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ilpungolorosso

Prima ferma risposta all'aggressione padronale-statale al SI Cobas

Ora bisogna continuare, e allargare il fronte di resistenza e di lotta

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

piacenza 3L’azione repressiva scattata a Piacenza contro decine di proletari e di attivisti del SI Cobas ad opera della questura e della procura della repubblica, ha avuto nei giorni scorsi una forte risposta: con la proclamazione immediata di scioperi di protesta in una serie di magazzini della logistica, a iniziare da quelli Tnt-FedEx, e con la partecipata, vibrante manifestazione di sabato 13, che ha portato nella città migliaia di lavoratori e di solidali ad esprimere la ferma determinazione a battersi senza paura contro questa aggressione padronale-statale.

Gli slogan “Siamo tutti Arafat, siamo tutti Carlo”, “chi tocca uno, tocca tutti”, “la repressione non ferma le lotte”, “SI Cobas, SI Cobas”, hanno espresso la realtà viva e sempre più ramificata di un organismo sindacale combattivo che ha alle proprie spalle un decennio di prove difficili, superate solo in virtù dei suoi fermi principi classisti, della sua pratica di reale auto-organizzazione, dell’energia indomita di migliaia di proletari immigrati. Queste sue caratteristiche, uniche nel contesto del sindacalismo di base, gli hanno consentito di fronteggiare più di un attacco padronal-mafioso e istituzionale uscendo dalle difficoltà, quasi sempre, più forte e autorevole di prima, grazie anche al fiancheggiamento di gruppi di veri solidali (non parolai). La risposta di lotta di questi giorni e l’orgoglio di molti dei suoi aderenti di appartenere in qualità di protagonisti a tale storia di lotte, sono le migliori premesse per riuscire a ricacciare indietro una volta di più la pretesa degli apparati repressivi dello stato di piegare questa organizzazione, criminalizzandola e criminalizzando con essa la lotta di classe in quanto tale.

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tempofertile

La discussione entro Nuova Direzione

Osservazioni sulle note di Riccardo Bernini

di Alessandro Visalli

pesciNell’ultimo mese, in vista della seconda assemblea di Nuova Direzione, è stato avviato un dibattito che per ora ha visto un primo intervento di Carlo Formenti[1] e di Alessandro Visalli[2], ed una replica nel merito e molto articolata di Riccardo Bernini[3].

Il pezzo di Formenti, che apre la discussione, ricostruisce sinteticamente il contesto nel quale aveva preso forma il progetto organizzativo di Nuova Direzione, il cui scopo era di tentare di addensare le varie forze che nel quinquennio dal 2014 al 2019 avevano via via sviluppato una critica alla arrendevole posizione delle sinistre italiane ed internazionali verso la mondializzazione e i progetti di governance sovranazionale (sopra tutti l’Unione Europea). Ovvero di proporre una piattaforma che muovesse dalla sovranità costituzionale, superando anche le esitazioni e compromessi della piattaforma di “Patria e Costituzione” che, pure, alcuni dei protagonisti, come i due primi scriventi, avevano contribuito attivamente a promuovere[4]. Nuova Direzione era, insomma, solo l’ultimo anello di una catena di tentativi, variamente prodotti entro diverse associazioni, per ricostituire nel paese un punto di vista socialista, orientato alle ‘periferie’ (ovvero al mondo del lavoro debole, agli ambienti sociali periferici e alle relative soggettività), e potenzialmente egemonico[5].

Il principale elemento diagnostico che mosse quella serie di tentativi era che si era aperto, con la crisi del 2008-13, in tutto il mondo occidentale, un “momento Polanyi” nel quale lo scollamento tra i luoghi più dinamici dell’economia e i relativi ceti internazionali privilegiati e la grande maggioranza si era reso manifesto e provocava ormai una divaricazione non contenibile.

