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lacausadellecose

Di caos in caos

di Michele Castaldo

il caos 03 1000 768x537La crisi del governo di “unità nazionale”, diretto dall’uomo della provvidenza, il banchiere Draghi, in piena estate, mostra non il fallimento della politica come vogliono sostenere la gran parte dei commentatori e degli intellettuali. No, è la crisi di un modo di produzione in crisi, ovvero di interessi di più classi in contrasto fra loro e in ognuna di esse, perché si vanno sempre più riducendo i margini del mercato.

All’orizzonte: il costo delle materie prime che determinano addirittura le alleanze storiche internazionali; la necessità di far fronte dando un impulso alle grandi aziende per renderle competitive e le ricadute di questo processo sui settori destinati perciò ad essere falcidiati: i taxisti per la Uber, le 50.000 imprese a rischio di chiusura, la revisione dei contratti dei beni demaniali. Si tratta di interessi economici che stridono fra loro e ne fanno le spese i partiti che si candidano a rappresentarli. Si provi solo a immaginare quale somma occorrerebbe per 50.000 mila imprese sull’orlo del fallimento, che Giuseppe Conte, per un verso, e Salvini per il versante del nord, vorrebbero salvare. E sotto accusa cosa è se non il reddito di cittadinanza?

All’interno dell’attuale caos dei partiti e dei vari raggruppamenti politici si segnala, in controtendenza, una crescita continua del partito di estrema destra della signora Giorgia Meloni, che viene visto come il fumo negli occhi dai democratici e dalla sinistra. E proprio coll’approssimarsi del centenario della Marcia su Roma del 28 ottobre del 1922, il partito Fratelli d’Italia, il partito dei patrioti, come lo definisce la Meloni, potrebbe festeggiare quel centenario con la nomina se non addirittura il giuramento di un nuovo governo della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza. Insomma la Storia, quella vera, gioca sempre brutti scherzi agli uomini che pensano di dirigerla.

Quali sono le ragioni vere, cioè le necessità di quali strati sociali, che spingono verso una destra nazionalista seppure atlantista? A nostro parere si tratta di quel frastagliato e composito mondo del ceto medio che dalla piccola e media impresa, dall’artigianato al piccolo commercio, dal mondo del professionismo è sotto pressione della grande finanza, della grande industria e della grande distribuzione. Si tratta di un agglomerato, come detto, composito, e perciò privo di nerbo che in una fase di crisi come quella attuale non può in nessun modo ottenere il sostegno e l’appoggio dei grandi poteri, cioè dell’establishment, e si affida a chi mostra di sostenerlo. Così facendo si vanno a incastrare in gangli complicati di giochi internazionali e di alleanze politico-militari.

Fratelli d’Italia come il Partito Nazionale Fascista cento anni dopo? Non scherziamo, solo i cretini possono credere alla storia che si ripete meccanicisticamente. Il fascismo era la risposta nazionale di più classi alla sfida lanciata dall’Internazionalismo della sinistra in una fase di espansione del modo di produzione capitalistico. Il ceto medio, nel quale i contadini e i reduci dalla guerra, svolgevano il ruolo delle truppe d’assalto e non solo di violenta manovalanza. Ma l’aspetto centrale era costituito dall’appoggio della grande industria e dall’apertura di una fase di enorme sviluppo economico del quale quelle categorie intendevano essere protagoniste in patria e fuori.

Oggi la Meloni e i personaggi di Fratelli d’Italia difendono l’indifendibile, cioè un ceto medio falcidiato dalla crisi e privo di prospettiva, come ad esempio i tassisti o i gestori delle aree demaniali come i lidi attrezzati che per decenni hanno fatto la fortuna dei loro gestori. Difendono la piccola impresa che è divenuta nei fatti anacronistica, checché ne pensi il professor Prodi, rispetto ai colossi della concorrenza asiatica contro cui devono battersi i grandi gruppi occidentali. Insomma un nuovo nazionalismo non può poggiare per nessuna ragione sulla riduzione fiscale per le piccole imprese e il favoreggiamento del ceto medio. La guerra è guerra e si chiama in questo modo proprio perché è senza esclusione di colpi.

