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Vladimir Lenin, “Tesi sulle questioni nazionali e coloniali”

di Alessandro Visalli

LeninSecComIl secondo Congresso della III Internazionale, che si svolge dal 19 luglio al 7 agosto 1920, tra Pietrogrado e Mosca, affronta al punto 8 la questione coloniale, che nel seguito delle vicende del comunismo internazionale si rivela decisiva.

Nel primo abbozzo delle tesi, Lenin scrive un breve ed intenso testo[1], che viene studiato da un giovane ed entusiasta militante vietnamita, Nguyen ai Quoc (ovvero Ngiuen il patriota, poi noto come “portatore di luce”, Ho Chi Minh). Come racconta nel 1960, “le tesi di Lenin destarono in me grande commozione, un grande entusiasmo, una grande fede, e mi aiutavano a vedere chiaramente i problemi”. Il punto cui giunge è che “solo il socialismo, solo il comunismo può liberare dalla schiavitù sia i popoli oppressi che i lavoratori di tutto il mondo. Compresi come il vero patriottismo e l’internazionalismo proletario siano inestricabilmente legati tra di loro”[2].

La bozza di Lenin si compone di dodici tesi:

1- “Una posa astratta o formale del problema dell'uguaglianza in generale e dell'uguaglianza nazionale in particolare è nella natura stessa della democrazia borghese. Sotto la maschera dell'uguaglianza dell'individuo in generale, la democrazia borghese proclama l'uguaglianza formale o legale del proprietario e del proletario, dello sfruttatore e degli sfruttati, ingannando così gravemente le classi oppresse. Sul presupposto che tutti gli uomini sono assolutamente uguali, la borghesia sta trasformando l'idea di uguaglianza, che è essa stessa un riflesso delle relazioni nella produzione di merci, in un'arma nella sua lotta contro l'abolizione delle classi. Il vero significato della domanda di uguaglianza consiste nel fatto che è una richiesta di abolizione delle classi”.

La prima tesi riprende la distinzione, di pura derivazione marxiana, della distinzione tra uguaglianza formale (o meramente legale) e sostanziale. Ma nel farlo ne slitta quasi inavvertitamente il significato dal piano dell’individuo a quello della nazione. La stessa mossa di guardare solo alla formalità dell’apparenza di indipendenza e di eguaglianza è allora spostata dallo sfruttamento individuale a quello tra nazioni e l’abolizione di questa (ovvero delle classi) ad abolizione delle differenze di rango, potenza e dominio tra nazioni. La prima tesi mette in movimento l’intero testo.

 

2- “In conformità con il suo compito fondamentale di combattere la democrazia borghese ed esporre la sua falsità e ipocrisia, il Partito Comunista, in quanto campione dichiarato della lotta proletaria per rovesciare il giogo borghese, deve basare la sua politica, anche sulla questione nazionale, non su principi astratti e formali ma, in primo luogo, su una valutazione precisa della specifica situazione storica e, soprattutto, delle condizioni economiche; secondo, su una chiara distinzione tra gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, e il concetto generale di interessi nazionali nel loro insieme, che implica gli interessi della classe dominante; terzo, su una distinzione altrettanto chiara tra gli oppressi”.

La seconda tesi entra nel merito producendo un’avvertenza capitale: anche sulla questione nazionale il Partito Comunista non si deve basare sull’applicazione pedissequa di principi astratti e formali (ad esempio sull’universalismo astratto di Kant[3]) bensì su una più concreta valutazione della situazione storica in campo e delle sue determinanti economiche. In questo senso bisogna prestare attenzione specifica a distinguere gli interessi dei lavoratori, degli sfruttati e degli oppressi, da quelli degli oppressori anche se nazionali, ovvero, in altri termini, tra gli interessi entro il contesto nazionale. La domanda circa il cosiddetto “interesse nazionale” è sempre “di chi?” Ma anche tra gli oppressi va compiuta una attenta valutazione, ci sono oppressi ed oppressi.

 

3- “La guerra imperialista del 1914-18 ha rivelato molto chiaramente a tutte le nazioni e alle classi oppresse di tutto il mondo la falsità delle frasi democratiche borghesi, dimostrando praticamente che il Trattato di Versailles delle celebri ‘democrazie occidentali’ è un ancora più brutale e disgustoso atto di violenza contro le nazioni deboli di quanto non lo fosse il Trattato di Brest-Litovsk dei drogati tedeschi e dei Kaiser. La Società delle Nazioni e l'intera politica postbellica dell'Intesa rivelano questa verità con ancora maggiore chiarezza. Intensificano ovunque la lotta rivoluzionaria sia del proletariato nei paesi avanzati sia delle masse lavoratrici nei paesi coloniali e dipendenti”.

 

4- “Da queste premesse fondamentali risulta che l'intera politica dell'Internazionale comunista sulle questioni nazionali e coloniali dovrebbe basarsi principalmente su un'unione più stretta dei proletari e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni e paesi per una lotta rivoluzionaria congiunta per rovesciare i proprietari terrieri e la borghesia. Solo questa unione garantirà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile l'abolizione dell'oppressione nazionale e della disuguaglianza.”

Nella quarta tesi si trae una conseguenza logica, solo l’unione dei proletari e delle masse lavoratrici (la distinzione è specifica dell’attenzione al mondo coloniale, in cui i lavoratori industriali spesso sono infima minoranza) di tutte le nazioni per quella che chiama “una lotta rivoluzionaria congiunta”, potrà rovesciare la situazione. E senza la finale vittoria sul capitalismo diventa impossibile sia l’abolizione dell’oppressione nazionale sia della disuguaglianza.

Questa chiusa è della massima importanza per comprendere il compatto pensiero messo qui in evidenza da Lenin e perfettamente colto da Ho Chi Minh: l’abolizione della ineguaglianza (ovvero la scomparsa delle classi, il trionfo del comunismo) è possibile ed immaginabile solo se cessa contemporaneamente anche l’oppressione nazionale. L’oppressione della borghesia nazionale verso i lavoratori, in ogni singola nazione, trae infatti specifica forza dalle relazioni che questa intrattiene, in termini di dominazione e di soggezione, con le altre in una catena ininterrotta che si tiene nel suo complesso.

 

5- “La situazione politica mondiale ha ora posto la dittatura del proletariato all'ordine del giorno. Gli sviluppi politici mondiali sono necessariamente concentrati su un unico obiettivo: la lotta della borghesia mondiale contro la Repubblica russa sovietica, attorno alla quale sono inevitabilmente raggruppati, da un lato, i movimenti sovietici dei lavoratori avanzati in tutti i paesi e, dall'altro altro, tutti i movimenti di liberazione nazionale nelle colonie e tra le nazionalità oppresse, che stanno imparando da amara esperienza che la loro unica salvezza sta nella vittoria del sistema sovietico sull'imperialismo mondiale.”

In conseguenza la tesi di Lenin è che l’unica speranza di ogni singolo paese dominato, nel sistema mondiale capitalista, è che l’imperialismo sia sconfitto dal sistema sovietico in ogni luogo. È da notare che qui viene usata la nozione di “nazionalità oppresse”, che può essere mobilitata proprio perché la tesi 2 ha avvertito sulla interna frattura di queste “nazionalità”. In altri termini, il fatto che alcune “nazionalità” siano “oppresse” non esclude, ma anzi dipende, dalla circostanza che entro di esse siano in opera i terminali umani e sociali di questa oppressione (le cosiddette “borghesie compradore”).

 

6- “Di conseguenza, attualmente non è possibile limitarsi a un nudo riconoscimento o annuncio della necessità di una più stretta unione tra i lavoratori delle varie nazioni; deve essere perseguita una politica che raggiungerà la più stretta alleanza, con la Russia sovietica, di tutti i movimenti di liberazione nazionali e coloniali. La forma di questa alleanza dovrebbe essere determinata dal grado di sviluppo del movimento comunista nel proletariato di ciascun paese, o dal movimento di liberazione democratica borghese degli operai e dei contadini nei paesi arretrati o tra nazionalità arretrate.”

