Print Friendly, PDF & Email

communia

La rapida obsolescenza di merci politiche scadenti

di Thomas Müntzer

In un tweet di un paio d’anni fa, i Wu Ming scrivevano: “Nello scenario di crisi e austerity, emergono merci politiche sempre più scadenti, dalla rapida obsolescenza”.

L’establishment italiano pensava invece di aver pescato la carta magica, quella che permetteva il bluff perfetto: Matteo Renzi. Uno in grado di esser liberista di stretta osservanza ma di dipingersi come anti-sistema, di legarsi efficacemente ai poteri forti dell’economia italiana ed europea ma di presentarsi come anti-Europa alla Salvini, di fare una riforma Costituzionale accentratrice alla Berlusconi e di presentarla come anti-casta alla maniera di Grillo. E di far tutto questo con il sostanziale appoggio dell’intellighenzia di sinistra e di ciò che rimane del suo radicamento sociale e sindacale (con quello confederale che ancora alla vigilia del referendum firmava accordi peggiorativi con il Governo...).

Un fenomeno, un diversivo perfetto in epoca di crisi per continuare ad andare avanti con le politiche economiche che hanno prodotto la crisi, presentandole come svolte copernicane.

Ci spiace per i poteri forti nostrani, ma era troppo bello (per voi) per essere vero. La crisi è lì, e mostra ogni giorno il re nudo, con una realtà materiale che consente vita breve a qualsiasi tentativo illusionista. Governare la crisi è dura, e le scorciatoie sono difficili anche per le classi dominanti.

Il giovane Renzi è costretto a dimettersi dopo soli 3 anni di Governo, e con la capacità particolare di farlo senza mai essere passato da elezioni politiche. Un autogol, quello di legare la propria sorte politica a questa pasticciata riforma Costituzionale, spiegabile con la sua arroganza, che lo ha portato ad auto convincersi che bastasse togliere qualche senatore per ottenere un personale plebiscito, ma segno anche dell’ormai cronico distacco dalla realtà delle attuali classi dirigenti.

La stessa idea di occupare in modo così massiccio i palinsesti televisivi non era poi così geniale se è vero che le recenti elezioni a livello internazionale dimostrano proprio che più si ha l’appoggio dei grandi media – oltre che dell'establishment economico – più aumenta la rabbia popolare di chi fa i conti con il peggioramento delle proprie condizioni materiali di vita. Forse, caro Matteo, le centinaia di migliaia di euro spese per il guru americano della comunicazione potevano essere investite meglio.

“Non credevo mi odiassero così”, ha detto Renzi ai suoi collaboratori, come riportato in un retroscena del Corriere della sera. Forse pensava esistessero ancora le “maggioranze silenziose”, come nel Novecento. E rimuoveva tutte le contestazioni subite, segnalando la distanza dalla realtà di questa politica, che non si rende conto dei problemi con cui fa i conti la maggioranza della popolazione mentre lo vede salvare le banche, andare a braccetto con l’establishment industriale italiano, precarizzare ulteriormente il lavoro con il Jobs act. Oltre a tentare di umiliare con arroganza in ogni talk show qualsiasi movimento sociale o posizione alternativa.

Il No vince infatti in modo ancora più clamoroso la dove la crisi morde di più. Al sud supera ovunque il 65% per arrivare oltre il 70% nelle isole e nelle periferie più impoverite, sfiorando persino l'80% tra i giovani con meno di 34 anni – i più colpiti dalla riforma del Jobs act e dalle illusioni distribuite dal governo a suon di lavoro gratuito.

E' un voto che conferma che il consenso consolidato non è di questa fase politica, dove tutto è più che mai liquido. E consegna uno scenario politico caotico ed estremamente debole di cui è difficile prevedere gli esiti nel prossimo periodo. Renzi sperava probabilmente di poter perdere almeno di misura, per addossare la responsabilità della sconfitta sulla sua minoranza interna e rilanciarsi come candidato del Pd per le prossime elezioni. Ma con una sconfitta così netta il suo possibile rilancio sarà più complicato.

Lo scenario fotografa in realtà la debolezza della classe dirigente, non solo italiana evidentemente, nel saper governare una tale fase di crisi economica. E se lo sconfitto è chiarissimo, i presunti vincitori son tanti e per ciò stesso anch'essi deboli.

Nessun soggetto politico oggi in campo ha del resto un progetto credibile per affrontare radicalmente l’attuale crisi economica. Anzi, come Renzi, i suoi principali competitor sembrano essi stessi dei diversivi, destinati come lui ad effimeri momenti di successo e a rapida obsolescenza. Se infatti la destra di Salvini propone il diversivo della sovranità monetaria e della guerra tra poveri in salsa razzista, i Cinque stelle propongono il diversivo dell’onestà e della riduzione dei costi della politica, tutti impegnati nella ricerca di frasi buone per un talk show senza far intravedere un minimo progetto politico e di radicamento sociale e dimostrando anzi non poca confusione nell'amministrazione di territori complessi. Nessuno sembra in grado di dire ad esempio una parola sul ricatto del debito e sulla necessità di non pagarlo per reditribuire la ricchezza, o sulla necessità di far crescere i diritti di chi lavora a discapito degli interessi delle grandi imprese.

