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Nel laboratorio della guerra

di Paolo Vernaglione Berardi

Il riarmo mondiale, a cominciare da quello dell’Ue. L’esercizio autoritario di governo in molti paesi. Le trasformazioni del diritto internazionale e i nuovi modi di esercizio del potere, come la securizzazione dei territori, in rapporto a un diritto che occupa una posizione marginale rispetto al potere di guerra e di pace. La guerra è un grande laboratorio con molti volti

army 1835300 1920.jpgPochi dati bastano per ricordare ciò che è di dominio pubblico. Il folle riarmo deciso dall’Unione Europea consta di 800 miliardi, reali o virtuali poco conta perché sottratti a sanità, conversione ecologica, istruzione e servizi sociali. E sono soldi a debito. Il piano “Re-arm Europe” (“Readiness 2030”) propone di mobilitare gli 800 miliardi attraverso un nuovo strumento di prestito da 150 miliardi di euro (SAFE), il riorientamento dei fondi di coesione, la mobilitazione di capitali privati e un maggior sostegno della Banca Europea degli Investimenti. L’effetto della proposta è stato il riarmo della Germania e l’idea della Francia di condividere la propria capacità nucleare nazionale.

Dal 2021 i fondi destinati ai programmi militari sono aumentati di circa il 350%. Nel 2024 le spese nazionali aggregate dei paesi UE della NATO sono aumentati a più di 40 volte il totale dei fondi per il settore militare stanziati dall’Unione Europea. L’Ucraina ha ottenuto dal Fondo Europeo per la Pace (sic!), il più grande programma in ambito militare, 5,6 miliardi di euro di forniture militari (fonte Sbilanciamoci!).

La pressione per sviluppare un profilo di difesa adeguato per l’UE è stata intensificata nel corso della prima elezione di Trump (2016) che ha messo in discussione il futuro della NATO in Europa e le politiche transatlantiche. D’altra parte la guerra in Ucraina ha accelerato l’espansione della NATO a est su richiesta di Svezia, Finlandia e paesi baltici, noti per le posizioni integraliste nei confronti della Russia.

Nel 2024 la Svezia è entrata nella NATO e la spesa militare è aumentata del 34%, raggiungendo i 12 miliardi e il 2% del PIL. La Polonia ha raggiunto i 38 miliardi con aumento del 31% (4,2% del PIL).

La crescita vertiginosa delle spese per le iniziative di difesa testimonia la trasformazione dell’Europa da progetto di pace ad attore militare. La Commissione è il principale attore del riarmo. Tra il 2017 e oggi ha speso 6,836 miliardi del bilancio europeo per la difesa.

Dei 1200 miliardi del bilancio 2021-2027, il rapporto “Safer Together” propone di destinare 240 miliardi alla militarizzazione dell’UE. La gran parte di questi fondi è destinata alle principali aziende militari: Thales, Leonardo, Airbus, Indra, Saab, Diehl, Rheinmetall che sono tra le prime 25 imprese beneficiarie di progetti del Fondo Europeo di Difesa.

Dopo l’invasione dell’Ucraina la Commissione ha sfruttato la situazione intervenendo per facilitare l’acquisto comune di materiale militare: munizioni, difesa aerea e sistemi d’arma. Secondo i piani della Commissione Europea, gli stati membri devono destinare almeno il 50% del loro budget per gli acquisti verso fornitori con sede nell’UE entro il 2030 e il 60% entro il 2035.

La postura di politica militare dell’Unione Europea comporta diversi effetti: la mutazione rapida della geopolitica atlantica che archivia il mondo bipolare formato alla fine della seconda guerra mondiale. La riattivazione della guerra delle razze e del razzismo di stato come a-priori storico del XXI secolo. La trasformazione dei rapporti tra diritto e politica e tra diritto pubblico ed esercizio del potere. La fine del diritto internazionale in vigore nella seconda metà dello scorso secolo. Un discorso strategico di uso della ferocia e della crudeltà come arma di distruzione che giustifica il genocidio, la pulizia etnica, la detenzione, la deportazione e la securizzazione dei territori sottoposti a sorveglianza continua.