Di contro c’è una corsa a voler rappresentare i grandi interessi dell’Italia in crisi – la famosa corsa verso il centro liberista – sotto l’ombrello protettore Usa/Nato come estremo tentativo di sopravvivenza e non più come il faro che illumina nella nebbia, proprio mentre al di là dell’Atlantico c’è un paese in preda a una crisi di nervi, attaccato dall’esterno dalla grande forza produttiva della Cina e dall’insorgenza di tanti paesi di nuovo capitalismo sempre più agguerriti nella concorrenza e che non vogliono sottostare al dominio yankee. «In Africa la tenuta è agli sgoccioli », dice Moises Naim, per non dire della Russia che ormai è entrata a gamba tesa nel cosiddetto gioco della geopolitica.

È stato un caso che il governo Draghi è caduto proprio mentre erano in piazza i tassisti difesi tanto da Salvini quanto dalla Meloni? Mentre Giuseppe Conte faceva il pesce in barile? Bene, proprio in quei giorni Aldo Cazzullo pubblicava sul Corriere della sera, il giornale dell’establishment, l’intervista notturna con un taxista di Milano che a fine turno aveva incassato 332 euro. Si, ci sarà anche il notturno a gonfiare le corse, ma è una categoria certamente non operaia. E un Marco Rizzo del fantomatico Partito comunista ci fa la figura del cretino quando si presenta alla manifestazione dei tassisti arringandoli: « Voi state combattendo perché le multinazionali non vengano in questo Paeseeeee! » mentre i tassisti replicavano in coro « Bravooo! ». Il poveretto non sapendo più a quale santo votarsi va ad imitare Salvini in nome del “comunismo”. Che dire?

Nella spietata guerra della concorrenza le figure come quelle del tassista vecchio tipo o dei padroncini di camion, o dei subsub appalti nella Logistica, sono anacronistiche, e Draghi rappresentava e rappresenta tuttora la parte contrapposta, ovvero la grande finanza e le grandi corporazioni dell’industria e della distribuzione. Ecco perché la stessa Lega non può essere contemporaneamente di Salvini e di Giorgetti, ovvero di lotta e di governo, con la Nato e con la Russia, perché gli spazi si sono ridotti: deve sopravvivere l’una, la grande impresa, a scapito dell’altro, il ceto medio. E che si tratti di una vera e propria guerra lo hanno dimostrato le mobilitazioni dei giorni caldi di luglio proprio dei tassisti.

A quali condizioni Lega e Forza Italia avrebbero continuato a sostenere il governo retto da Draghi? Cacciando dal governo il M5S. Che significato aveva l’espressione di Draghi: « non c’è alternativa a un governo con il M5S »? Diciamola tutta e sino in fondo: per il grande banchiere che interpreta le necessità della finanza e dei grandi gruppi, nonché fervido sostenitore dell’invio di armi all’Ucraina, un sussidio minimo a disoccupati e precari che lavorano a nero deve continuare ad essere elargito per due motivi: a) alimentare i consumi, e b) tenere buona la piazza. Sicché l’arrivista Di Maio s’è dimostrato essere, come tutti i meschini, più realista del re. A quel punto il centrodestra s’è fatto bene i calcoli e pensando di avere la vittoria in tasca ha deciso di mandare a casa Draghi, che ha accettato perché non c’è soluzione di sorta. Dunque al di là di manovre “filoputiniane”, il governo Draghi è stato mandato a casa dall’intemperante comportamento del ceto medio rappresentato tanto da Salvini quanto da Conte.

 

Chi rappresenta il proletariato?

