Print Friendly, PDF & Email

linterferenza

Elezioni 2018: tutto ciò che è reale è razionale

di Fabrizio Marchi

0a5efe463d63e154ac7e04163c8bb252 e1520508615500Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su un risultato elettorale sicuramente complesso che la vulgata mediatica in linea di massima (con alcune eccezioni) tende a derubricare come il trionfo delle forze “antisistema” e populiste contro quelle europeiste. C’è sicuramente del vero anche in questo ma si tratta, ovviamente, di una semplificazione politicamente finalizzata.

Cominciamo subito col dire che forze politiche realmente “antisistema”, cioè portatrici di programmi, idee, valori e anche orizzonti realmente alternativi all’ordine economico, sociale e ideologico dominante – al di là, anche in questo caso, della narrazione mediatica – non esistono. Né il M5S né tanto meno la Lega, infatti, si pongono il problema – neanche come orizzonte ideale – di una possibile trasformazione strutturale della società. Si tratta di due forze “populiste” (scegliamo di prendere per buona questa definizione, al fine di semplificare le cose…) che hanno dimostrato di avere la capacità di ascoltare la gente, di capire il proprio popolo (altra definizione che diamo al momento per buona ma che necessiterebbe di ben altro approfondimento), di entrare in relazione con la sua “pancia”, il suo sentire, le sue paure, i suoi bisogni.

Utilizzando, se ci è consentito, il linguaggio marxista, potremmo dire che hanno avuto la capacità di entrare in una relazione dialettica con la realtà, in questo caso appunto con il “loro” popolo (che una volta era in larghissima parte, non dimentichiamolo, il “popolo della Sinistra”…) e di rappresentarlo.

Non è poco, anzi, è moltissimo. Esattamente quello che da trent’anni a questa parte non è riuscita a fare la “sinistra” che è andata in tutt’altra direzione, fino a diventare un’altra cosa rispetto a quella che era originariamente e a perdere ogni contatto con quello stesso popolo. E questo vale per la sinistra in tutte le sue declinazioni, da quella liberal a quella radical fino a quella antagonista. Tornerò fra breve sull’argomento perché merita una riflessione specifica.

La premessa era però fondamentale. Ciò che oggi viene definito come “antisistema” non ha nulla a che vedere, neanche nel futuro remoto, con l’ipotesi di una possibile trasformazione o di un possibile superamento del sistema capitalista, che è accettato come un dato di fatto da tutte le attuali forze politiche, ivi compresi il M5S e la Lega. Da questo punto di vista, tutte le forze politiche sono parte integrante del sistema, nessuna esclusa. Il M5S, nella sua fase “movimentista” era arrivato a sostenere la possibilità di uscire dall’UE e addirittura dalla NATO (con tanto di convegni ufficiali in aule parlamentari…). Con la svolta moderata e “governista” avvenuta relativamente di recente tutto ciò è tramontato (come era ampiamente previsto e prevedibile) e lo stesso Di Maio (ma le menti, a mio parere, restano quelle di Grillo e forse Casaleggio Jr…) si è preoccupato di rassicurare Washington e Londra, i “mercati”, la City e Wall Street (cioè i nostri veri padroni), peraltro risultando convincente. Anche il numero uno della Confindustria e il supermanager della Fiat, cioè i due pezzi forti del tradizionale “padronato” nostrano, hanno fatto capire che non c’è nessuna conventio ad excludendum nei loro confronti (e perché poi dovrebbe esserci? L’onestà e la legalità sono cose importanti ma non bastano certo a fare dei rivoluzionari…). Via libera, dunque, anche dai poteri forti, ad un ipotetico futuro governo pentastellato.

Per la Lega vale più o meno lo stesso discorso, anche se la fanfara antieuropeista era in questo caso sicuramente più forte di quella che veniva a suo tempo fatta suonare dal M5S. Ma era ed è appunto fanfara, nero seppia. La Lega, per quanto uscita vincente dalle urne, non può prescindere dal rapporto con le componenti più liberali e liberiste della coalizione di centrodestra ma soprattutto da quella parte di elettorato moderato (e in buona parte anche del suo) che vuole stabilità politica e sociale e che non ha nessuna particolare voglia di fughe e “avventure”, tanto meno fuori dall’Europa.

Ciò detto, sarebbe però profondamente sbagliato accomunare i due “populismi” che invece hanno radici, caratteristiche e motivazioni in gran parte molto diverse fra loro.

L’elettorato della Lega è composto in buona parte da un ceto medio borghese, per lo più benestante, quasi tutto dislocato nelle regioni più ricche del centro-nord, che si sente minacciato dalla globalizzazione capitalista e dai suoi effetti – in primis dall’immigrazione che avverte come destabilizzante – e che vuole sostanzialmente difendere il suo “spazio” e la sua condizione di sostanziale benessere. Proprio l’ostilità nei confronti dell’immigrazione – che assume sempre più spesso una vena apertamente razzista (ma sarebbe sbagliato, ovviamente, ridurre il consenso alla Lega solo ad un fenomeno razzista) – è ciò che rende possibile il collante con quella componente popolare (presente a sua volta nell’elettorato leghista) che si sente minacciata anch’essa dal processo di globalizzazione capitalista e che cerca “protezione” e sicurezza sociale (cosa, quest’ultima, del tutto legittima, sia chiaro…). E che la trova o crede di trovarla nel compromesso sociale con quella borghesia autoctona, formata da un ceto anche numericamente ampio di piccoli e medi imprenditori, che costituisce il motore e anche il cuore ideologico, diciamo così, del modello politico leghista. La Lega è la forma politica che ha assunto nell’attuale contingenza storica questa “alleanza” sociale (e interclassista), abbastanza simile al blocco sociale rappresentato in Francia dal Front National di Marine Le Pen.

Di diversa natura il consenso al M5S che sbanca nelle regioni del centrosud con percentuali bulgare, come si suol dire. Si tratta di un voto composito, anche in questo caso (del resto, quando un partito ottiene tanti voti, è pressochè impossibile che questi possano provenire solo da una parte del corpo sociale) ma prevalentemente di estrazione sociale bassa e medio-bassa. E’ il voto di masse popolari già povere e impoverite, di settori sociali già marginali o in via di marginalizzazione, di gigantesche periferie metropolitane abbandonate, di una massa di giovani (ma anche di tanti non più giovani…) senza lo straccio di una concreta prospettiva che non sia quella di vivacchiare alla giornata con lavori e lavoretti precari o addirittura nell’illegalità.

Il consenso al M5S, dunque, piaccia o meno, è un “consenso di classe”, al di là ora del destinatario sul quale, come noto, nutro profonde e strutturali perplessità che ho spiegato a suo tempo qui.

Così come il voto alla Lega nell’Italia settentrionale è un voto in difesa dei propri interessi di classe (quelli di una media borghesia e di una parte del lavoro dipendente “garantito” all’interno di un modello sociale “neocorporativo”, mi si passi il termine improprio…) che si ritengono a rischio, il voto al M5S nell’Italia centromeridionale è anch’esso e forse ancor più un voto “di classe”, perchè rappresenta il tentativo e la speranza di riscatto di quella parte di popolazione che è consapevole di essere stata ormai abbandonata su un binario morto dal sistema (neoliberista) dominante. Ma è quello stesso sistema che in questi anni – e qui riprendo la riflessione precedentemente accennata – ha visto come auriga il Partito Democratico (e prima ancora Forza Italia, che non a caso è uscita anch’essa penalizzata dal risultato, che però presentava caratteristiche diverse, data la peculiarità di quel partito fortemente caratterizzato dalla figura del suo leader, fondatore e proprietario).