Nella sesta tesi, che anche nella formulazione, in particolare nella chiusa, mostra tutta la difficoltà di operare in un campo altamente eterogeneo[4] che in pratica avvolge tutto il mondo, si sposta sul piano pratico e indica quella che sarà per alcuni decenni lo sfondo dello scontro triangolare Usa-Urss/Cina-terzo mondo: i movimenti di liberazione nazionali e di lotta anticoloniale devono trovare “la più stretta alleanza” con la Russia sovietica. Una forma di alleanza determinata dal grado di sviluppo relativo e che si allarga ai movimenti comunisti, ma anche ai semplici movimenti di liberazione democratici-borghesi e alle “nazionalità arretrate”. Tutte queste devono essere sottratte alla relazione imperiale, che è lo strumento del dominio delle borghesie in ognuno dei paesi della catena centro-periferia.

 

7- “La federazione è una forma di transizione verso la completa unità dei lavoratori di diverse nazioni. La fattibilità della federazione è già stata dimostrata in pratica sia dalle relazioni tra RSFSR e altre Repubbliche sovietiche (ungherese, finlandese e lettone in passato, sia dall'Azerbaigian e dall'ucraino al momento), e dalle relazioni all'interno della RSFSR in relazione a nazionalità che in precedenza non godevano né di statualità né di autonomia (ad esempio, le repubbliche autonome di Bashkir e Tatar nella RSFSR, fondate rispettivamente nel 1919 e nel 1920).”

 

8- “A questo proposito, è compito dell'Internazionale comunista sviluppare ulteriormente e anche studiare e testare per esperienza queste nuove federazioni, che stanno sorgendo sulla base del sistema sovietico e del movimento sovietico. Nel riconoscere che la federazione è una forma di transizione per completare l'unità, è necessario lottare per un'unità federale sempre più stretta, tenendo presente, in primo luogo, che le repubbliche sovietiche, circondate come sono dalle potenze imperialiste di tutto il mondo, che dal punto di vista militare sono incommensurabilmente più forti - non può assolutamente continuare ad esistere senza la più stretta alleanza; secondo, che è necessaria una stretta alleanza economica tra le repubbliche sovietiche, altrimenti le forze produttive che sono state rovinate dall'imperialismo non possono essere ripristinate e il benessere dei lavoratori non può essere garantito; terzo, che vi è una tendenza alla creazione di un'unica economia mondiale, regolata dal proletariato di tutte le nazioni come un tutto integrale e secondo un piano comune. Questa tendenza si è già manifestata abbastanza chiaramente sotto il capitalismo ed è destinata ad essere ulteriormente sviluppata e portata a compimento sotto il socialismo”.

La settima ed ottava tesi sono strettamente interne alla dinamica della formazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e al dibattito interno (ad esempio con Stalin)[5]. Tuttavia va notato il triplice argomento che Lenin avanza, l’unità più stretta serve: 1- per rispondere alla potenza occidentale; 2- per integrare l’economia, raggiungendo la scala idonea; 3- perché la tendenza generale è per “un’unica economia mondiale”, che sotto il dominio del proletariato resta tale, ma regolata dalla pianificazione in un “tutto integrale”, mentre sotto il capitalismo appare meramente come tendenza che non riesce a svilupparsi compiutamente.

Qui appare, come in altri luoghi del lavoro leniniano, un certo schematismo, nella pratica sempre superato dalla preminenza della prassi.

