Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Lettere dal Sahel XIII

di Mauro Armanino

 

Impostori di sabbia

Niamey, 21 gennaio 2024. Eppure il cambiamento era dietro l’angolo. Il mondo vecchio stava scomparendo e bastava una spallata per buttarlo giù. Erano gli anni operai delle assemblee, delle 150 ore retribuite in fabbrica per la licenza media e il testo faro di don Milani ‘Lettera a una professoressa’. Il terrorismo e le manipolazioni della sedicente rivoluzione proletaria. Il sospetto, col tempo, che tutto fosse giocato d’avanzo e che l’italico Paese, colonia degli Stati Uniti Vaticani, divenne preda scelta di manovre eversive delle stragi che avrebbero insanguinato banche, piazze, treni e stazioni. Credevamo che il cambiamento fosse una questione di stagioni.

Lo stesso accade da questa parte del mondo che si suole chiamare Sahel. Una spallata al mondo antico, nato, nutrito e perpetuato dal neocolonialismo, espressione della globalizzazione del mondo come mercato unico. I militari, non casualmente, hanno preso il potere con colpi di stato in vari Paesi dell’Africa Occidentale, Centrale e altrove, spesso. Alcuni si sono camuffati da civili per perpetuarsi. Promettono pure loro un mondo nuovo, liberato da corrotti, faccendieri, venduti agli stranieri e dunque traditori della patria.

Finalmente sono arrivati i buoni, i giusti e i giustizieri perché il mondo nuovo era dietro l’angolo.

Finché, in pieno processo di cambiamento o forse ancora fin dall’inizio, sono arrivati loro, gli impostori. Essi sono coloro che si ‘avvantaggiano con l’abituale ricorso alla falsità e alla menzogna’. Questo e altro recita la definizione di questa parola così evocativa. Le imposture non datano d’oggi e nella storia recente di questo spazio dell’Africa Occidentale si chiamavano colonialismo. Un’impostura ammantata di una vernice di civilizzazione al sapore universale che doveva mettere in rilievo il ‘fardello dell’uomo bianco’, prototipo dell’umano da esportare ovunque. Venne poi l’indipendenza che apparve come l’unica verità della storia.

L’impostura è un ‘vistoso apparato di falsità e di menzogne, un raggiro’, secondo il dizionario consultato per la circostanza. Si è creata il suo spazio e ha preso in prestito l’idea e le possibilità della democrazia. Quest’ultima, spesso orientata e manipolata, non poteva che condurre allo sfacelo che la comunità internazionale e le sue istituzioni economiche classiche hanno concertato. I piani di aggiustamento strutturale degli anni ’80 hanno costituito l’applicazione dell’impostura del sistema volta a normalizzare i recalcitranti per metterli alla scuola del capitalismo totale.

Quest’ultimo è la grande ‘trasformazione’ che regge buona parte del mondo da alcuni secoli ma in particolare da quando, come ben ricorda lo storico e sociologo Karl Polanyi, l’economia si è slegata dalla società. Per rapporti di forza asimmetrici, l’ha poi messa a suo servizio. Da allora l’economia, ha trasformato le relazioni sociali, i sistemi di produzione e, appunto, imposto il mercato come unico pretesto della storia. L’impostura continua e si perpetua grazie ad un uso sempre più consistente di impostori che, con l’abituale ricorso alla menzogna, con-vincono.

Qui da noi, per fortuna, per scelta o per disegno divino, gli impostori sono di sabbia. Appartengono cioè all’universo che costituisce l’orizzonte del nostro mondo. Arriviamo dalla sabbia, nella sabbia viviamo e cresciamo e, prima o poi, dalla sabbia saremo accolti. Proprio quanto accade con le imposture, anch’esse condizionate dalla sabbia e che vengono, malgrado loro, smascherate dal vento. Un vento che il potere non riesce a fermare e che, con caparbia determinazione, smaschera col tempo come alleato, gli impostori che pensano di creare un mondo nuovo con false promesse.

