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Migranti e capitale

di Alberto Giovanni Biuso

Il significato del marxismo come analisi volta a comprendere la realtà e come spinta rivoluzionaria a trasformarla sta anche e specialmente nel rifiuto costante che Marx oppose a ogni prospettiva moralistica e sentimentale, proponendosi invece di pervenire a una comprensione quanto più oggettiva e fredda del divenire storico e dei conflitti tra le classi.

Das Kapital rappresenta il vertice di questa intenzione che è stata ed è feconda non in quanto ‘scientifica’, aggettivo che ricorre spessissimo nei testi marxiani ma che ne mostra la dipendenza dal clima positivistico dell’epoca, bensì in un fitto ragionare e argomentare, fondato su una miriade di dati statistici, di analisi sociologiche, di resoconti evenemenziali. Tutti trasformati poi in categorie generali dell’economia politica.

C’è nel Capitale una sezione che affronta un argomento centrale per comprendere il funzionamento e gli obiettivi del modo di produzione capitalistico. Si tratta della VII sezione del I libro, più esattamente del § 3 del capitolo n. 23. Il titolo del capitolo è La legge generale dell’accumulazione capitalistica (Das allgemeine Gesetz der kapitalistichen Akkumulation), quello del paragrafo è Produzione progressiva di una sovrappopolazione relativa ossia di un esercito industriale di riserva (Progressive Produktion einer relativen Übervölkerung oder industriellen Reservearmee).

In queste poche ma fondamentali pagine Marx applica la distinzione tra capitale costante (i macchinari e le materie prime) e capitale variabile (la forza lavoro, gli operai) alla relazione tra il plusvalore e i cicli di maggiore o minore impiego della forza lavoro, individuando in tale relazione una delle fonti più importanti dell’accumulazione capitalistica.

Se infatti «con l’aumentare del capitale complessivo cresce, è vero, anche la sua parte costitutiva variabile ossia la forza-lavoro incorporatale», essa cresce però «in proporzione costantemente decrescente» e questo vuol dire che la tendenza complessiva è volta all’espulsione della forza lavoro dal processo produttivo (K. Marx, Il capitale, in Marx-Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1966, p. 857). Dato che l’aumento assoluto della popolazione operaia è sempre più rapido di quello del capitale variabile, vale a dire dell’impiego degli operai, l’effetto è la continua generazione di «una popolazione operaia relativa» che eccede i bisogni di valorizzazione del capitale, rendendo superfluo un numero sempre più alto di operai (ibidem).

Sta proprio in tale eccedenza inevitabile e costante «una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione» (p. 859).

Il capitalismo finanziario e globalizzato del XXI secolo fa alla lettera quanto Marx qui descrive. Attraverso il finanziamento di molte ONG, assai attrezzate e ben organizzate, il capitale promuove un esercito industriale di riserva composto da migranti che raggiungono l’Europa, che diventano disponibili a qualunque lavoro e che di conseguenza abbattono il livello dei salari e la capacità di lotta della classe operaia, anche nella forma da essa assunta negli anni Venti del XXI secolo.

Tale esito è descritto anch’esso con chiarezza da Marx: «L’esercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sull’esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrappopolazione e del parossismo le rivendicazioni. La sovrappopolazione relativa è quindi lo sfondo sul quale si muove la legge della domanda e dell’offerta del lavoro. Essa costringe il campo d’azione di questa legge entro i limiti assolutamente convenienti della brama di sfruttamento e della smania di dominio del capitale» (p. 865).

L’analisi condotta da Marx nel Capitale a proposito di queste dinamiche conferma in modo limpido che a costituire oggi il discrimine tra quanti si impegnano per l’emancipazione dei popoli e quanti invece sono complici dell’asservimento di popoli, classi e individui al dominio del capitale non sono le vecchie categorie politologiche di destra e sinistra ma è la nuova opzione tra il sostegno alla globalizzazione o il rifiuto delle sue dinamiche.

Tra i sostenitori della globalizzazione finanziaria rientrano certamente gli accoglienti in base a ragioni religiose (cattolici e cristiani in genere) e gli accoglienti in base alla propria autopercezione ‘di sinistra’. Se i primi sono coerenti con le proprie fedi morali, i secondi costituiscono invece la dimostrazione di uno sciocchezzaio storico-politico che li rende i maggiori complici dello sfruttamento e della vittoria del modo di produzione capitalistico nel nostro tempo.

Ma si tratta di vittorie mai definitive, nonostante il sostegno a esse fornito da persone e movimenti che, alla lettera, non sanno quello che fanno.

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