 

9- “La politica nazionale dell'Internazionale comunista nell'ambito delle relazioni all'interno dello stato non può essere limitata al riconoscimento nudo, formale, puramente dichiarativo e in realtà non impegnativo dell'uguaglianza delle nazioni a cui si confinano i democratici borghesi e quelli che assumono il nome di socialisti (come i socialisti della Seconda Internazionale). In tutta la loro propaganda e agitazione - sia all'interno del parlamento che al di fuori di esso - i partiti comunisti devono costantemente esporre quella costante violazione dell'uguaglianza delle nazioni e dei diritti garantiti delle minoranze nazionali che deve essere vista in tutti i paesi capitalisti, nonostante la loro ‘democrazia’, ‘Costituzioni’. È anche necessario, innanzitutto, spiegare costantemente che solo il sistema sovietico è in grado di garantire un'autentica uguaglianza di nazioni, unendo prima i proletari e poi l'intera massa della popolazione attiva nella lotta contro la borghesia; e, in secondo luogo, che tutti i partiti comunisti dovrebbero fornire aiuti diretti ai movimenti rivoluzionari tra le nazioni dipendenti e sfavorite (ad esempio, Irlanda, negri americani, ecc.) e nelle colonie.

Senza quest'ultima condizione, che è particolarmente importante, la lotta contro l'oppressione delle nazioni e delle colonie dipendenti, così come il riconoscimento del loro diritto alla secessione, non sono che un'insegna falsa, come dimostrano i partiti della Seconda Internazionale”.

La nona tesi ritorna sulla distinzione tra riconoscimento “nudo”, “formale”, o “meramente dichiarativo” dell’uguaglianza (tra nazioni) e l’autentica uguaglianza. Questa è possibile solo se si supera la meccanica del dominio che attraversa le relazioni tra classi e tra nazioni. Oppressione nazionale e disuguaglianza entro queste sono due facce della medesima moneta (tesi 4). Fornire aiuto, come per lo più l’Urss farà, ai paesi dipendenti e sfavoriti e alle colonie è nel migliore interesse del proletariato di tutti i paesi. Naturalmente aiuto volto a ridurre e spezzare i legami di dipendenza e l’estrazione di risorse sulle quali si fonda il dominio borghese internazionale.

 

10- “Il riconoscimento dell'internazionalismo in parola e la sua sostituzione in atto con nazionalismo e pacifismo piccolo-borghese, in tutta la propaganda, l'agitazione e il lavoro pratico, è molto comune, non solo tra le parti della Seconda Internazionale, ma anche tra quelle che si sono ritirate da esse, e spesso anche tra i partiti che ora si definiscono comunisti. L'urgenza della lotta contro questo male, contro i pregiudizi nazionali piccolo-borghesi più radicati, incombe sempre più con l'esigenza crescente del compito di convertire la dittatura del proletariato da una dittatura nazionale (cioè, esistente in un singolo paese e incapace di determinare la politica mondiale) in una politica internazionale (cioè una dittatura del proletariato che coinvolge almeno diversi paesi avanzati, e capace di esercitare un'influenza decisiva sulla politica mondiale nel suo insieme). Il nazionalismo piccolo-borghese proclama come internazionalismo il semplice riconoscimento dell'uguaglianza delle nazioni e niente di più. A parte il fatto che questo riconoscimento è puramente verbale, il nazionalismo piccolo-borghese conserva intatto l'interesse personale nazionale, mentre l'internazionalismo proletario richiede, in primo luogo, che gli interessi della lotta proletaria in un singolo paese siano subordinati agli interessi di quella lotta su scala mondiale e, in secondo luogo, che una nazione che sta ottenendo la vittoria sulla borghesia dovrebbe essere in grado e disposta a compiere i più grandi sacrifici nazionali per il rovesciamento del capitale internazionale. Pertanto, in paesi che sono già pienamente capitalisti e hanno partiti operai che agiscono davvero come l'avanguardia del proletariato, la lotta contro le distorsioni pacifiste opportuniste e piccolo borghesi del concetto e della politica dell'internazionalismo è un compito primario e cardinale”.