Anche ciò che rimane della sinistra radicale, che in questo referendum ha avuto un ruolo marginale, continua a non avere un progetto credibile all’orizzonte, e ciò è ancora più evidente in quei settori che guardano con interesse a ciò che potrà uscire dal dibattito interno al Pd, dove la cosiddetta sinistra interna (ossia quella dei D’Alema e Bersani protagonista dei governi liberisti di Centrosinistra prima di Renzi…) proverà a giocarsi le sue carte.

Insomma, in questa fase di crisi economica si conferma la contemporanea e profonda crisi della politica, con un’assenza sempre più evidente di radicamento sociale dei partiti esistenti, incapaci anche a sinistra di pensare se stessi in una realtà sociale frammentata in cui le identità andrebbero ricostruite a partire da esperienze esemplari in grado di mostrare innanzitutto la propria utilità sociale.

La cosa interessante è la partecipazione al voto in controtendenza rispetto al crescente astensionismo, con un'affluenza di quasi il 70% che supera le previsioni avvicinandosi ai dati che si hanno di solito ormai solo nelle elezioni politiche. Partecipazione che è un avvertimento anche per tutta la variegata fauna che oggi si candida a sostituire il giovane ex presidente del Consiglio: senza reali politiche economiche e sociali alternative alla prima verifica dei fatti qualsiasi illusionismo viene rimandato a casa con il voto. Una voglia di partecipazione che dimostra, come già successo 5 anni fa con il referendum sull’acqua, che c’è una sete di democrazia diretta che non delega nulla ai partiti esistenti. O almeno, se delega lo fa solo a tempo determinato. È del resto un fenomeno esattamente contrario a ciò che tentava di fare la riforma costituzionale di Renzi, che provava proprio ad accentrare il potere e la delega sul Governo.

Nell’epoca della crisi dei partiti e del rapporto tra politica e società, c’è invece bisogno di costruire nuove forme di democrazia e partecipazione diretta, ma il problema è riuscire a far si che una partecipazione come quella di ieri non si limiti ad esprimersi con un voto, ma diventi pratica quotidiana e conflitto sociale. Questo sì, sarebbe “costituente” di una nuova fase.

Per andare in questa direzione non è utile nessuno dei soggetti politici oggi in campo, nè ci serve ripetere in modo rituale appuntamenti nazionali di un "noi" inesistente ed autoreferenziale. L'unico esempio ad aver agito efficacemente in tale direzione in questo autunno è stato quello delle donne che hanno organizzato la manifestazione contro la violenza di genere del 26 novembre, con un percorso partecipato e di movimento che ha portato 200mila persone in piazza nel totale oscuramento mediatico, rilanciando verso lo sciopero per il prossimo 8 marzo.

Sono queste le esperienze con cui ricostruire la democrazia nel nostro paese, e con cui rilanciare il conflitto sociale necessario per cambiare le politiche economiche dominanti, qualunque sia lo scenario politico che avremo di fronte nelle prossime settimane e mesi.

Comments

Search Reset
0
Claudio
Wednesday, 14 December 2016 17:15
Ottima analisi ma un po' troppo interna all'attuale sistema che è entrato in una crisi profonda per molteplici cause: sovrapproduzione globale in molti settori, suddivisione del reddito a favore dei ricchi e sempre maggior penalizzazione della forza-lavoro e delle classi più deboli, alle quali vengono caricate la maggior parte di tasse, accrescimento dei privilegi da un lato e dei sacrifici dall'altro. E' di oggi la notizia che sono i "presidenti italiani delle (società) quotate piu' pagati al mondo dopo gli svizzeri", pari a 887mila euro medi nel 2015 (quella degli amministratori delegati 1,66 miliardi, in crescita dagli 1,483 miliardi del 2014), contro 560mila euro circa della Francia, 513.984 euro del Regno Unito e i 340.227 euro degli Usa. La stessa disparità si verifica negli emolumenti delle varie cariche istituzionali e degli enti, come la Presidenza della Repubblica, la Banca d'Italia e così via, tutti con compensi superiori di due/tre volte rispetti ai pari grado degli altri paesi molto più ricchi di noi, come la Germania e gli Usa, mentre il rapporto inverso si verifica per i salari che sono tra i più bassi dei paesi sviluppati. In una tale situazione in cui il sistema si basa, oltre che sullo sfruttamento del lavoro salariato, sul magna, magna, delle tasse non pagate e scientificamente evase, sulla corruzione elevata a sistema in cui tali truffe vengono di rado scoperte e ancor più di rado finite a giudizio, in un sistema in cui se si richiede un piccolo sacrificio alle pensioni d'oro o privilegiate vengono dichiarate incostituzionali, mentre se si tartassano i poveracci va tutto bene. In un sistema che ormai conta 17 milioni di poveri, più di un quarto dell'intera popolazione, e poco meno negli altri paesi,.non credo proprio che in un così marcio sistema possiamo portare ad esempio la mobilitazione delle donne contro la vergogna dei femminilicidi, anche perché oltre che cercare di creare un certo dibattito sul grave problema, non mi sembra che abbiano suggerito una qualche soluzione e men che mai cercato di ragionare sulle eventuali concause di genere, che in qualche caso evidentemente esistono. Insomma, a me sembra che questo sistema non stia più in piedi e vada superato. Cerchiamo, uomini e donne di ragionare sul come e su quale tipo di società sostituire ad essa affinché non s'incorra negli identici mali: sfruttamento e profitto, crisi e guerre, sopraffazione del più forte sul più debole, inquinamento e distruzione dell'abitat terracqueo ed aereo e così via.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit