La ricchezza non finanziaria in Italia
di Alessandro Bartoloni
L’Istat pubblica le stime del valore del patrimonio detenuto da famiglie, imprese e Stato per l’anno 2016 e la loro evoluzione nell’ultimo decennio
Non si tratta più di vedere se questo o quel teorema è vero o no, ma se è utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se è accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati sono subentrati pugilatori a pagamento, all'indagine scientifica spregiudicata sono subentrate la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell'apologetica
(Karl Marx, poscritto alla seconda edizione del libro I de Il Capitale)
Queste parole, che ben descrivono lo stato della “scienza economica borghese” da circa 150 anni, sembrano calzare alla perfezione anche per l’Istat ed il suo report intitolato “la ricchezza non finanziaria dell’Italia” uscito lo scorso 1 febbraio. Ventisei pagine che intendono fornire la misura del valore di abitazioni, immobili non residenziali, impianti, macchinari, armamenti, risorse biologiche coltivate, prodotti di proprietà intellettuale, scorte e terreni agricoli detenuti dalle imprese, dalle pubbliche amministrazioni e dalle famiglie nel 2016 e la loro variazione negli ultimi 10/15 anni.
Un’informazione quanto mai necessaria per comprendere, seppur a grandi linee, chi e dove accumula ricchezza nel nostro paese. Per scelta dell’istituto di statistica, tuttavia, dal computo mancano alcune componenti a dir poco fondamentali: le opere di ingegneria civile, gli oggetti di valore ed i monumenti, oltre ai beni durevoli delle famiglie (es, automobili, elettrodomestici, computer), i mezzi di sussistenza e le risorse naturali non prodotte dal lavoro umano.