Ora, sappiamo bene che il consenso ai partiti di governo – specie in assenza di una vera dialettica politica, possibile solo tra forze realmente alternative e portatrici di culture e orizzonti diversi – cresce o si mantiene costante “finchè la nave va”, come si suol dire. Ma quando la nave comincia ad imbarcare acqua è ovvio e anche legittimo che i passeggeri della seconda e della terza classe, con l’acqua che gli è arrivata fin sopra la cintola (quelli della prima classe sono già stati tratti in salvo e al caldo da tempo…), scelgano di salire sulle scialuppe di salvataggio. Metaforicamente parlando, è ciò che è avvenuto alle elezioni del 4 marzo. Non si capisce, infatti, in virtù di quale ragione una “sinistra” (parlo del PD, naturalmente, ma anche del cespuglio rosa alla sua sinistra, cioè LeU) che ha scelto di svolgere il ruolo di garante della “governance” per conto terzi (cioè del grande capitale finanziario multi e transnazionale, vero attuale padrone delle nostre vite, che esercita il suo dominio attraverso le sue strutture politiche di comando, l’UE, la BCE, l’FMI e ovviamente la NATO) dovrebbe essere premiata dall’elettorato. La Sinistra, o fa ciò per cui è nata, cioè difendere gli interessi dei ceti popolari, proletari e subalterni nella prospettiva (che non deve mai essere abbandonata) di una trasformazione strutturale della società (con tutta l’infinità di passaggi politici e storici che questo processo storico comporta) oppure diventa una forza politica “compatibile” (con gli interessi delle elites dominanti), esattamente come tutte le altre. Ivi comprese, ma questo è ancora un altro discorso, le forze di “opposizione” che l’elettorato ha scelto di premiare. Del resto, si è “obbligati” a scegliere sulla base dell’offerta che il “mercato politico” propone…

Qualcuno, una volta, diceva che tutto ciò che è reale è razionale. Per quanto mi riguarda non sono sicuro che tutto sia razionalmente spiegabile, ma di sicuro il risultato scaturito da questa tornata elettorale lo è. Direi anzi che è quanto di più logico possa esserci.

Infine, due parole, più che altro per un antico affetto, per Potere al Popolo. Cari compagni e care compagne, avete dato vita all’ennesimo micro rassemblement arcobaleno autoreferenziale e ultra identitario, per questa ragione inevitabilmente destinato ad essere anche (ultra) minoritario. Tutto ciò al netto (si fa per dire, perché sono questioni fondamentali che non possono essere eluse se si vuole veramente avere la speranza di ricostruire un nuovo, moderno soggetto politico di classe capace di rivolgersi potenzialmente alla maggioranza del corpo sociale) di contraddizioni clamorose in cui secondo noi vi trovate e che abbiamo più volte evidenziato (in questa sede mi limito a segnalarvi questi due articoli: http://www.linterferenza.info/editoriali/elezioni-conflitto-sociale-sovranita-nazionale/ e questo http://www.linterferenza.info/editoriali/linsostenibile-paradosso-della-sinistra-antagonista/ ). A tal proposito abbiamo sempre dichiarato la nostra disponibilità ad un confronto franco ma il nostro invito è stato sistematicamente (ma non casualmente) lasciato cadere nel vuoto.

Tale autoreferenzialità ha raggiunto livelli parossistici al punto di rivendicare come un risultato tutto sommato soddisfacente o comunque accettabile quell’1,1% ottenuto (0,3% in più dei fascisti di Casapound…). La portavoce di PaP, Viola Carofalo, in un video diffuso su FB, è arrivata addirittura a dichiarare che è stato giusto essersi contati (???!!!).

Ora, io credo che non ci si possa trincerare dietro a questo atteggiamento (per la serie:”Sono gli altri che sbagliano, che non capiscono niente, siamo circondati, siamo i “resistenti” in un paese dominato dal razzismo, dai reazionari…” ecc. ecc. ) che di dialettico e di marxista (ma anche di politico…) ha molto poco se non nulla, e sia giunta l’ora, prima che sia troppo tardi, di avviare una seria, profonda e radicale riflessione autocritica dalla quale non ci chiamiamo certo fuori…

Non c’è più tempo da perdere e se ne è perso fin troppo.

Add comment

Submit