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senzatregua

La questione comunista oggi, 30 anni dopo Rifondazione

di Paolo Spena*

addio ad armando cossutta 4ckvLa tesi principale di questo articolo, scritto a pochi giorni dalla ricorrenza dei 30 anni dalla nascita del Movimento per la Rifondazione Comunista, è che i limiti che hanno caratterizzato quell’esperienza hanno continuato nel tempo a viziare i tentativi di tenere aperta un’ipotesi comunista in Italia, e soprattutto continuano a farlo ancora oggi. L’assenza di una vera rottura con l’opportunismo, che non è una attitudine umana ma una precisa concezione politica, ideologica e organizzativa, ha impedito il bilancio critico che sarebbe davvero necessario per avanzare. È al contempo una critica e un’autocritica e contiene dei giudizi che, specie a chi è stato parte di questa storia, possono apparire aspri. Il dibattito politico tra i comunisti in Italia lo è, quando è reale e non ammantato dai formalismi. L’intento è stimolare il dibattito e la riflessione collettiva, individuare i problemi che chiunque cerchi costruire una prospettiva comunista nell’Italia del 21° secolo dovrebbe porsi. In questo, la franchezza vale più dei formalismi e anche delle invettive. E credo sia questo lo spirito che dobbiamo avere nel confronto.

* * * *

Era il 3 febbraio 1991 quando circa 90 delegati su 1259, al congresso della “Bolognina” in cui Achille Occhetto tramutò il PCI nel PDS, annunciarono in conferenza stampa a Rimini che non avrebbero aderito al nuovo partito. Una settimana dopo, il 10 febbraio, si tenne al Teatro Brancaccio di Roma la prima assemblea del “Movimento per la Rifondazione Comunista”, con un esecutivo provvisorio che avrebbe portato, nel dicembre dello stesso anno, al primo congresso del Partito della Rifondazione Comunista.

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marxismoggi

Traiettorie operaiste nel lungo ’68 italiano

di Marco Cerotto

copertina Agustoni 1080x675Il libro «Traiettorie operaiste nel lungo ’68 italiano», dedicato per l’espressione della volontà unanime agli operai della Whirlpool di Napoli, è anzitutto il risultato di un lavoro teorico collettivo, nato dalle molteplici assonanze che uniscono il gruppo di ricerca napoletano e il Groupe de recherches matérialistes parigino, rispecchiante l’esito fruttuoso di un incontro seminaraiale svoltosi tra il 20 e il 21 dicembre 2018 presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Napoli “Federico II”.

Questo testo si propone di rintracciare le influenze delle potenze assiologiche del neomarxismo italiano nella particolare soggettività di classe emergente nel cosiddetto «lungo decennio», orientandosi ad analizzare la complessità della produzione critica dell’operaismo italiano elaborata sin dai primi anni Sessanta, la quale approda alla lucida constatazione dell’affermazione di una figura potenzialmente rivoluzionaria negli sviluppi neocapitalistici, come l’operaio-massa, confrontandosi con il rapido susseguirsi dei differenti cicli di lotte operaie e con la formazione delle prime organizzazioni classiste dopo il biennio rosso del 1968-69.

Nella prima parte del testo «All’origine della Nuova Sinistra», e in particolare nel saggio che apre il libro «Il dibattito sull’autonomia nel Partito socialista italiano», Mariamargherita Scotti mette in evidenza come i germi della «Nuova Sinistra» siano presenti principalmente nel Psi, probabilmente per la peculiare tradizione politico-culturale di questo partito, che nei meriti e nei limiti lo differenziava notevolmente dal Partito comunista. «Autonomia» è il concetto che viene recuperato per spiegare l’esistenza di questo filone «critico» collocato preminentemente nel Psi, all’interno del quale figure politiche come Gianni Bosio e Raniero Panzieri vengono elevate a precursori teorici del marxismo critico.

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nuovadirezione

Su di noi e sugli interventi di Formenti e Visalli

di Riccardo Bernini

team spirit 2447163 640La prima questione posta a dibattito pare essere se reputare chiusa o ancora aperta la “fase politica” sulla quale ND è stata poggiata. Con quel che ne consegue.

In cosa consisteva questa “fase politica”?

A connotarla non credo fosse solo il manifestarsi in Italia di populismo e sovranismo, attraverso M5S e Lega, quali “contenitori dell’ira” dei variegati “ceti medi”.

In ballo era la crisi della rappresentazione politico-istituzionale della seconda Repubblica, una gabbia che chiudeva e chiude nel dominio totalitario neo-liberale l’alternarsi al governo di destra e sinistra. O, ancora più radicalmente, una crisi che segnava lo scollamento tra questa rappresentazione e la società, nel più complessivo divergere dalla democrazia del liberalismo.

Prima di officiare pubbliche esequie al M5S, visti i sommovimenti interni, attenderei un attimo. Almeno il tempo dell’autopsia a corpo freddo.

Trovo altresì che le manovre che hanno portato al governo Draghi abbiano confermato la tendenza allo scollamento dalla società delle “alternanze prive di alternativa”, proprio nel momento in cui da destra a sinistra gli viene garantita una maggioranza parlamentare ben superiore al credito concesso dall’opinione pubblica.

La procurata impotenza della democrazia istituzionale italiana della seconda Repubblica, subalterna e de-sovranizzata dalla globalizzazione nell’ordine euro-occidentale, vero motivo del distacco dalla società, ritorna a motivo della sua esautorazione, coprendone l’origine e le responsabilità.

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machina

Panzieri e le minoranze comuniste del suo tempo

di Diego Giachetti

0e99dc 8705067c78e04018957a17e44cde3b45mv2A cent’anni dalla sua nascita, Raniero Panzieri rimane una delle figure più importanti nella storia dell’intellettualità militante e del movimento operaio del secondo dopoguerra. Il recente libro di Marco Cerotto pubblicato da DeriveApprodi (Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi». Alle origini del neomarxismo italiano) dedicato alla sua biografia teorica e politica e altre iniziative, tra cui lo «Scavi» sulla nostra rivista, permettono di approfondire i diversi aspetti di una figura ancora in buona misura da riscoprire. L’articolo di Diego Giachetti è un ulteriore prezioso contributo in questa direzione. In particolare, l’autore si concentra su un tema di ricerca inesplorato, ovvero i rapporti che Panzieri ha avuto con le minoranze comuniste presenti alla sinistra del Partito comunista negli anni Cinquanta e Sessanta. Con bordighisti e trotskisti mantenne infatti una relazione di contatto diretto e una dialettica critica e rispettosa, individuandone i limiti ma anche il peso nella rottura della cappa staliniana del Pci, che dopo gli eventi del 1956 era percepita sempre più intollerabile da molti militanti. Analizzando elementi di convergenza e di divergenza, utilizzando materiali rari o dimenticati, Giachetti ricostruisce con precisione storica e interesse politico un pezzo significativo di quello snodo fondamentale del Novecento.

* * * *

Tra le tante questioni emerse nel corso delle ricerche sulla figura esemplare di Raniero Panzieri (1921-1964), alcune meritano di essere poste come ipotesi per un lavoro di approfondimento ancora da farsi. Mi riferisco nello specifico ai suoi rapporti con le minoranze comuniste presenti alla sinistra del Partito comunista negli anni Cinquanta e Sessanta.

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machina

Anni Settanta e violenza politica

di Marco Grispigni

0e99dc febf3b322d3448e3a1cfc382920257cemv2Nel solco aperto dall’intervista a Paolo Persichetti, ospitiamo un contributo di Marco Grispigni sul tema della violenza politica nel lungo Sessantotto italiano. Un tema che non può essere eluso nel dibattito storiografico sul periodo, ma che vede ancora oggi gli storici e le storiche arrancare, in linea generale, di fronte alla voluminosa preponderanza delle interpretazioni politico-giornalistiche e, in tono minore di quelle memorialistiche. Prendendo a pretesto il volume di Gentiloni Silveri sulla storia dell’Italia repubblicana, Grispigni evidenzia i limiti di buona parte delle ricostruzioni storiografiche sul tema della violenza politica.

Dalla definizione dell’oggetto stesso degli studi (cos’è esattamente la violenza politica?) alla periodizzazione del fenomeno (con le polemiche intorno al ruolo periodizzante dei due «grandi eventi» rappresentati dalla Strage di Piazza Fontana e del rapimento e uccisione di Aldo Moro, fino alla (in)capacità di leggere la varietà fenomenologica del fenomeno armato sul piano non solo dei repertori d’azione, ma anche della progettualità e della capacità di comunicare ed interagire coi movimenti di massa.

Se conoscere ciò che eravamo ci permette di capire meglio ciò che siamo oggi, l’importanza del tema della violenza politica negli anni Settanta del secolo scorso non risiede solo, quindi, nella necessità di comprendere il fenomeno in sé, ma anche e soprattutto in quella di saperlo collocare in modo corretto nella storia recente d’Italia, sottraendolo dal ruolo di «alibi» per qualsiasi ricostruzione storica ad uso politico che assolva dalle proprie responsabilità una classe imprenditoriale e politica che, in modo bipartisan, ci ha portato esattamente alla situazione in cui siamo. [A. P.]

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lavoroesalute

Il partito dalle pareti di vetro

di Alba Vastano

I comunisti oggi sono messi con le spalle al muro e con la prospettiva di un futuro che li vede fuori dai giochi della rappresentanza politica… Un’accurata analisi sul che fare, sulle basi teoriche su cui si fonda e vive un partito comunista, può essere favorita dalla lettura del saggio ‘Il partito dalle pareti di vetro’ di Alvaro Cunhal, segretario generale del Pcp

4f424d273207076187fcaaac234fe4fd XLNell’anno domini 2021 la politica è morta, insieme con le ideologie già defunte. Sebbene questo in corso sia un anno importante per chi di un’ideologia in particolare ne fa il senso della propria vita. Ricorre quest’anno, infatti, il centenario della Fondazione del Partito comunista italiano, che modificò all’epoca e nei decenni a venire la visione del mondo, tentando di annullare il binomio dominante/dominato, re/suddito, padrone/schiavo e rendendo centrale la questione del lavoro e l’organizzazione della società. L’obiettivo a cui tendere per Antonio Gramsci, fra i fondatori del partito, e secondo Marx, il filosofo di Treviri, si basava sul rovesciamento di ogni forma di capitalismo, tramite la rivoluzione del proletariato. Cosa vuol dire oggi essere comunisti e praticare il comunismo sembra non essere più percettibile nella visione comune della società odierna globlizzata e nel linguaggio politico attuale. Anche perché la classe di appartenenza, il proletariato, ha cambiato forma e nome: da operaio/ lavoratore a consumatore in balìa dei mercati.

Tanto più complesso risulta agire in una realtà in cui il bene comune, i diritti sociali, la parità fra le persone e il principio di uguaglianza, uno di capisaldi della nostra Costituzione espresso nell’articolo 3 , sono valori scomparsi che hanno ceduto il posto alle privatizzazioni, alle riforme a danno del lavoratore, alla scomparsa del diritto per tutti ad una vita degna e dignitosa. Le politiche liberiste in atto hanno smantellato lo Stato di diritto per lasciare il posto allo Stato delle banche e degli speculatori finanziari, i grandi tycoon capitalisti.

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ospite ingrato

Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta

di Pino Ferraris

Il 14 febbraio 1921 nasceva a Roma Raniero Panzieri, intellettuale marxista, militante e dirigente del Partito socialista italiano, poi fondatore e animatore, fino alla morte prematura (9 ottobre 1964), del gruppo e della rivista «Quaderni rossi». Lo ricordiamo con il saggio che Pino Ferraris gli dedicò nell’opera L’altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, a cura di Pier Paolo Poggio, vol. II, Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989), Jaca Book, Milano 2011, pp. 381-401

2021.2.15. FERRARISLa figura di Raniero Panzieri ha avuto, nel corso degli anni e dei decenni successivi alla sua morte, un destino paradossale. Tra rimozioni e mitizzazioni, tra dispute patrimoniali e sommarie stroncature è accaduto che la sua biografia politico-culturale, che ha una robusta coerenza di fondo, sia stata spezzata, smembrata: il “meridionalista” di Palermo è stato assolutamente oscurato dall’“operaista” di Torino, il suo ruolo di dirigente politico viene scisso dalla sua attività di produttore di cultura, colui che «per tutta la vita si è dedicato al partito e che viene spinto da una sorta di disperazione a formare gruppi di altro genere»1 viene proposto come “il Battista” dei gruppi minoritari degli anni ’70.