* * * *

Geografie di sabbia nel Sahel

Niamey, 4 febbraio 2024. Qui nessuno ne ha parlato. Il vertice Italia Africa era troppo lontano dalla situazione politica del Paese per sperare di lasciare qualche traccia. Il Niger, dal colpo di stato del passato luglio, è attualmente in ‘osservazione giuridica’ da parte della Comunità Internazionale. Numerose, al Vertice, le rappresentanze di Stati africani, organizzazioni e istituzioni finanziarie internazionali, banche per lo sviluppo e vertici dell’Unione Europea. Ancora più numerosi, però, gli assenti come ad esempio la società civile africana, le rappresentanze di migranti e soprattutto quell’Africa profonda che i capi di stato non rappresentano affatto, i poveri. L’ambiguità del Piano Mattei sta tutta nelle parole dell’attuale segretario generale dell’Unione Africana che rilevava l’esclusione dell’Africa al momento di proporre un ‘Piano’ che la riguarda. Quanto all’approccio ‘paritario, non predatorio e non caritatevole, con l’obiettivo di contribuire alla crescita dell’Africa’ , per intenderlo basta ricordare gli accordi che l’Italia ha stipulato con la Tunisia e l’Albania.

Senza probabilmente saperlo Constantin arriva in ufficio proprio durante il Vertice in questione. Partito dal Camerun da qualche anno, ha viaggiato nel Mali, la Costa d’Avorio, la Guinea ed ha soggiornato in Gambia e nel Senegal. Seguendo improbabili tracciati ha finalmente raggiunto la Tunisia con l’idea di raggiunger il Paese che ha organizzato il Vertice col suo continente di origine. Ha lavorato come giornaliero per tre anni raccogliendo pomodori e, visto il clima intimidatorio creatosi nel Paese, dormiva sotto gli alberi di olivo. Messi assieme i soldi per i ‘passeurs’ ha tentato per tre volte il mare che ogni volta ha mostrato tutta la sua buona volontà sull’esito del viaggio. L’ultimo tentativo è stato però fatale perché le guardie costiere tunisine l’hanno preso, detenuto, spogliato dei suoi averi e poi abbandonato nel deserto contiguo a quello algerino. Era notte e i militari hanno semplicemente indicato ai migranti le luci che si vedevano brillare, lontano. Lui e i suoi amici hanno camminato di notte e sopravvissuto al deserto per quattro giorni.

Raggiunta un’oasi di ristoro e di salvezza, nella prima città algerina dove in seguito soggiornano, sono avvicinati da alcuni militari. Vengono arrestati, accompagnati e poi detenuti in un centro di transito fino alla definitiva espulsione e deportazione nel deserto che finge separare l’Algeria dal Niger. Constantin, giunto a Niamey in camion, si registra presso l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni e con l’idea di tornare con chi rimane della famiglia che ha lasciato nel Camerun. Spera di arrivare in fretta nel suo Paese per raccontare ai figli, nel frattempo cresciuti con la madre, cosa significhi imparare a memoria la geografia scritta dalla sabbia nei suoi occhi. Lo stesso conta fare Julien, originario dello stesso Paese e sbarcato a Niamey, per noncuranza, dopo il Vertice di Roma. Quasi quarantenne ha lasciato il Camerun nel 2009 per raggiungere il suo futuro. Dopo sette anni passati a lavorare a Oran in Algeria si sposta a Casablanca nel Marocco. Per due volte tenta invano di raggiungere la Spagna via mare.

Durante il secondo tentativo, nel 2017, la nave fa naufragio e almeno sette suoi amici perdono la vita. Decide allora di raggiungere la Tunisia per tentare il viaggio nell’ Italia del Piano Mattei per l’Africa. Troppo tardi si accorge dell’errore commesso per precipitazione. Tra il Marocco e la Tunisia si trova infatti l’Algeria che colleziona migranti e rifugiati per spedirli nel deserto che tutto copre. Julien, senza documenti, con le medicine scadute e la sua formazione in informatica, chiede di essere aiutato a tornare a casa. Dopo così tanti anni di assenza ritiene che al libro scritto di geografia della sua vita manchi l’ultimo capitolo.