Nella decima tesi viene attaccata la contraddizione tra un “internazionalismo in parola” (ovvero solo declamato) e un “nazionalismo in atto”, nei partiti operai. Qui si apre una delle linee di faglia più profonde nella storia pratica dello sviluppo del “campo socialista”. Lenin enuncia una sorta di teorema perfettamente logico (ma difficilmente applicabile in forma pura, almeno nelle condizioni date): fino a che il sistema comunista vive in un solo, relativamente debole come l’Urss nel ’20, paese è “incapace di determinare la politica mondiale”. In altri termini è ad essa soggiacente. È quindi necessario rispondere alla “esigenza crescente” (da notare il termine pratico cui si appoggia) di convertirla in una forma che coinvolga “almeno diversi paesi avanzati” in modo da avere “una influenza decisiva sulla politica mondiale nel suo insieme”.

Nel migliore interesse stesso della rivoluzione, e per romperne in qualche modo l’assedio, è necessario rispondere al compito “primario e cardinale”, di mera sopravvivenza in ultima analisi, di impegnare tutte le risorse possibili per rovesciare il capitale internazionale.

E’ difficile sfuggire alla logica di questo argomento, ma va compresa nei termini geopolitici e di mera e concreta logica che sono qui posti. Non si tratta dell’astratta rispondenza ad una “tendenza”, come nella tesi 8, per la quale sacrificare la rivoluzione sarebbe stato alieno dalla mentalità pratica del nostro[6], ma di creare le condizioni di potenza per sostenere lo scontro con un capitalismo internazionale ed imperialista allargato al resto del mondo. I due mondi che da ora e fino al 1991 si contrapporranno, dovranno avere una certa quale dimensione.

 

11- “Per quanto riguarda gli stati e le nazioni più arretrati, in cui predominano le relazioni feudali o patriarcali e patriarcali-contadine, è particolarmente importante tenere presente:

- in primo luogo, che tutti i partiti comunisti devono assistere il movimento di liberazione democratica borghese in questi paesi e che il dovere di fornire l'assistenza più attiva spetta principalmente ai lavoratori del paese da cui la nazione arretrata dipende colonialmente o finanziariamente;

- secondo, la necessità di una lotta contro il clero e altri influenti elementi reazionari e medievali nei paesi arretrati;

- terzo, la necessità di combattere il pan-islamismo e tendenze simili, che si sforzano di combinare il movimento di liberazione contro l'imperialismo europeo e americano con un tentativo di rafforzare le posizioni dei khan, dei proprietari terrieri, dei mullah, ecc;

- in quarto luogo, la necessità, nei paesi arretrati, di fornire un sostegno speciale al movimento contadino contro i proprietari terrieri, contro la proprietà fondiaria e contro tutte le manifestazioni o le sopravvissute del feudalesimo, e di sforzarsi di dare al movimento contadino il carattere più rivoluzionario stabilendo il più vicino possibile alleanza tra il proletariato comunista dell'Europa occidentale e il movimento contadino rivoluzionario in Oriente, nelle colonie e nei paesi arretrati in generale. È particolarmente necessario fare ogni sforzo per applicare i principi di base del sistema sovietico nei paesi in cui prevalgono le relazioni precapitaliste - istituendo ‘Soviet dei lavoratori’, ecc.;

- quinto, la necessità di una lotta risoluta contro i tentativi di togliere una colorazione comunista alle tendenze di liberazione democratica borghese nei paesi arretrati; l'Internazionale comunista dovrebbe sostenere i movimenti nazionali democratici borghesi nei paesi coloniali e arretrati solo a condizione che, in questi paesi, gli elementi dei futuri partiti proletari, che saranno comunisti non solo di nome, siano riuniti e formati per comprendere i loro compiti speciali cioè quelli della lotta contro i movimenti democratici borghesi all'interno delle loro stesse nazioni. L'Internazionale comunista deve stringere un'alleanza temporanea con la democrazia borghese nei paesi coloniali e arretrati, ma non dovrebbe fondersi con essa,

- sesto, la necessità di spiegare ed esporre costantemente tra le masse lavoratrici più vaste di tutti i paesi, e in particolare dei paesi arretrati, l'inganno praticato sistematicamente dalle potenze imperialiste che, sotto le sembianze di stati politicamente indipendenti, istituiscono stati che sono totalmente dipende da loro economicamente, finanziariamente e militarmente. Nelle attuali condizioni internazionali non c'è salvezza per le nazioni dipendenti e deboli se non in un'unione di repubbliche sovietiche”.

L’undicesima tesi si concentra sugli stati più “arretrati” (che descrive secondo abbiano il predominio di relazioni precapitalistiche) e dichiara quindi, coerentemente, che si devono appoggiare anche i movimenti anticoloniali di tipo democratico-borghese, e che lo deve fare soprattutto la classe lavoratrice del paese colonialista. Inoltre ribadisce al quinto e sesto punto una cosa importante: l’alleanza interclassista con le forze borghesi è temporanea, bisogna al contempo lavorare perché si formi e cementino le forze in grado di superarla quando sarà il momento.

 

12- “L'antica oppressione delle nazionalità coloniali e deboli da parte delle potenze imperialiste non solo ha riempito le masse lavoratrici dei paesi oppressi di animosità verso le nazioni oppressive, ma ha anche suscitato sfiducia in queste nazioni in generale, anche nel loro proletariato. Il tradimento spregevole del socialismo da parte della maggioranza dei leader ufficiali di questo proletariato nel 1914-19, quando la ‘difesa del paese’ fu usata come un mantello social-sciovinista per nascondere la difesa del ‘diritto’ della loro ‘propria’ borghesia a opprimere le colonie e i paesi dipendenti dal punto di vista finanziario, avrebbero sicuramente rafforzato questa sfiducia perfettamente legittima. D'altra parte, più il paese è arretrato, più forte è la presa della produzione agricola su piccola scala, patriarcalità e isolamento, che inevitabilmente conferiscono particolare forza e tenacia al più profondo dei pregiudizi piccolo-borghesi, vale a dire all'egoismo nazionale e alla ristrettezza nazionale. Questi pregiudizi sono destinati a estinguersi molto lentamente, poiché possono scomparire solo dopo che l'imperialismo e il capitalismo sono scomparsi nei paesi avanzati e dopo che l'intera fondazione della vita economica dei paesi arretrati è cambiata radicalmente. È quindi dovere del proletariato comunista coscienza della classe di tutti i paesi considerare con particolare cautela e attenzione la sopravvivenza dei sentimenti nazionali nei paesi e tra le nazionalità che sono state oppresse da più tempo; è altrettanto necessario fare alcune concessioni al fine di superare più rapidamente questa sfiducia e questi pregiudizi. La completa vittoria sul capitalismo non può essere ottenuta a meno che il proletariato e, a seguito di esso, la massa di lavoratori in tutti i paesi e le nazioni del mondo si impegnino volontariamente per alleanza e unità”.

Infine al dodicesimo punto è descritto il difficile lavoro necessario per superare i pregiudizi che le classi doppiamente oppresse nelle colonie, anche con buona ragione e memoria, conservano verso le forze dei lavoratori nei paesi dominanti. Ciò è sia reale sia motivato, ma va superato se si vuole superare il sistema di oppressione capitalista alla scala complessiva. È necessaria alleanza e unità.

E’ passato quasi esattamente un secolo, e moltissime condizioni sono mutate, scritto all’avvio di una fase di entusiasmo e di ascesa del dominatore americano rispetto a quello britannico, ovvero entro una transizione di egemonia che sarà completata con la seconda guerra mondiale, il testo di Lenin intravede ante litteram il grandissimo movimento di liberazione anticoloniale che impegnerà il successivo quarantennio. Forte della sua analisi sull’imperialismo[7] inquadra il problema del superamento dell’ineguaglianza e dello sfruttamento come un dilemma che si può risolvere solo a livello globale.

Ma questa tesi, spesso ripetuta senza una reale comprensione, non implica affatto che la lotta non debba essere nazionale. Pensarlo sarebbe ricadere nel formalismo e del pedantismo di un pensiero limitato, sull’applicazione pedissequa di principi astratti e formali, come scrive nella tesi 2. Bisogna sempre partire dalla concreta valutazione della situazione storica, nelle determinanti economiche. L’oppressione nazionale, ovvero tra nazioni, e quella creata dalle ineguaglianze tra le classi in un singolo paese stanno in piedi e cadono insieme. È vero, ma nella pratica ciò ricade sul dovere, per interesse ben inteso, “internazionalista” dei paesi che si sono liberati di indebolire l’intera catena del dominio economico-finanziario (e militare) del capitale internazionale. Non implica il suicidio di questi, o l’impossibilità di agire se le condizioni si danno. È la stessa azione di Lenin a mostrarlo.

Ci ritorna nella decima tesi, ma a leggerla con attenzione l’argomento è eminentemente pratico (mentre quello alla tesi otto, terza parte è un puro esercizio di stile): se resta isolato, e debole, un paese socialista subirà l’assedio economico-commerciale e finanche militare[8], l’unica possibilità a lungo termine di resistere è di allargarsi a “diversi paesi avanzati”, in modo da esercitare una “influenza decisiva”.

Ne deriverà quella che sarà sempre una delle linee di condotta del campo socialista, cercare di allargare la solidarietà verso i paesi subalterni e coloniali, facendo comprendere che la liberazione è nel comune interesse. A tal fine diventano possibili anche alleanze temporanee con le forze nazionaliste e democratico-borghesi (ma non con quelle reazionarie).

Purché temporanee.


Note
[1] - Per il testo integrale si veda: https://marxists.catbull.com/archive/lenin/works/1920/jun/05.htm
[2] - Ho Chi Minh, “Il cammino che mi ha portato al leninismo”, articolo per la “Problemy Vostokovedenija”, n.2, 1960, in Ho Chi Minh, “Patriottismo e internazionalismo. Scritti e discorsi 1919-1969”, ed. Marx XXI, 2019, p.434.
[3] - Cfr, Immanuel Kant, “La pace perpetua”,
[4] - Nella premessa Lenin indica i campi geografici ai quali pensa: esperienza austriaca; Esperienza polacco-ebraica e ucraina; Alsazia-Lorena e Belgio; Irlanda; Relazioni danese-tedesche, italo-francesi e italo-slave; Esperienza nei Balcani; Popoli orientali; La lotta contro il pan-islamismo; Relazioni nel Caucaso; Le repubbliche baschiro e tatara; Kirghizia; Turkestan, la sua esperienza; Negri in America; colonie; Cina-Corea del Giappone.
[5] - Stalin non era d'accordo con la proposta di Lenin sulla differenza tra le relazioni federali tra le repubbliche sovietiche basate sull'autonomia e tra repubbliche indipendenti. In una lettera a Lenin, datata 12 giugno 1920, dichiarò che in realtà ‘non vi è alcuna differenza tra questi due tipi di relazioni federali, oppure è così piccolo da essere trascurabile’. Stalin continuò a sostenerlo in seguito, quando, nel 1922, propose ‘l'autonomia’ delle repubbliche sovietiche indipendenti. Queste idee furono criticate in dettaglio da Lenin nel suo articolo ‘La questione delle nazionalità o Autonomizzazione’, e nella sua lettera ai membri dell'Ufficio Politico “Sulla formazione dell'URSS”.
[6] - Inutile ricordare che questo punto sarà poi elevato ad uno dei centri principali della divaricazione tra i seguaci di Leon Trotsky e Giuseppe Stalin.
[7] - Si veda Lenin, “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”, 1916.
[8] - Siamo nel 1920, la rivoluzione era avvenuta in due tempi solo tre anni prima, e la guerra civile era in corso, terminerà solo dopo altri due anni. Dal 1918 Kornilov, ed i suoi successori, operano sul Don. Solo un anno prima, a settembre 1919 la rivoluzione era stata sul punto di crollare ed a ottobre girò con la vittoria nell’assedio di Pietrogrado. Quando il testo è scritto, a giugno 1920 l’armata rossa è in avanzata su quasi tutti i fronti, ma la guerra non è ancora finita e numerosi corpi di spedizione occidentali (e giapponesi) sono su territorio sovietico. La cosa non potrebbe essere più concreta.

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