Bando alle chiacchiere: il proletariato non ha una rappresentanza politica, e non solo parlamentare, perché è totalmente assente dalla scena, non è in campo in quanto tale. Mentre il ceto medio in modo confuso e scoordinato si mostra e cerca di difendersi, fino al punto da tentare di spostare equilibri internazionali di alleanze, la stessa cosa non sta succedendo con il proletariato. Dire, ad esempio, che il proletariato, la nostra classe di riferimento, « vive un momento di difficoltà » vuol dire darsi coraggio, non guardare la realtà per quella che realmente è. Dovremmo ricordare, tra le altre cose, che alle ultime elezioni europee del 2019, le organizzazioni sindacali più rappresentative – dunque i rappresentanti dei lavoratori seppure sul piano sindacale – firmarono un documento congiunto con la Confindustria per invitare a votare per i partiti europeisti. Sicché non ci sarebbe da scandalizzarsi se ci fosse un atteggiamento simile anche in questa tornata elettorale contro i partiti apertamente di destra, come quello della Meloni. Insomma una classe trainata verso l’ipotesi di una non vittoria del centrodestra tale da prefigurare un nuovo governo Draghi o comunque draghiano.

Poniamoci questa domanda: perché il proletariato è totalmente assente come classe sociale con interessi distinti? Dovremmo avere la forza e il coraggio di affrontare questo tema senza nasconderci dietro un dito, ma guardando negli occhi la realtà. Mentre continua lo stillicidio dei morti sul lavoro e aumenta la precarietà ci si sta mettendo pure l’inflazione che vuol dire riduzione salariale indiretta, e tutto tace. Mentre scoppiano rivolte popolari improvvise in paesi di giovane capitalismo.

Negli ultimi 10 anni un pugno di lavoratori, per lo più immigrati e schiavizzati oltremodo, nella Logistica, hanno subito minacce e repressioni addirittura con morti durante gli scioperi, con denunce infamanti pur di cancellarne l’identità e non s’è mai mosso un dito in loro difesa da parte del proletariato storicamente detto. Come mai, perché? Non possiamo continuare a tacere su questo e men che meno pensare che i lavoratori siano tenuti a bada dalle loro organizzazioni sindacali, perché è esattamente vero il contrario. Mentre nella Logistica i lavoratori presi dalla disperazione si sono attivati alla ricerca di chi li potesse organizzare, il restante del proletariato è fermo ai box e perciò degnamente rappresentato dalle attuali organizzazioni come CGIL-CISL-UIL in Italia, CGT- CFDT in Francia, o l’AFL-Cio negli Usa, per citare alcuni esempi. Con la scesa in campo del proletariato asiatico, come agguerrito concorrente, si è avuto un arretramento e con esso uno scoraggiamento e un disorientamento dell’insieme del proletariato occidentale.

Ultima trovata in ordine di tempo: « A sinistra servirebbe Landini, il leader Cgil ha titolo, storia e competenza per riunire tutta l’area », dice il filosofo napoletano Roberto Esposito. Siamo alle solite: l’individuo che diviene la « leva per sollevare il mondo ». Povera filosofia in che mani sei finita!

Se negli ambienti che contano, come riferisce Stefano Lepri su La Stampa, « La parola “unrest”, disordini, compare ben sette volte in un testo di diciotto pagine fitto di tecnicismi economici », vuol dire che c’è la percezione, seppure attenuata, del senso di marcia che ha imboccato la crisi.

Come si attrezza chi si muove per una critica radicale al modo di produzione capitalistico oggi? La parola d’ordine internazionalista del Manifesto: « Proletari di tutto il mondo unitevi! », può acquisire valore non in quanto tale, cioè per la capacità ricettiva del soggetto, e perciò come espressione di un’idea da lanciare ai lavoratori, ma solo in presenza di una generale crisi del modo di produzione capitalistico – verso cui è diretto – e perché costretto a non poter più continuare a vivere come espressione complementare di un sistema coesivo e monista. Detto in modo brutale: c’è una differenza di fondo tra gli anni ’20 del secolo scorso e la crisi attuale: allora il ceto medio era in espansione, e fu usato dal modo di produzione verso una ipotesi nazionalista contro il proletariato, che veniva illuso di una ipotesi internazionalista adombrata dopo la grande Rivoluzione in Russia. Oggi il proletariato rischia di essere passivamente compattato dal nazionalismo democratico ai danni del ceto medio, che privo di prospettiva è divenuto una variabile impazzita alla cui testa si candida il cosiddetto populismo più o meno nazionalista di destra, mentre su quello di “sinistra”, che si candida ugualmente a rappresentare, stendiamo un velo pietoso. Sicché i democratici si preoccupano perché intravedono nella crescita dei populismi un senso di irresponsabilità che può accelerare la corsa verso la crisi generale dell’insieme del sistema sociale attuale.