* * * *

Il Festival di Sabbia

Niamey, febbraio 2024. ‘Grazie molte Mauro. Ho apprezzato tutta questa letteratura di sabbia. Dimmi … che penseresti tu di un Festival di Sabbia? Grazie e a presto, AKM’… Confesso che l’idea dell’amico esperto in gestione e sviluppo rurale mi ha intrigato. Se etimologicamente la parola ‘festival’ aveva un connotato festivo è da tempo usata per giustificare l’assemblaggio di una vasta gamma di soggetti disparati. Festival musicali, cinematografici, di bellezza, arte, poesia, danza, scienza, filosofia, religione, sport e moda. Ammetto che non avevo mai pensato a un ‘Festival di Sabbia’inteso come improbabile celebrazione di questo elemento che caratterizza la vita, la storia e la politica del nostro tempo. D’altra parte ciò che viviamo nel Sahel non è che un drammatico e affascinante Festival nel quale la sabbia appare come la protagonista ma non la sola.

Lei e, naturalmente, la polvere che di essa si nutre e propaga. In questa stagione che da queste parti si chiama ‘Harmattan’, il vento del deserto che sposa la sabbia e da questo connubio nasce la polvere che il vento modella, trasporta distribuisce con superba equità nei vari Paesi del Sahel. Si può dunque affermare senza alcun dubbio che il Festival di Sabbia è inseparabile da quello della Polvere. Proprio lei che ricopre il vestito di Lawrence, originario della Liberia, cantante e chitarrista di classe ‘Reggae della Giamaica’. Dopo quindici anni di guerra civile nel suo Paese canta la pace e, già maturo di età, decide di raggiungere il Marocco e se possibile, passare il mare Mediterraneo un giorno. Arrivato a Niamey, complici le frontiere chiuse per le sanzioni decise dopo il colpo di stato nel Niger, si prende un tempo di meditare la sua vita.

I soldi di Lawrence e la voglia di viaggiare sono entrambi finiti nella sabbia che, inutilmente, la ‘cintura verde’ della capitale e cioè gli alberi piantati come barriera, ha cercato di fermare. Ringrazia, passa più volte in ufficio e, in attesa di un non prossimo rimpatrio, si informa su spazi e luoghi dove poter esprimere il suo talento musicale. Il Festival di Sabbia risponderebbe alla sua attesa e solo mancano le condizioni per pubblicizzarlo quanto basta. A chi, invece, riesce bene l’evento menzionato, sono le scelte politiche dei tre Paesi dove i militari hanno preso il potere. Il Mali, il Burkina Faso e il Niger sono orchestrati da capi in uniforme kaki le cui immagini troneggiano, a tratti, su poster giganti nelle strade, sui giornali e circolano sui telefoni cellulari. Dopo aver estromesso le forze francesi dai territori citati, preso di mira gli accordi europei sul controllo delle frontiere e delle migrazioni, hanno imposto il ritiro dal consesso delle nazioni dell’Africa occidentale, chiamata familiarmente CEDEAO. Un Festival di parole e di velleità che la magia della ‘sovranità’ e la salvaguardia della Patria accendono d’immenso. Si rivela un autentico Festival di Polvere.

La stagione secca rima con venti che soffiano talvolta relativamente forti e per questo ‘fabbricano’ tutta la polvere che altera la qualità dell’aria e può favorire le malattie respiratorie come la tosse, mal di gola e influenze. L’organo maggiormente colpito dal fenomeno dalla polvere sono però gli occhi e dunque lo sguardo che si offusca e smarrisce una visione limpida e onesta della realtà. Attorno alle numerose rotonde che abbelliscono la capitale c’è almeno un agente della polizia nazionale che porta il mitra a tracolla, cosa inimmaginabile fino a un paio di mesi or sono. Quanto alle citate frontiere, per non citare che quella con il Benin, sono diventate un mercato in piena regola nel quale militari, marinai, doganieri e agenti antidroga guadagnano come non mai prima. I numerosi viaggiatori che sfidano la chiusura prendendo la piroga sono discriminati a seconda della nazionalità di origine, i documenti in possesso e la mercanzia che trasportano. Ormai da sei mesi il Festival di Sabbia attraversa il fiume Niger in piroga senza darlo a vedere.