Questa attuale costituzione dei rapporti tra gli stati non può essere interpretata esclusivamente in termini di sfruttamento e repressione. Accanto o al di sopra di questi effetti appare la trasformazione della governamentalità, cioè delle tecnologie di governo delle popolazioni…

D’altra parte questa evidenza si articola su un insieme di discorsi che hanno molto poco a che fare con il potere di stato. Il discorso delle destre razziste, il discorso securitario, della deportazione e della criminalizzazione, non sembra essere il discorso del potere sovrano che dall’alto e da lontano impone, controlla e reprime. Sembra invece che un insieme di discorsi di società, discorsi di poteri sociali che provengono dal popolo e che rispondono a esigenze popolari sia il costituente primo di istanze di verità. La critica del mercato globale, la distruzione della cittadinanza acquisita, la destituzione del diritto internazionale e della giurisdizione dei crimini di guerra, la difesa della razza, del territorio, delle radici e della patria, la produzione di una verità mediata dalla comunicazione contro le false verità dell’informazione e le falsità sulla situazione economica; questo insieme di discorsi produce un valore sociale di verità che circola. Per un verso è una rivendicazione generale di provenienza delle società globalizzate da stati nazionali protetti da frontiere e costituiti in vista della concorrenza mondiale.

Per altro verso è una denuncia dell’universalismo dei diritti e delle libertà, dei diritti innati universali e della falsa rappresentazione di un’umanità mondiale, ed è una denuncia delle reali condizioni sociali ed economiche di una maggioranza della popolazione mondiale; è la denuncia rabbiosa dell’impoverimento mondiale, della caduta nella povertà a opera delle tecnologie liberali di governo e delle ricette neoliberali di distruzione dello stato sociale.

Contro tutto questo negli Stati Uniti è stato eletto Trump e contro tutto questo le destre razziste e neonaziste aumentano i consensi. I trumpiani accusano le élite liberali di aver tradito il popolo americano e le accusano di essere responsabili di 30 anni di dissesto economico, sociale e strategico. Le accusano di essersi arricchite a spese della classe media.

Lo storico Harry D. Harootunian rileva che l’esercizio autoritario di governo sulla popolazione è una risposta mutevole a specifiche congiunture storiche che hanno poco a che fare con un passato sepolto, o con repliche della storia. Gli attuali processi di distruzione delle libertà e delle differenze in nome della libertà trovano ragione nell’esercizio di un “non-stato” piuttosto che nell’eredità del fascismo storico.

Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation, è l’artefice del “Project 2025”, 900 pagine di provvedimenti che Trump ha adottato. L’anno scorso Roberts ha scritto un libro, Le prime luci dell’alba. Riprendiamoci Washigton per salvare l’America, in cui invoca una seconda rivoluzione americana. La sua teoria si chiama “combattere il fuoco con il fuoco”. È in corso una cospirazione contro la natura. I liberali vogliono cancellare le tradizioni, gli affetti, la famiglia, il corpo umano. Per evitare questo bisogna appiccare un incendio controllato, per portare al potere quello che chiama il “partito della creazione”. Questo partito è un’alleanza tra tradizionalisti, evangelisti cattolici e tecnofuturisti. La nazione inizia “a cena”, in famiglia. La famiglia riunita è la nazione contro le minacce. Nella famiglia c’è la rigenerazione della nazione. Bisogna fare a meno degli immigrati, aumentare le entrate fiscali che ridurranno il debito pubblico; bisogna riattivare la propensione ad innovare; ci vogliono più reclute per le forze armate e bisogna costruire più edifici e infrastrutture. Roberts ha insegnato e ha fondato scuole cattoliche. Scuole e Università hanno deculturato l’America, forniscono un’istruzione materialista, addestrano attivisti e producono l’ideologia “gender”. Da questa idea vengono i tagli al Dipartimento dell’Istruzione ordinati da Trump. Nella sua agenda ci sono la modifica dei poteri del presidente, approvata di recente dalla Corte Suprema.

Nel libro di Roberts troviamo i discorsi di società per una controrivoluzione in nome del popolo. Ma questi discorsi sono opera di un’altra élite che non si differenzia dall’élite democratica e finanziaria che ha governato i 25 anni del nuovo secolo e sono discorsi che articolano una potenza militare e tecnologica ingovernabile.

Il regime di guerra, divenuto discorso di verità dei partiti reazionari e xenofobi, dei leader ultraliberisti contro la falsa rappresentazione del mondo del globalismo neoliberale e contro gli effetti devastanti di 50 anni di applicazione della lex mercatoria rivela gli effetti distruttivi del potere finanziario, oggi filtrato attraverso il discorso del leader, il discorso del “capo”, il suo volto, le sue parole truci, i gesti, le esibizioni di arroganza buffonesca. In questo senso il discorso di verità e di propaganda, il disprezzo truce e la vendetta contro il globalismo, le differenze, le identità e le alterità sono discorsi di società filtrati attraverso il presidente, che è la figura di una rivolta al fondo della quale c’è la guerra.

La guerra delle razze disarticola la razionalità economica e le applicazioni del liberalismo e impone una transizione egemonica, secondo le parole del grande storico dell’economia Giovanni Arrighi, dagli esiti in gran parte imprevedibili. È dunque lungo la doppia linea dell’evoluzione del liberalismo e dell’intensificarsi del diritto penale che cerchiamo la provenienza delle attuali tecnologie di governo che operano nella crisi dell’egemonia statunitense…

Nel Corso al Collège de France del 1977-’78, Nascita della biopolitica, Michel Foucault prende in esame il liberalismo che prima di essere un pensiero politico o una teoria economica, è una tecnologia di governo della società. Citando Polany, Foucault osserva che la funzione principale di una giurisdizione è governare l’ordine spontaneo della vita economica. Legge e ordine. “Law and order”. Legge e ordine prima di essere lo slogan delle destre e della polizia statunitense, è un’espressione il cui senso è che lo stato interviene nell’ordine economico solo sotto forma di legge…

Questo insieme di effetti inaugura il neoliberismo statunitense che presenta alcune differenze rispetto a quello tedesco degli anni Cinquanta del ‘900 che si è esteso in Europa. Il neoliberismo americano si è affermato in contestazione al New Deal e alle politiche keynesiane. Nel 1934, il “padre” della “Scuola di Chicago”, Henry C. Simons scrive A positive program for laissez-faire, in cui propone politiche attive di costituzione del mercato e del mercato del lavoro, in opposizione alla passività delle politiche economiche dirette e regolate dallo stato. Il secondo elemento di contestazione della scuola di Chicago è il piano Beveridge elaborato in Inghilterra durante la guerra e che ha introdotto quelli che Foucault chiama “patti di guerra”, cioè “tu vai al fronte e ti fai uccidere con la promessa che conserverai il posto di lavoro fino alla morte”…

In questa costruzione gli elementi distintivi del neoliberismo che alla fine degli scorsi anni Settanta si sono estesi in Europa, sono il “capitale umano” con il corredo della teoria della “forma-impresa” e dell’“imprenditore di sé” e la legislazione penale in rapporto alla criminalità.

Il “capitale umano” per i neoliberali come Robbins, Schultz, Becker, è l’insieme dei comportamenti di un soggetto economico attivo. Questa definizione proviene da una generale rielaborazione del campo economico che agli inizi degli anni Trenta è definito da Robbins come il campo del comportamento umano inteso come una relazione tra fini e mezzi rari che hanno utilizzazioni che si escludono reciprocamente. Le teorie classiche, da Smith a Ricardo a Marx, affermano i neoliberali, non hanno considerato il lavoro nella sua concreta funzione. Ma se si considera il lavoro dal punto di vista del lavoratore in quanto soggetto attivo, il lavoro non è più l’elemento cardinale della produzione, ma è funzione di un reddito. Chi lavora percepisce un salario e un salario è un reddito. Si lavora per avere un reddito e un reddito è il prodotto o il rendimento di un capitale. Capitale umano. Il lavoro non è una merce ridotta a forza-lavoro e tempo impiegato, ma è un’attitudine, una competenza; come dicevano gli antichi liberali, è una “macchina”. La competenza «fa tutt’uno con il lavoratore; il lavoro è una macchina che produce flussi di reddito». La macchina ha una durata vitale fino all’obsolescenza, cioè alla vecchiaia. La macchina sarà remunerata con redditi bassi all’inizio quindi con redditi che aumentano nella fase di “miglior funzionamento, per diminuire con l’invecchiamento.

Il lavoratore è capitale-competenza, non forza-lavoro e la sua attività è un’“impresa in sé”. L’individuo è un’impresa, il soggetto del lavoro è un’impresa, i lavoratori sono imprese. L’homo oeconomicus del neoliberismo è imprenditore di sé stesso. Non è in prima istanza il partener dello scambio come nel liberalismo classico, ma è il proprio capitale, la fonte dei propri redditi. Il consumatore è un produttore. Il consumo è un’attività di impresa che produce la soddisfazione dell’individuo…

La forma-impresa si estende a campi e settori extraeconomici che diventano oggetto di mercato, di calcolo, di strategie, l’effetto sociale di questa estensione economica al non-economico è l’aumento delle discriminazioni, delle povertà, del razzismo. Così «nel neoliberalismo… il laissez faire viene rovesciato in un non lasciar fare il governo, in nome di una legge del mercato…».

La seconda questione del neoliberismo statunitense riguarda la giustizia penale. Questa questione, che viene affrontata a partire circa dagli anni Sessanta in termini di costi economici della penalità, del crimine e dell’insieme dei reati, riverbera nelle azioni e nei provvedimenti attuali: ordini esecutivi, deportazione di immigrati, criminalizzazione delle proteste e delle critiche, militarizzazione delle metropoli, strutture di detenzione, esternalizzazione della detenzione amministrativa, blocchi navali e procedure accelerate di espulsione nella guerra ai migranti, agli irregolari, ai poveri, alle differenze di genere.

Fino a ieri, la portata, l’oggetto e il fine dei sistemi penali consisteva nell’applicazione della legge improntata all’analisi dei fattori ambientali e della psicologia ambientale introdotta negli Stati Uniti negli anni Sessanta. Questo processo si è manifestato con la pratica politica delle Black Panters ed è ciò che George Jackson e Angela Davis chiamano “società carceraria”. La società carceraria statunitense è un insieme di spazi, tempi e località di controllo in cui l’esercizio del potere è esercitato in maniera più o meno intensa. Lo stato carcerario e il capitalismo razziale sono i modi articolati di includere nel territorio gli spazi esterni e le comunità più o meno integrate. Libertà e diritti interni alla costituzione, sono rinegoziati di continuo all’interno dello stato federale. A proposito delle lotte di liberazione delle comunità afroamericane, Angela Davis scrive che la presa autoritaria dello stato attraverso la detenzione è stato ed è il modo di impedire «l’autoriproduzione delle comunità nere autonome»…

Soggettivazione del reato e calcolo di utilità nella struttura giuridica sono le due importanti trasformazioni che in epoca moderna dislocano la penalità all’interno della politica pubblica e d’altra parte limitano il diritto rispetto alla costituzione dell’homo oeconomicus e della legge del mercato.

L’esteriorità del diritto rispetto al potere di stato che ha configurato il rapporto tra diritto e politica fino alla fine del XVIII secolo in Europa, si converte nell’integrazione del diritto all’interno dello stato nel corso del XIX secolo. La penalità subisce una decisiva trasformazione e da strumento di punizione del reato diviene mezzo di coercizione nei confronti di chi ha commesso il reato. Si giudica non il reato ma l’autore del reato.

Per Foucault «nell’equivoco esistente tra una forma di legge che definisce un rapporto con l’atto, e l’applicazione effettiva della legge, che può riguardare soltanto un individuo», si costituisce il soggetto criminale. La produzione del criminale, la produzione di un sapere psichiatrico in campo penale e l’applicazione del calcolo di utilità all’insieme delle condizioni di possibilità dei reati (ambiente, numero dei reati, gestione delle differenze tra i reati) limita lo slittamento dall’homo oeconomicus all’homo legalis, all’homo penalis e all’homo criminalis.

Dal momento in cui si definisce il crimine come «l’azione commessa da un individuo che accetta di correre il rischio di essere punito dalla legge», non ci sarà differenza tra un’infrazione del codice della strada e un omicidio premeditato. Il criminale è la persona qualunque. Chiunque può essere un criminale.

Ciò di cui si occuperà il sistema penale è la condotta. Saranno punite le condotte e lo saranno in base a un calcolo economico vigente all’interno e all’esterno del sistema penale. Ci sarà bisogno di un sistema di controllo permanente delle condotte; di un sistema penale che punisce la virtualità degli atti; e ci sarà bisogno di una serie di strumenti per l’esercizio effettivo della penalità: L’insieme di questi mezzi inaugura l’epoca dell’enforcement della legge.

Per Foucault, l’enforcement della legge non è il semplice rafforzamento delle misure punitive; è l’insieme dei mezzi che dotano la legge di realtà sociale e politica: misure di polizia, zelo e competenza dell’apparato di prevenzione e investigativo, severità nell’applicazione della legge, efficacia della punizione, rigidità nella pena applicata che l’amministrazione penitenziaria potrà aggravare o attenuare. «L’enforcement della legge è l’insieme degli strumenti di azione sul mercato del crimine, che oppone all’offerta del crimine una domanda negativa».

Attraverso un calcolo economico si stabiliscono così le migliori condizioni di esercizio della legalità. La legalità deve prevedere un certo tasso di illegalismi. La penalità non è l’insieme degli strumenti legali per punire il crimine, ma è l’insieme dei mezzi che regolano la soglia tra legale e illegale. A seconda di dove si colloca questa soglia, avremo una estremità di gestione degli illegalismi a cui risponde una estremità di controllo dei territori e una selezione dei soggetti da criminalizzare.

Ruth Wilson Gilmore, docente di geografia, attivista e direttrice del Center for Place, Culture and Politics in un saggio del 1992 sulla rivolta di Watts a Los Angeles, rilevava che i programmi di “legge e ordine” segnano l’inizio del ciclo neoliberale. In riferimento alla crisi dell’egemonia statunitense, Gilmore osserva che l’attuale costituzione autoritaria e razziale degli Stati Uniti deve essere considerata in rapporto alla perdita di capacità egemonica e alla crisi di potere di gestione globale. L’insieme dei processi di razializzazione e dei provvedimenti di deportazione, detenzione ed esercizio della violenza di stato, ha la funzione di rinegoziare libertà e diritti lungo la linea di separazione sociale, razziale e di genere che regola i rapporti tra inclusione ed esclusione, tra popolazione e penalità, tra libertà della e per la ricchezza e criminalità delle povertà, delle differenze e delle anomalie “biologiche”, psichiche e sociali.

Oggi, l’intensificarsi della penalità è l’esercizio di un potere di controllo e di sorveglianza che non coincide con lo stato. Si tratta di un potere pubblico che è piuttosto in rapporto con la dispersione dello stato, con la dislocazione autoritaria dei singoli stati e con le iniziative dei governatori, dei giudici e degli influencer. L’estensione della penalità al campo delle libertà ridefinisce i rapporti di potere tra governo e popolazione a partire dalla dispersione continua del potere di stato. Gilmore definisce questa pratica di governo, “stato anti-stato”, che è una forma di governamentalità che realizza la dismissione delle agenzie federali e dei programmi pubblici di sostegno alla sanità e all’istruzione; disarticola l’amministrazione statale; introduce nella società un’altra forma di stato non statale. «Lo stato cresce con la prospettiva di ridimensionarsi fino a scomparire».

Nel caso degli Stati Uniti, la serie di ordini esecutivi, e nel caso dell’Italia i diversi “pacchetti sicurezza”, testimoniano uno stato di anomia in cui il diritto non è sospeso ma, al contrario, è implementato. Si tratta di un diritto che produce una legalità generalizzata che normalizza le condotte e disloca i diritti dei singoli all’esterno del bisogno di difesa e del bisogno di sicurezza…

Le città militarizzate, la caccia ai migranti in terra e in mare, l’esternalizzazione delle strutture di detenzione, la tortura, il genocidio, la pulizia etnica, ­nonché le normative securitarie, sono i modi di esercizio del potere in rapporto a un diritto che occupa una posizione marginale rispetto al potere di guerra e di pace. Questa posizione del diritto all’interno degli stati autorizza la sicurezza promuovendola in nome della protezione del cittadino e regola la soglia di inclusione sociale con misure che eccedono la cornice costituzionale degli stati, rompono la costituzione pattizia all’interno degli stati, sfarinando la divisione dei poteri.

In rapporto al potere di guerra, la realtà effettiva della guerra trasforma il diritto internazionale in due modi: subordinando il diritto al potere di guerra e subordinando al diritto l’autodeterminazione dei popoli. Questo cambiamento di posizione del diritto in rapporto al potere pubblico non ha a che fare con la realizzazione di un diritto di guerra sancito secondo norme di proporzionalità nell’uso della forza e non riguarda la limitazione dell’autonomia del diritto da parte del potere. Riguarda piuttosto l’estensione indiscriminata del potere di guerra da parte dei poteri che lasciano il diritto in una posizione residuale rispetto alle norme giuridiche, economiche e costituzionali.

Il diritto internazionale costituito alla fine della seconda guerra mondiale fa prevalere i diritti umani sul diritto degli stati e subordina il diritto degli stati all’insieme dei diritti umani. Nel corso degli anni l’articolo 27 del divieto di ingerenza pacifica negli affari di uno stato è stato di fatto abrogato in favore dei diritti umani.

Ma il diritto internazionale nato per limitare la guerra non assolve la propria funzione. Le guerre continuano al di sotto e al di là delle prerogative degli stati e delle relazioni tra stati. L’attuale regime di guerra rompe l’intento giuridico del diritto internazionale universalistico, – rottura che si produce subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. La sequenza della guerra fredda, le guerre imperialiste per procura, le guerre regionali ed etniche, le guerre “umanitarie” e la guerra permanente al terrorismo, hanno mobilitato il diritto internazionale non per rinforzarlo ma per adattarlo ai diversi regimi di guerra.

Il secondo motivo della fine del diritto internazionale è l’evoluzione degli stati rispetto all’autodeterminazione dei popoli. Il principio dell’autodeterminazione dei popoli è stato surclassato sia dal diritto degli stati nazionali che dalle norme del diritto internazionale che considerano i diritti umani individuali superiori alle decisioni eventuali delle popolazioni rispetto alla forma di governo. Il diritto internazionale e le agenzie internazionali hanno assunto i rapporti tra gli stati come base di intervento sulle popolazioni e il diritto dei popoli all’interno del diritto internazionale si è diluito fino a scomparire. L’effetto si è manifestato a est e a ovest, a nord e nel sud del mondo, malgrado i processi di decolonizzazione e le lotte di indipendenza. Rivoluzioni, indipendenza e lotte di liberazione sono state considerate al pari delle guerre tra stati, il cui esito è stato la costituzione di stati nazionali decolonizzati e l’imposizione del potere di stato sui processi di autodeterminazione e del potere di sfruttamento post-coloniale sui territori indipendenti.

Evoluzione del diritto internazionale in diritto di guerra e subordinazione del principio di autodeterminazione dei popoli alla costituzione statale. Questi due elementi che hanno regolato i rapporti tra gli stati hanno progressivamente eroso le prerogative del diritto internazionale. I rapporti tra gli stati sanciti da guerre economiche e commerciali, lo sfruttamento di risorse naturali, sociali e tecniche, la rapina di beni naturali, di ricchezze e tecnologie a danno di popolazioni in teoria protette dal diritto internazionale umanitario, hanno prodotto l’arretramento del diritto dei popoli, hanno soppresso l’autodeterminazione e hanno innescato la crisi del diritto nei rapporti tra gli stati.

L’insieme di questi effetti si può costatare nelle possibilità di azione della Corte Penale Internazionale e della Corte Internazionale di Giustizia. La Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano Netanyahu e contro l’ex-ministro degli esteri Gallant con l’accusa di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi a Gaza. La Corte Internazionale di Giustizia, che è il principale organo giurisdizionale dell’ONU, ha accolto la denuncia del Sudafrica contro Israele per atti di genocidio. Entrambe le Corti sono sotto attacco feroce da parte degli Stati Uniti e di Israele con pressioni e minacce ai singoli membri affinché non procedano nella causa contro Israele.

Per Monique Chemillié-Gendreau, avvocata presso la Corte Internazionale di Giustizia e docente di diritto pubblico, la Convenzione del 1948 sulla prevenzione e repressione del genocidio e delle “seconde intenzioni” delle grandi potenze è ambigua, benché contenga una clausola di accettazione della competenza della Corte per le controversie relative all’interpretazione. È così che il Sudafrica ha potuto adire alla Corte contro Israele. Ma i meccanismi di applicazione dei principi del diritto internazionale sono deboli e i comitati per i diritti umani formulano raccomandazioni che non sono vincolanti per gli stati.

Per questo «il diritto internazionale è una disciplina che non esiste», dice Monique Chemillié ai suoi studenti. Si può scegliere «se considerare che non esiste ancora o che non esiste più». D’altra parte esistono oggi alleanze e associazioni tra stati, come i BRICS, che costituiscono un’alternativa virtuale alla governance mondiale. Ma sono paesi associati al livello degli stati nazionali che non costituiscono un’alternativa all’egemonia statunitense, come rilevava lo storico dell’economia Giovanni Arrighi a proposito della Cina. La Cina, unica potenza che contrasta gli Stati Uniti, non può architettare un nuovo diritto internazionale, anzitutto perchè mantiene ed estende le proprie reti commerciali asiatiche e non ha alcun interesse a universalizzare le norme di scambio e le relazioni tra gli stati. Inoltre, il progetto di de-dollarizzazione e l’eventuale introduzione di una nuova valuta comune, di una criptovaluta o l’utilizzo di un paniere combinato di valute dei paesi membri, suppone la creazione di meccanismi troppo complessi: un’unione bancaria, un’unione fiscale e una convergenza macroeconomica generale che la posizione di forza nei confronti del dollaro non rende conveniente.

D’altra parte, sostiene Monique Chemillé, «dovremo inventare una nuova organizzazione su basi veramente democratiche». Un nuovo diritto che mette capo all’autodeterminazione delle popolazioni, all’autonomia dei territori e alla costituzione di terre comuni e luoghi comuni.

Questa esigenza richiede immaginazione; richiede la fuoriuscita dal realismo geopolitico e richiede eventualmente una nuova superficie di iscrizione del diritto nella microfisica dei poteri. Richiede la dissolvenza degli stati nazionali, la liberazione delle popolazioni dalla morsa del “popolo” in uno stato nazionale. Richiede che si faccia circolare un diritto internazionale alla condivisione e alla cooperazione non più universalista ma locale, costituito su un’economia delle risorse, non sulla lex mercatoria; un diritto che non sia basato sull’interesse nazionale, che non sia né un diritto cosmopolitico, né un diritto planetario, ma che sia un diritto cosmico, cioè un diritto in cui “grande è il disordine sotto il cielo”.

In un testo inattuale, cioè contemporaneo, Foucault enunciava i principi di una vita non fascista che è un’arte di vivere in cui l’azione politica è libera da paranoie totalizzanti; cresce per proliferazione e disgiunzione, non per gerarchizzazione; preferisce la molteplicità, la differenza, i flussi, i concatenamenti mobili e il nomadismo; produce immaginazione desiderante e pratiche di pensiero; dis-individualizza e non si innamora del potere. Una pratica di vita nomade, in esodo permanente dalle identità, dai confini e dalla società degli individui; una diserzione dal mondo che crea un altro mondo in questo mondo.

 

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Comments

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Lorenzo
Thursday, 11 September 2025 10:34
Un secolo fa, macché: fino a quarant'anni fa la sinistra parlava di lotta di classe, di guerra civile, di dittatura del proletariato, di distruzione dell'impero statunitense. I giovani si riconoscevano in rivoluzionari e guerriglieri come Lenin, Ho Chi Min, Che Guevara. Nella Germania di Weimar, durante le manifestazioni, i comunisti marciavano organizzati in plotoni e compagnie al suono delle bande militari. Durante l'assedio di Leningrado - quando era prevista la pena di morte anche pel furto d'un laccio da scarpe - obiettori di coscienza e disertori venivano fucilati e appesi ai lampioni.

Adesso la sinistra è diventata Paolo Vernaglione Berardi e il suo programma consiste ne "la differenza, i flussi, i concatenamenti mobili, il nomadismo, l'immaginazione desiderante. Una pratica di vita nomade, in esodo permanente dalle identità, dai confini e dalla società degli individui; una diserzione dal mondo". E' un peccato che non l'abbiate adottato ottant'anni fa; avrei goduto a vedere l'immaginazione desiderante di Berardi confrontarsi colle divisioni corazzate tedesche al posto delle guardie rosse. Oggi avremmo un'Europa sana, vitale e ancora al centro del mondo.

L'articolo è uno specchio della catastrofica parabola di decadenza incorsa dalla sinistra, dall'umanità europea e dalla razza bianca nell'arco di ottant'anni di pace, benessere, consumismo, demoplutocrazia, (in)civiltà dei diritti e dominio della finanza apolide. Siete passati dalla teoria delle condizioni oggettive all'immaginazione desiderante, dall'impegno militante alla diserzione dal mondo, dalla weberiana etica della convinzione al nomadismo, dalla ferrea volontà di costruire il socialismo a languide masturbazioni mentali anarchico- e sessantottineggianti.

La crisi politico-economica dello West angloamericano è solo una conseguenza della soggiacente crisi antropologica e valoriale.
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