Dunque per la nostra prospettiva, di un compattamento del proletariato sul piano internazionale, si preparano tempi complicati, ma meno bui di quelli che difendono il modo di produzione capitalistico, ai quali comincia veramente a mancare la terra sotto i piedi.

Comments

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E sem
Friday, 05 August 2022 21:21
Sono passati cent' anni e continuiamo a parlare dell' avvento del fascismo come conseguenza della marcia su Roma. Sarebbe scomodo forse dire che la calata di braghe e' stata volontaria? I numeri ci dicono che il buon benito gioco' le sue carte ad un tavolo di vegliardi incompetenti spaventati dalla possibile perdita di privilegi immeritati, a cominciare dal buon tentenna. Prima si calo' le braghe su "consiglio" di alcuni industriali lombardi, guarda caso finanziatori di un italia reazionaria non necessariamente mussuliniana. . e poi dopo aver soccorso e inquadrato bande di disgraziati sbandati e affamati si mise in scena la cosi' detta inevitabile presa di roma da parte del fascismo. Perché mi sembra che stiamo usando lo stesso copione? (Qualche cosa pero' e' cambiata, ora non si vuole fare un' Italia forte in campo internazionale, si vuole solo mettere all' asta quel poco che ci rimane: i nostri politucoli stanno cominciando ad aprire il beccuccio per godere delle bricciole promesse).
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carlo
Friday, 05 August 2022 15:01
Se la crisi è dovuta ad interessi di classe contrapposti: ceto medio contro grande industria, e se il ceto medio è la parte che sta perdendo la sfida, incapace di sostenere la concorrenza della grande industria, allora si va verso una società di due classi: proletari e capitalisti.
Quando i tassisti saranno sostituiti dal proletariato Uber, i gestori di spiagge da multinazionali in cui lavoreranno a paghe basse i proletari del settore turistico, quando i beni pubblici passeranno alle grandi compagnie private che vesseranno i proletari utenti, quando 50.000 padroncini di piccole aziende artigiane diventeranno operai dipendenti, allora ci troveremo di fronte all'evidenza di un'uguaglianza al ribasso per la stragrande maggioranza dei cittadini e un piccolo gruppo di milionari privilegiati che comandano giornali, aziende, banche, parlamenti.
In tutto questo ci si domanda nell'articolo: e il proletariato? e si propone di unire tutti i proletari. Manca solo con che proposta unirli, sotto quale visione di società, con quali alleanze geopolitiche? Personalmente credo che se non si vuole proporre alternative effimere bisogna che si guardi all'unica grande nazione che, seppure tra mille contraddizioni, dice di essere ancora comunista.
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Pantaléone
Friday, 05 August 2022 09:09
L'invarianza comunista è ciò che Bordiga oppone al marxismo degli spacconi.
Quello che mi piace dei vostri testi è che sono in sintonia con il movimento reale.
Infatti, se il proletariato non ha rappresentanze, in un certo senso è una buona notizia.
Se fosse rappresentato, verrebbe comunque tradito.
Da qui a dire che non esiste una rappresentanza del proletariato all'interno dell'apparato capitalistico il passo è breve.
Il proletariato non esiste nell'immaginario capitalista, che ha passato il tempo a negarlo e a schiacciarlo, tuttavia il proletariato è una realtà oggettiva di una totalità chiamata forze produttive, e la base della ricchezza di queste ultime.
Sarà sempre più complicato, man mano che l'obsolenscenza di questo sistema cresce e gira singolarmente, (socialisti/capitalisti/populisti) che i populisti abbraccino le masse all'illusione, il capitalismo in declino declina anche e soprattutto quando finge di essere capitalista altrimenti il populismo è forse il passaggio obbligato perché nasca la fine delle illusioni.
Il comunismo, in ogni caso, è un'invarianza con o senza capitalisti o senza un proletariato consapevole o accecato da chimere populiste.

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