Al momento la Democrazia come strumento politico di cambiamento per la quale molti hanno impegnato lotte, energie e talvolta la vita, sembra una realtà passata di attualità. Per fortuna arriva lei, la sabbia di polvere che il vento trascina, per l’unico Festival che davvero conti. Quello dei poveri che, come la sabbia, sono stati per troppo tempo calpestati e umiliati. Sono loro, di diritto, i primi protagonisti di un Festival che, come Lawrence scappato dal suo Paese per esportare la pace, cantano in silenzio la speranza di un popolo.

* * * *

Il Paese Invisibile

Niamey, 18 febbraio 2024. Contrariamente a quello visibile, il Paese invisibile non viaggia. O meglio, semmai migra per cercare lontano quello che pensa di non trovare accanto. Invece, il due volte presidente del Niger, Issoufou Mahamadou, dopo alcuni mesi di segregazione forzata, ha viaggiato fino ad Addis Abeba. Un aereo speciale dal Ghana per l’ennesimo incontro sulla libera circolazione di beni, servizi (e persone?) in Africa. E’ andato, forse, a tentare di (ri) mediare per la crisi economica che il Paese attraversa dall’arresto ai domiciliari, da fine luglio dell’anno scorso, del presidente Mohammed Bazoum. Quanto al primo ministro e altresì ministro dell’Economia e delle Finanze del governo nominato dalla giunta militare al potere, Mahaman Lamine, ha viaggiato in vari Paesi prima di tornare all’ovile. Dal Congo, per un incontro sulla situazione in Libia, ha in seguito raggiunto, con una delegazione del governo per una visita di lavoro, Mosca, Ankara, Teheran e Rabat. Il Paese Invisibile, invece, passa la frontiera del Benin con la piroga come un clandestino ben noto.

I cittadini normali si muovono in taxi, bus o minibus all’interno del Paese. Altri sono sfollati a decine di migliaia attorno al lago Ciad o nella zona delle Tre Frontiere che unisce e divide i Paesi che hanno scelto di coalizzarsi. Niger, Mali e Burkina Faso si trovano coi militari al potere in seguito a colpi di stato motivati dall’incapacità dei civili di fronteggiare gli attacchi dei gruppi armati ‘terroristi’. Consapevolmente o meno i soggetti costitutivi del Paese Invisibile sono coloro che hanno imparato a sopravvivere, dalla colonizzazione francese ai vari regimi militari con timidi accenni alla democrazia della miseria. Il passaggio alla miseria della democrazia è avvenuto senza destare sospetti. Da un lato i Grandi Commercianti, i Politici da loro pagati per assecondarli, i militari come guardiani del rispetto dei patti e il popolo confiscato della sua sovranità. Il Paese Invisibile è composto da coloro che non sanno o ai quali non è dato sapere che in loro risiede la fonte del diritto, della politica e della giustizia. Quest’ultima è stata la grande assente dei vari regimi al potere.

Gentile cliente, in conformità con l’ordinanza n.2023-18, che modifica e completa la n.2023-13 con la creazione di un Fondo di Solidarietà per la Salvaguardia della Patria, istituisce un prelevamento automatico di 10 F su ogni appello a partire da 12 F e su ogni ricarica superiore a 200 F. Tutto ciò con lo scopo di contribuire in modo forte e sostenuto alla Salvaguardia della Patria a partire dal 25 gennaio del 2024. Anche i cittadini del Paese Invisibile hanno ricevuto questo messaggio sul loro telefono cellulare e, senza udibili commenti, si sono adeguati al premeditato salasso quotidiano. Un prelievo invisibile per uno scopo invisibile nel Paese Invisibile. Difficile misurare l’entità delle entrate e soprattutto delle uscite di questo inedito patrimonio pecuniario. Così com’è stato difficile capire come sono potuti arrivare senza sospetto, 1.400 chili in lingotti d’oro da Niamey in Etiopia il mese scorso. Il Paese Invisibile osserva, attonito e sono veramente in pochi, finora, coloro che fanno l’opzione di ascoltarne l’assordante silenzio.

