.

Per inciso, questa scena, scritta nel 2017, con quel “l’ho capito solo ora”, vuol dire tante cose, agli occhi e alle orecchie di un cittadino ex-sovietico o post-sovietico. Peraltro, il film continua e, quando Modestas prima sale sulla macchina che lo avrebbe portato dall’altra parte del muro, nel “mondo libero” e poi, dopo qualche minuto, fa fermare la macchina in mezzo alla strada, esce e torna a piedi al villaggio olimpico, da dietro gli gridano le stesse parole che lui, fra l’ironico e il sarcastico, aveva rivolto al komsorg Belov: Davno oni tebe svoimi-to stali? (E’ da tanto che son diventati “i tuoi”?)e lui, senza girarsi, camminando risolutamente verso il villaggio olimpico, mormora la stessa risposta di Sergej Belov: Davno. Ponjal tol’ko sejčas(Da tanto. L’ho capito solo ora)53.

Ancora oggi – e torniamo alla cronica fra il serio e l’ironico della giornalista del foglio locale di Ferrara – i russi una volta all’anno escono dalle proprie case popolari con la cassetta degli attrezzi, aggiustando panchine, sistemando il verde comune, pulendo dove non passa nessuno, rimettendo a posto la cassetta della posta rotta o ritinteggiando le scale dei loro condomini sempre più lasciati in balia di loro stessi. E chiamano tutto questo “emulazione socialista”. Esce poi una pellicola, fatta con quattro soldi al punto che anche chi ha curato la colonna sonora non ha scritto nessuno spartito ma tirato giù quattro temi dalla rete, un film che va oltre il semplice patriottismo, che declina – anzi – il termine rodina(patria) in tutti i modi possibili fuorché quello con cui lo riproduce ultimamente la filmica nazionale (e mondiale, visto che ultimamente il modo capitalistico di produzione sta richiedendo sempre più l’impiego di bandiere per digerire i rospi e le schifezze con cui ingozza a imbuto le bocche delle sue oche da allevamento): anche quando si ricorre alla parola patria, con la “p” maiuscola, l’intento è sempre ironico, anche in scene drammatiche, in quanto crea uno stacco con quanto accade e fa riflettere, ancora una volta, su cosa si dovrebbe reggere una comunità cresciuta nei legami sociali, negli affetti collettivi e, non da ultimo, nel senso di appartenenza, fino al punto di poter essere definita con quel termine.

Ed è con questa aspirazione che tocca ipocrisie e fraintendimenti, mette il dito nella piaga su molte questioni irrisolte, porta un messaggio simbolico, contenente a sua volta più messaggi simbolici, che vanno OLTRE la realtà storica di quegli eventi, che mostrano come SAREBBE STATO BELLO se fosse successo, ma non è accaduto. Che mostra, in ultima analisi, una strada utopica (perché rappresenta il non-luogo di quanto non è accaduto, ma riprodotto simbolicamente) ma al tempo stesso concreta, perché la storia riscritta “con il senno di poi” non è idealizzazione, ma solo, in ultima analisi, rimpianto. Una strada che si fonda sull’emulazione socialista: un film che ha visto e vede tutt’ora milioni di spettatori, un picco mai successo nella storia della filmografia post-sovietica. Con tutti i difetti, con tutte le colpe e mancanze, qualcosa era rimasto, ancora, a trent’anni di distanza.

La penultima scena del film citato, penultima volutamente perché meno importante ai fini della sceneggiatura di quella che segue qualche minuto più tardi54, mostra quei fatidici tri sekundy55. Vanja Edeško, entrato apposta con l’ultimo time out a disposizione, da bordo campo raccoglie tutte le sue forze, concentra tutta la sua mira che era il suo punto di forza come giocatore (realizzava poco, ma quando passava gli altri realizzavano quasi sempre) e, con un urlo a metà fra chi sta salutando questa valle di lacrime e un kiai (気合) giapponese56,fa il passaggio della vita. Dall’altra parte, in lunetta, Saša Belov prende la palla in volo, atterra, si beve due avversari che crollano dal salto miseramente a terra, punta il canestro e, ancora incredulo (alza e rialza la palla), lancia… e non sbaglia. Quel pallone, lanciato realmente in quel passaggio impossibile nel 1972, mi piace pensarlo come una kapsula vremeny57, quelle “capsule del tempo” che i giovani del komsomol seminavano a cavallo fra 1967 e 1968 (cinquantenario del Grande Ottobre) sotto qualche piastrella con un messaggio da leggere mezzo secolo più tardi, per i nuovi giovani, per i nuovi komsomol’cy. Ancora oggi, i russi rispettano le scadenze, staccano la piastrella e aprono quelle capsule, con i sopravvissuti presenti: potete immaginare le facce e la tristezza che domina in loro, alla lettura del loro messaggio, dietro l’ufficialità dell’evento (viene riposta un’altra kapsula vremeny). Tuttavia, a differenza di quel momento, dove il mondo rappresentato nelle lettere da quei komsomol’cy, rispecchiava una società con la convinzione di essersi saldamente incamminati in un percorso irreversibile, che sarebbe crollato miseramente poco più di vent’anni dopo, mi piace pensare che quello lanciato da Vanja Edeško sia un passaggio a noi, qui e ora: un pallone che possiamo, dobbiamo prendere al volo, in lunetta, berci gli avversari con la stessa facilità di Saša Belov e fare canestro; ancora una volta, perché siamo sotto di un punto e quello decisivo è ancora tutto da fare. Anche per il signore, ormai sulla cinquantina, qui ritratto:

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A Jurij e a sua madre dedico questo lavoro, nato come paragrafo ma diventato lungo come un libro. Classe 1954, Jurij Vladimirovič Kondrašin è il vero figlio del vero allenatore di quella squadra di basket vittoriosa in quell’Olimpiade. Nato con una paralisi cerebrale infantile, ciò nonostante completò l’intero ciclo di studi, e con ottimi voti. Con la fine dell’URSS, la famiglia fu lasciata a sé stessa e, con la perdita del padre (1999), tutto ricadde sulle spalle della madre, Evgenija Vjačeslavovna Kondrašina, la signora che tiene la sedia a rotelle nella foto. Per decenni hanno continuato a vivere in una casa popolare dove le barriere architettoniche impedivano qualsiasi movimento autonomo a Jurij e lo mettevano in condizione di pressoché totale dipendenza dalla madre. Qualche giorno fa, il 29 giugno 2020, è venuta a mancare anche lei, all’età di 88 anni. Ora che è rimasto solo, la Federazione nazionale di basket e il regista di questa fortunata pellicola si sono mobilitati per un vitalizio: “Penso che andrebbero sostenuti tutti i disabili, a prescindere di chi siano figli”, ha detto il regista58. Ponjal tol’ko sejčas:anche lui, come i protagonisti del film da lui diretto, “l’ha capito solo ora”. Meglio tardi che mai, non solo finzione.

Una finzione, peraltro, che aveva provocato il risentimento dellastessa vedova Kondrašina, lasciata letteralmente sola per oltre vent’anni, dopo la morte del marito,con la sua croce quotidiana, sempre più pesante, man mano che il tempo passava e sentiva mancarsi le forze, nonostante la sua enorme forza d’animo. Aveva ragione a incazzarsi.A incazzarsi con gli autori di questo film, perché avevano raccontato una bella favoletta, mentrenella realtà le cose non erano andate così, perché nessuno le diede mai un rublo, perché loro figlio, che all’epoca della finale aveva già 18 anni e non era più un bambino come invece rappresentato nel film, nessuna operazione avrebbe potuto mai metterlo in piedi e perché, non da ultimo, anche lei era stata rappresentata come – nella realtà – non era mai stata59.

Aggiungo, inoltre, e su questo fatto tutti glissano allegramente, al punto che quanto riporto qui sotto è frutto di un’osservazione di un commentatore, e non di una ricerca di nessuna testata giornalistica, che avrebbe ragione a incazzarsi un intero popolo perché, senza neanche andar tanto lontano, mentre dei 12 componenti della squadra a stelle e strisce oggi ne sopravvivono ancora 1160, della squadra sovietica ne sopravvivono solo 5!61 Non era facile (e non lo è tutt’ora!) essere anziani in un Paese dove, solo vent’anni dopo quella vittoria, tutto quanto costruito in meno di mezzo secolo era stato fatto a pezzi dai cosiddetti “ristrutturatori”, fra battimani di un Occidente falso e ipocrita, ivi compresi i cosiddetti (ormai ex-) “partiti fratelli”.Abbiamo ragione, infine, a incazzarci anche noi, che nel socialismo ci crediamo ancora e per esso non smettiamo mai di batterci perché oggi, al netto di questo capitalismo globalizzato e globalizzante, dei suoi epigoni che ne celebrano, declinandolo ciascuno nella propria parrocchia, le sorti progressive, di tante parole vuote perché ormai scollegate da qualsiasi progettualità concreta, a testimoniare ciò che è stato son rimasti solo cocci e macerie, nel più completo disinteresse generale.

Ponjal tol’ko sejčas. “L’ho capito solo ora”. Questa frase riecheggia in tutta la pellicola. Meglio, è il motivo principale che ha condotto alla stesura di quel soggetto e, in ultima analisi, di quella pellicola. Non più solo za sebja i za Sašku, per sé stessi e per il compagno in ospedale che lottava fra la vita e la morte, come quando l’allenatore si sgolava per svegliare la sua squadra, completamente in palla. E neppure za rodinu, per la patria, quell’espressione con cui Saša Belov incalza ironicamente il capo spedizione Moiseev nell’ultima scena del film. Il “movimento verso l’alto” che dà il titolo alla pellicola diviene, alla fine, un movimento “verso l’altro”, simboleggiato dal figlio dell’allenatore e dalla sua operazione impossibile. Il messaggio che questa pellicola lancia a noi è: anche questa è emulazione socialista.

Ponjal tol’ko sejčas? Meglio tardi che mai. Lo si fosse capito prima, in quel Paese martoriato, forse oggi di quella squadra di pallacanestro ne sarebbero morti uno o due, e non sette su dodici. Forse, di questi argomenti, non avrebbe parlato per la prima volta uno che di mestiere corre dietro a pallet aerei, dogane e container, e studia e scrive quando può e come può, ma studiosi e ricercatori ben più titolati che avrebbero già approfondito l’argomento in maniera decisamente più soddisfacente di quanto sinora accennato, tesserati nelle sezioni, lavoratori nelle assemblee, o gente comune per strada. Forse, qualcosa non sarebbe come è adesso. È comunque inutile piangere sul latte versato. La partita non è ancora finita, siamo lì in cerchio, durante l’ultimo consulto fra allenatore e squadra, fra bordate di fischi e il mondo che sembra crollato addosso; il primo spiega la tattica da seguire e poi chiede a Saša Belov, in quel momento con lo sguardo perso: “- Hai capito, Saša? Hai capito? / - Ho capito. / Avanti, mettiamolo in pratica”62. Vperëd, delaem! Se abbiam capito, mettiamolo in pratica.