Panzieri dedicò gran parte del suo impegno culturale a smontare “sistemi” cristallizzati di pensiero nel movimento operaio. Persino il suo approccio a Marx, punto di riferimento costante e sicuro della sua elaborazione culturale, era così libero e creativo da renderlo completamente disponibile «all’operazione chirurgica di separare il Marx vivo e ancor oggi utilizzabile da ciò che nella sua opera rappresenta gli incunaboli del riformismo e del diamat».2 La prima edizione postuma di una parte dei suoi scritti apparve inchiodata sotto l’incredibile titolo La ripresa del marxismo-leninismo in Italia.3

Il protagonista del disgelo culturale, l’anticonformista innovatore del pensiero di una sinistra che faticava a uscire dalle rigidità dogmatiche dello stalinismo e della guerra fredda, per un non breve periodo subì le deformazioni indotte da quel «recupero anacronistico di culture politiche da immediato dopoguerra»4 che coinvolse buona parte della sinistra degli anni ’70.

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tempofertile

Note e commenti ad “Appunti per una discussione sui nostri compiti” di Carlo Formenti

di Alessandro Visalli

paesaggio 2Questo breve testo è il commento dell'intervento di Carlo Formenti "Appunti per una discussione sui nostri compiti", pubblicato sul sito di Nuova Direzione.

Il punto cruciale del lungo testo mi pare la definizione del progetto originario che ha dato vita a Nuova Direzione, consigliando peraltro la accelerazione finale, non da tutti condivisa[1], verso la costituzione in soggetto politico a gennaio 2020.

Questo è stato descritto da Carlo in una duplice prospettiva:

1- Nel breve termine, cercare di intercettare una significativa diaspora in uscita dal M5S[2] perché scontenta della formazione del governo “bianco-giallo” Conte II. La possibilità che ciò si verificasse scaturiva direttamente dalla manifesta incapacità di tradurre il “contenitore dell’ira” di grande successo del movimento degli anni 2008-18 in un “contenitore di potere”[3] che fosse in grado di fare la differenza, traducendo il paese fuori delle secche neoliberali nelle quali è da decenni[4],

2- Nel medio termine, fornire un centro di aggregazione politico-culturale e, insieme, il nucleo organizzativo per addensare forze antisistemiche giocabili in senso neo-socialista.

Come sintetizzavo nella mia relazione in assemblea, “Passare tra Scilla e Cariddi”[5], la ristrutturazione del decennio 2008-18 è l’estenuazione delle dinamiche di spoliticizzazione e divaricazione gerarchizzante dell’intero trentennio neoliberale.

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machina

Rosso giornale dentro il movimento

Memorie di un redattore

di Paolo Pozzi

Pubblichiamo la seconda delle quattro tranche di «Rosso» (1974-1975). La prima è disponibile qui. Seguiranno «Rosso dentro il movimento (nuova serie)» e «Rosso per il potere oparaio»

0e99dc aabd13b1cbcb4217a5bce23fa01e79e5mv2«Rosso» si stampava nell’hinterland milanese, quando ancora c’era la bruma che oggi non c’è più. La galaverna rivestiva di bianco i campi dove sfrecciava la metropolitana. La verde.

Neograf, Cartotecnica, Il Registro: alcuni dei nomi. Magari ci sono ancora. Gli stampatori: tutta gente che pensava alla lira. Cataloghi di bagni e docce, dépliant di fiere e mercati, giornalini dei commercianti locali, qualche rivista pornografica e «Rosso». L’importante erano i danè. Le cambiali non le volevano.

Capitava anche di finire adottati. Uno di questi, con un nome indimenticabile, si chiamava Tresoldi, mi veniva a prendere alla stazione del metrò di Cologno, mi portava a pranzo con lui e alla sera mi riaccompagnava a Milano. Aveva una casa molto grande e nella sala un angolo bar tutto di marmo. A lui devo la conoscenza, ahimè tardiva visto che non ero più un ragazzino, di quel dono degli dei che va sotto il nome di Campari shakerato col gin. Con lui sono entrato per la prima volta in vita mia a San Siro. Mi portava nel pomeriggio a vedere le partire di Coppa Italia del Milan.