Il Paese Invisibile esiste, resiste e persiste. In mancanza di intellettuali che hanno svenduto al miglior offerente quanto loro corrispondeva per missione, il popolo del Paese Invisibile ha imparato a memoria un detto tramandato di generazione in generazione. Tutto ciò che si fa senza di Lui è, in definitiva, contro di Lui.

* * * *

Lasciate cadere le armi dalle vostre mani ossia il grido nel deserto

Niamey, 25 febbraio 2024. … Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: mai più la guerra, mai più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità! Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili. specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli … Era il 4 ottobre del 1965. Il papa Paolo VI indirizzava questo messaggio ai 166 Paesi rappresentati in quel momento all’Assemblea delle Nazioni Unite.

La quotata organizzazione svedese ‘Uppsala Conflict Data Program’ registrava, nel 2022, cinquanta cinque conflitti armati nel mondo dei quali otto considerati come guerre. Ci risiamo! In tutti questi anni, nella complice adesione di Paesi e Comunità Internazionale, i fabbricanti di armi hanno pienamente risposto alle aspettative e attese delle elite politico- finanziarie che vogliono a ogni costo perpetuarsi al potere. Le guerre sono il mezzo privilegiato che garantisce perennità e guadagni alle industrie degli armamenti e all’ideologia letale che le crea. Non dovremmo però lasciarci illudere o fuorviare dalle necessarie analisi geopolitiche o macroeconomiche. Il Sistema di Dominazione che a tutt’oggi continua a governare il mondo, trova ispirazione e giustificazione in un malessere di natura che potremmo definire religiosa. Le divisioni e contraddizioni del mondo e delle strutture portanti delle società evidenziano le conseguenze di un rapporto distorto degli umani col loro destino. La rottura del legame con l’origine è il nostro dramma.

Il vuoto che, soprattutto nell’occidente, sembra condurlo al nichilismo, si esprime in particolare nel declino demografico che appare come uno dei sintomi della perdita del senso e fiducia nella vita. Ridurre le persone a meri consumatori, carne da cannone, elettori occasionali di una politica asservita al capitale, sudditi di un progetto imperiale, merce di scambio per un potere ammalato di arroganza o servitori volontari del dio denaro non può che condurre alla riarmamento del mondo. Si tratta, infatti, di una risposta violenta alla violenza radicale perpetrata sulla dignità della persona umana. Ciò a cui assistiamo nello spazio del Sahel, da secoli luogo di convivenze serene e conflitti anche armati, non si distacca dalla prospettiva citata. Infatti, solo nel 2023 sono 11 643 i morti da attribuire alla violenza dei gruppi ‘islamisti’. I decessi sono triplicati dal 2020, data del primo colpo di stato giustificato proprio per motivi di sicurezza. Da allora sono seguiti altri ‘putch’ con una graduale militarizzazione della vita politica e sociale. Le spese negli armamenti sono andate a scapito di quelle sociali e non casualmente sono i militari ad aver preso il potere in questi Paesi. Il totalitarismo nel pensiero sulle armi come unica salvezza è la storia antica di una sconfitta annunciata.

* * * *

Giocando a guardie e ladri (gatto e topo) nel Sahel

Niamey, 3 marzo 2024. Giocavamo da ragazzi cambiando i ruoli a seconda del giorno. I ladri che si nascondevano e cercavano di sfuggire alle guardie che li cercavano per arrestarli e metterli in ‘prigione’. Il giorno dopo avveniva il contrario invertendo le identità. Guardie perché c’erano i ladri e ladri che scappavano perché c’erano le guardie. Adesso non è più il tempo del gioco perché il gioco si fa nel tempo, nella storia odierna. Guardie e ladri hanno bisogno l’uno dell’altro per realizzarsi. All’epoca del servizio come volontario nel carcere di Marassi questo gioco delle parti mi era apparso in modo particolarmente evidente. Si trattava, in fondo, di ringraziare i ‘ladri’ per quanto operavano sul mercato della sicurezza essendo loro che garantivano la perennità dell’istituzione carceraria. Tanto più che i ruoli, come nel gioco, appaiono interscambiabili nel grande spettacolo che si mette in scena, tra farsa e dramma che si ripete. Questo gioco che, in altre latitudini può essere chiamato gatti e topi, cambia il nomi ma non il principio. Un gioco delle parti.