Note
1Cfr. pp. 89-90 https://www.academia.edu/38614456/La_semina_e_il_raccolto._Ricerche_analisi_e_traduzione_integrale_di_Pianificabilit%C3%A0_pianificazione_piano_di_Ivan_Michajlovi%C4%8D_Syroe%C5%BEin_I_parte
2Ущерб, нанесенный фашистскими оккупантами сельскому хозяйству, исчислялся несколькими десятками миллиардов рублей (в ценах 1945-46 годов). На оккупированной фашистами территории в прежние годы производилось в масштабе СССР до 55 % зерна, в том числе до 75 % кукурузы, почти 90 % сахарной свеклы, 65 % подсолнечника, 45 % картофеля, 40 % мясопродуктов, в том числе до 65 % свинины, 35 % молочной продукции и т.п. Оккупантами было уничтожено или вывезено почти 200 тыс. тракторов и комбайнов, что составляло примерно 30 % парка сельхозмашин в 1940 г. Страна лишилась более 25 млн. голов скота, а также почти 40 % предприятий по переработке сельскохозяйственной продукции. Aleksej Alekseev, “Trionfo o avventura? Quarant’anni di terre vergini” (Триумф или авантюра? сорокалетие целины), Duel, N 4(4), 1996 (18 marzo), p. 20. https://www.bookol.ru/dokumentalnaya_literatura_main/publitsistika/155628/str20.htm
3По просьбе французского и британского правительств, СССР в 1947 - 48 гг. направил в Великобританию и Францию пшеничную муку и корма, оплаченные валютой и поставками промышленного оборудования. По данным Продовольственной Комиссии ООН (ФАО), в 1945 -1952 годах из СССР в вышеназванные страны было поставлено до 850 тыс. тонн продукции растениеводства и примерно 180 тыс. тонн мясопродуктов. Ibidem.
4Ibidem.
5Irina Vladimirovna Bystrova, “La ricostruzione dell’industria in URSS nel 1941-1945: l’esperienza della mobilitazione belllica” (Перестройка промышленности в СССР в 1941-1945 гг.: опыт военной мобилизации), Nuove prospettive storiche: dal Baltico all’Oceano Pacifico (Новые исторические перспективы: от балтики до тихого океана), n° 1, 2018, p. 84
6Ibidem, p. 93
7Cfr. Kommunist, 1964, n° 4, p. 43.
8Comitato Statale dell’URSS per la Statistica, L’economia dell’URSS in settant’anni: annuario statistico commemorativo (Народное хозяйство СССР за 70 лет. Юбилейный статистический ежегодник), Moskva, Finansy i statistika, 1987, p. 378.
9Ibidem, p. 379.
10Ibidem, pp. 411-12.
11Ibidem, p. 410.
12Cfr. p. 91 https://www.academia.edu/38614456/La_semina_e_il_raccolto._Ricerche_analisi_e_traduzione_integrale_di_Pianificabilit%C3%A0_pianificazione_piano_di_Ivan_Michajlovi%C4%8D_Syroe%C5%BEin_I_parte
13https://tjournal.ru/science/89789-ilon-mask-zayavil-chto-u-rossii-otlichnoe-raketostroenie-i-luchshiy-letayushchiy-dvigatel
14https://ria.ru/20200604/1572433349.html
15В госпитале я как бы заново переживал все, что произошло за месяцы участия в боях. Вновь и вновь возвращался к трагическим дням выхода из окружения. Перед глазами вставали погибшие товарищи. Ночью, во сне, нередко чудились автоматные очереди, и я просыпался. В палате была тишина, прерываемая лишь стонами раненых. Лежал с открытыми глазами и думал: почему у нас в армии так мало автоматического оружия, легкого, скорострельного, безотказного? Aleksandr Užanov, Michail Kalašnikov (Михаил Калашников), Moskva, Molodaja Gvardija, 2009. pp. 106-7
16Ibidem, p. 120.
17Ibidem, p. 339.
18Если в период 1918 - 1925 гг. в стране на долю изобретателей-одиночек приходилось 98% всех изобретений и только 2% - на долю коллективов, то уже в 1951 - 1956 гг. творческим коллективам изобретателей принадлежало 83% изобретений. Характерно также и то, что наибольшее число поданных рационализаторами и изобретателями предложений в этот период (свыше 60%) было направлено на развитие ведущих отраслей промышленности. К концу 50-х годов изобретательство и рационализаторство превращаются в подлинно массовое движение, охватывающее свыше двух миллионов человек. О массовости технического творчества свидетельствует увеличение удельного веса изобретателей и рационализаторов в общей численности работников промышленности. В 1950 г. этот показатель составлял 3,9%, в 1960 г. - 10,9%. G.M. Alekseev, “Il movimento dei razionalizzatori e degli inventori in URSS” (Движение рационализаторов и изобретателей в СССР), Voprosy Istorii, № 9, settembre 1969, p. 42.
19Aa. Vv., I principi leninisti dell’organizzazione dell’emulazione socialista (Ленинские принципы организации социалистического соревнования), Moskva, Studija Diafil’m, 1982, lucido 3. http://diafilmy.su/887-leninskie-principy.html
20Aa. Vv., Il collettivo dei lavoratori e l’emulazione socialista (Трудовой коллектив и социалистическое соревнование), Moskva, Studija Diafil’m, 1984, lucido 9.
21Aa. Vv., I principi leninisti dell’organizzazione dell’emulazione socialista, cit., lucidi 4-5
22Aa. Vv., Percorsi di impiego razionale delle risorse lavorative (Пути рационального использования трудовых ресурсов), Moskva, Studija Diafil’m, 1982, lucido 1. http://diafilmy.su/6489-puti-racionalnogo-ispolzovanija-trudovyh-resursov.html
23Ibidem, lucido 16.
24Ibidem, lucido 19.
25Una breve nota a margine: l’accento sulla qualità del lavoro, ovvero del processo lavorativo, non solo del prodotto finito, quindi il tentativo di razionalizzazione, sistematizzazione dello stesso, in un’economia a proprietà sociale dei mezzi di produzione, dove quindi il passaggio a un sistema GOST (analogo dell’occidentale ISO) di gestione della qualità non avviene in base alle convinzioni o alla convenienza del padrone, ma a una spinta collettiva che riguarda l’intero mondo del lavoro, avrebbe potuto costituire da doppio volano per un’intera ristrutturazione, questa sì veramente perestrojka, della concezione stessa di produzione di beni e servizi, a partire dalla progettazione fino a giungere al prodotto finito. E l’interazione, visto che abbiamo iniziato con questa immagine, con essa concludiamo, delle “due gambe” su cui si sarebbe dovuto reggere il processo, in un sistema di gestione della qualità e di controllo e autocontrollo, oltre che gestione e autogestione della stessa, avrebbe trovato un luogo ottimale, estremamente fecondo per svilupparsi e crescere.
26D’altronde, se una lavatrice ti dura vent’anni, se un’automobile te ne dura altrettanti, se un vestito non si stinge e restringe a trenta gradi, significa un ricambio molto più lento, significa che la frase “non conviene ripararlo” non è più nel vocabolario comune, significa risorse liberate per altri scopi e quindi che il lavoratore finalmente lavora na sebja, “per se” (на себя) non tanto perché si intasca i soldi come un piccolo Rockfeller, non è assolutamente quella l’emulazione (e torniamo a bomba sul tema di questo lavoro, perché tutto si collega alla fine): l’emulazione è condotta sul fatto che, finalmente, vede i propri bisogni soddisfatti immediatamente, a monte come a valle del processo produttivo, distributivo e di consumo. “I soldi ci sono!” Questo è il leitmotiv del modo socialistico di produzione, non “mancano i soldi”, “manca di qui”, “manca di là”: “i soldi ci sono”! E quando non ci sono, non c’è dietro la fregatura, come da noi, non ci sono per davvero, ma nulla vieta che un domani ci possano essere se tutti, consapevolmente, agiamo in maniera coordinata affinché ci siano, creando delle priorità, affinando la struttura dei bisogni e dei consumi. Dipende tutto da noi. E non è poco.
27Anche qui, ditemi oggi, al mondo, in questo piccolo mondo globalizzato e globalizzante, chi ragiona in questi termini, a parte le tribù native dell’Amazzonia e i Tuareg nel deserto. Questo è modo di pensare socialista, tutto il resto è capitalismo o, laddove i mezzi mancano, come in molti Paesi dell’economia della dipendenza in Africa, Asia e America Latina, capitalismo della borghesia compradora locale e, per il resto della popolazione, emulazione capitalistica, ovvero una sua brutta copia. Il che non vuol dire che i Paesi dell’Est fossero campioni di ecologia: certe boiate fuori dalla realtà lasciamole a Trump, ai suoi epigoni, così come ai quattro difensori a spada tratta del socialismo cinese rimasti all’estero del Celeste Impero. Significa, tuttavia, che l’unico modo di concepire un ecologismo strutturato, integrato con il tessuto economico, non in contraddizione fondamentale, antagonistica, con esso, è nel socialismo. Perché il modo socialistico di produzione è l’unico che non mette l’accumulazione e il saggio di profitto davanti a tutto, con relativi allegati (sfruttamento, speculazione, devastazione territorio e risorse, ecc.): quindi, l’unico tentativo in questo senso resta da farsi una volta socializzati i beni di produzione, non prima che “fatta la legge, trovato l’inganno”, “fatto il protocollo, io mi chiamo fuori”, ecc.
28Рост выпуска продукции достигается на практике двумя путями. Первый — экстенсивный — это строительство все большего числа заводов и фабрик на прежней технической основе, создание новых рабочих мест, вовлечение в производство все больше людей. Ныне же, когда сокращается прирост трудовых ресурсов и с каждым годом увеличиваются затраты на добычу и доставку сырья, особое значение приобретает второй—интенсивный — путь развития экономики, то есть получение высоких конечных результатов при более рациональном использовании материальных и трудовых ресурсов на базе ускорения технического прогресса.
Задача эта непростая, она требует мобилизации усилий всех трудящихся.
Советский человек должен хорошо понимать пути и возможности ускорения интенсификации производства. Поэтому агитаторы и политинформаторы призваны на близких и понятных фактах повседневной жизни трудовых коллективов разъяснять, что использовать интенсивные факты роста, повышать эффективность и качесто работы значит:
- всемерно беречь рабочее время, повышать производительность труда;
- неуклонно улучшать качество продукции, повышать ее технический уровень, надежность и долговечность;
- беречь народное добро, добиваться рационального использования техники, сырья, материалов, топлива, электроэнергии, усилить режим экономии;
- укреплять дисциплину и организованность на производстве.
Именно на этих направлениях должны быть сосредоточены главные усилия соревнующихся, а значит, и основная тематика бесед в каждом трудовом коллективе, мобилизующих на успешное решение задач одиннадцатой пятилетки. Давать продукции больше, лучше, дешевле— к этому призывает советских людей агитатор, личным примером и убедительным словом воодушевляя их на хорошую работу. Боевой участок работы партийных организаций и их агитколлективов — воспитание у трудящихся хозяйского, рачительного отношения к материальным ресурсам. «Нам, товарищи,— говорил на XXVI съезде партии товарищ Л. И. Брежнев,— сейчас по силам решение самых больших и сложных задач. Но стержнем экономической политики становится дело, казалось бы, простое и очень будничное — хозяйское отношение к общественному добру, умение полностью, целесообразно использовать все, что у нас есть. Экономика должна быть экономной — таково требование времени». Aa. Vv., L’economia deve economizzare (Экономике быть экономной), Moskva, Izd. Pravda, 1981, pp. 4-5.
29Aa. Vv., L’emulazione e il regime di economia, attitudine al risparmio del bene comune (Соревнование и режим экономии, бережное отношение к народному добру), Moskva, Studija Diafil’m, 1983, lucido 10.
30Ibidem, lucido 11.
31Ibidem, lucido 15.
32Ibidem, lucido 17.
33Aa. Vv., I principi leninisti dell’organizzazione dell’emulazione socialista, cit., lucido 20.
34Ibidem, lucido 25.
35Cfr. Wendy Ng, The Political Economy of Competition Law in China, Cambridge, Cambridge University Press, 2018, pp. 113-117
36Karl Marx, Das Kapital, Bd. I, in Karl Marx, Friedrich Engels, Werke, 43 voll., Berlin(DDR), Karl Dietz Verlag, 1956-1990, Band 23, p. 788.
37Non aggiungo altro, per ulteriori approfondimenti qualcosa ho aggiunto in un mio lavoro purtroppo ancora attuale: https://www.academia.edu/37305627/Riportando_tutto_a_casa._Appunti_per_un_nuovo_assalto_al_cielo pp.10-22
38「觚不觚,觚哉!觚哉!」traduzione letterale: “un gu() senza le proprietà di un gu(bugu 不觚), che gu! Che gu!” Siccome per Kongzi tutto quanto non aveva le proprietà specifiche per poter essere definito gu valeva alla stessa stregua di un vaso da notte, ovvero non esistevano quelle “zone d’ombra” su cui il potere ha marciato da quando spacciava la prima clava per “strumento di difesa” fra gli altri uomini delle caverne, a oggi con “Giuseppi Conti” e le sue supercazzole iperboliche, la resa con questi termini è stata immediata. Kongzi, Lunyu (“I dialoghi” 论语), 6,25, in Aa. Vv., Wujing Sishu Quanyi, traduzione e commento a cura di Chen Xianmin et al., 4 voll., Zhengzhou, Zhongzhou guji chubanshe, 2002.《五经四书全译》,陈襄民等译注, 郑州,中州古籍出版, 2002 , p. 3101.
39Cfr. la mia Tesi di dottorato (cit.) dove ne accenno fra le pp. 443 e 445. (https://www.academia.edu/3394081/Il_substrato_confuciano_e_tradizionale_del_marxismo_di_Mao_Zedong)
40从前,有一座村庄,马是那里常用的牲口工具。但它们干活很懒,效率很低。村长看到邻村的斑马干活很有劲,就想把村里的马换成斑马,却遭到大部分村民的反对。村民们说:我们祖祖辈辈都跟马生活在一起,你凭什么要把它们换了呢?村长感到阻力很大,不得不另想办法。他在晚上等村民睡觉以后,偷偷拿一桶漆,在马背上画了许多白道道。第二天,村民们发现马变成了斑马,就去问村长是怎么回事。村长说,我没有换成斑马,只是觉得好玩,画了些白道道,不信你们仔细看就知道了。村民们仔细地看,确实,马还是原来的马,没有真正改变,于是就没有计较此事。而村长每天晚上继续画更多的斑马。渐渐地,村民们习惯了把马和斑马看作是同一样东西。村长找准机会,把画上白道道的马真的换成了斑马。直到有一天,村民发现他们的马被换成了斑马。但因为斑马比马更能干活,给村里带来许多好处,大家也就高兴地接受了这个转变。Aa. Vv., L’economia nei racconti di Zhang Weiying (张维迎寓言经济学), Shanghai, Shanghai renmin chubanshe, 2015. https://book.douban.com/reading/35871944/
41Quando si dice, “cosa fatta capo ha”: a distanza di oltre un decennio, mi son ricordato di questa “parabola” con cui questo “luminare” della scienza economica, accademico di prim’ordine, chierico al servizio dei nuovi padroni di questo “capitalismo con caratteristiche cinesi”, si vantava di aver turlupinato il proprio popolo, sempre “per il meglio”, ovviamente… Oggi, questo nascondere la realtà attraverso menzogne a fin di bene, fa venire in mente due mesi di ritardo nel denunciare una malattia, quando ormai ce l’aveva mezzo mondo. Peraltro, riprendendo questo brano da un mio lavoro (pp. 37-38, https://www.academia.edu/1698914/La_Cina_e_il_1989_fra_linee_di_continuit%C3%A0_e_di_discontinuit%C3%A0), mi sono accorto di come oggi, a oltre dieci anni di distanza da quella ricerca, sulla rete lo stesso episodio sia riportato dai suoi esegeti (come si conviene a qualsiasi pezzo grosso), organiche pertanto al cosiddetto PCC, in toni molto meno “aulici”: i cavalli non è che non funzionano, sono proprio dei lazzaroni (干活很懒). Non lo si dice esplicitamente ma, ovviamente, il popolo è bue e non se ne accorge, mentre il capo villaggio “illuminato” si; loro lavorano con quei cavalli, condividono sudore, fatica e bestemmie, ma gli va bene che siano lazzaroni… non si accorgono peraltro della differenza fra un cavallo dipinto e una zebra… ma lasciam perdere. A parte questo aspetto, su cui è il caso di stendere un lenzuolone pietoso, vale ancora la pena di soffermarsi su un punto. Il socialismo rappresentato come ferrovecchio… dagli stessi “se-dicenti” comunisti cinesi, ai quali – da tempo – non importava né la prima, né la seconda gamba di questo paragrafo: qui mi fermo, perché la nota diventerebbe un libro.
42Нам остается теперь только организовать соревнование, т. е. обеспечить гласность, которая давала бы возможность всем общинам государства ознакомлять относительно того, как именно пошло экономическое развитие в различных местностях, - обеспечить, в-третьих, возможность практического повторения опыта, проделанного в одной общине, другими общинами, обеспечить возможность обмена теми материальными силами, - и человеческими силами, - которые проявили себя с наилучшей стороны в соответственной области народного хозяйства или государственного управления. V. I. Lenin, Variante de I compiti immediati del potere sovietico (Вариант статьи «Очередные задачи советской власти»), PSS, Vol. 36, 1974, pp. 152-3.
43Gianni Rodari, Novelle fatte a macchina, Torino, Einaudi, 1973. https://doclecture.net/1-26600.html
44CC del PCUS, Consiglio dei ministri dell’URSS, Consiglio centrale dei sindacati di tutta l’Unione, Sull’emulazione socialista in tutta l’unione per il completamento pieno degli obbiettivi del XII Piano quinquennale (О всесоюзном социалистическом соревновании за успешное выполнение заданий двенадцатой пятилетки), 18 giugno 1986, http://docs.cntd.ru/document/765706504
