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Il bisogno di esperienze traumatiche

di Brics Multipolare

Alla fine degli anni ’90 scriveva il docente statunitense Mike Davis: “Se oggi Marx fosse vivo sottolineerebbe il carattere allucinatorio della visione che ha galvanizzato le masse durante le cosiddette rivoluzioni del 1989. Il miraggio verso cui milioni di persone marciavano era la cornucopia del fordismo: cioè la società dei consumi di massa, con alti livelli di salari e di consumi, tuttora identificata con lo stile di vita americano (e del Nord Europa). La sola emancipazione raggiunta dagli sfortunati cittadini dell’ex blocco di Varsavia è un paleo-capitalismo sinistro, che combina tutti gli elementi più arretrati e più brutali del sottosviluppo (ivi compresa la rapina accelerata delle risorse naturali e delle foreste vergini da parte delle multinazionali), con gli aspetti più avanzati della criminalità organizzata mondiale”.

Quelle pseudo-rivoluzioni erano in realtà dei colpi di stato organizzati con la partecipazione occidentale (l’ultimo riuscito fu quello del 2014 a Kiev).

La UE non vedeva l’ora di potersi allargare così facilmente e di acquisire i beni dell’Europa orientale. Uno dei prezzi più gravosi che faceva pagare a quelle ex-nazioni del socialismo statalizzato era l’ingresso nella NATO.

Quando si cercò di fare la stessa cosa in Ucraina (e in Bielorussia), l’intento, in realtà, era quello di smembrare la grande Federazione Russa, ricchissima di materie prime, colpendone i gangli vitali nell’area europea.

L’occidente collettivo ha fatto male però i suoi conti: la Russia s’è lasciata colonizzare negli anni ’90, ma con Putin ha detto basta, ed è passata al contrattacco. Nessuno si aspettava che potesse farlo con una tale forza e velocità, anche se ovviamente la si temeva sul piano degli armamenti nucleari.

Oggi è difficile dire che la NATO si rassegnerà a perdere la guerra per procura scatenata contro la Russia in Ucraina. È anzi più facile pensare che si stia preparando a uno scontro diretto vero e proprio. Uno scontro che inevitabilmente l’occidente perderà un’altra volta. Questo perché la storia sta prendendo una direzione precisa: il dominio incontrastato del capitalismo privato occidentale sull’intero pianeta è finito. Il prossimo futuro sarà nelle mani del capitalismo statale e del socialismo mercantile di marca asiatica, dove lo Stato gioca un ruolo significativo.

Tuttavia su un aspetto alla suddetta frase di Davis un rilievo va fatto. Il passaggio dal socialismo statale al capitalismo privato negli ex Paesi del blocco sovietico fu, in un certo senso, reso possibile da un importante ricambio generazionale. Non fu voluto da quanti avevano fatto la seconda guerra mondiale, ma dai loro figli. L’illusione di poter avere tutto e subito era tipica dei giovani, che non accettavano di vivere nelle ristrettezze e sotto il controllo politico-partitico dell’intera economia. Si poteva continuare a impedire con fare autoritario o paternalistico questa esigenza ribellistica? No, non si poteva. La repressione sovietica dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968 avevano lasciato straschichi pesanti.

Si potevano persuadere le giovani generazioni mostrando che il benessere euroamericano veniva pagato dal malessere dei Paesi colonizzati dall’occidente? Non sarebbe servito a niente. Qualunque analisi critica mossa contro le contraddizioni strutturali del capitalismo veniva presa dai giovani come una forma di propaganda. I frutti dell’albero della cuccagna volevano mangiarli a tutti i costi. Ancora oggi chi ha compiuto i colpi di stato e le cosiddette “rivoluzioni colorate” degli anni ’80 e ’90, e che comincia ad avere una certa età, non è disposto ad ammettere d’aver fatto una scelta sbagliata. Anzi, insiste nel sostenere, nella maniera più assurda possibile, che se i suoi sogni non si sono realizzati secondo le proprie aspettative, è tutta colpa della Russia, che continua a minacciare il suo Paese, a impedire lo sviluppo della democrazia, a infrangere le regole internazionali.

Purtroppo siamo fatti così: per aprire gli occhi e vedere la realtà per quello che è e non per quello che sembra o che vorremmo che fosse, abbiamo bisogno di esperienze traumatiche.

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