In questo mondo di ladri, come si cantava il secolo scorso in questo pazzo mondo, ci si ingegna a sviluppare le operazioni in tre settori qualificati. il prioritario è quello delle parole che i ladri sanno essere il bene più prezioso e ricercato dell’umanità. Rubare il senso, il destino e lo scopo delle parole significa portarsi via il presente, il passato e, soprattutto, il futuro della società. Dalle parole, infatti, scaturisce la vita e allo stesso tempo ciò che la tradisce, come ad esempio le promesse, i giuramenti e le convinzioni. Rubare le parole è un orrendo delitto perché si tratta, né più né meno, di una manipolazione della realtà. Ed è esattamente il questo, il secondo settore appannaggio dei ladri. Portarsi via la realtà o porzioni di essa costituisce un reato le cui conseguenze sono irreparabili. La falsificazione della realtà e cioè la sostituzione della verità alla menzogna è quanto di più pericoloso si possa immaginare. Di fatto, questa operazione, incide profondamente sulla credibilità che gli adulti rivendicano sui giovani che provano a camminare su un sentiero friabile, senza riferimenti e prospettive. L’incertezza diventa allora l’unica prospettiva accettabile.

Infine, ovviamente, i ladri si portano via i soldi e dunque il potere che, molto spesso da essi appare inscindibile. Rubare denaro, risorse, corrompere, sottrarre fondi, prestare a usura, stampare moneta falsa e altre simili operazioni, sembra fin troppo consono col ruolo sociale affidato ai ladri. I cosiddetti ‘paradisi fiscali’, ampiamente accettati e riconosciuti, ne sono il sintomo più noto. Soldi e potere, allo stato attuale, sembrano anch’essi giocare a ladri e guardie. Queste ultime hanno anch’esse ambiti, territori e situazione che facilitano a realizzare la loro vocazione o missione. Ed è a questo punto che non possiamo non citare le frontiere. Altrove, come dalle nostre parti, esse sono uno dei rivelatori o ‘specchi’ del modo con cui funziona e si organizza una società qualsiasi nel mondo. Si pagano tasse per i documenti che mancano, per la merce che si trasporta, per i certificati medici, di vaccinazione e semplicemente per la nazionalità vista con sospetto dall’altra parte della frontiera. Si registrano nomi, percorsi, destinazioni e soldi che si nascondono per evitarne il sequestro o un prestito a tempo indeterminato. Peggio se si è migranti perché, visto il profilo del viaggiatore, tutti sono in diritto di appropriarsi dei soldi del viaggio. Le frontiere sono pericolose anche quando mancano i fili spinati o i sistemi di controllo facciale perché di esse campano le guardie. Frontiere fisse, mobili, acquatiche, aeree o immaginarie sono essenziali per l’identità delle guardie.

L’altro ambito propizio alle guardie è quello politico. Ci sono i guardiani del tempio, della rivoluzione, dell’ortodossia, della verità costituita o di quella scelta al momento. Guai alla politica non ci fossero loro a proteggere un regime dalle derive libertarie o anarchiche sempre in agguato. Anche in tempi non sospetti le guardie del corpo e quelle giurate assicurano la funzionalità del sistema. Persino gli angeli, talvolta, si atteggiano a guardiani per rendere più semplice la vita dei fedeli. Si trovano, infine, i guardiani dei guardiani, specie più raffinata di controllo numerico e digitale. Nell’epoca del capitalismo cannibale o di sorveglianza sono proprio loro, i guardiani dei guardiani, a rassicurare le ideologie dominanti.

Finché, prima della fine, non torneranno i ladri a ristabilire l’ordine che le guardie avevano rubato.