45Ed Vulliamy, “‘Rockers and spies’ – how the CIA used culture to shred the iron curtain”, The Guardian, 03/05/2020 https://www.theguardian.com/us-news/2020/may/03/rockers-and-spies-how-the-cia-used-culture-to-shred-the-iron-curtain
46CC del PCUS, Sull’ulteriore miglioramento dell’organizzazione dell’emulazione socialista (О дальнейшем улучшении организации социалистического соревнования, 31 agosto 1971), in Il PCUS nelle sue risoluzioni e decisioni ai Congressi, alle Conferenze e ai Plenum del CC (1898-1986) (КПСС в резолюциях и решениях съездов, конференций и пленумов ЦК (1898-1986)), Moskva, Politizdat, 1986, Vol. 12, p. 144.
47Социалистические обязательства, Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija, III ed., Moskva, ed. Sovetskaja Enciklopedija, vol. 24, pp. 687-688, https://bse.slovaronline.com/43183-SOTSIALISTICHESKIE_OBYAZATELSTVA
48Созданный в стране производственный и духовный потенциал, задачи ускорения социально-экономического развития страны делают необходимым и возможным существенное продвижение вперед к достижению «полного благосостояния и свободного всестороннего развития всех членов общества» (В. И. Ленин).
КПСС ставит задачу поднять благосостояние советских людей на качественно новую ступень, обеспечить такие уровень и структуру потребления материальных, социальных и культурных благ, которые будут в наибольшей степени отвечать целям формирования гармонично развитой, духовно богатой личности, создания необходимых условий для полного раскрытия способностей и талантов советских людей в интересах общества. Comitato statale dell’URSS per la statistica, L’economia dell’URSS in 70 anni. Annuario statistico commemorativo (Народное хозяйство СССР за 70 лет. Юбилейный статистический ежегодник), Moskva, Finansy i statistika, 1987, p. 373.
49Товарищи! Стратегия партии в совершенствовании развитого социализма должна опираться на прочный марксистско-ленинский теоретический фундамент. Между тем, если говорить откровенно, мы еще до сих пор не изучили в должной мере общество, в котором живем и трудимся, не полностью раскрыли присущие ему закономерности, особенно экономические. Поэтому порой вынуждены действовать, так сказать, эмпирически, весьма нерациональным способом проб и ошибок. Dal Discorso del segretario generale del CC del PCUS J. V. Andropov al Plenum del CC del PCUS del 15 giugno 1983 (Речь Генерального секретаря Центрального Комитета КПСС товарища Ю. В. Андропова на Пленуме ЦК КПСС 15 июня 1983 г.). Riportato integralmente nel sito della Biblioteca Nazionale del Kazakistan. https://biblio.kz/m/articles/view/РЕЧЬ-ГЕНЕРАЛЬНОГО-СЕКРЕТАРЯ-ЦЕНТРАЛЬНОГО-КОМИТЕТА-КПСС-ТОВАРИЩА-Ю-В-АНДРОПОВА-НА-ПЛЕНУМЕ-ЦК-КПСС-15-ИЮНЯ-1983-ГОДА manoscritto originale qui: http://liders.rusarchives.ru/andropov/docs/rech-yuv-andropova-na-plenume-tsk-kpss-15-iyunya-1983-g.html
50Cfr. Hans Modrow, La perestrojka e la fine della DDR. Come sono andate veramente le cose, Sesto San Giovanni, Mimesis Edizioni, 2019.
51https://www.youtube.com/watch?v=KcORxfbD1oY
52- Они отличные. Я товарищ так себе. Слушай, ну, я всё понимаю. У всех такая мысль .Там и денег больше и... мяч лучше скачет. И колени мне там за неделю починят. Но я бы своих не бросил. / - Давно они тебе своими-то стали? / - Давно. Понял только сейчас.
53https://vk.com/video-164898695_456239326 sec. 46 e segg.
54È la scena che risolve oltre due ore di lungometraggio ed è completamente frutto della fantasia degli sceneggiatori. Dopo i festeggiamenti sul campo, la squadra sovietica entra nello spogliatoio. Arriva il viceallenatore e responsabile della squadra Moiseev (Sergej Grigor’evič Baškin, 1931-2004) con i soldi del premio in un mucchietto di buste, una per ciascun giocatore, riprendendo la seconda scena del film, che rappresentava il dopo vittoria agli Europei: tanti soldi, sicuramente “più di quanti ne guadagna un tassista a Kaunas” (Побольше, чем у таксистов в Каунасе), lanciando una frecciatina a Paulaskas che, nella finzione cinematografica, si lamentava sempre dei pochi soldi in quelle buste con quell’esempio. Qui però nessun giocatore si avventa sulla sua busta, nessuno pensa già ai regali da portare a casa. Restano tutti seduti, guardandosi negli occhi e sorridendo. Saša Belov guarda Moiseev e gli rivolge una domanda banale, infantile, e per questo talmente carica di ironia: “Alla fine… abbiam giocato per la patria” (Вообще-то, мы… за родину играли). Moiseev lo guarda, disincantato, come la mamma nel Fides pascoliano guardava “il piccoletto figlio” ripetere le sue verità teologiche, e fa finta di annuire.
Lo stesso fa, con un sorriso a metà fra una smorfia ironica e uno sguardo perso nel vuoto, seduto in un angolo come una vecchietta (con la giacchetta a mo’ di scialle) sta Garanžin, l’allenatore artefice della vittoria : – “Nessuno, tranne l’allenatore, credeva che noi potessimo vincere” – “Neppure noi” (– Никто кроме тренера… не верил в то, что мы можем выиграть. – Даже мы), ammetteva la squadra in una riunione spontanea in uno dei momenti più difficili, quando la soluzione migliore sarebbe stata quella di ritirarsi e non rischiare la sconfitta contro la corazzata americana, avvalendosi della possibilità concessa dal CIO dopo l’attentato terroristico contro la squadra israeliana. Ha altri pensieri che gli trafiggono la testa e il cuore come pugnalate: rientrare a casa e affrontare la moglie, che lo colpevolizzerà per non aver fatto nulla per il figlio sulla sedia a rotelle, per la sua operazione in occidente, per i permessi che non ci sono, per l’impossibilità materiale di venirne a capo, da qualunque parte egli provasse a girare il problema, di fronte a cui quei tri sekundy erano davvero stati un vagon vremeny (вагон времены), una vagonata di tempo entro cui “poter vincere, perdere e ancora vincere” (Можно выиграть, проиграть, и снова выиграть), come cercava di convincere i suoi.
E così era stato. Ma ora non sarebbe stato, non poteva essere un canestro a salvarlo. Si alza il capitano Sergej Belov, guarda tutti e tutti annuiscono e nessuno ride, questa volta; si avvicina alla mazzetta delle buste, la prende e dice: “Questi sono per Šura (il bambino di Garanžin, altro diminutivo di Aleksander insieme a Saša), per l’operazione (Это Шуре на операцию)”. Parte la musica di sottofondo, l’obbiettivo impietoso inquadra il primo piano di un allenatore visibilmente emozionato, ancora incredulo, dal cui groppo in gola riesce a uscire solo un flebile “Perché, ragazzi?” (Зачем, ребят?), sommerso da un applauso collettivo, tutti in piedi intorno a lui, con Moiseev che estrae dal taschino interno della giacca la propria busta e la mette insieme alle altre.
Stacco e scena finale: Šura, inquadrato di spalle, che si alza dalla sedia a rotelle per mettere la coppa sul ripiano più alto dello scaffale, a simboleggiare il completamento di quel “movimento verso l’alto” che dà il titolo al film. Un film volutamente simbolico, con molteplici chiavi di lettura e che va aldilà della semplice celebrazione di un evento, pur realmente accaduto. Un film che parla all’oggi, utilizzando ieri come pretesto e mezzo necessario, ma non come fine, neppure dal semplice punto di vista della sequenza scenica. Ora, anche per chi il russo non lo conosce, la scena qui riprodotta è più comprensibile: https://www.youtube.com/watch?v=rVv0XFkb590
55https://www.youtube.com/watch?v=LRtKYtTjp0A&t=199s La prima parte rappresenta le proteste del sovietico Moiseev (che nella realtà si chiamò Sergej Grigor’evič Baškin, 1931-2004) per non aver tirato indietro la lancetta del cronometro per i tre secondi rimasti da giocare e la sua richiesta che fossero, invece, giocati po pravilam, “secondo le regole”.
56Le due espressioni sono state volutamente accostate perché perfettamente equivalenti: la differenza è soltanto che la prima, pertinente alla sfera escatologica (e teologica), è lì e lì soltanto confinata; basti pensare all’evangelico (Mt. 27:50) clamans voce magna emisit spiritum (κράξας φωνή μεγάλη , αφήκε το πνεύμα), laddove krazo κράζω esprime proprio, con l’onomatopea del verso degli uccelli, quel tipo di urlo che butta fuori anche l’anima, per l’appunto; la seconda, invece, fa parte di una riflessione psico-fisica tipicamente giapponese sulle tecniche di respirazione addominale, di immagazzinamento dell’energia vitale (qi/ki = //= πνεῦμα) e il suo rilascio immediato e totale in accompagnamento al colpo che si ritiene, meglio, che si vuole UNICO e RISOLUTIVO. I giapponesi, in questo, non sono mai stati “barocchi” come accade, invece, in certe scene di combattimento dei film di cappa e spada cinesi: il colpo è unico e risolutivo, a volte unendo l’attacco all’estrazione stessa della katana () dal fodero, come nello iaidō (居合道). Per questo ci vuole il kiai per accompagnare il colpo: si tira fuori, con quel colpo, tutto sé stessi, la propria energia vitale. In questo caso l’ultimo passaggio di una partita epocale, il passaggio di una vita, a tre secondi dalla fine, dopo una partita dove tutti – come collettivo – hanno dato l’anima, giocando ampiamente al di sopra delle proprie possibilità individuali, con una tensione crescente e accresciuta dagli errori arbitrali e dei cronometristi, oltre che dai cori di fischi, non poteva non essere accompagnato da un urlo simile.
57Per esempio, quelle depositate fra il 1967 e il 1968 per il Cinquantesimo della Rivoluzione da pionieri e komsomol’cy in tutta l’URSS: https://www.vkonline.ru/content/view/213085/na-aviakore-vskryli-kapsulu-s-poslaniem-ot-komsomolcev-1968-goda-kollektivu-zavoda-2018-goda oppure https://ribalych.ru/2017/05/27/vskryli-kapsulu-poslanie/
58https://www.gazeta.ru/culture/news/2020/07/02/n_14618263.shtml
59A incazzarsi lei, così come la vedova di Saša Belov, che vedeva in quel film suo marito già gravemente malato prima del tempo, piuttosto che lo stesso, vivente, Paulauskas, che tutto era fuorché anticomunista e antirusso (attualmente vive a Kalinigrad). https://www.vladimir.kp.ru/daily/26779/3812967/ et https://aif.ru/sport/person/vdova_vladimira_kondrashina_za_pobedu_v_myunhene_muzh_ne_poluchil_nichego
60per verificare, va bene anche wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/1972_United_States_men%27s_Olympic_basketball_team) partendo dall’elenco dei giocatori e seguendo le biografie di ciascuno
61https://zen.yandex.ru/media/odnovremenno/realnye-igroki-sbornoi-sssr-po-basketbolu-v-1972-godu-i-aktery-ih-sygravshie-5a9c641d9d5cb3fe1d7ba904
62Ты понял, Саша? Понял? / Понял. / Впёред, делаем.

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Paolo Selmi
Tuesday, 11 August 2020 13:57
Urrà, abbiamo anche il troll!
Salutaci la Baviera e, visto il posto, approfittane e non fermarti alla terza media, fallo per noi che siamo qui a schiattare di caldo, ma in ottima compagnia! Altro giro di vodka per tutti!
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Ottone di Baviera
Tuesday, 11 August 2020 12:05
Che branco di sfigati che si riunisce in questo sito. Un po' fate tenerezza, ma in generale è incredibile quanto prosciutto abbiate davanti agli occhi...
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Paolo Selmi
Friday, 07 August 2020 15:58
Cari compagni,

con quest'ultima parte si conclude il mio lavoro sull'emulazione socialista. Ringrazio Tonino per la pubblicazione e voi tutti per i commenti, le critiche e gli spunti di riflessione arrivati sia su questo sito che via mail. Arrivederci fra qualche mese con la fine del capitolo V del manuale sulla pianificazione... a meno di altri "incidenti di percorso" come questo, che doveva essere un paragrafetto e che, invece, è diventato quasi una monografia a sé stante.

D'altronde, non sarebbe ricerca se non avesse anche questo rischio, che per me rischio non è affatto, anzi. E' passione che si alimenta di ogni cosa nuova che scopro, a volte per caso, a volte perché caparbiamente scortico yandex.ru finché non mi dà quello che cerco, o quanto di più simile si possa avvicinare allo stesso. Cosa nuova da cui, o alla mattina presto o dopo le dieci di sera, o comunque a mente completamente sgombra, nascono altre cose nuove, che quasi sempre covavano da tempo e aspettavano magari solo quell'innesco insperato per emergere, quel colpo di vanga per riaffiorare, e così via. E la costruzione prende forma.

Un caro saluto a tutti. Riavrò accesso alla rete da domani, quando avrò fatto i soliti 1150 km di strada che, come ogni sei mesi, mi aspettano stanotte.

Di nuovo ciao!
Paolo Selmi
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