«Rosso dentro il movimento» era curato sostanzialmente dal sottoscritto che raccoglieva i contributi degli organismi operai e studenteschi e quelli provenienti dai movimenti femminista e omosessuale. Non esisteva un menabò fisso. Ma non potevano mancare i contributi delle principali realtà dell’autonomia di fabbrica, dei servizi (Alfa, Sit Siemens, Face Standard, Fiat di Cassino, Petrolchimico di Marghera, Policlinico di Roma, ecc.) e dei collettivi studenteschi. Come non potevano mancare le cronache del movimento di autoriduzione che stava dilagando e le pagine sulla repressione che colpiva il movimento. Lo spazio di «Rosso tutto il resto» a ogni numero diventava più grande.

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nuovadirezione

Appunti per una discussione sui nostri compiti

di Carlo Formenti

Foiso Fois La mattanza 1951 372x221Il progetto di Nuova Direzione è nato in un clima economico, politico e sociale caratterizzato dai seguenti fattori fondamentali:

1) il prolungarsi della crisi economica globale iniziata nel 2008, che ha visto un’Italia penalizzata da processi di deindustrializzazione, ataviche debolezze strutturali, tagli alla spesa pubblica e instabilità politica, incapace di recuperare i livelli pre crisi. Fra i maggiori sintomi di sofferenza del sistema Paese: elevati livelli di disoccupazione, con punte da record della disoccupazione giovanile; aumento vertiginoso dei livelli di disuguaglianza; aggravamento dello squilibrio fra regioni del Nord e del Sud; progressivo deterioramento dei servizi pubblici, penalizzati da tagli e privatizzazioni; processi di gentrificazione dei maggiori centri urbani e acuirsi delle contraddizioni con periferie e semiperiferie; difficoltà di gestione dei flussi migratori.

2) Le crescenti contraddizioni con l’Unione Europea, prodotto delle scelte politiche di quelle élite nazionali (di sinistra come di destra) che, a partire dagli anni Novanta, hanno costantemente utilizzato l’integrazione del Paese nel quadro delle regole economiche e istituzionali imposte dal processo di integrazione europea come vincolo esterno per giustificare politiche antipopolari (austerità, riforme delle pensioni e del lavoro, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, ecc.).

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perunsocialismodelXXI

Dal Gruppo Gramsci all'Autonomia Operaia: un percorso tutt'altro che lineare (II)

di Carlo Formenti

Rosso giugno 74Nella prima puntata Piero Pagliani ha già colto alcuni degli snodi essenziali che consentono di decodificare quel mix di elementi di continuità e di discontinuità che caratterizzò la transizione dal primo al secondo Rosso e la (parziale) confluenza dei militanti del Gruppo Gramsci nell’Autonomia. Credo valga tuttavia la pena di compiere un ulteriore sforzo di approfondimento, non tanto per soddisfare le curiosità storiografiche degli appassionati di quella convulsa stagione della lotta di classe (né tantomeno per appagare le smanie memorialistiche del sottoscritto, che di quella stagione fu uno dei tanti protagonisti), ma perché penso che molti dei problemi teorici e delle sfide politiche che ci troviamo oggi di fronte fossero già contenuti – almeno in nuce – in quegli eventi.

Gli autori che hanno introdotto la pubblicazione della prima tranche dei materiali di “Rosso” su “Machina” richiamano giustamente l’attenzione sulle differenti scelte organizzative effettuate da Gruppo Gramsci e proto Autonomia per strutturare l’intervento politico in fabbrica. In effetti, i CPO (collettivi politici operai) e le Assemblee Autonome non rispecchiavano solo diverse opzioni “tecniche”. I primi erano concepiti come un’articolazione politica destinata a operare all’interno dei consigli dei delegati, la struttura sindacale di base subentrata alle vecchie Commissioni Interne per estendere la base di rappresentanza democratica al di là degli iscritti alle organizzazioni sindacali. Attribuendo a quelle inedite strutture sindacali un potenziale di auto organizzazione paragonabile (nei limiti dettati dai differenti contesti storici) ai consigli operai di inizio Novecento, il Gruppo Gramsci concepiva l’intervento al loro interno come un obiettivo prioritario di cui i CPO erano gli strumenti organizzativi (il modello era quello dell’intervento di fabbrica dell’Ordine Nuovo nel Biennio Rosso).

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Dal Gruppo Gramsci all'autonomia operaia: un percorso tutt'altro che lineare(I)

di Piero Pagliani

rosso avete pagato caro non avete pagato tuttoIntroducendo la pubblicazione della prima delle tre sezioni di archivio della rivista "Rosso" sul sito Machina https://www.machina-deriveapprodi.com/post/rosso-quindicinale-del-gruppo-gramsci, Tommaso De Lorenzis, Valerio Guizzardi e Massimiliano Mita cercano di spiegare come mai la più nota rivista dell'Autonomia non sia nata dal filone "classico" dell'operaismo che si è dipanato da "Quaderni Rossi" a "Contropiano", bensì da un'altra componente "eretica" delle sinistre radicali, vale a dire dal Gruppo Gramsci, nato dalla confluenza di due scissioni, la prima dai gruppi dell'area marxista leninista "ortodossa", la seconda dal Movimento studentesco milanese. La presentazione sopra citata, pur fornendo alcuni elementi utili per ricostruire quella originale esperienza storica presenta - dal punto di vista di chi, come chi scrive, ne ha vissuto in prima persona la fase iniziale - due limiti di fondo: in primo luogo, si tratta di una versione troppo "continuista" del passaggio dalla prima alla seconda versione di Rosso, laddove le differenze sia teoriche sia pratico organizzative fra Gruppo Gramsci e Autonomia furono non di poco conto (non a caso solo una parte di chi aveva militato nel Gramsci confluì in Autonomia), inoltre manca un'adeguata riflessione sulle contraddizioni e sui limiti soggettivi che contribuirono - non meno delle condizioni oggettive create dalla crisi e dalla ristrutturazione capitalistica, oltre che dal riflusso delle lotte operaie e dalla repressione di Stato - al tragico epilogo della storia dell'Autonomia. A questi due punti il blog dedicherà due interventi: qui di seguito potete leggere il primo, di Piero Pagliani, ne seguirà un secondo del sottoscritto. (Carlo Formenti)

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machina

Rosso: quindicinale del Gruppo Gramsci*

di Tommaso De Lorenzis, Valerio Guizzardi, Massimiliano Mita

Pubblichiamo la prima delle tre sezioni di archivio della rivista «Rosso». A questa seguiranno «Rosso – giornale dentro il movimento» e «Rosso – per il potere operaio».

La raccolta è scaricabile gratuitamente in fondo a questa pagina

Schermata del 2021 02 02 15 08 22Può apparire strano che la nascita della più celebre rivista dell’Autonomia non sia da attribuire a nessun segmento di quella dirompente costellazione teorico-politica che si è soliti chiamare «operaismo» italiano. Tanto più che, proprio a leggendarie pubblicazioni periodiche, le molteplici traiettorie del marxismo operaista hanno legato, da «Quaderni rossi» a «Contropiano», la loro travagliata fortuna.

Imprevedibili diversivi del caso? Bizzarrie della Storia? Oppure segni indicativi che prefigurano ciò che sarà? Difficile da dire. Di sicuro, sulla copertina del primo numero – recante la data del 19 marzo 1973 – si legge: «Rosso quindicinale politico-culturale del Gruppo Gramsci».

Agli albori, dunque, c’è un’altra eterodossia: quella deviazione dal formalismo dogmatico della tradizione emme-elle, praticata da un’area in rotta con il Partito comunista d’Italia (marxista-leninista) e facente capo a Romano Madera. Se l’intera vicenda di «Rosso» è avvolta dalle nebbie della rimozione, pedaggio pagato al permanere d’una riserva inquisitoria in campo storiografico, altrettanto arduo risulta ricostruire il profilo della realtà che ne promosse la fondazione. Delle ragioni di questa difficoltà si è scritto di recente, alludendo – da un lato – ai velenosi frutti della stagione repressiva e, dall’altro, a quella naturale assimilazione del «prima» al «dopo» che si generò, nella percezione di molti protagonisti, al momento dello scioglimento del Gruppo, ufficializzato nel dicembre del ’73.