* * * *

Un mondo polarizzato, disuguale e pericoloso

Niamey, 24 marzo 2024. … Possiamo fare di meglio. Meglio dei cambiamenti climatici e delle pandemie fuori controllo. Meglio di un'ondata di trasferimenti di potere incostituzionali in un contesto di populismo crescente in tutto il mondo. Meglio di una cascata di violazioni dei diritti umani, meglio del massacro sfacciato di persone nelle loro case e nei loro luoghi di vita, negli ospedali, nelle scuole e nei campi dei rifugiati. Dobbiamo fare meglio di un mondo costantemente sull'orlo del collasso, un castello di carte socio-ecologico. Lo dobbiamo a noi stessi e agli altri, ai nostri figli e ai loro figli … (Dal ‘Rapporto sullo sviluppo umano 2024’, PNUD)

Nel frattempo ci si riarma come non da tempo non accadeva. Senza inibizioni di sorta si torna a far parlare le guerre come unica strategia di risoluzione dei conflitti internazionali e locali . La radice di tutti i mali, la dimenticanza, sembra aver preso il potere nell’immaginario culturale e politico dei popoli. Senza la memoria delle macerie e del deturpamento irreversibile dei volti umani tutto ridiventa possibile. Le parole, espressione del pensiero e della visione del mondo che l’accompagna, si trasformano in armi di distruzione totale. Hiroshima e Nagasaki hanno gradualmente smarrito, col passar degli anni e dei testimoni, di essere un baluardo simbolico alle efferatezze umane. Forse non si è imparato nulla dalle sofferenze degli innocenti e le forze del male assoluto tornano a sedurre gli spiriti da tempo svuotati ed espropriati dalla mercificazione del sistema capitalista. Uscire dal vicolo cieco nel quale è piombato il mondo è il titolo del rapporto.

Lo sviluppo umano, per le sue analisi, prende in considerazione tre aspetti. La speranza di vita, l’educazione e il reddito procapite dei cittadini. Questi fattori, combinati assieme e messi in relazione forniscono elementi di comprensione nell’ambito dello sviluppo umano integrale. Nove dei dieci Paesi nei quali lo sviluppo umano è più debole si trovano nell’Africa sub sahariana. Si tratta della Sierra Leone, il Burkina Faso, il Burundi, il Mali, il Ciad, il Niger, la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan e la Somalia. Unico Paese extra africano è lo Yemen. Il rapporto del PNUD ricorda che i Paesi a governo populista presentano un tasso del Prodotto Interiore Bruto più debole degli altri Paesi. Il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di risiedere da ormai 13 anni, continua, secondo l’indice del rapporto, a conservarsi fedelmente tra gli ultimi posti del pianeta. Ci si è gradualmente abituati a guardare la realtà dal basso che poi è un luogo di verità in quanto rivelatore del tipo di mondo che ci troviamo ad abitare.

Un mondo polarizzato, disuguale e pericoloso recita il sottotitolo del rapporto citato. Polarizzato nel senso che si trova diviso all’interno come all’esterno tra minoranze abbienti e masse escluse, marginalizzate o semplicemente ‘zavorra’ del sistema globale di apartheid. La polarizzazione è frutto e radice della graduale sparizione dei poveri e non della povertà. Le disuguaglianze si esprimono anche e soprattutto tramite le frontiere che di esse sono forse la metafora più eloquente. Frontiere economiche, politiche, culturali, religiose e simboliche. Un pezzo di carta e un visto possono radicalmente cambiare l’identità e il futuro di una persona. Le detenzioni, le deportazioni e i rimpatri forzati sono una delle espressioni più amare delle disuguaglianze umane.

Un mondo pericoloso, ricorda il rapporto. Pericoloso come, per chi e per quanto … Si vive, non da oggi, in questa continua strategia del ‘terrore’, ostaggi di paure, minacce, epidemie, guerre, carestie e mostri che ogni epoca inventa. Non tarderà dunque ad apparire, come da copione, il don Chisciotte della situazione che, col fedele scudiero che inutilmente cercava di farlo ravvedere, si batteva contro i mulini a vento come i nemici da abbattere. Facciamo invece nostre le parole di Rosa Luxemburg che diceva…’io mi sento a casa mia dappertutto in questo vasto mondo, posto che siano nubi, uccelli e lacrime’.

Add comment

Submit