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quodlibet

La spada di Damocle

di Giorgio Agamben

È bene non dimenticare la leggenda di Damocle, che Cicerone racconta nelle sue Dispute Tusculane. Un giorno, Damocle, un cortigiano di Dionisio, tiranno di Siracusa, lo elogiava «per le sue ricchezze, per la maestà della sua potenza, per la magnificenza della sua reggia». «Damocle –gli rispose il tiranno – poiché ti piace questa vita, voglio dartene un assaggio e farti provare la mia sorte». Lo fece sedere su un divano ricoperto da un drappo finemente ricamato, gli mise davanti vasellami preziosi e mise al suo servizio giovani di straordinaria bellezza pronti a eseguire ogni suo cenno. Damocle si credeva felice, finché non si accorse che dal soffitto gli pendeva sul capo una spada acuminata sospesa a un crine di cavallo. A quel punto l’incauto encomiasta rinunciò a ricchezze e potere e scongiurò Dionisio di lasciarlo andar via, perché non voleva più essere felice in quel modo.

Oggi vediamo che la spada sospesa sul capo dei tiranni sta per cadere, il crine che sostiene quella sospesa sul capo di Zelensky è ormai liso e consunto e forse, domani, anche quella che pende su altri, a lui complici o avversi, potrà cadere.

Ma la lezione della leggenda non è per noi solo questa. Non basta astenersi dagli encomi che tutti prodigano pavidamente ai tiranni, occorre anche ricordare che sta a noi, nella misura delle nostre forze, se non recidere, almeno scalfire ed erodere il crine che ancora trattiene la spada sospesa sul loro capo. Il filo che la sorregge – non dobbiamo stancarci di mostrarlo, se il primo a saperlo è il tiranno – è sottile e solo il consenso e la paura dei molti gli impedisce di spezzarsi.

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